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La Cina dichiara guerra alle Vpn

La Cina ha lanciato una campagna di 14 mesi per bloccare tutte le connessioni internet non autorizzate, a cominciare dalla Vpn (virtual private network). Questi sono servizi a pagamento o gratuiti che permettono di collegarsi dalla Cina (o paesi che applicano restrizioni) a siti non permessi come, nel caso cinese, Facebook, Twitter, Youtube, etc. Altre volte le VPN vengono utilizzate per nascondere il luogo dal quale si collega: il servizio funziona infatti come una triangolazione, per cui l’utente che si collega ad esempio da Pechino, lo fa utilizzando invece un indirizzo di Hong Kong, Amsterdam, San Francisco o altre città “libere”, risultando così che si sta collegando da lì, aggirando le restrizioni. Davvero una bella spallata alla vita in Cina e un serio problema per chi, anche per lavoro, dalla Cina deve navigare su siti considerati illegali. Alla faccia della globalizzazione. Ecco l’articolo del South China Morning Post.

Beijing has launched a 14-month nationwide campaign to crack down on unauthorised internet connections, including virtual private networks (VPN) services – a technology that allows users to bypass the country’s infamous Great Firewall.

A notice released by China’s Ministry of Industry and Information Technology on Sunday said that all special cable and VPN services on the mainland needed to obtain prior government approval – a move making most VPN service providers in the country of 730 million internet users illegal.

The “clean up” of the nation’s internet connections would start immediately and run until March 31, 2018, the notice said.

“China’s internet connection service market … has signs of disordered development that requires urgent regulation and governance,” the ministry said.

The crackdown on unregulated internet connections aimed to “strengthen cyberspace information security management”, it said.

China blocked access to 135 out of 1,000 sites in one ranking of the world’s top websites, including Google, Facebook, Twitter and YouTube, according to Greatfire.org, an organisation that monitors mainland online censorship.

As a result, many internet users in China rely on VPN services to access blocked sites and services.

However, a cat-and-mouse game has been going on for years between the Chinese authorities and VPN service providers.

The last major crackdown on VPN was in March 2016 during the National People’s Congress meeting in Beijing. Many companies complained that their paid-for VPN services were not functioning for up to a week.

Beijing’s censorship of online information and its control of internet access would be particularly vigilant in 2017 for the once-in-a-decade power reshuffle party congress, analysts said.

In addition to the information technology industry, which regulates the internet’s infrastructure, the Cyberspace Administration of China, a dedicated central internet censorship office, pledged loyalty to the Communist Party leadership headed by President Xi Jinping on January 5.

The officials issued a statement which declared one of their priorities in 2017 would be to cultivate an online environment that was “conducive to a successful 19th party congress”.

Two days ago, two websites run by a liberal Chinese think tank, along with other 15 websites, were shut down as censorship tightens ahead of the Communist Party’s meeting.

 

 

 

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Internet libero in Cina in occasione dei Mondiali di Atletica? La solita cazzata di Repubblica

Uno dei momenti nei quali prenderesti il tesserino (che non so neanche dove ho nascosto) e lo daresti alle fiamme in un rito di liberazione. Dopotutto, non è questo l’ordine che difende chi ha diritti acquisiti e maltratta i precari? Non è questo l’ordine a cui appartenevano i commissari i quali, quando feci l’esame, mi dissero che il mio elaborato era troppo giornalistico e non lo accettarono? Forse ero l’unico a credere di stare sostenendo un esame di abilitazione giornalistica, mentre invece facevo il concorso per operatore ecologico.

