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Il vescovo Ma Daquin, agli “arresti domiciliari” da 4 anni, ritratta suo allontanamento da Chiesa Patriottica Cinese

Thaddeus Ma Daquin era stato ordinato vescovo di Shanghai il 7 luglio del 2012 con l’approvazione di Roma e in quella occasione aveva espresso la sua vicinanza al Papa e la volontà di allontanarsi dall’Associazione della Chiesa Patriottica Cinese (CPA). ““Da oggi in poi – aveva detto il vescovo Daqin nella sua omelia – dovrò rivolgere ogni sforzo a portare avanti al meglio la missione episcopale. Non è quindi più opportuno per me continuare a ricoprire il posto all’interno della CPA”. Nel 2007 in una lettera alla chiesa cinese Papa Benedetto XVI affermò che lo scopo della CPA è da ritenersi incompatibile con la dottrina cattolica. A seguito della sua dichiarazione, subito dopo la fine della messa, il vescovo ausiliario di Shanghai fu prelevato da funzionari governativi e portato nel seminario adiacente al santuario di Sheshan, poco fuori Shanghai. Da allora, non è mai uscito (se non in due volte accompagnato da funzionari governativi) e non poteva comunicare all’esterno se non attraverso qualche posto pubblicato su un blog controllato dalle autorità. Ufficialmente il presule si trova ancora agli esercizi spirituali, di fatto una sorta di arresti domiciliari. E proprio in un post sul blog, Ma Daquin, ha ritrattato la sua decisione del 2012 di allontanarsi dalla CPA, tessendone le lodi e il lavoro. Al momento, non si conosce il motivo della ritrattazione del vescovo né tantomeno se questo suo gesto possa portare lo stesso presule ad uscire dal seminario. Due i possibili scenari: dal momento che la Chiesa di Roma sta intrattenendo dei colloqui sotterranei con il governo cinese (spinti anche dall’intervista che Papa Francesco rilasciò a febbraio ad un giornale cinese), questo potrebbe essere essere stato deciso come un segno di distensione tra le parti. La seconda possibilità è che il vescovo sia stato spinto ad una dichiarazione del genere contro la sua volontà dalle autorità cinesi. Intanto, l’Amministrazione Statale per gli Affari Religiosi, l’autorità che sovrintende la religione in Cina e che controlla anche la Chiesa Patriottica Cinese, è stata accusata dall’autorità anticorruzione di poco controllo sulle attività in particolare della chiesa cinese oltre che di altri gruppi religiosi..

 

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La realpolitik di Bergoglio in Cina: gesuiti euclidei vestiti come bonzi per entrare a corte…

Ho scritto un articolo per la rivista AffarInternazionali, dello Iai (Istituto Affari Internazionali), sulla politica di Papa Bergoglio verso la Cina e la situazione dei cristiani nel paese. Lo spazio della rivista non mi ha permesso di esprimere tutto quello che avrei voluto, per cui troverete qui l’articolo pubblicato e di seguito una sua versione estesa. Sulla faccenda, avevo già scritto qui.

