La Cina ha iniziato la costruzione di una scuola su una piccola isola nel mare cinese meridionale, Sansha, che ha una popolazione di 1.443 persone, appartenente al gruppo delle isole Paracelso, contese dalla Cina, dal Vietnam, dalle Filippine e da altri paesi. Lo riferisce il South China Morning Post. Il governo dell’isola in un comunicato ha fatto sapere che la costruzione dell’edificio scolastico è iniziata sabato scorso e dovrebbe essere ultimata entro 18 mesi. La nuova scuola dovrebbe essere destinata ai circa 40 bambini in età scolare che vivono a Sansha. Sull’isola dal 2012 sorgono abitazioni, un ufficio postale, negozi e un ospedale tutto costruito dai cinesi per ribadire il proprio controllo sull’isola. Il Vietnam e le Filippine, ma anche gli Stati Uniti hanno duramente criticato Pechino per la sua decisione di stabilire un nucleo fisso di abitanti e residenti su quest’isola remota, evidenziando come si sia trattato solo di una mossa, da parte della Cina, per ribadire il suo predominio sulle Paracelso. Le relazioni sino-vietnamite sono peggiorate il mese scorso dopo che la Cina ha installato una piattaforma petrolifera nelle acque contese. E sempre il mese scorso alcuni cinesi sono stati uccisi in Vietnam a seguito di tumulti anti-cinesi.
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La Cina evacua cittadini da Vietnam dopo violenze
Aumenta la tensione tra Cina e Vietnam. Mentre Pechino evacua i suoi cittadini e sospende gli scambi bilaterali, oggi, dopo giorni di violenze, le autorità vietnamite hanno deciso di schierare migliaia di poliziotti e agenti di sicurezza nelle principali città per stroncare sul nascere la furia anti-cinese. A causa delle violente proteste scoppiate dopo che la Cina ha inviato una piattaforma per la ricerca petrolifera in una zona contesa del Mar Cinese Meridionale, Pechino ha già evacuato dal Vietnam più di 3.000 cittadini cinesi residenti e oggi, riferiscono i media cinesi di stato, ha inviato cinque navi per portarne via altre centinaia. Mentre sedici cinesi feriti gravemente sono stati rimpatriati questa mattina con un volo charter. Le proteste hanno già causato due morti, tra i cittadini cinesi, 135 feriti e ingenti danni a fabbriche non solo cinesi. Ieri il governo vietnamita aveva invocato la fine delle proteste. E fonti ufficiali hanno assicurato che “atti illegali” saranno fermati perché potrebbero danneggiare la stabilità nazionale, riporta la Bbc. Oggi le autorità hanno stroncato proteste anti-cinesi in diverse città, dopo che gruppi di dissidenti hanno incitato la gente a scendere di nuovo nelle piazze. Centinaia di poliziotti in abiti civili o in uniforme, riferisce la France Presse, hanno pattugliato le strade della capitale, di Hanoi e di altre città dove sono state pianificate le proteste. Gruppi di militanti hanno scritto sui loro blog che molti tra loro sono stati arrestati dalla polizia vietnamita e ad altri è stato impedito di uscire di casa. Le proteste anti-cinesi di questi giorni sono state le più violente che si sono verificate in Vietnam da decenni e rischiano di minare la fiducia degli investitori stranieri nel paese. I rapporti tra Cina e Vietnam, Paesi vicini ed entrambi comunisti, sono tesi da anni a causa della disputa sulle isole Paracelse nel Mar Cinese Meridionale, strappate da Pechino con un colpo di mano nel 1974 all’allora Vietnam del Sud. La situazione è precipitata dopo che, il 2 maggio, una piattaforma petrolifera cinese si è spostata nei pressi delle isole. In seguito, si sono verificati numerosi scontri tra imbarcazioni cinesi e vietnamite, che in alcuni casi si sono affrontate a colpi di cannoni ad acqua. La Cina rivendica quasi tutto lo strategico specchio d’acqua sulla base di una cartina che risale al 1953.