Detto questo, veniamo ai fatti. Sono sobbalzato dalla sedia leggendo l’ennesima cazzata di Repubblica. Io sono qui dal 31 luglio lavorando proprio per i mondiali. 23 giorni nei quali ho rimpianto ogni giorno di aver accettato, avendo a che fare con Partito e Polizia di Pechino. 23 giorni nei quali mi sono ricordato il perchè, quando sono salito sull’aereo lasciando Shanghai dopo 5 anni, avevo detto: “Mai più Cina”. 23 giorni di cielo grigio e inquinamento (di questo parlerò dopo). Nei miei viaggi preparatori avevo firmato un contratto con i cinesi nei quali mi garantivo il libero accesso a internet. Macché, manco a parlarne. Fino al 20, di internet cosiddetto libero (senza censura da parte di nessuno) neanche l’ombra. Due giorni fa la sorpresa: internet funziona senza censura, si possono navigare siti prima vietati (Facebook, Twitter, Google, Youtube) liberamente, senza vpn. Ma, a differenza di quello che dice Repubblica, la cosa è possibile solo negli alberghi che ospitano gli atleti. Quindi, niente internet libero in Cina. Basta uscire dagli alberghi per scoprirlo. Non è difficile.

Eppure, dovrebbe avere Repubblica un corrispondente qui e sicuramente ha degli inviati che seguono i mondiali. Non potevano fare una prova dal loro ufficio o al di fuori degli alberghi per verificare la cosa? Non è che ci volesse molto.

In verità poi non è del tutto libero. Per accedere è necessario inserire l’id, il numero univoco che compare sul badge, come username. Quindi, si riesce a risalire a chi ha visto cosa. Non solo: accreditati sono ovviamente non solo gli stranieri, ma moltissimi cinesi che a vario titolo lavorano o sono volontari. Gli id di questi, non funzionano, ciò significa che non possono collegarsi ad internet “libero”. Io sono sicuro che nessun elenco è stato dato. Allora significa che i cinesi l’hanno preso e hanno diviso i buoni dai cattivi.

Se per Repubblica questa è libertà, non so che pensare.

Scrivevo del cielo grigio. Bene, nei miei cinque anni di Shanghai il cielo azzurro l’avrò visto meno di 5 volte. Da quando sono a Pechino la stessa cosa. Abbiamo, forse, una nube tossica di cianuro a cento chilometri. Ma oggi, giorno della cerimonia inaugurale e della prima gara (maratona), il cielo è azzurro. I cannoni d’argento funzionano ancora, a quanto pare.

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Stretta sulle Vpn in Cina, impossibile sfuggire alla Grande Muraglia di fuoco

Impossibile in questi giorni in Cina riuscire a collegarsi ai siti censurati dalle autorità, utilizzando l’escamotage delle Vpn, i servizi che fingono collegamenti dall’estero per aggirare i controlli del grande fratello cinese. Le autorità di Pechino hanno infatti bloccato, in quella che è l’azione più grande in questo senso, quasi tutti i provider di virtual private network, largamente utilizzati non solo dagli stranieri ma anche da milioni di cinesi per raggiungere siti some Facebook, Youtoube, Twitter, Gmail. In questi giorni, le aziende fornitrici del servizio, stanno informando dell’impossibilità di fornire connessioni sicure soprattutto sui sistemi operativi mobili dell’Apple. Secondo forum online, la Grande Muraglia di Fuoco (Great Firewall), come viene chiamato il servizio di controllo internet cinese giocando sulle parole della grande muraglia e dei firewall, è stata migliorata e questo rende la vita impossibile ai gestori di vpn. Già prima era noto alle autorità di Pechino l’uso di questi servizi che, infatti, dovevano essere scaricati attraverso connessioni sicure. E la guerra cibernetica tra i gestori di Vpn e il Great Firewall era sempre stata vinta dai primi. Il blocco sta causando non pochi problemi anche a diverse aziende straniere con uffici in Cina, soprattutto a causa dell’impossibilità di utilizzare i servizi di posta Google.