E’ la Cina uno dei principali obiettivi pastorali e diplomatici di Papa Francesco. L’ex cardinale di Buenos Aires, sin dall’inizio del suo pontificato, ha chiaramente indirizzato al paese del dragone molti suoi inviti e attenzioni, dichiarandosi, in più di una occasione, pronto ad andare lì anche subito. Ma i rapporti tra la Santa Sede e la Cina non sono idilliaci. Dal punto di vista diplomatico, i due paesi non hanno relazioni dal 1951, in considerazione anche del riconoscimento della Santa Sede di Taiwan, che Pechino ritiene proprio territorio. Uno scoglio, quello di Taiwan, che il Vaticano ha fatto intendere che può facilmente superare, in cambio di poter legittimamente “entrare” in un paese dove su 1 miliardo e 300 milioni di persone, secondo alcune stime ci sono almeno il 2,3% di cristiani, in maggioranza protestanti, con circa 14 milioni di cattolici (tra membri della chiesa statale e fedeli al Papa). Nonostante le aperture e le braccia aperte di papa Bergoglio, il solco insormontabile è definito dalla presenza dell’Associazione Patriottica Cattolica Cinese, la chiesa autocefala cinese che, come tale e non legata al papato, si avoca il diritto di nominare e consacrare i vescovi e ordinare i sacerdoti. E’ proprio su questo punto, sulla consacrazione episcopale, che Roma e Pechino hanno le loro maggiori differenze, anche se Bergoglio ha fatto intendere, non senza qualche mugugno da parte di fedeli e gerarchie ecclesiali cinesi, di essere disposto a cedere qualcosa. Lo scorso 2 febbraio, il quotidiano on line di Hong Kong Asia Times, ha pubblicato una intervista che papa Bergoglio ha rilasciato all’editorialista del giornale, il sinologo Francesco Sisci (ricercatore alla Università del Popolo di Pechino), la prima ad un giornale asiatico sulla Cina e i cinesi. L’intervista è stata fatta in Vaticano il 28 gennaio, durante una delle tre visite che funzionari del partito comunista cinese ed esponenti vaticane si sono scambiati (qualcuno dice pure che gli eventi sono legati, fatti dalle stesse persone). E segue il solco di questa premessa: non si parla di politica né di religione. Una premessa francamente poco realistica, visto l’intervistato: capo di uno stato (vera teocrazia e ierocrazia) e di una religione. Ma pienamente nel solco di una realpolitik tutta bergogliana che, fino ad ora, almeno sulla Cina, ha cercato di avvicinare il Vaticano al paese asiatico ma lasciando l’amaro in bocca a molti fedeli cinesi e sconcertato diversi osservatori. Nell’intervista, durante la quale il Papa fa anche gli auguri per il nuovo anno, Bergoglio loda la cultura e il popolo cinese, parla dell’aspetto sociale del vivere cinese e affronta temi come quello del figlio unico. Ma nessuna parola sulla situazione dei cristiani in Cina, sulle chiese abbattute dal governo, sui vescovi impossibilitati a svolgere il proprio mandato. Come Taddeus Ma Daqin, consacrato vescovo di Shanghai nel 2012, che avendo durante l’omelia della sua ordinazione fatto testimonianza di vicinanza al Papa, da allora è rinchiuso “agli esercizi spirituali” nel seminario del santuario di Sheshan vicino Shanghai. Oppure di monsignor Cosma Shi Enxiang, che ha passato 54 anni in carcere e arrestato l’ultima volta nel 2001, senza che da allora se ne sappia niente. L’anno scorso, le autorità informarono la famiglia che il vescovo di Yixian era morto, ma ad oggi non hanno mai restituito i suoi resti. Bergoglio nell’intervista non ha assolutamente fatto cenno a questo. Come al caso delle chiese distrutte o dei fedeli arrestati di continuo se trovati a pregare. Una intervista che sarebbe perfetta in termini diplomatici se a parlare fosse un capo di stato interessato ad entrare nel mercato cinese (dal quale non si può prescindere) e quindi disposto a soprassedere alle questioni dei diritti umani e sociali, più che il capo della Chiesa Cattolica. Qualche analista, oltre che di realpolitik di Bergoglio, parla anche di una sorta di nuova Ostpolitik bergogliana, come quella utilizzata nei confronti del blocco sovietico. Ma i tempi e gli attori erano molto diversi e fa specie leggere dal vicario di Pietro, dal pastore degli ultimi, da colui che sempre si è scagliato contro i soprusi e per il rispetto delle fedi e delle persone, nessuna parola sulla situazione dei cristiani in Cina. Ma Bergoglio e i suoi