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Hanoi e Pechino ai ferri corti per gli scontri in Vietnam
Almeno due cittadini cinesi sono stati uccisi in Vietnam nel corso delle proteste contro la decisione di Pechino di inviare una piattaforma per la ricerca petrolifera in una zona contesa del Mar Cinese Meridionale. I feriti sono un centinaio. Altre fonti parlano di una ventina di morti, la maggioranza dei quali sarebbero cinesi. Nuova Cina aggiunge che dieci operai cinesi sono dati per “dispersi” nel Vietnam centrale. L’ agenzia precisa che uno dei cittadini cinesi e’ stato trovato morto all’ interno della fabbrica di biciclette Foming Bicyle Parts nella provincia meridionale di Binh Duong, oltre 1200 km a sud della capitale Hanoi. L’ altro e’ stato ucciso nella provincia di Ha Tinh, 300 km a sud della capitale, in un’ indicazione che le violenze si sono spostate dal sud alle aree centrali del Vietnam. “I teppisti – ha dichiarato un dirigente della fabbrica – hanno attaccato quattro compagnie cinesi che stanno costruendo una fabbrica di ferro e acciaio grazie ad investimenti taiwanesi’. “Gli attacchi sono proseguiti per tutto il giorno (di mercoledi’)”, ha proseguito. Martedi’ era stato preso d’ assalto dalla folla anticinese il complesso industriale chiamato Vietnam Singapore Industrial Park, non lontano dalla metropoli di Ho Chi Minh City, dove fabbriche e uffici sono stati dati alle fiamme. A fare le spese della furia anti-cinese sono state soprattutto le compagnie taiwanesi che hanno spostato la loro produzione in Vietnam proprio dalla Cina, dove il costo del lavoro e’ cresciuto negli ultimi anni. Quelle coreane e giapponesi si sono salvate, hanno riferito testimoni, solo quando hanno esposto le bandiere dei loro Paesi. Circa 600 immigrati cinesi in Vietnam sono fuggiti nella vicina Cambogia, mentre Taiwan ha organizzato dei voli aerei speciali per riportare in patria i suoi cittadini. Cina, Taiwan ed Hong Kong hanno raccomandato di evitare i viaggi in Vietnam. I rapporti tra Cina e Vietnam, entrambi Paesi dominati da un partito unico comunista, sono tesi da anni a causa della disputa sulle isole Paracelse, che Pechino strappo’ con un colpo di mano, nel 1974, all’ allora Vietnam del Sud. La situazione e’ precipitata dopo che, il 2 maggio, la piattaforma petrolifera cinese, accompagnata da motovedette della guardia costiera, si e’ spostata nei pressi delle isole. Pochi giorni prima, il 29 aprile, si era conclusa una visita in Asia del presidente americano Barack Obama, che ha assicurato ai Paesi amici il sostegno degli Usa nelle dispute territoriali in corso. In seguito, si sono verificati numerosi scontri tra imbarcazioni cinesi e vietnamite, che in alcuni casi si sono affrontate a colpi di cannoni ad acqua. Una portavoce cinese, Hua Chunying del ministero degli esteri, ha accusato oggi Hanoi di essere “connivente con alcuni dei violenti”. La situazione nel Mar della Cina Meridionale – che i vietnamiti chiamano Mar Orientale – e’ esplosiva anche a causa delle dispute della Cina con Filippine, Malaysia e Brunei. Ieri Manila ha accusato Pechino di aver violato il codice di condotta regionale, cominciando a costruire qualcosa, forse una pista di atterraggio, su una scogliera contesa. La Cina rivendica quasi tutto lo strategico specchio d’ acqua sulla base di una cartina che risale al 1953 nella quale e’ disegnato una sorta di ferro di cavallo chiamato “linea dei nove punti”, la cui genesi non e’ mai stata chiarita. La “linea” passa a poche migliaia dalle coste degli altri Paesi rivieraschi. Pechino ha in corso un’ altra aspra serrata polemica col Giappone nel Mar della Cina Orientale, dove rivendica la sovranita’ sulle isole Senkaku/Diaoyu, che sono sotto il controllo di Tokyo.