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Stretta su internet in Cina dopo diffusione voci golpe

Stretta su internet in Cina, in due diverse operazioni: una di carattere politico, per reprimere voci e commenti su un presunto colpo di stato dei giorni scorsi, l’altra contro la criminalita’ comune sul web. Le autorita’ annunciano di aver arrestato sei persone, chiuso 16 siti e vietato commenti per quattro giorni su blog e microblog. E affermano inoltre d’aver arrestato, dal 14 febbraio, 1.065 persone, di aver cancellato oltre 200.000 messaggi legati a crimini su internet, come i commerci illegali di armi, droga, sostanze tossiche, organi umani o informazioni personali, la contraffazione di certificati o documenti. Per quanto riguarda la prima, la polizia di Pechino, di concerto con lo State Internet Information Office (Siio), ha agito per bloccare ”voci online”, in particolare quella di un presunto colpo di stato, che ha impresso un vero boom di commenti, soprattutto fra i giovani. Secondo un portavoce del Siio, le voci diffuse hanno avuto una ”cattiva influenza sul pubblico”. La polizia ha inoltre ”ammonito ed educato” coloro che hanno dimostrato intenzione di diffondere quelle notizie. Nel mirino delle autorita’ il servizio weibo (microblogging, simile a Twitter) di Sina e di Tencent (che gestisce anche qq, il piu’ diffuso servizio di messaggistica in Cina), scatenando numerose proteste online. Le autorita’ consentono di postare articoli e messaggi sulle due piattaforme. Ma se si tenta un commento si riceve un messaggio in cui si spiega che non sara’ possibile fino al 3 aprile, quando ”sara’ conclusa l’operazione di pulizia” dei blog da ”informazioni illegali e dannose”. Anche il quotidiano ufficiale del Partito comunista (Pcc), il People’s Daily, ha appoggiato l’iniziativa: ”Chiunque creai e diffonda voci sara’ punito”, dice un editoriale, secondo cui tutti gli operatori internet in Cina devono obbedire a leggi e regolamenti, evitando di spacciare per ”verita’ notizie false che possono minare la morale pubblica”e la ”stabilità sociale”. La notizia ”falsa” riguarda un presunto colpo di stato tentato la settimana scorsa a Pechino dopo la riunione dell’assemblea del popolo e l’epurazione di Bo Xilai, il potente capo del partito di Chongqing. E il caso Bo Xilai resta sotto i riflettori, dopo che Londra ha chiesto lumi sulla morte di Neil Heywood, l’uomo d’affari britannico deceduto lo scorso novembre in un hotel di Chongqing, stando alle autorita’ cinesi, per i postumi d’una pantagruelica bevuta. Heywood sarebbe rimasto in realta’ coinvolto in una resa dei conti ai massimi vertici nel partito comunista, sfociata nell’epurazione. Secondo le ultime informazioni, l’inglese avrebbe detto ad amici e parenti di temere per la sua vita dopo un litigio con la moglie d’un potente politico locale.

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Nuove regole per internet, Ai Weiwei tra le vittime

L’ artista cinese e dissidente Ai Weiwei è stato tra le vittime delle nuove regole imposte agli utenti dei “microblog” di Pechino, che sono entrate in vigore in questi giorni. Secondo le nuove regole tutti coloro che usano i microblog devono registrarsi col il loro vero nome e non, come era possibile fino al dicembre scorso, con degli pseudonimi. L’artista – che ancora è controllato dalla polizia dopo essere arrestato per tre mesi, l’anno scorso – ha affermato di essersi registrato con il numero della sua carta per l’assistenza sanitaria, un documento ufficiale che ne permette l’identificazione. Il suo “microblog” è però scomparso dopo due ore. I microblog, il sostituto locale di Twitter, che è bloccato dalla censura, sono usati da circa 300 milioni di cinesi e sono diventati negli ultimi anni il canale di espressione dell’opinione pubblica. Su Twitter, che è accessibile con i Vpn, i software che permettono di aggirare la censura, Ai Weiwei ha 131mila “seguaci”. Sina.com, il portale usato dalla grande maggioranza dei blogger, prevede che il 60% dei suoi utenti si uniformeranno alle nuove direttive. Le autorità cinesi affermano che le regole sono motivate dalla necessità di combattere la pornografia e le voci allarmistiche infondate che a volte sono state messe in circolazione sui microblog, chiamati “weibo” in cinese. Un caso recente di notizia falsa è il “rumor” secondo il quale Kim Jong-un, il nuovo leader nordcoreano, era stato assassinato durante un viaggio a Pechino.

