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Smentito stop censura web in zona libero scambio di Shanghai

Le autorità cinesi hanno smentito il via libera all’accesso, nell’area di libero scambio di Shanghai, ai siti bloccati dalla censura, come Facebook, Youtube, Twitter e il sito del New York Times. Qualche giorno fa un giornale di Hong Kong aveva diffuso la notizia che le autorità cinesi avrebbero permesso la libera navigazione sui siti bloccati in tutta la Cina, nella nuova Shanghai Free Trade Zone che aprirà il prossimo 29 settembre. Questo, secondo il giornale dell’ex colonia britannica, per permettere ai numerosi imprenditori e investitori cinesi che dovrebbero affollare l’area di quasi 30 chilometri quadrati, di sentirsi come a casa propria. Ma oggi, la smentita delle autorità è arrivata dalle colonne del portale dell’agenzia Nuova Cina.

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Internet senza censura in zona libero scambio di Shanghai

Navigazione su internet senza censura nella Free Trade Zone che il governo centrale e quello di Shanghai stanno per realizzare in una zona della capitale economica cinese. E’ quello che scrive oggi il South China Morning Post, secondo il quale nella nuova zona creata per favorire economia e scambi con l’estero, si potrà navigare senza problemi sui siti normalmente censurati in Cina come Facebook, Youtube e Twitter. Non c’è niente di ufficiale, ma secondo il quotidiano di Hong Kong, la decisione sarebbe nata per due ragioni: da un lato quella di favorire l’ingresso nella area di libero scambio anche di operatori stranieri di telecomunicazioni e la seconda per agevolare la vita e il lavoro dei molti stranieri che si spera affollino la zona. Non ci sono per ora molti dettagli sull’iniziativa. Si sa solo che l’area dovrebbe essere inaugurata il prossimo 29 settembre (anche se non si esclude un rinvio). E’ un progetto fortemente voluto dal premier Li Keqiang e dovrebbe fare concorrenza a Hong Kong. La Free Trade Zone di Pudong, l’area nuova di Shanghai con i grattacieli dove sorge anche il maggiore aeroporto (e dove sorgerà nel 2015 una Disneyland), dovrebbe diventare banco di prova anche per lo Yuan, per gli investimenti stranieri, per liberalizzare il sistema cinese.

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Rilasciato studente di 16 anni, arrestato per un tweet

E’ considerata una piccola ma importante vittoria dagli attivisti cinesi il rilascio, avvenuto ieri mattina, di Yang Hui, un ragazzo di 16 anni che era stato arrestato la scorsa settimana nella provincia nord occidentale del Gansu, con l’accusa di aver “creato problemi”. Ma per la stampa di partito, “dipingere il ragazzo come un eroe per sfogare il malcontento contro severe normative è irresponsabile”, come scrive oggi il Global Times. Il giovane era stato arrestato dopo aver pubblicato online un post in cui sollevava dubbi circa l’operato della polizia locale che indagava sulla morte del proprietario di un locale notturno. Il post era stato ritwittato centinaia di volte, cosa che lo ha assoggettato alla nuova legge secondo la quale oltre i 500 retweet di un post “sgradevole” aprono le porte del carcere fino a tre anni. La foto del ragazzo libero, con le dita a “V” in segno di vittoria e con addosso una maglietta con la scritta ”Make the change” (sii artefice del cambiamento), sta facendo il giro della rete. Dopo il suo arresto due attivisti e avvocati, You Feizhu e Wang Shihua, si erano recati nel Gansu per perorare la sua liberazione con le autorità. Altri 40 avvocati hanno firmato una petizione in suo favore e alla fine la polizia ha ceduto, liberando il ragazzo. ”Se gli internauti cinesi si uniscono, chi li può fermare?” ha scritto online Zhou Ze un noto avvocato e attivista di Pechino. Ma non tutti sono così entusiasti e ottimisti. Nonostante le tante campagne, sono ancora centinaia gli attivisti e dissidenti in carcere o agli arresti domiciliari e il caso di Yang è visto da molti solo come una goccia nel mare. Un articolo del Global Times, organo del Partito Comunista, sottolinea come il giovane sia stato rimesso in libertà solo per la sua giovane età, non come riconoscimento di un errore.