più vicini collaboratori, a cominciare dal segretario di Stato Parolin, sono molto lucidi e consequenziali in questo atteggiamento: non a caso il Papa si rifiutò di incontrare l’anno scorso a Roma il Dalai Lama e sono davvero poche le sue condanne alla situazione del cristianesimo in Cina, tanto che un illustre esponente del Vaticano nel paese del dragone, il cardinale Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito di Hong Kong, ha più volte criticato questo silenzio del successore di Pietro. Bergoglio ha spesso ribadito di muoversi nel solco della lettera che il papa emerito Benedetto XVI inviò ai cattolici di Cina nel 2007, dichiarandola ancora attuale. Eppure, nel documento che è alla base ancora del dialogo fra le parti, il teologo tedesco scrisse chiaramente dell’incompatibilità della Santa Sede e della dottrina cattolica, con la Chiesa patriottica cinese e la suo decantato e difeso autocefalismo. Difesa che il governo cinese ha ribadito due giorni dopo la pubblicazione dell’intervista, in un editoriale del Global Times, quotidiano in lingua inglese vicino all’organo del partito comunista cinese, il Quotidiano del Popolo. Per i cinesi, il messaggio del papa di auguri per il nuovo anno è “una nota gentile”, ma il Vaticano “deve essere pragmatico”, riaffermando il concetto di indipendenza della propria chiesa da Roma. “La Cina – scrive il Global Times – dà grande importanza alla presente indipendenza delle istituzioni religiose da quelli fuori della Cina. Non ci si può aspettare che Pechino trovi un compromesso su questo punto”. Una porta chiusa, che riporta tutto su un piano ancora più reale. Si parla di poter applicare alla Cina il modello vietnamita per la nomina dei vescovi: il Vaticano effettua una ricerca fra i candidati e poi presenta al governo un nome per la sua approvazione; se Hanoi l’approva, la Santa Sede nomina ufficialmente il vescovo; se il Vietnam rifiuta, il Vaticano è costretto a presentare un altro nome, e così via fino a che non si raggiunge il consenso bilaterale. Un modello che Pechino rigetta (in Vietnam non è che abbia risolto tutti i problemi dei cattolici di quel paese, anzi), perché vuole da sé proporre i nomi che poi magari possano trovare il favore papale. E provvedere alla ordinazione in autonomia. Nella già citata lettera, papa Benedetto aveva chiaramente scritto che l’ordinazione e la scelta spettano solo al Vaticano, spingendosi finanche a dichiarare che l’ordinazione dei vescovi cinesi senza il consenso di Roma è illegittima ma valida, così come sono valide le ordinazioni sacerdotali da loro conferite e sono validi anche i sacramenti amministrati da tali Vescovi e sacerdoti. L’opposizione della Cina sta in due fattori: innanzitutto il governo centrale non può permettere ad un paese straniero di interferire in nomine di funzionari di un apparato di governo quale è la chiesa patriottica (impensabile che cancellino l’associazione guidata da un funzionario del partito comunista); in secondo luogo, si teme per il peso sociale e politico che i pastori delle diocesi hanno, soprattutto in chiave anti governativa o a favore di rivendicazioni sociali e umane. Bergoglio non ha al momento scoperto le carte sulla sua idea di compromesso con i cinesi, punta ad un incontro faccia a faccia con il presidente cinese, per poi cominciare una vera trattativa. L’intervista del 2 febbraio va in questo solco, mostrando Bergoglio come Matteo Ricci, il gesuita “euclideo” che per entrare alla corte degli imperatori Ming, si “vestì da mandarino” (non da bonzo come citato in una famosa canzone) e acquistò molto credito a Pechino. Questo vestito sicuramente agli occhi dei cinesi fa ottenere molta simpatia a Bergoglio, ma da qui a dire che otterrà quanto richiesto, soprattutto in termini di ordinazioni episcopali, è difficile. Un incontro è possibile, la cancellazione della chiesa patriottica è al momento impossibile. La Cina, come ha sempre fatto anche per altre “minacce” occidentali (vedi social network), si è creata un suo surrogato della Chiesa cattolica, che può controllare totalmente. Difficilmente ne potrà fare a meno. Bergoglio ne è consapevole e la sua realpolitik mira al primo risultato. E se questo deve far storcere il naso a molti, pazienza. Papa Francesco ha, fino ad ora, fatto del suo il pontificato dell’anti.