fonte: ANSA

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Università e società le più colpite dalla censura internet cinese

Sono le universita’ e le societa’ straniere le piu’ colpite in questi giorni dalla censura cinese su internet. Lo rivela una inchiesta del quotidiano di Hong Kong South China Morning Post. Pur usando le Vpn, i software che servono per navigare in maniera anonima con indirizzi di altri paesi, riuscendo cosi’ a dare ai computer censori cinesi l’impressione di collegarsi dall’estero, sia gli studenti universitari che i dipendenti delle societa’ straniere non riescono a collegarsi ai siti vietati, come Facebook, Youtube o usare al meglio Gmail. Le societa’ usano spesso le Vpn per comunicare nei loro network privati, e anche queste possibilita’ sono rese difficili in questi giorni. Diversi studenti della Southern Medical University di Guangzhou, l’ex Canton, hanno denunciato sui forum l’impossibilita’ di connettersi. Diversi dipendenti della IBM hanno dichiarato di non poter accedere al sito dell’azienda e alla Vpn, cosi’ come i programmatori della Tencent e quelli della Shanda Interactive Entertainment, due dei maggiori giganti dell’internet cinese. Le societa’ che offrono servizi di Vpn stanno combattendo contro questo restringimento della censura, cambiando in continuazione i nomi e i luoghi dei server, ma fino ad ora la censura cinese riesce a tenere testa, soprattutto nelle universita’ e societa’. La concomitanza in questi giorni della ricorrenza dei 60 anni della ”pacifica liberazione del Tibet” e il 90mo anniversario del partito comunista cinese (a luglio), fa pensare che la censura si stia stringendo di piu’ per questi motivi, dopo che i cordoni erano gia’ stati tirati a febbraio durante la ‘rivolta dei gelsomini’. Lo scorso 4 maggio il governo ha annunciato una nuova autorita’ per la supervisione di internet, che controllera’ i contenuti della rete. E l’utilizzo delle Vpn si cerca di combatterlo anche dal punto di vista economico: gli operatori di telefonia cinesi, come la China Telecom, devono pagare una quota maggiore ai service provider stranieri per il traffico di dati, di fatto rendendo non conveniente l’uso delle Vpn.

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La Cisco aiuta il governo cinese nel controllo del Falun Gong

La Cisco System, società leader produttrice di pezzi e materiali per l’informatica, avrebbe personalizzato alcuni suoi articoli per agevolare il governo cinese nel controllare e censurare i membri dell’organizzazione di Falun Gong, i quali hanno presentato una denuncia contro la società. Lo riferisce il quotidiano di Taiwan, Taipei Times. Il documento è stato presentato giovedì scorso in un tribunale distrettuale della California da una fondazione che si occupa di tutela dei diritti umani in nome e per conto del movimento di Falung Gong. Secondo le accuse, la Cisco avrebbe aiutato il governo cinese preparando una specie di mega firewall che è utilizzato dal governo di Pechino per la censura su internet e per rintracciare gli oppositori. Nella denuncia vengono citati diversi dipendenti della Cisco, inclusi il presidente e il direttore esecutivo. La Cisco ha tuttavia fatto sapere in un suo comunicato che le accuse “non hanno alcun fondamento” e di volersi difendere con forza. Secondo la denuncia, diversi membri del movimento di Falun Gong proprio grazie al firewall creato dalla Cisco sarebbero stati individuati, catturati, arrestati e torturati. Uno di loro sarebbe stato addirittura picchiato a morte. Terri Marsh, un avvocato americano, ha riferito al giornale che sono stati forniti dall’organizzazione molti dettagli sul ruolo della Cisco nella vicenda, dettagli che saranno resi noti durante il processo. La denuncia è fatta sulla base dello Statuto delle offese agli stranieri, una legge federale che consente agli stranieri residenti di presentare denuncie in una corte americana invocando violazioni della legge internazionale. La denuncia è stata fatta sotto il nome di tre membri del movimento di Falun Gong, Ivy He, canadese, Liu Guifu, di New York e Charles Lee, un cittadino americano che fu arrestato in Cina nel 2003 3 rimase in carcere fino al 2006. La denuncia è stata poi fatta in nome di altri 8 non identificati cittadini cinesi tra cui coloro che sono stati torturati o uccisi o che risultano scomparsi. Il movimento di Falun Gong, nato nel 1992 in Cina come movimento spirituale, è cresciuto rapidamente negli anni, attirando migliaia di persone. Si ispira alla tradizione taoista e buddista. Il movimento non è stato mai ben visto dal governo cinese tanto che nel 1999 Pechino “vieto” l’organizzazione, definendola “eretica”.

