Archivi tag: zhu Yufu

Dissidente in carcere denuncia, sono allo stremo

Il dissidente cinese Zhu Yufu, che si trova in carcere a scontare sette anni con l’accusa di ‘sovversione contro i poteri di stato’, ha denunciato alla sua famiglia, in occasione della visita mensile accordata loro, di essere ormai allo stremo, in pessime condizioni di salute. Lo riferiscono fonti di organizzazioni non governative che si battono per la tutela dei diritti umani in Cina. L’uomo ha in particolare detto di essere svenuto diverse volte e di soffrire di pressione alta, capogiri e nausee frequenti. Ma, secondo le autorita’, egli mente al solo scopo di riuscire ad ottenere gli arresti domiciliari o sconti di pena. Tanto che, per punirlo ulteriormente, e’ stato deciso di non permettergli piu’ di telefonare alla sua famiglia ne’ di ricevere visite. I suoi pasti saranno ancor piu’ frugali. Zhu Yufu era stato condannato a sette anni all’inizio del 2012 per aver pubblicamente e su internet, in piu’ occasioni, incitato la gente, con messaggi e poesie, a scendere in piazza per lottare per una maggiore democrazia nel paese. Gia’ in precedenza, nel 1999, fu incarcerato per l’appartenenza al Partito democratico cinese. Rilasciato nel 2006 venne riarrestato nel 2007.

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Avvocati picchiati e arrestati dalla polizia, cercavano di visitare prigione segreta

Sette avvocati sono stati picchiati e arrestati ieri dalle autorità del Sichuan, nel sud della Cina, mentre tentavano di visitare la più grande “prigione segreta” della provincia. Lo riferiscono fonti di organizzazioni non governative che si battono per i diritti umani. I sette avvocati cercavano di entrare a Ziyang, nella provincia del Sichuan, nella Ziyang Legal Education Center, quando sono stati circondati da poliziotti che li hanno barbaramente picchiati. Due di loro, Tang Tianhao e Jiang Tianyong sono stati feriti pesantemente: il primo ha avuto colpi in testa che gli hanno fatto perdere molto sangue, il secondo è stato ferito alla gamba destra da pietre lanciate dai poliziotti. I sette sono stati arrestati, così come quattro altri avvocati andati in loro soccorso alla stazione della polizia. Tre sono stati rilasciati alle due del mattino, 8 sono ancora in carcere. Fra questi ultimi, anche Tang Jitian, avvocato per i diritti umani che fu arrestato e torturato durante la rivoluzione dei gelsomini di due anni fa. Secondo le informazioni di Human Rights in China, nello Ziyang Legal Education Center ci sarebbero oltre 260 persone. Alcuni dei detenuti sono in cella da 5-6 anni senza formali condanne, qualcuno sarebbe anche morto per le torture subite.

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Dissidente uighuira denuncia persecuzioni sui propri figli

La dissidente uighura Rebiya Kadeer, che dal 2006 vive in esilio negli Usa, ha denunciato l’ aggravarsi della persecuzione in Cina contro i suoi tre figli, che stanno scontando pesanti pene detentive dopo processi tenuti a porte chiuse e dalla dubbia regolarita’. Secondo Kadeer, i tre uomini sono stati costretti a firmare documenti in base ai quali cedono allo Stato la proprieta’ di un centro commerciale di Urumqi, la capitale della Regione Autonoma del Xinjiang, nel quale avevano i loro negozi centinaia di commerciati uighuri. L’ edificio sara’ demolito, hanno annunciato le autorita’ locali. ”In violazione delle leggi cinesi e della decenza umana, le autorita’ cinesi non si fermano davanti a nulla pur di tormentare i miei figli in prigione”, ha affermato Rebiya Kadeer in una dichiarazione diffusa oggi. ”Abbiamo visto in altri casi, come quello di Chen Guangcheng (il dissidente cieco che dieci giorni fa e’ riuscito a lasciare la Cina dopo un’ avventurosa fuga dagli arresti domiciliari), che i funzionari cinesi provano una perversa soddisfazione nel perseguitare le famiglie di coloro che parlano in difesa della verita’ e della giustizia”, ha aggiunto la dissidente. Il Xinjiang e’ l’ area di origine della minoranza etnica degli uighuri, in maggioranza musulmani, che oggi sono circa il 40% dei 20 milioni di abitanti della Regione Autonoma, nel nordovest della Cina.