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Papa Francesco alla Cina: ammiro e rispetto il paese, il mondo non teme la sua crescita (ma neanche una parola sui diritti civili)

Il 28 gennaio, Francesco Sisci, editorialista di Asia Times, intervista Papa Francesco sulla Cina. Qui potete leggere l’intervista integrale in inglese, di seguito un sunto dell’Ansa. Quello che colpisce è che il Papa usa molte parole per definire quanto grande sia la Cina, ma neanche una parola sui diritti civili, sui lavoratori sfruttati, sulle libertà negate, sulle minoranze cancellate (in particolare tibetani e uighuri), sui cristiani arrestati così come coloro che si battono per i diritti civili. Per il paladino degli ultimi sinceramente è uno scivolone. Capisco l’interesse anche economico della Chiesa nell’entrare in Cina, ma se posso giustificare i governi degli altri paesi, non lo posso fare per il capo della Chiesa, il successore di Cristo, colui che sin dalla sua elezione al soglio ha detto di battersi per gli ultimi. Se questi però hanno gli occhi a mandorla, non ne hanno diritto.

 

“Ammiro la Cina, la sua grande cultura, la sua inesauribile saggezza”. Il Papa confessa la sua stima, il rispetto, la grande ammirazione per il popolo e la cultura cinesi in un’intervista che è di per sé un evento: un colloquio di circa un’ora concesso al quotidiano online di Hong Kong “Asia Times”, pubblicato oggi ma registrato il 28 gennaio in Vaticano, in occasione del Capodanno cinese che ricorre l’8 febbraio. E in cui il Papa, senza entrare nei temi politici o religiosi, tende direttamente la mano al colosso orientale e al suo governo, rivolgendo gli auguri allo stesso presidente Xi Jinping. “Il mondo non deve temere la rapida crescita della Cina”, dice Bergoglio nell’ampia conversazione in inglese con Francesco Sisci, che segna sicuramente un nuovo stadio nei rapporti tra Santa Sede e governo di Pechino, forse mai così avanzato da quando nel ’49 si ruppero le relazioni diplomatiche. Al contempo, infatti, vanno avanti gli incontri e i colloqui tra le delegazioni pontificie e quelle cinesi, sia a Pechino che in Vaticano, sui temi di interesse bilaterale, con al centro la spinosa questione della nomina dei vescovi, che a breve potrebbero aprire la strada a un accordo su questo tema, col riconoscimento dell’ultima parola al Papa sulla scelta dei presuli tra una rosa di nomi ‘graditi’, e a uno storico disgelo. “Per me la Cina è sempre stata un punto di riferimento di grandezza. Un grande paese – dice Francesco -. Ma più che un paese, una grande cultura con una saggezza inesauribile. Da bambino, quando leggevo qualcosa sulla Cina, questo fatto aveva la capacità di ispirarmi ammirazione. Provo ammirazione per la Cina”. Bergoglio ricorda Matteo Ricci, ricorda Marco Polo, che “portò gli spaghetti in Italia”. “E’ questa la mia impressione: grande rispetto – ribadisce -. E ancora di più, quando ho sorvolato la Cina per la prima volta (primo Papa in assoluto, nel volo per la Corea, ndr), e in aereo mi è stato detto ‘tra dieci minuti entreremo nello spazio aereo cinese e invieremo il suo saluto’, confesso di avere provato una grande emozione, cosa che di solito non mi accade. Mi sono commosso per il fatto di sorvolare questa grande ricchezza di cultura e saggezza”. Alla domanda sulla “sfida” che la crescita della Cina pone oggi al mondo, Bergoglio risponde poi che “la paura non è mai una buona consigliera”. “Non dobbiamo temere sfide di alcun genere, poiché tutti, uomini e donne, hanno in loro la capacità di trovare modi di coesistenza, di rispetto e di ammirazione reciproca. Ed è evidente che tanta cultura e tanta saggezza, e per giunta tanta conoscenza tecnologica – pensiamo solo alle antichissime tecniche mediche – non possono rimanere rinchiuse in un paese; tendono a espandersi, a diffondersi, a comunicare”. “E’ ovvio – prosegue – che quando la comunicazione avviene in