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Lancio di uova e scarpe contro padre censura internet

Se vera, la notizia potrebbe dimostrare un ennesimo anelito al cambiamento da parte dei giovani cinesi. Il padre del ‘Grande Fratello’ cinese, la censura su internet del governo, Fang Binxing, sarebbe stato oggetto di lanci di uova e di una scarpa. La notizia è diventata il topic del giorno sui social network cinesi e su Twitter, luoghi dove non si parla d’altro. Tanto che il nome del presidente dell’Università di Posta e Telecomunicazioni di Pechino e ispiratore del ‘Great Firewall’, la ‘grande muraglia di fuoco’ (il sistema di censura che blocca le comunicazioni su Internet sgradite al governo cinese), è diventato, al pari di quelli del Dalai Lama, del Tibet e di dissidenti, impossibile da raggiungere su internet senza le Vpn, quei programmi e servizi che permettono un collegamento in Cina come se si fosse in altro paese straniero, così da permettere di aggirare la censura. Al momento non ci sono conferme ufficiali dell’incidente. Secondo le informazioni che circolano in rete, Fang Binxin stava tenendo una lezione all’università di Wuhan, nella provincia orientale dell’Hubei, quando verso di lui sono state lanciate uova e scarpe. Secondo quanto ha scritto lo stesso ‘lanciatore’ su Twitter, con lo pseudonimo di ‘hanunyi’, le uova non hanno colpito il professore così come la seconda scarpa lanciata. La prima, invece, avrebbe colpito l’uomo. Su internet si trovano sia foto del ragazzo (con volto camuffato) con le uova in mano, sia della porta dell’aula universitaria macchiata da uova. La polizia dell’ufficio di pubblica sicurezza di Luojiashan, nel cui distretto ricade l’università, ha confermato ad alcuni organi di informazione che agenti sono stati inviati nell’università per indagare su un caso di lancio di scarpe, senza fare riferimento a Fang Bixing che sarebbe anche tornato a Pechino. Hanunyi è diventato un eroe nella rete, al pari dei dissidenti e di coloro che si battono per il cambiamento della Cina. Lui, che scrive di essere scappato dall’aula dopo il lancio, si è anche dichiarato sorpreso, in una dichiarazione su Twitter, del seguito che sta avendo. Tra i ‘cinguettii’ si sprecano le lodi al ragazzo e si chiede di continuare. Si scherza (‘tutti a mangiare uova staserà) e si chiede di andare avanti, facendo lo stesso con altri. Se è la prima volta che si registra un attacco così diretto ad una icona del sistema cinese, non è la prima volta che Fang Binxing è oggetto di attacchi. Il professore lo scorso ottobre è stato costretto a chiudere il suo blog ad una settimana dall’apertura dopo aver ricevuto dagli internauti “un mare di critiche”. Migliaia di messaggi in poche ore, sul tenore “Fang Binxing, la grande muraglia di fuoco ha privato il popolo del suo diritto ad un libero accesso ad Internet”, hanno bloccato il sito obbligando il padre della censura cinese su internet a chiudere il suo blog. La Grande Muraglia di Fuoco, impedisce l’accesso ai principali siti di comunicazione sociale come Youtube, Facebook e Twitter. Inoltre, un sistema di parole chiave blocca le ricerche che potrebbero essere “pericolose”. Tra queste ci sono le parole “Dalai Lama”, “Tiananmen” e da qualche mese “premio Nobel”, “Liu Xiaobo” e ‘Ai Weiwei”. Per aggirarla, molti utilizzano sistemi che permettono di simulare la navigazione da paesi stranieri. Ma i tecnici governativi cinesi, che monitorano la rete, spesso individuano questi sistemi, innescando una guerra tecnologica con gli sviluppatori di questi programmi.