fonte: Beniamino Natale per Ansa
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Violenze anticinesi in Vietnam, Pechino protesta
Si sposta sul fronte delle fabbriche la tensione tra Hanoi e Pechino per l’aspra disputa territoriale nel Mar della Cina meridionale. Manifestanti vietnamiti hanno dato fuoco a impianti di compagnie cinesi, in una zona industriale del Vietnam, dopo la decisione di Pechino di inviare una piattaforma petrolifera vicino alle isole Paracelso. Non risulta che ci siano stati feriti – anche se secondo fonti locali sono stati eseguiti “centinaia” di arresti fra i manifestanti – ma l’esplosione di furia contro il grande vicino cinese ha dato luogo a violenze come non se ne vedevano da qualche decennio in Vietnam. E la Cina ha subito alzato la voce, come ha fatto sapere una portavoce del ministero degli esteri di Pechino, presentando una “protesta formale” al governo di Hanoi. Pechino chiede tra l’ altro al Vietnam, in toni quasi ultimativi, di “prendere tutte le misure necessarie per mettere fine alle azioni criminali e punire i responsabili”. Le violenze sono avvenute ieri nel distretto industriale chiamato Vietnam Singapore Industrial Park (Vsip), nella provincia di Binh Duong, circa mille km a sud di Hanoi. Secondo articoli comparsi sui siti web vietnamiti, migliaia di operai avrebbero partecipato alla violenta protesta. Alcune fonti parlano di tre fabbriche danneggiate, altre di quindici o piu’, tra cui almeno una appartiene ad una compagnia di Taiwan, l’ isola di fatto indipendente, anch’ essa impegnata in dispute territoriali con la Cina. Pechino rivendica quasi tutto il Mar della Cina Meridionale sulla base di una vecchia cartina sulla quale e’ disegnato una specie di ferro di cavallo chiamato “la linea dei nove punti”, che sfiora le coste di altri Paesi rivieraschi come le Filippine, la Malaysia e il sultanato di Brunei. A far deflagrare la collera dei vietnamiti e’ stata la decisione di Pechino di inviare una sua piattaforma per la ricerca del petrolio nei pressi delle isole Paracelso, che sono rivendicate da Hanoi. I soldati cinesi occuparono le isole nel 1974, quando erano controllate dal governo dell’allora Vietnam del Sud. Negli ultimi giorni si sono verificati nei pressi della piattaforma una serie di scontri tra imbarcazioni cinesi e vietnamite, che si sono prese di mira le une con le altre con cannoni ad acqua. Il segretario di Stato americano John Kerry ha espresso da parte sua in una conversazione telefonica col suo omologo cinese Wang Yi la “profonda preoccupazione” degli Usa per la situazione. Wang, secondo i media cinesi, ha invitato gli Usa – che riconoscono come legittime le rivendicazioni vietnamite – ad una valutazione “obiettiva” dei fatti. Nel 1979, sullo sfondo della guerra cambogiana, il Vietnam (allora filosovietico) e la Cina (schierata in Cambogia con il sanguinario regime dei Khmer Rossi) furono protagonisti di un conflitto ‘fratricida’ interno allo schieramento comunista internazionale.