tono aggressivo per difendere se stessi, ne risulta guerre, Ma non avrei paura. E’ una grande sfida mantenere l’equilibrio della pace”. Anche “Nonna Europa”, secondo Francesco, “riceve da questo antichissimo paese un contributo sempre più ricco”. E quindi “è necessario accettare la sfida e correre il rischio di bilanciare questo scambio per la pace. Il mondo occidentale, il mondo orientale e la Cina hanno tutti la capacità di mantenere l’equilibrio della pace e la forza di farlo. Dobbiamo trovare il modo, sempre attraverso il dialogo; non c’è altra via”. Il Pontefice apprezza la fine della vecchia politica cinese del figlio unico. “Un problema doloroso”, la definisce, anche per il peso familiare dei genitori e dei nonni che poi ricade su quell’unico figlio. Ma per Francesco, “la storia di un popolo è sempre in cammino: talvolta cammina più velocemente, altre volte più lentamente, altre ancora si ferma, a volte fa un errore e ritorna un po’ indietro, oppure prende il cammino sbagliato e deve ritornare sui propri passi per seguire quello giusto”. Ma “quando un popolo va avanti, la cosa non mi preoccupa perché significa che sta facendo storia. E penso che il popolo cinese stia andando avanti, ed è questa la sua grandezza”. E’ salutare, secondo Bergoglio, “assumersi al responsabilità del proprio cammino” e anche “riconciliarsi con la propria storia”. “E’ necessario – osserva il Papa – riconoscere la grandezza del popolo cinese, che ha sempre conservato la propria cultura. E la sua cultura – non sto parlando di ideologie che possono esserci state in passato – la sua cultura non è stata imposta”. Francesco ritiene anche che “la grandezza della Cina, oggi, stia nel guardare al futuro da un presente sostenuto dalla memoria dal suo passato culturale”. La conclusione, “alla vigilia del nuovo anno”, è con l’invio dei “miei migliori auspici e auguri al presidente Xi Jinping e a tutto il popolo cinese”, con la “speranza che non perda mai la consapevolezza storica di essere un grande popolo, con una grande storia di saggezza, e che ha molto da offrire al mondo”. “Il mondo guarda alla vostra grande saggezza”, chiude Bergoglio, augurando di “andare avanti per aiutare e cooperare con tutti nella cura per la nostra casa comune e i nostri popoli comuni”. E’ la prima volta in duemila anni che un Papa rivolge gli auguri a un leader cinese per il nuovo anno lunare: e di sicuro ora la Cina è più vicina.

fonte: ANSA

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La Cina al Vaticano: i vescovi li nominiamo noi

La Cina ribadisce al Vaticano la sua prerogativa di nominare vescovi indipendentemente da Roma. Lo ha detto il portavoce del ministro degli esteri di Pechino, Hong Lei, al quotidiano Global Times. La dichiarazione segue una intervista del portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, al canale televisivo di Hong Kong, Phoenix Tv. Lombardi aveva auspicato che la Cina potesse considerare, sul tema delle ordinazioni vescovili, la stessa procedura usata in Vietnam, dove i presuli vengono prima segnalati al Vaticano che poi li consacra solo dopo la conferma delle autorità di Hanoi. “La Cina – ha detto Hong Lei – è da sempre sincera sulla volontà di migliorare le relazioni con il Vaticano, facendo sforzi in tal senso. Speriamo che il Vaticano possa creare le condizioni favorevoli per il miglioramento di queste relazioni”. Il portavoce ha sottolineato come Pechino chieda al Vaticano di rispettare la tradizione storica e la realtà dei cattolici in Cina, confermando così che Pechino è la sola autorità che possa nominare e consacrare vescovi in Cina. Per padre Lombardi, non è contraddittorio essere un buon cittadino cinese e un buon cattolico e ha ribadito alla Tv di Hong Kong la volontà di Papa Francesco di recarsi anche domani in Cina. Le relazioni diplomatiche tra Cina e Vaticano si sono interrotte agli inizi degli anni 50 del secolo scorso.