fonte: ANSA

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Pechino chiede a Tokyo di bloccare riunione Uighuri

La Cina ha chiesto al Giappone di non consentire una riunione a Tokyo del Congresso mondiale degli uighuri, un’ organizzazione di esuli dalla provincia cinese del Xinjiang che Pechino accusa di secessionismo, in calendario a maggio. Lo ha affermato oggi il portavoce del ministero degli esteri cinese Liu Weimin, secondo il quale l’ organizzazione “é dedita ad attività dannose per la sovranità e l’ integrità territoriale della Cina”. Gli uighuri, turcofoni e musulmani, sono gli abitanti originari del Xinjiang, nel nordovest della Cina, e oggi sono il 40% degli abitanti della provincia, dove la maggioranza è composta da immigrati cinesi. Gli esuli uighiri accusano Pechino di praticare una politica repressiva e sostengono di essere cittadini di serie “b”, rispetto ai cinesi dell’etnia maggioritaria degli han. Rappresentanti dell’ organizzazione hanno precisato che alla riunione prenderanno parte un centinaio di delegati uighuri e alcuni uomini politici giapponesi, dei quali non hanno fatto i nomi.

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Canto come forma di protesta tra giovani a Canton

Cantano per le strade di Guangzhou, la ex Canton, ma non per esibire il loro talento o per divertirsi. Diciotto studenti universitari muniti di iPhone e megafoni, lo fanno per diffondere le lamentele della gente. Non è un caso isolato: e’ stato proprio il canto a causare l’arresto di un popolare cantante tibetano, Ugyen Tenzin, accusato di inneggiare alla liberta’ e alla causa tibetana. I diciotto studenti universitari di Guangzhou hanno detto alla stampa locale che la loro non e’ una protesta vera e propria: vogliono soltanto sollevare l’attenzione generale su tematiche importanti, ispirata da internet e dai giornali. Il loro ”Complaints Choir”, coro delle lamentele, e’ nato dopo un incontro quasi casuale. I ragazzi frequentavano tutti una classe di sviluppo della societa’ e della cittadinanza della Sun Yat-Sen University (Sysu) e avevano partecipato ad una discussione sulla societa’ cinese contemporanea. Dopo aver visto un video di una performance di strada di un coro simile di Hong Kong, a sua volta ispirato a esperienze simili di gruppi di Birmingham e di Helsinki, i ragazzi hanno deciso di provarci anche loro fondando la versione del ”Complaints Choir” di Guanzhou. ”Quello che vogliamo con le nostre canzoni – ha detto Zhu, il direttore del coro – e’ dare voce a quella gente che non sa come esprimersi o come farsi ascoltare. Puo’ essere un canale per alleviare i conflitti sociali nella societa’ di oggi”. Tra le loro performance ce n’è anche una ispirata a Wukan, la cittadina di pescatori saltata agli onori delle cronache per le numerose manifestazioni contro l’alienazione forzata delle terre che ha portato alla libera elezione dei rappresentanti locali. Per ora i giovani 18 cantori proseguono nel loro progetto, non senza qualche difficolta’. La loro iniziativa non piace alle autorita’ cinesi che hanno deciso di cancellare la loro seconda sessione canora in calendario il 3 marzo, a causa della concomitanza con le due sessioni parlamentari a Pechino. C’e’ chi si chiede se dureranno o se faranno la fine del cantante tibetano, Ugyen Tenzin, condannato a due anni di carcere. La pubblicazione di un album con canzoni che contengono versi dedicati al Dalai Lama e al premier del governo tibetano in esilio in India, Lobsang Sangay, e’ stata decisiva. La polizia non solo lo ha arrestato (e ora non si sa dove si trovi nè quali siano le sue condizioni, come spesso accade in questi casi) ma le autorita’ stanno cercando anche l’autore dei testi delle sue canzoni. Per questo i genitori dei 18 studenti sono non a caso preoccupati di quello che potrebbe succedere, e alcuni hanno chiesto ai propri figli il perche’ di questa scelta. ”Noi siamo fondamentalmente ottimisti – ha risposto Wang, uno degli studenti del coro – le nostre lamentele sulla societa’ sono la testimonianza del nostro amore per la nostra citta’ ”.