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Sedicenne arrestato per post ritwittato su internet

Uno studente di 16 anni della provincia del Gansu e’ stato arrestato dalla polizia per aver pubblicato sul suo microblog un commento, che poi e’ stato ripreso 500 volte da altri utenti, in cui criticava la condotta delle autorita’ locali a seguito della morte di un uomo. Lo riferisce il South China Morning Post. Secondo le accuse, il ragazzo avrebbe falsamente accusato i poliziotti di aver aggredito i familiari di un uomo trovato morto per strada la settimana scorsa nella contea di Zhangjiachuan. Yang, questo il nome dello studente, ha scritto anche in uno dei suoi commenti che il vice capo del tribunale di Zhangjiachuan e’ proprietario di un karaoke che si trova proprio vicino a dove e’ stato rinvenuto il cadavere, circostanza che invece e’ stata totalmente smentita dal portavoce della polizia locale. Dopo l’arresto del giovane, tutti i commenti sul microblog sono stati eliminati. Solo pochi giorni fa la suprema corte cinese ha emesso un documento nel quale si afferma che la diffusione di notizie false su internet e’ da considerarsi un reato penale in Cina. La Corte ha aggiunto che, quando un post che diffonde notizie non vere viene commentato o inoltrato piu’ di 500 volte, il suo autore rischia il carcere fino a tre anni.

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Nuove regole censura online, scoppia polemica in rete

Non si placano le polemiche in rete il giorno dopo la pubblicazione, da parte delle autorità cinesi, delle nuove linee guida sul controllo delle informazioni online. Ad essere criticate, soprattutto le misure coercitive, che portano anche fino all’arresto per tre anni se un tweet o un messaggio ritenuto diffamatorio, viene inoltrato in rete per almeno 500 volte o visto da più di 500 persone. “Così una persona – ha scritto un utente in un commento ripreso anche dalla stampa di Hong Kong – non viene punito per quello che fa ma per quello che altri fanno con il suo post. Benvenuti nel medioevo”. L’accusa, per chi ha scritto il messaggio, è diffamazione secondo la nuova interpretazione giuridica, che ritiene attività criminali quelli che le autorità chiamano “irresponsabili voci online” e che debbano essere considerati casi gravi. Nel documento, ad essere presi in considerazione, anche i messaggi che hanno a che fare con false informazioni che portino a proteste, anche religiose o etniche, che abbiano anche effetti internazionali. In più post di commento, si lamenta che la libertà di espressione con questo regolamento viene ancora di più intaccata, con una serie di maggiori controlli in quei pochi canali dove ancora si riusciva a far circolare le idee diverse da quelle ufficiali.

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Si a Facebook e Twitter in Cina, ma solo da hotel di lusso

Piccoli segnali di apertura in Cina: le autorità hanno deciso di allentare i controlli sull’uso di Facebook, Twitter e altri social network normalmente inaccessibili. Secondo quanto riferiscono alcune fonti locali, solo in alcuni posti frequentati perlopiù dagli stranieri, come alcuni alberghi a cinque stelle, è ora possibile accedere a questi siti un tempo bloccati dalla censura. Un turista ha riferito al South China Morning Post di aver potuto accedere senza problemi con il suo computer portatile sia a Facebook che a Twitter stando seduto nella hall del St Regis Hotel di Pechino, un lussuoso 5 stelle della capitale. “Ma non è solo al St Regis – ha aggiunto il turista – alcuni amici che risiedono in altri hotel mi hanno riferito la stessa cosa”. Stessa cosa pare sia stata notata in alcuni noti alberghi di Shanghai e persino in un resort di una città della provincia meridionale del Guangdong, Dongguan, frequentata in prevalenza da uomini di affari. Siti come Facebook, Twitter ma anche Youtube sono bloccati in Cina dalla censura che teme possano rappresentare un pericoloso veicolo di informazioni. Molte persone, tuttavia, specie gli stranieri, aggirano il divieto usando delle vpn (virtual private network), ovvero dei software che creando un collegamento con un indirizzo virtuale fuori dalla Cina consentono di bypassare la censura.

