Niente valori occidentali nei libri di testo e nelle aule universitarie cinesi: questo è quello che ha chiesto il ministro dell’educazione cinese, Yuan Guiren, ai rettori dei principali atenei cinesi, riuniti in un forum. “Bisogna che le università e i college mantengano l’integrità politica – ha detto il ministro – e non lascino mai che libri di testo che promuovono valori occidentali appaiano nelle nostre aule”. A tal proposito, come sottolineato dall’agenzia Nuova Cina, Yuan ha chiesto alle università di rafforzare la gestione ideologica per tenerla integra, soprattutto nei confronti di libri, materiali didattici e letture. Per il ministro, inoltre, osservazioni che diffamano la direzione del Partito comunista cinese, macchiano il socialismo o violano la Costituzione e le leggi del paese, non devono mai apparire o essere promossi nelle aule, spiegando che agli insegnanti “non deve mai essere permesso di sfogare i propri rancori personali o malcontento, evitando di passare idee negative per i loro studenti”. Non è ancora un editto ma poco ci manca, anche perchè da quando è al potere in Cina, il presidente Xi Jinping ha spinto sempre più per un recupero di valori maoisti-marxisti tradizionali pur nel rispetto dell’economia socialista di stampo cinese che ha fatto fino ad oggi la fortuna economica di questo paese. Lo scorso dicembre, il presidente aveva chiesto per una maggiore guida ideologica nelle università, spingendo di più allo studio del marxismo. Da poco più di due anni, sono state molte le azioni messe in campo dal governo sia a livello centrale che a livello locale. Battaglie ideologiche, soprattutto per arginare idee ritenute pericolose come la democrazia, il multipartitismo e i diritti umani, dei quali la Cina ha una propria concezione. Nell’ambito di queste campagne, diversi sono stati i docenti universitari allontanati o arrestati. Tra questi, ha fatto clamore il caso del professore di economia Ilham Tohti, che a settembre scorso è stato condannato all’ergastolo con l’accusa di separatismo per essersi battuto per i diritti della minoranza uighura durante alcune sue lezioni alla Minzu University di Pechino. Con la stessa accusa, sono stati condannati dai 3 agli 8 anni, sette suoi studenti. Nel 2013 sempre a Pechino fu licenziato dopo 13 anni Xia Yeliang, professore di economia, che aveva firmato il documento democratico Charta 08, lo stesso firmato dal premio Nobel in carcere Liu Xiaobo. Lo stesso anno il professore di legge Zhang Xuezhong, è stato espulso dalla sua università di Shanghai per aver chiesto riforme. Ma il richiamo ad valori marxisti-maoisti più forti è vento anche nei confronti dei giornalisti, obbligati dal 2013 a vere e proprie lezioni di marxismo. E un richiamo allo studio delle idee di Karl Marx e di Mao Zedong, sono arrivate anche alle scuole di Hong Kong, con l’obbligo di seguire lezioni di ‘educazione patriottica nazionale’ cinese.
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Via dai libri di testo delle università cinesi i valori occidentali
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Obbligo di non suicidi per studenti università
Vietato suicidarsi nelle università cinesi. Secondo quanto riferisce la stampa locale, un ateneo della provincia meridionale del Guangdong ha chiesto a tutti gli studenti di firmare un contratto con il quale si assumono la responsabilità in prima persona, liberando l’università, per eventuali suicidi o lesioni. Sembra che già 5000 matricole dell’università di Dongguan abbiano accettato di firmare l’accordo che sarebbe stato voluto dall’università come forma di tutela dopo che lo scorso anno uno studente aggredì e ferì una compagna che si era rifiutata di avere una relazione con lui. La notizia ha suscitato le reazioni più disparate. Alcuni studenti si sono detti d’accordo con l’università, affermando che la maggior parte dei suicidi o comunque degli episodi di violenza non hanno a che fare con gli studi ma con la vita privata e soprattutto amorosa dei ragazzi o per problemi di tipo familiare. Ma, al contrario, per molti genitori, imporre agli studenti di firmare un contratto di questo tipo, rappresenta per l’università un facile mezzo per liberarsi da ogni tipo di responsabilità per quanto accade nel campus, cosa che è da condannare.
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La Cina blocca le facoltà che non danno lavoro
Il problema dei laureati senza lavoro affligge persino la Cina, ma il governo di Pechino sta pensando di risolverlo ‘alla radice’: secondo il Wall Street Journal ‘e’ stato varato un piano per tagliare o ridurre drasticamente le facoltà che non danno occupazione. Ogni università, spiega il sito del quotidiano, verrà valutata dal punto di vista dell’occupazione, operando tagli e ridimensionamenti in quelle in cui meno del 60% dei neolaureati trova un lavoro per due anni consecutivi. In Cina il numero dei laureati è cresciuto del 150% negli ultimi 10 anni, arrivando a circa 9 mila ogni 100 mila abitanti, e di conseguenza sono aumentati anche i laureati disoccupati, anche se in misura minore rispetto al resto del mondo: il 72% di chi si laurea nel paese del Dragone trova infatti un’occupazione, e nonostante ciò la Cina è il paese che ha esportato più studenti negli Usa, più di 128 mila nel 2010. Se si applicasse all’Italia il parametro indicato dal governo cinese le prime facoltà ad essere ‘ghigliottinate’ sarebbero psicologia e lettere e filosofia, che secondo il rapporto Almalaurea sono le lauree meno efficaci, rispettivamente con un 26,9 e 27,2% di laureati dopo un anno.
fonte: ANSA
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