fonte: Beniamino Natale per ANSA
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Cina-Usa: Pechino contro Hagel su forze navali nel Pacifico
Pechino critica le affermazioni del segretario alla difesa Chuck Hagel sull’ impegno militare degli Usa nel Pacifico mentre si avvicina il vertice tra il presidente americano Barack Obama e quello cinese Xi Jinping, che si incontreranno in California sabato prossimo. Ricordando che Hagel – parlando alla conferenza sulla sicurezza in Asia “Shangri-la Dialogue” che si è svolta a Singapore – ha annunciato che entro il 2020 il 60% della forza navale americana sarà dispiegata nel Pacifico, il quotidiano Global Times accusa gli Usa di “praticare dei trucchi privi di senso”. In un editoriale pubblicato oggi, il quotidiano filogovernativo afferma che la strategia del presidente Obama nel Pacifio non è altro che una “facile iniziativa tesa a rassicurare gli alleati degli Usa”. Pechino, scrive il Global Times, è “impegnata in una crescita pacifica” e il rafforzamento della presenza militare americana è uno “sforzo mal concepito” per contenerla. Negli ultimi due anni anche la Cina ha incrementato sua presenza nel Pacifico, dove una serie dispute territoriali la oppongono a Giappone, Vietnam, Filippine, Malaysia, Brunei e Taiwan. Nel suo intervento allo “Shangri-la Dialogue” il generale cinese Qi Jianguo, intervenuto subito dopo Hagel, ha cercato di rassicurare i vicini, sostenendo che Pechino “non nutre ambizioni egemoniche” nella regione.
fonte: ANSA
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Trenta pescherecci cinesi verso isole contese mari del Sud
Una flottiglia record di trenta navi da pesca cinesi e’ partita ieri verso le isole Spratly, Nansha in cinese, un arcipelago di piccole isole nel mar cinese meridionale al centro di una disputa tra Pechino, Vietnam e Filippine, oltre a Taiwan. Le navi, ognuna con una capacita’ di oltre 100 tonnellate, rimarranno intorno alle isole per una quarantina di giorni. A supporto dei pescherecci anche una nave per l’approvvigionamento e una scorta militare. ”Stiamo esplorando i modi per sfruttare le risorse del mare in maniera sistematica”, ha detto Huang Wenhui, che dirige l’ufficio per la pesca presso il Dipartimento per l’oceano e la pesca nella provincia di Hainan. ”L’obiettivo finale di questa operazione – ha aggiunto Huang – e’ che i pescatori possano pescare intorno alle isole Nansha su base regolare”. I 30 pescherecci, secondo le informazioni, dovrebbero arrivare sul posto in quattro giorni. Il Giappone, il Vietnam, Taiwan, Brunei, la Malesia e le Filippine si contendono la sovranita’ su vaste aree del mar cinese meridionale, ricco di risorse, incluse le isole Spratly. Ma la Cina afferma la sua sovranita’ sulla quasi totalita’ di queste aree.
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Si cerca il dialogo tra Cina e Giappone, forse domani a Pechino delegazione Tokyo
Giappone e Cina stanno progettando di tenere colloqui tra funzionari della Difesa che, in base a indiscrezioni, potrebbero vedere domani una delegazione di Tokyo partire per Pechino, con al centro il caso delle Senkaku-Diaoyu. Lo riporta l’agenzia Kyodo, a conferma delle dichiarazioni del portavoce del governo nipponico, Yoshihide Suda, che ha fatto intendere che i due Paesi stavano provando ad allentare le tensioni sulla sovranita’ del piccolo arcipelago, nel controllo di Tokyo e rivendicato da Pechino. ”Stiamo lavorando, il Giappone dialoga con la Cina”, ha affermato Suga in conferenza stampa, secondo cui Pechino e’ ”un vicino importante”. Le otto motovedette cinesi, intanto, hanno lasciato nella serata di ieri le acque delle isole Senkaku/Diaoyu, controllate da Tokyo e rivendicate da Pechino, dopo un blitz durato 12 ore. In base a quanto riferito dalla guardia costiera nipponica, e’ stata la piu’ grande intrusione finora fatta dalle navi del servizio di sorveglianza marittima cinese intorno al piccolo e disabitato arcipelago, ritenuto essere ricco risorse naturali, come il gas, oltre ad avere fondali ricchi per la pesca. Tra Tokyo e Pechino c’e’ stato ieri un duro uno scambio di proteste e prese di posizione.