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In Cina la rete internet tra l epiù lente e costose al mondo

La Cina è il paese con più utenti di internet al mondo, ma questo è proprio uno dei casi in cui quantità non significa qualità. Secondo una ricerca resa nota dalla stampa locale, la Cina è infatti uno dei Paesi che ha una bassa velocità di navigazione, classificandosi 98/ma su 200 Paesi analizzati. Nel secondo trimestre del 2013 la velocità media di connessione in Cina si è attestata su 1,5 megabytes al secondo, laddove la media mondiale è di 2,6 e molti Paesi dell’area asiatica sono ben al di sopra. Basti pensare che la Corea del sud naviga ad una velocità media di 15.7 megabytes al secondo, il Giappone di 10.9 e Hong Kong di 9.3 al secondo. Internet in Cina dunque lento, ma anche molto costoso. In paesi come gli Stati Uniti e la stessa Hong Kong navigare costa molto meno oltre ad essere molto più veloce. Piccola consolazione, c’è chi sta peggio. In fondo alla classifica, dopo la Cina, paesi come la Libia, il Kazakhistan e l’Iran.

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Forse via censura su internet durante giochi asiatici giovanili di Nanchino

Le autorità cittadine di Nanchino, nella parte orientale della Cina, sono pronte ad aprire una breccia nella Grande Muraglia di Fuoco, la censura cinese che blocca in Cina siti come Facebook, Twitter e Youtube, durante i prossimi giochi asiatici giovanili. Secondo la stampa di Hong Kong, le autorità locali avrebbero già avanzato una proposta del genere agli organi competenti per assicurare agli oltre 2000 atleti di tutto il mondo che ad agosto prenderanno parte all’evento, di potersi collegare ad internet senza problemi. In Cina, infatti, senza programmi che permettono di aggirare la censura, è impossibile collegarsi a diversi siti, comprese le piattaforme che ospitano blog come WordPress, oltre ai social network. Iniziative del genere sono state già state avviate altrove. In alcuni alberghi internazionali cinesi è possibile collegarsi ad internet e raggiungere tutti i siti, compresi quelli normalmente vietati, grazie a programmi per aggirare la censura, le cosiddette Vpn. I giochi asiatici giovanili si terranno a Nanchino, capoluogo del Jiangsu, dal 16 al 24 agosto, ospitando atleti da 45 paesi, di età compresa tra i 13 e i 17 anni, che concorreranno in 15 sport e 118 eventi.

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Negato accesso ai microblog cinesi all’ex capo di Google Cina

Niente accesso per tre giorni ai microblog cinesi per l’ex presidente di Google Cina, Kai-Fu Lee. Secondo quanto riferisce il South China Morning Post, Lee ha comunicato sul suo profilo Twitter che gli è stato temporaneamente vietato pubblicare articoli su due delle piattaforme più popolari del paese. Senza precisare i motivi del divieto, l’ex presidente di Google Cina domenica scorsa ha postato un messaggio su Twitter dicendo “sono stato zittito su Sina e Tencent per tre giorni così mi potete ora trovare qui”. Alcuni utenti di internet si sono chiesti se la censura contro Lee sia in qualche modo collegata ad alcune sue recenti dichiarazioni sull’ amministratore delegato di un motore di ricerca statale, l’ex campione olimpico di tennis da tavolo Deng Yanping. Il motore di ricerca, Jike, è un sussidiario del quotidiano Peoplés Daily, il principale organo del partito. In una serie di post on line, alcuni giorni fa, Kai-Fu Lee aveva criticato l’attività di Deng e soprattutto il fatto che il capo di un motore di ricerca fosse nominato dal partito.