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Il cardinale Zen di Hong Kong critico sull’attuale dialogo tra Cina e Vaticano

E’ molto duro e pessimista circa i rapporti tra Cina e Vaticano, il cardinale emerito di Hong Kong Joseph Zen, da sempre critico sulle posizioni della Cina soprattutto in termini di diritti e libertà tanto da partecipare a manifestazioni (le ultime in sostegno del movimento degli ombrelli) e attirandosi critiche da Pechino e anche da alcuni presbiteri dell’ex colonia britannica. In un intervento pubblicato da alcuni giornali cattolici, Zen critica l’approccio morbido e accondiscendente del Vaticano nei confronti della Cina per la ripresa dei colloqui ufficiali. “Nessun accordo – scrive Zen – è meglio di un cattivo accordo. Non possiamo, per amore delle pace, tollerare un accordo che rinneghi la nostra identità”. Il presule critica le posizioni espresse in una intervista italiana a due vescovi cinesi, considerate troppo morbide con Pechino, ma sottolineando come i due parlino in un ambiente ostile, che non li fa essere liberi di esprimersi. Zen ne ha anche per il Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin. Il ministro degli esteri del Papa alla fine di dicembre aveva parlato di “prospettive promettenti” e di “parti disposte a parlare”, ma il cardinale di Hong Kong è tranchant, spiegando che “non vediamo nessun segnale che incoraggi la speranza che il partito comunista cinese stia cambiando la sua restrittiva politica religiosa”. Zen scrive che quello che succede in Cina continua a preoccupare, che è difficile essere ottimisti. Il cardinale non nega la necessità di un dialogo, ma “affinché abbia successo, è necessaria buona volontà da parte di entrambi. Roma l’ha messa, pensare lo stesso di Pechino è pericoloso”. Il paladino dei diritti di Hong Kong è contrario a qualsiasi accordo tra le parti che rappresenti un compromesso che svilisca le posizioni, la dottrina e la teologia cattolica. Zen richiama ad una linea di fondo, quella espressa da Benedetto XVI nella sua lettera alla Cina e ricorda che nessuna concessione può essere fatta sulle ordinazioni vescovili e sulla presenza dell’associazione della Chiesa patriottica cinese, fedele a Pechino. Ma, soprattutto, per Zen nessun dialogo, nessun compromesso può prescindere dal rispetto di Pechino dei diritti civili e ricorda che due vescovi, Thaddeus Ma di Shanghai e Su Zhimin di Baoding, sono detenuti (il primo in “ritiro spirituale” nel seminario di Shanghai e del secondo non si sa nulla da anni). Il cardinale chiede anche un intervento sul vescovo Shi Enxiang di Yixian, arrestato l’ultima volta 14 anni fa e sul quale nei giorni scorsi si è diffusa la notizia della morte, senza conferme e senza che il corpo fosse restituito ai familiari.

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La Cina procederà presto alla consacrazione di nuovi vescovi senza autorizzazione del Papa

