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Autorità cinesi accusano Alibaba di vendere prodotti falsi

Per la prima volta, le autorità cinesi si scagliano contro un gigante del commercio elettronico accusandolo di vendere prodotti contraffatti. Nel mirino di un rapporto dell’Amministrazione Statale per il Commercio e l’Industria (SAIC), Alibaba, il più grande gruppo del genere al mondo, al centro di un rapporto nel quale è accusata di gravi irregolarità, in particolare di vendita di prodotti falsi. Accuse che il gruppo cinese respinge ricordando i forti investimenti fatti nella battaglia contro i falsi. “Per lungo tempo – si legge nel rapporto del Saic – Alibaba non ha prestato la necessaria attenzione alle operazioni effettuate sulla sua piattaforma e non si è occupata della questione come avrebbe dovuto. Ora si trova ad affrontare una grossa crisi di credibilità e il suo comportamento ha una cattiva influenza anche su altri operatori che lavorano in Internet e che invece cercano di agire legalmente”. Secondo quanto scritto dalla stampa cinese, già nel luglio scorso la società era stata messa in allerta, durante un incontro ufficiale, ed invitata a maggiori e più stringenti controlli che però pare non siano stati effettuati. All’epoca fu fatto tutto a porte chiuse, per non rischiare di compromettere l’offerta pubblica iniziale, che poi ha portato a settembre la quotazione record di 25 miliardi di dollari di Alibaba a New York. Ma ora, a distanza di alcuni mesi, le autorità cinesi sono tornate alla carica. Anche perché, secondo la SAIC, Alibaba nel frattempo ha fatto poco o nulla per cercare di risolvere o quantomeno contenere il problema, ma anzi continua a consentire sulle proprie piattaforme di e-commerce, in primis Taobao ma anche Tmall, la vendita di prodotti falsi o contraffatti, in particolar modo sigarette e alcolici, ma anche prodotti di telefonia, borse e accessori vari. Il problema, sottolineano alcuni esperti, è che Alibaba non vende in maniera diretta ma consente a venditori terzi di usare il suo spazio per pubblicizzare e poi vendere i loro articoli. Inoltre, molti di questi negozianti non si sono mai registrati, non hanno licenze ufficiali e commettono reati che includono in alcuni casi anche la corruzione dei dipendenti di Alibaba. In un separato rapporto pubblicato il 23 gennaio, la SAIC ha fatto sapere che a seguito di ispezioni e controlli a campione, di 51 articoli venduti su Taobao, solo 19 sono risultati originali. Dal canto suo il gigante delle vendite on line cinesi, pur dichiarando di volersi “assumere la responsabilità nella lotta ai falsi” ha criticato i metodi usati per le ispezioni che hanno danneggiato l’immagine di Alibaba e rischiano di colpire negativamente anche il business cinese via web in generale, sottolineando come l’azienda abbia speso tra il 2013 e il 2014 oltre 161 milioni di dollari nella battaglia anti-falso. Già in passato Alibaba, e le sue piattaforme di e-commerce, Taobao e Tmall, erano stati sospettati di vendita di prodotti contraffatti tanto che per lungo tempo erano state incluse un una “black list” americana di “mercati noti per prodotti contraffatti”. Nel 2012 gli Stati Uniti rimossero Alibaba dalla lista a seguito dei suoi sforzi di bloccare i falsi. Martedì scorso su Weibo, il twitter cinese, Taobao ha scritto che il rapporto della SAIC è basato su pochi e non rappresentativi campioni e contiene errori. Il post è stato poi cancellato. In teoria per garantire la legalità e la trasparenza delle operazioni Alibaba chiede che ogni fornitore si registri e ottenga una licenza rilasciata da una agenzia di certificazione. Tuttavia nel 2011 la società confessò di aver dato questo certificato a oltre 2000 fornitori che poi si erano rivelati dei truffatori. L’allora direttore generale di Alibaba venne licenziato come pure altri 28 impiegati accusati di aver assegnato in maniera illecita le certificazioni.

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