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Google cede a Pechino, rimosso filtro anti-censura. Dietro ci sarebbe accordo con società cinese Qihoo 360

Google cede ai censori di Pechino. Potrebbero esserci motivi economici dietro la decisione del gigante di Mountain View di fermare in Cina lo strumento che informava coloro che usavano il motore di ricerca americano che la parola cercata poteva essere tra quelle sensibili per il governo cinese, e quindi censurata. In una mossa che molti osservatori cinesi della rete hanno definito di “autocensura”, Google dopo solo sei mesi dall’inizio del nuovo servizio ha deciso di sospenderlo. Mentre nei casi precedenti di ‘guerra’ fra il censore cinese e l’azienda californiana l’intervento di Pechino aveva bloccato le attività del motore di ricerca, questa volta i tecnici americani avevano trovato la soluzione: inserire all’interno della sorgente stessa del motore l’applicazione che avvertiva della sensibilità delle parole ricercate. In questo modo, per bloccarla, si sarebbe dovuto bloccare il sito intero. Come in effetti è successo a novembre, quando per oltre 24 ore i servizi Google (compresa la posta di Gmail) in Cina non sono stati raggiungibili. Ecco perché per gli osservatori cinesi della rete, la decisione di Google è auto censoria. Al momento non c’é nessuna motivazione data dagli uffici di Google, ma si guarda al versante economico. In Cina, proprio a causa della guerra di censura con il governo, Google, a differenza degli altri Paesi, non solo non ha la maggioranza del mercato, ma è relegato a numeri ad una cifra. Pochi giorni fa (guarda caso proprio quando è stata rimossa, nel silenzio generale, l’applicazione con l’avviso) si sono cominciate a diffondere notizie di un possibile accordo fra Google e Qihoo 360 Technology, società informatica cinese che oltre ad occuparsi di software per sicurezza gestisce anche l’omonimo motore di ricerca, ma soprattutto il più usato browser cinese. L’idea sarebbe quella di unire le forze per rosicchiare qualcosa al 74% di quota di mercato di Baidu, il motore di ricerca cinese più usato nel paese di mezzo. A seguito di queste voci, diverse società di consulenza finanziaria hanno rivisto al rialzo (da 62 a 90 milioni di dollari) le stime dei ricavi della Qihoo per il 2013. Qihoo e Google già collaboravano fino a quando la società cinese non ha usato il proprio motore di ricerca nel suo browser. Quella di Google e della Cina è la storia di un lungo braccio di ferro. Sin da quando nel 2006 Google ha lanciato la sua versione cinese, si è scontrata con le decisioni della censura cinese che, utilizzando la ‘Grande Muraglia di Fuoco’ (Great FireWall, giocando sulle parole firewall e la grande muraglia), impone alle società internet con server in Cina di obbedire alle proprie leggi in termini di blocco di parole e temi sensibili come Tibet, Dalai Lama, Falun Gong o anche ricerche sui leader del partito in carica o su quelli caduti in disgrazia o su temi caldi in particolari momenti. Google si è sempre rifiutata, diventando baluardo della libertà per i cinesi, decidendo, nel 2010, di spostare i server ad Hong Kong, dove queste restrizioni non esistono. Ma la cosa ha ancor di più esacerbato gli animi e le difficoltà imposte dal governo cinese a Google e alla sua galassia (le mappe, Gmail, Youtube solo per citarne alcuni). Di qui la decisione di mettere a giugno il tool per l’avviso, rimosso poco fa. E le polemiche su Google non si fermano qui. Fa discutere infatti anche la missione “umanitaria” in Corea del Nord di una delegazione Usa, composta tra gli altri dall’ex governatore del Nuovo Messico Bill Richardson e proprio dal presidente di Google Eric Schmidt. La visita, contestata dall’amministrazione Obama per la tempistica, cade dopo il lancio del razzo/missile effettuato a dicembre dalla Corea del Nord per mandare in orbita un satellite di osservazione terrestre, ritenuto essere dall’Occidente invece il test di un vettore a lunga gittata, capace di raggiungere anche le coste Usa con tanto di testata nucleare.

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