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Diffusi i nomi di sei “terroristi” uighuri

La polizia cinese ha pubblicato oggi una lista di sei terroristi musulmani i cui capitali e beni sono stati congelati e posti sotto sequestro. Secondo il Ministero della Pubblica Sicurezza cinese, i sei sarebbero tutti membri chiave del gruppo terroristico ‘Movimento islamico del Turkestan orientale’ e avrebbero ”organizzato, pianificato e realizzato atti terroristici contro obiettivi cinesi in Cina e all’estero”. Secondo un portavoce del ministero, il gruppo rappresenterebbe per la Cina “la piu’ diretta e concreta minaccia alla sicurezza interna” ed e’ percio’ auspicabile che “i governi stranieri collaborino con le autorita’ di Pechino per catturare i sei e consegnarli alla giustizia cinese”. Tutti i sei elementi del gruppo sono di etnia uighura, minoranza etnica di religione islamica stabilita in prevalenza nella provincia nord-occidentale del Xinjiang, dove gia’ nel luglio del 2011 si erano registrati alcuni gravi episodi di violenza. La regione, confinante con il Pakistan, e’ sotto lo stretto controllo dell’esercito di Pechino dal 2009, anno in cui si verificarono violenti scontri tra uighuri e immigrati cinesi.

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Dopo un giorno spente le telecamere di Ai Weiwei

Solo 24 ore per Ai Weiwei e le sue web-cam. Poco dopo le 12:00 italiane, infatti, l’artista dissidente ha annunciato via Twitter che le quattro telecamere che aveva piazzato ieri a casa sua, sono state spente. Ai Weiwei non ha spiegato il motivo dello spegnimento, scrivendo solo “quattro minuti fa le telecamere sono state spente. Bye bye a tutti i guardoni”. Ieri Ai Weiwei aveva piazzato le quattro web-cam collegate ad internet nella sua casa alla periferia di Pechino, in polemica verso la stretta sorveglianza alla quale lo sottopongono le autorità. Chiunque ora tenti di collegarsi al sito weiweicam.com anziché vedere quattro immagini della casa dell’artista, trova una pagina bianca. “Nella mia vita – aveva affermato ieri l’artista spiegando il senso della sua sfida – c’é tanta di quella sorveglianza, tanti di quei controlli. il nostro ufficio è stato perquisito, vengo seguito tutti i giorni, e ci sono telecamere davanti alla mia casa. Quindi ho pensato, perché non mettere qualche altra telecamera, così la gente potrà vedere tutto quello che faccio? Spero che dall’altra parte (vale a dire le autorità) si riesca a mostrare altrettanta trasparenza”.

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Nuova sfida di Ai Weiwei, quattro webcam a casa per autocontrollo