La Cina procederà presto alla consacrazione di nuovi vescovi senza l’autorizzazione papale. E’ quanto e’ contenuto in un piano di lavoro elaborato e diffuso dall’Amministrazione statale per gli affari religiosi (Sara) di Pechino, l’organismo governativo che controlla tutto quanto afferisce il culto. Secondo il piano, il 2015 sarà un anno “molto importante per il lavoro religioso”, che sarà fatto “secondo i regolamenti, promuovendo il ruolo della legge e implementando le indicazioni e le politiche religiose del governo centrale”. Il piano include anche il sostegno alla Associazione della chiesa cattolica patriottica cinese e alla conferenza episcopale cinese, entrambe sotto il controllo del governo di Pechino. L’ultima ordinazione vescovile risale al 2012, mentre ci sono ancora alcuni vescovi eletti dalla Sara ma non ancora consacrati, e tutti senza l’autorizzazione papale. Nel piano si invita anche i due organismi a convocare il quinquennale congresso nazionale dei rappresentati cattolici, la cui ultima convocazione nel 2010, su salutato dal Vaticano con “profondo dolore”, chiedendo a clero e fedeli di non parteciparvi. E la Cina, attraverso un editoriale sul Global Times, giornale molto vicino al partito, fa sapere che un incontro tra Papa Francesco e il Dalai Lama, significherebbe “un passo indietro significativo nelle relazioni bilaterali”. Lo scorso novembre il leader religioso tibetano era a Roma per un evento di premi Nobel ma non fu ricevuto in Vaticano si disse per pressioni di Pechino sulla Santa Sede. Di ritorno dal suo viaggio nelle Filippine, Papa Francesco ha smentito questa circostanza dicendo che l’appuntamento è stato fissato in una data non ancora pubblica. Entrambe queste notizie, in ogni caso, mostrano che la strada per Francesco è in salita. Come ho già avuto modo di scrivere qui , la Cina no ha nessuna intenzione di permettere ad un capo di stato o leader religioso straniero di dirgli cosa fare e come farlo in casa propria.

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Cina-Vaticano: per Pechino si a relazioni, ma Santa Sede deve rompere con Taiwan e non interferire nella nostra chiesa

La Cina risponde al telegramma inviato da Papa Francesco mentre il suo aereo sorvolava il paese del dragone, chiedendo al Vaticano di “creare le condizioni per migliori relazioni fra i due paesi”. E’ quanto ha detto oggi nel consueto briefing a Pechino il portavoce del ministero degli esteri cinese, Hua Chunying. “Noi vogliamo – ha detto il portavoce – avere un dialogo costruttivo con il Vaticano basato su principi rilevanti”, sottolineando come il governo cinese abbia più di una volta già espresso le sue condizioni per migliorare le relazioni fra la Cina e il Vaticano. “In particolare – ha spiegato Hua – il Vaticano dovrebbe tagliare quelle che chiama ‘relazioni diplomatiche’ con Taiwan e riconoscere la Repubblica Popolare cinese come il solo governo che rappresenta la Cina. Abbiamo poi chiesto al Vaticano di non interferire più negli affari interni cinesi in nome della religione”. Hua ha aggiunto che la Cina è stata sempre sincera nel voler migliorare le relazioni con la Santa Sede, facendo anche sforzi in tal senso. La dichiarazione del portavoce smorza, almeno ufficialmente, le speranze che si erano create intorno ai due telegrammi che Papa Francesco aveva inviato al Cina e al suo governo, sorvolando il paese andando prima in Corea e poi nei giorni scorsi, nelle Filippine. Francesco ha espresso più volte il desiderio di andare in Cina ed era stato criticato per non aver voluto ricevere il Dalai Lama si diceva su pressione di Pechino, circostanza smentita dallo stesso pontefice l’altro ieri. Anche dopo il suo ritorno dalla Corea la Cina espresse le sue condizioni, per bocca del vice presidente dell’Associazione della Chiesa Cattolica Patriottica Cinese. I due paesi non hanno relazioni dal 1951, a seguito anche del riconoscimento della Santa Sede di Taiwan, che Pechino ritiene proprio. Inoltre, Pechino gestisce direttamente la chiesa cinese tramite l’Associazione patriottica, decidendo le nomine dei vescovi non tenendo sostentamento conto delle indicazioni vaticane.