fonte: ANSA
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Ultime notizie sul fronte sino-giapponese: isole contese e visita a santuario di guerra
Guerra di nervi e di parole tra Cina e Giappone sia sulle isole contese Diaoyu/Senkaku che sulla visita a Yasukuni, memoriale giapponese della seconda guerra mondiale, che ha provocato le ire dei cinesi. L’ambasciatore di Pechino in Giappone, Cheng Yonghua, ha protestato nei confronti del governo di Tokyo per quella che considera una intrusione territoriale cinese, cioe’ l’arrivo nelle acque contese di pescherecci giapponesi con attivisti. La protesta e’ arrivata durante l’incontro che il diplomatico ha avuto con il vice ministero degli esteri giapponese Chikao Kawai, che aveva convocato il cinese per esprimergli la stessa protesta, dopo che motovedette cinesi erano state viste nei pressi delle isole. Il viaggio degli attivisti giapponesi e’ stato definito ”illegale” e portatore di problemi” dalla portavoce del ministero degli esteri di Pechino Hua Chunying. Ma la Cina continua a protestare anche per la visita di esponenti dell’amministrazione centrale di Tokyo al memoriale di guerra Yasukuni, dove si onora la memoria dei militari di guerra e che ha scatenato anche le proteste sud coreane. Dopo l’offerta rituale di tre pini da parte del premier giapponese Shinzo Abe e la visita di ministri del suo governo, oggi sono stati al santuario 169 parlamentari di Tokyo, ”il piu’ alto numero dal 2005” scrive la Nuova Cina, che definisce la visita ”l’esposizione della codardia dei politici (giapponesi, ndr)”.
Il Giappone e’ pronto a respingere ogni sbarco cinese alle Senkaku/Diaoyu, isole controllate da Tokyo e rivendicate da Pechino, anche con ”l’uso della forza”. ”Sarebbe normale avviare un allontanamento con la forza in caso di sbarco”, ha detto il premier nipponico, Shinzo Abe, in un dibattito parlamentare, rispondendo a una domanda sul tema. Abe ha assicurato che l’attivita’ di sorveglianza nipponica ha lo scopo di ”impedire a chiunque di poter sbarcare” sul piccolo arcipelago conteso e disabitato.
Una flottiglia di una decina di pescherecci giapponesi, con a bordo esponenti di associazioni di nazionalisti, è diretta verso le isole Senkaku/Diaoyu, in una iniziativa che ha lo scopo di ribadire la sovranità nipponica. Partita in nottata dal porto di Ishigaki, riporta la tv Nhk, la spedizione è stata voluta dall’associazione ‘Ganbare Nippon’ (‘Forza Giapponé).
Quasi 170 parlamentari nipponici hanno visitato oggi il controverso santuario Yasukuni, visto come il simbolo del passato imperialista e militarista del Giappone, alimentando nuove tensioni regionali. Secondo i media locali, un numero eccezionalmente alto (ben 168) ha voluto pregare al luogo dedicato ”alle anime di soldati e persone morte combattendo per l’imperatore”, tra cui 14 criminali di Classe A. La visita e’ maturata all’indomani della protesta della Cina e della cancellazione del viaggio a Tokyo del ministro degli Esteri sudcoreano, Yun Byung-se.
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Ministri giapponesi a santuario Yasukuni, protesta di Pechino
Anche il governo cinese ha protestato solennemente nei confronti di quello giapponese per la visita di esponenti dell’amministrazione centrale di Tokyo al memoriale di guerra Yasukuni, dopo che il ministro degli esteri sudcoreano aveva questa mattina annullato una visita prevista da tempo per questa settimana. Il premier giapponese, Shinzo Abe, due giorni fa aveva donato tre pini, senza recarsi di persona al santuario Yasukuni a Tokyo, eretto per onorare 2,5 milioni di giapponesi morti durante la seconda guerra mondiale e sino-giapponese, tra i quali, scrive la Nuova Cina, ”14 criminali di guerra”. Per il portavoce degli esteri di Pechino, Hua Chunying, il nocciolo della questione del santuario Yasukuni e’ ”se i leader giapponesi vedono e trattano correttamente la storia delle invasioni del paese, e rispettano i sentimenti del popolo della Cina e di altri paesi vittime”. Per Hua le atrocita’ giapponesi durante la guerra sono accertate da prove inconfutabili. ”Solo quando il Giappone affrontera’ di petto il suo passato aggressivo potra’ abbracciare il futuro e sviluppare relazioni amichevoli con i suoi vicini asiatici”, ha concluso il portavoce.