Quattro web-cam collegate ad internet nella sua casa alla periferia di Pechino. E’ l’ultima sfida al regime lanciata dall’artista dissidente cinese Ai Weiwei, in polemica verso la stretta sorveglianza alla quale lo sottopongono le autorita’. Basta collegarsi a weiweicam.com e si segue quello che sucedeo in casa dellartista, come nel grande fratello. ”Nella mia vita – ha affermato l’artista spiegando il senso della sua sfida – c’e’ tanta di quella sorveglianza, tanti di quei controlli… il nostro ufficio e’ stato perquisito, vengo seguito tutti i giorni, e ci sono telecamere davanti alla mia casa. Quindi ho pensato, perche’ non mettere qualche altra telecamera, cosi’ la gente potra’ vedere tutto quello che faccio? Spero che dall’altra parte (vale a dire le autorita’) si riesca a mostrare altrettanta trasparenza…”. L’interminabile duello tra Ai Weiwei e il governo cinese ha avuto il suo punto di non ritorno l’anno scorso, quando l’artista e’ stato bloccato all’aeroporto di Pechino mentre stava per partire per Hong Kong e in seguito detenuto per 81 giorni segretamente, senza cioe’ che la sua famiglia e i suoi avvocati ne fossero informati. Dopo la sua liberazione, in giugno, non gli e’ stata mossa nessuna accusa formale ma la sua societa’ – la Fake Cultural Developments, che e’ presieduta dalla moglie – e’ stata accusata di una massiccia evasione fiscale. La scorsa settimana, il ministero delle Finanze cinese ha respinto il ricorso dell’artista e ha confermato che la societa’ dovra’ pagare una multa di 1,7 milioni di euro. Oltre la meta’ della somma e’ gia’ stata depositata da Ai Weiwei perche’ senza il deposito non avrebbe potuto presentare il ricorso. L’artista ha raccolto il denaro necessario con una sottoscrizione lanciata attraverso Internet alla quale hanno aderito oltre 30 mila persone. L’arresto di Ai Weiwei, nella primavera del 2011, ha coinciso con una stretta del regime verso i dissidenti, scatenata nel timore che in Cina si sviluppasse un movimento popolare di contestazione sul modello di quelli che si sono verificati in alcuni Paesi arabi. Ai Weiwei, 54 anni, e’ forse l’artista cinese piu’ popolare, in Cina e nel mondo. Le sue opere vengono esposte dalle principali gallerie internazionali e il suo blog su Twitter – che in Cina e’ bloccato ma e’ accessibile attraverso i software chiamati Vpn – e’ seguito da piu’ di centomila persone. Sempre esplicito nelle sue critiche al regime autoritario di Pechino, l’artista ha lanciato nel 2008 una battaglia civile a sostegno delle vittime del terremoto del Sichuan, che causo’ la morte di 90mila persone, tra cui circa seimila studenti. Alcuni dei genitori delle vittime hanno accusato i costruttori edili ed i loro protettori nel governo di aver costruito le scuole con materiale di scarsa qualita’ e senza rispettare le norme di sicurezza. Per tutta risposta il governo del Sichuan ha messo sotto processo alcuni degli attivisti che hanno aiutato le famiglie degli studenti e uno di loro, Tan Zuoren, e’ stato condannato nel 2010 a cinque anni di prigione per ”istigazione alla sovversione”.

fonte: ANSA

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Stretta su internet in Cina dopo diffusione voci golpe

Stretta su internet in Cina, in due diverse operazioni: una di carattere politico, per reprimere voci e commenti su un presunto colpo di stato dei giorni scorsi, l’altra contro la criminalita’ comune sul web. Le autorita’ annunciano di aver arrestato sei persone, chiuso 16 siti e vietato commenti per quattro giorni su blog e microblog. E affermano inoltre d’aver arrestato, dal 14 febbraio, 1.065 persone, di aver cancellato oltre 200.000 messaggi legati a crimini su internet, come i commerci illegali di armi, droga, sostanze tossiche, organi umani o informazioni personali, la contraffazione di certificati o documenti. Per quanto riguarda la prima, la polizia di Pechino, di concerto con lo State Internet Information Office (Siio), ha agito per bloccare ”voci online”, in particolare quella di un presunto colpo di stato, che ha impresso un vero boom di commenti, soprattutto fra i giovani. Secondo un portavoce del Siio, le voci diffuse hanno avuto una ”cattiva influenza sul pubblico”. La polizia ha inoltre ”ammonito ed educato” coloro che hanno dimostrato intenzione di diffondere quelle notizie. Nel mirino delle autorita’ il servizio weibo (microblogging, simile a Twitter) di Sina e di Tencent (che gestisce anche qq, il piu’ diffuso servizio di messaggistica in Cina), scatenando numerose proteste online. Le autorita’ consentono di postare articoli e messaggi sulle due piattaforme. Ma se si tenta un commento si riceve un messaggio in cui si spiega che non sara’ possibile fino al 3 aprile, quando ”sara’ conclusa l’operazione di pulizia” dei blog da ”informazioni illegali e dannose”. Anche il quotidiano ufficiale del Partito comunista (Pcc), il People’s Daily, ha appoggiato l’iniziativa: ”Chiunque creai e diffonda voci sara’ punito”, dice un editoriale, secondo cui tutti gli operatori internet in Cina devono obbedire a leggi e regolamenti, evitando di spacciare per ”verita’ notizie false che possono minare la morale pubblica”e la ”stabilità sociale”. La notizia ”falsa” riguarda un presunto colpo di stato tentato la settimana scorsa a Pechino dopo la riunione dell’assemblea del popolo e l’epurazione di Bo Xilai, il potente capo del partito di Chongqing. E il caso Bo Xilai resta sotto i riflettori, dopo che Londra ha chiesto lumi sulla morte di Neil Heywood, l’uomo d’affari britannico deceduto lo scorso novembre in un hotel di Chongqing, stando alle autorita’ cinesi, per i postumi d’una pantagruelica bevuta. Heywood sarebbe rimasto in realta’ coinvolto in una resa dei conti ai massimi vertici nel partito comunista, sfociata nell’epurazione. Secondo le ultime informazioni, l’inglese avrebbe detto ad amici e parenti di temere per la sua vita dopo un litigio con la moglie d’un potente politico locale.