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Cina continua opera di demolizione delle croci cristiane

Continua da parte delle autorità cinesi l’opera di demolizione di croci e crocifissi delle chiese cristiane. Secondo quanto denunciano organizzazioni cattoliche cinesi, due chiese nella provincia orientale dello Zhejiang hanno visto le loro croci demolite, nonostante le manifestazioni di protesta dei fedeli. A Wenzhou, una delle più importanti città della provincia, il 21 luglio un gruppo di fedeli era riuscito a bloccare la demolizione della croce dalla Chiesa della Salvezza, con scontri con gli agenti che avevano lasciato 50 feriti, ma pochi giorni fa non c’è stato nulla da fare. Distrutto, da parte delle autorità, anche il crocefisso dalla chiesa di Gulou ad Hangzhou. Secondo documenti diffusi dalle associazioni cristiane, il governo mira a distruggere i simboli cristiani anche nelle chiese autorizzate. Nel mirino ci sono anche i templi protestanti, mentre restano sempre in forte pericolo di arresti i membri delle cosiddette “chiese sotterranee”, fedeli a Roma. Secondo China Daily, venerdì la portavoce del ministero degli esteri cinese, Hua Chunying, aveva assicurato, in risposta al saluto di Papa Francesco, che Pechino “lavorerà con il Vaticano per un dialogo costruttivo e per promuovere il miglioramento delle relazioni bilaterali”. Il governo di Pechino, oltre a distruggere i simboli cristiani, ha vietato a preti e giovani cinesi di recarsi in Corea in occasione della visita papale. La Cina vuole poter scegliere i vescovi, e non accetta la aperture nei confronti di Taiwan.

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Per la stampa cinese, permesso di sorvolo al Papa segno di possibile distensione

Non c’è ancora nessuna risposta ufficiale da parte della Cina al messaggio di saluto inviato da Papa Francesco mentre sorvolava il paese per recarsi in Corea del Sud. Ma il Global Times, giornale vicino alle posizioni del Partito, titola oggi “L’approvazione da parte di Pechino del volo papale sui cieli cinesi, è visto come un possibile modo per migliorare le relazioni”. Nell’editoriale si ricorda che il riconoscimento che la Santa Sede dà a Taiwan e il diritto rivendicato da Pechino di nominare i propri vescovi, sono i due ostacoli alla normalizzazione delle relazioni tra Vaticano e Cina. Nell’articolo si definisce “cortesia del governo cinese” l’autorizzazione al sorvolo, ricordando come Papa Bergoglio e il presidente cinese Xi Jinping si siano scambiati messaggi in occasione dell’inizio dei rispettivi mandati, avvenuti ad un giorno di distanza l’uno dall’altro. Secondo l’editoriale, che intervista anche un esperto di questioni religiose cinesi, Wang Meixu, dell’Accademia cinese di scienze sociali, c’è lo spazio perché il Vaticano raggiunga un accordo con Pechino sulle nomine vescovili. Resta la questione taiwanese, ma la figura di Bergoglio, proveniente da un paese in via di sviluppo, secondo il giornale riscuote più simpatia dei suoi predecessori. Non a caso nel 1989, si ricorda, lo spazio aereo fu negato a Papa Giovanni Paolo II. Resta comunque il fatto che la Cina ha vietato qualsiasi pellegrinaggio in Corea del Sud ai cristiani, oltre a detenere alcuni vescovi fedeli a Roma e ad aver fatto abbattere oltre 230 crocifissi e alcune chiese nella provincia dello Zeijiang.

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Vaticano-Cina: Parolin, Santa sede favorevole a dialogo con Pechino

“La Chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese è viva e attiva. Essa cerca di essere fedele al Vangelo e cammina attraverso condizionamenti e difficoltà. La Santa Sede è a favore di un dialogo rispettoso e costruttivo con le autorità civili per trovare la soluzione ai problemi che limitano il pieno esercizio della fede dei cattolici e per garantire il clima di un’autentica libertà religiosa”. Così il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, in un’intervista a Famiglia Cristiana alla vigilia del viaggio del Papa in Corea.

fonte: ANSA

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