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Scintille tra navi militari di Cina e Giappone per isole contese
Nella contesa sino-nipponica sulla sovranità delle isole Senkaku/Diaoyu si affaccia ora la marina militare: un cacciatorpediniere giapponese è finito nel radar di controllo di tiro di una fregata cinese, come fosse un vero ‘bersaglio’. Un episodio dai toni di minaccia su cui anche il Pentagono Usa ha espresso senza fare misteri “preoccupazione”. L’episodio, avvenuto il 30 gennaio nel mar Cinese orientale e vicino alle isole contese anche se Tokyo non l’ha confermato in via ufficiale, è un ulteriore fattore di tensione che ha spinto oggi il Giappone a una protesta, poche ore dopo la convocazione dell’ambasciatore cinese nel Sol Levante per il blitz, il 25/mo, fatto lunedì da due motovedette della sorveglianza marittima di Pechino nelle acque territoriali dell’arcipelago disabitato. Il ministro della Difesa nipponico, Itsunori Onodera, ha ammesso che il caso potrebbe complicare gli sforzi per centrare il superamento delle tensioni bilaterali, proprio mentre le parti avevano con grande tatto avviato il lavoro su un possibile summit di alto livello tra leader, magari ad aprile subito dopo la nomina a presidente del segretario del Pcc, Xi Jinping. “Si è trattato di un incidente insolito – ha detto Onodera in una conferenza stampa convocata d’urgenza -. Con un errore, la situazione sarebbe potuta diventare molto pericolosa”. Nella sostanza, l’unità cinese ha attivato il radar per l’ assetto da combattimento e per orientare il tiro sul possibile bersaglio, quando durante la navigazione si usano solo i radar antiaereo e quello per la rilevazione di ostacoli sulla rotta. “E’ come andare in giro con una pistola col colpo in canna e il grilletto sollevato, pronta per l’uso”, ha spiegato all’ANSA un esperto militare. “I rischi di incidenti sono alti”. Il ministro ha rilevato che il radar “ha puntato la nave per un po’ di tempo dalla distanza di 3 km”, aggiungendo che i tecnici del ministero hanno impiegato alcuni giorni per valutare la tipologia di radar. “Abbiamo ora tutti gli elementi per poterlo confermare”, ha rilevato Onodera, mentre su un altro caso, che risale al 19 gennaio e che ha coinvolto un elicottero della marina nipponica, “abbiamo solo il sospetto”. Il premier Shinzo Abe, insediatosi lo scorso 26 dicembre definendo “non negoziabile” la questione delle isole Senkaku perché territorio nipponico, ha posto, nell’incontro con il ministro della Difesa, l’accento sull’importanza di “rispondere con calma” evitando di mettere in campo una provocazione contro un’altra provocazione. “Il nostro obiettivo – ha osservato Onodera anche in merito ai risultati del colloquio con Abe – è evitare l’ipotesi che una situazione del genere accada di nuovo e per questo abbiamo agito attraverso i canali diplomatici” e chiesto alla Cina di “astenersi da azioni pericolose”. Escludendo uno scenario da escalation militare (“non credo possa accadere”), Onodera ha rubricato l’accaduto a semplice provocazione, ma con “un passo falso la situazione”, anche in futuro, potrebbe diventare imprevedibile.
fonte: ANSA
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