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Peggiorano le condizioni di lavoro in Cina per i giornalisti stranieri

Le condizioni di lavoro per i giornalisti in Cina sono peggiorate nell’ultimo anno, secondo i primi dati di un sondaggio realizzato dall’associazione dei corrispondenti esteri a Pechino (Foreign Correspondent Club, Fcc, associazione ritenuta illegale in Cina). Il 94% dei 108 giornalisti che hanno risposto al sondaggio (su 225 membri del club) hanno detto che le condizioni di lavoro sono deteriorate. Il 70% dei corrispondenti stranieri, inoltre, ha dichiarato di essere stato oggetto di molestie, violenze o interferenze da parte delle autorità cinesi. Alcuni, in occasione delle proteste dei gelsomini – le passeggiate che a febbraio hanno avuto luogo nelle principali città cinesi ispirate alle rivolte nord africane – sono stati fermati, altri arrestati e alcuni picchiati dagli agenti, soprattutto a Pechino e a Shanghai. Negli ultimi tempi si lamenta anche una maggiore difficoltà e lentezza sui collegamenti internet, anche per coloro che usano la Vpn, il sistema telematico che permette di collegarsi come se si fosse al di fuori del paese, permettendo così di aggirare la censura e visitare i siti vietati dal governo cinese. La questione è stata anche portata oggi all’attenzione della portavoce del ministero degli esteri cinese, durante la conferenza stampa programmata. La Jiang ha detto che il governo é pronto a collaborare con i giornalisti che chiedano aiuto per problemi incontrati. Nelle scorse settimane le autorità cinesi hanno anche inviato a tutti i giornalisti accreditati un questionario di soddisfazione.

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Il padre della censura cinese su internet ammette di aggirarla

In una rara intervista, il padre della “Grande Muraglia di Fuoco”, il sistema di controllo cinese su internet, ha difeso il suo sistema pur ammettendo di usare almeno sei Vpn, utilizzati da tutti coloro che in Cina vogliono navigare in rete liberi dai controlli della censura. ”Lo faccio solo per vedere se i controlli funzionano”, ha detto Fang Binxing, presidente dell’Universita’ di posta e telecomunicazione di Pechino. ”Non sono interessato a leggere su internet informazioni come le questioni antigovernative”, ha detto, dichiarando di aver fatto ”solo la cosa giusta”. Fang e’ considerato l’ideatore del sistema, pensato nel 1998 e in rete dal 2003, con il quale il governo cinese controlla, censura e blocca le informazioni che ritiene pericolose. Una delle accuse mosse al sistema, e’ che non distingue fra cose buone e cattive. Se in un determinato sito c’e’ una parola ritenuta pericolosa, il sistema lo blocca per intero. ”Anche altri governi – si e’ difeso Fang – come Stati Uniti, Corea del Sud e Germania, almeno 180 governi, controllano la rete”. Gli internauti cinesi lamentano di non poter raggiungere siti considerati pericolosi in Cina come Facebook, Youtube, Twitter. Per Fang questi siti non sono soltanto di intrattenimento, dal momento che moltissime idee e proteste circolano attraverso questi canali. Con piu’ di 450 milioni di utenti, la Cina ha attualmente la piu’ grande popolazione online in tutto il mondo. E per Fang, sara’ sempre una guerra fra la Grande Muraglia Cinese e i sistemi per aggirarla. ”Il nostro sistema – ha detto Fang – e’ in ritardo, dobbiamo ancora migliorare. E’ come il controllo del traffico. Gli autisti devono obbedire alle regole stradali e quindi i cittadini possono giocare solo con quello che hanno”.

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