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Archiviato in Diritti incivili, Navigar m'è dolce in questo mare, Taci, il nemico ci ascolta

Condannato Ai Weiwei, confermata maximulta

Ai Weiwei, l’artista e dissidente cinese che l’anno scorso è stato detenuto per quasi tre mesi, dovrà pagare una multa di circa 1,7 milioni di euro per evasione fiscale. La multa è stata confermata oggi dalle autorità fiscali, che hanno respinto il ricorso dell’ artista. “Le cose in Cina funzionano così, perché è un Paese con un governo a partito unico”, ha dichiarato lo stesso Ai Weiwei, raggiunto telefonicamente dall’ANSA. “Avevamo chiesto una revisione amministrativa per dar loro modo di correggere l’errore che avevano commesso, ma non l’hanno fatto. Il Partito, l’amministrazione, la polizia, sono un’unica cosa. E’ un sistema che non sa correggere i propri errori”. “Ora non ci rimane che chiedere l’intervento della magistratura, cosa che faremo nei 15 giorni che ci sono concessi dalla legge”, ha aggiunto. L’artista ha raccontato di aver ricevuto ieri una comunicazione secondo la quale il suo ricorso sarebbe stato esaminato solo in forma “scritta”, cioé senza un dibattimento pubblico tra le parti in causa. Oggi, gli è stata comunicata la sentenza di conferma della multa. L’anno scorso, Ai Weiwei è stato detenuto per 81 giorni segretamente dalla polizia, che non ha mai comunicato l’arresto alla famiglia e che lo ha rilasciato senza muovergli alcuna accusa formale. Pochi giorni dopo la sua liberazione, nel giugno scorso, l’accusa di evasione fiscale è stata mossa contro la società Beijing Fake Cultural Developments, la cui rappresentante legale è la moglie dell’ artista. Per presentare il ricorso amministrativo – quello che è stato respinto oggi – Ai Weiwei ha dovuto depositare 9 milioni di yuan (circa un milione di euro), che ha raccolto con una sottoscrizione lanciata su Internet alla quale hanno preso parte oltre 30mila persone. Ai Weiwei, 54 anni, è forse l’artista cinese più popolare, in Cina e nel mondo. Le sue opere vengono esposte dalle principali gallerie internazionali e il suo blog su Twitter – che in Cina è bloccato ma è accessibile attraverso i software chiamati Vpn – è seguito da più di centomila persone. Sempre esplicito nelle sue critiche al regime autoritario di Pechino, l’ artista ha superato il punto di non ritorno con la sua battaglia a favore delle vittime del terremoto del Sichuan del 2008, che causò la morte di 90mila persone tra cui circa seimila studenti. Alcuni dei genitori delle vittime hanno accusato i costruttori edili ed i loro protettori nel governo di aver costruito le scuole con materiale scadente e senza rispettare le norme di sicurezza. Insieme ad altri attivisti per i diritti umani, Ai Weiwei ha raccolto centinaia di testimonianze di denuncia dei costruttori. Le accuse sono state sempre respinte dal governo del Sichuan, che ha messo sotto processo alcuni degli attivisti che hanno aiutato le famiglie delle vittime ad organizzare le proteste. Uno di loro, Tan Zuoren, è stato condannato nel 2010 a cinque anni di prigione per “istigazione alla sovversione”.

fonte: ANSA

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