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Dissidente mongolo Hada in gravi condizioni

Sono sempre più complicate le condizioni di salute, soprattutto mentali, di Hada, il dissidente della Mongolia Interna che dopo 15 anni di prigione, é di fatto agli arresti domiciliari senza condanna dalla fine del 2010. Lo ha denunciato all’organizzazione americana che si batte per i diritti umani in Cina, Human Rights in China (Hric), il figlio dello stesso Hada, Uiles. Secondo il racconto del giovane, ad Hada, che è stato carcerato per separatismo e spionaggio, viene vietato dalle autorità qualsiasi trattamento medico. Le visite ad Hada, che si trova ristretto in una stanza del Jinye Ecological Park nei pressi dell’aeroporto internazionale di Hohhot, capoluogo della Mongolia Interna, sono rade e decise dalle autorità. In una delle sue ultime visite all’uomo, la moglie Xinna lo ha trovato all’inizio di gennaio in pessime condizioni, con fisime e paranoie, diversi problemi fisici e mentali. Lo stesso figlio ha detto che in una precedente visita alla fine dell’anno, suo padre non gli ha neanche rivolto la parola. Uiles ha detto che le autorità continuano a fare pressioni su lui e sua madre perché non parlino con le Ong. Hada, attivista per una maggiore autonomia della Mongolia Interna, è stato arrestato nel 1995.

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Tribunale smentisce condanna per arresti illegali

Un tribunale di Pechino ha smentito di aver condannato 10 persone (presumibilmente poliziotti) accusate di aver arrestato e detenuto illegalmente alcuni ”postulanti”: i cittadini che dalle province vengono nella capitale per denunciare i soprusi subiti dalle autorita’ locali. In una insolita dichiarazione all’ agenzia Nuova Cina, un portavoce del Tribunale del Popolo di Chaoyang, un distretto centrale della capitale, ha affermato che la notizia – pubblicata da un quotidiano e ripresa da molti siti web – e’ falsa. Il portavoce ha detto che una denuncia per gli arresti illegali e’ stata presentata, ma che nessuna decisione e’ stata presa fino a questo momento dai giudici. Il sistema delle ”petizioni” ha le sua radici nella Cina imperiale, ma e’ sopravvissuto fino ad oggi. A Pechino esiste un ufficio apposito per i postulanti che vengono dalle province. Spesso, i postulanti vengono intercettati da poliziotti delle loro province d’ origine o da privati assoldati dalle autorita’ locali per impedire che le denunce delle loro malefatte vengano presentate al governo centrale. In passato casi di prigioni segrete nelle quali i postulanti vengono tenuti prima di essere rimandati di forza nelle loro province, sono stati denunciati dalla stampa internazionale. Nessuno dei responsabili dei sequestri e’ stato fino ad oggi condannato dalla magistratura.

fonte: ANSA

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Clinton visita la Mongolia e attacca Pechino

Il segretario di Stato americano Hillary Clinton ha attaccato oggi indirettamente la Cina, accusandola in un discorso tenuto a Ulan Bator, in Mongolia, di ”rifiutare un’ apertura democratica” con un atteggiamento che ”uccide l’ innovazione e scoraggia l’imprenditorialita”’. Nel suo discorso a un’assemblea di donne mongole, Clinton non ha nominato esplicitamente Pechino, rivolgendo la sua critica ad ”alcuni Paesi asiatici”. Il segretario di Stato incontrera’ ad Ulan Bator il presidente Tsakhia Elbergdorj. La visita di Clinton in Mongolia cade in un momento delicato della vita politica del Paese dopo che le elezioni per il Parlamento sono state vinte dal Partito Democratico, di opposizione, che ha prevalso sul Partito Popolare Mongolo di Elbergdorj. Trattative sono in corso tra il presidente e il Partito Democratico per la formazione di un governo di ”unita’ nazionale”. Nelle elezioni del 28 giugno il Partito Democratico ha ottenuto 31 seggi contro i 25 della formazione guidata da Elbergdorj. ”Dopo le elezioni la comunita’ internazionale sta seguendo con attenzione gli avvenimenti in Mongolia e il funzionamento dello Stato di diritto”, ha detto un portavoce del Dipartimento di Stato. Dopo la Mongolia, il segretario di Stato visitera’ Vietnam, Laos e Cambogia.

fonte: ANSA

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Ancora agli arresti domiciliari dissidente mongolo Hada

Il dissidente cinese Hada, di etnia mongola, e’ stato trasferito in un ”centro turistico di lusso”, secondo un gruppo di esuli che ha dato notizie sulla situazione del dissidente del quale da mesi si ignorava la sorte. Hada, che come molti mongoli usa un solo nome, ha finito nel 2010 di scontare una pena a 15 anni di prigione. Da allora viene tenuto agli arresti ”domiciliari” in una localita’ segreta, una pratica illegale usata spesso dalla polizia cinese. I dissidenti vengono tenuti sotto il continuo controllo di decine di agenti, in genere in alberghi. In un comunicato diffuso oggi, il Southern Mongolian Human Rights Information Centre (Smhric), afferma che la moglie del dissidente, Xinna, e’ stata condannata a tre anni di prigione per ”attivita’ illegali” mentre il figlio Uiles e’ tenuto agli arresti domiciliari nell’appartamento di famiglia a Hohot, la capitale della regione autonoma della Mongolia interna. Hada e’ stato accusato di essere un secessionista, accusa che respinge. Secondo l’Smhric, il dissidente continua a essere perseguitato perche’ rifiuta di firmare un documento nel quale ammette di aver ”sbagliato”.

fonte: ANSA

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Nessuna notizia da un anno di dissidente mongolo

Continua ad essere detenuto in un luogo segreto nella regione della Mongolia Interna il dissidente mongolo Hada, nonostante sia trascorso un anno dalla data del suo rilascio ufficiale. Lo riferisce il sito di radio Free Asia. “Il partito comunista lo ha condannato a 15 anni di carcere – ha spiegato Xi Haiming, presidente della sede tedesca della Lega per la difesa dei diritti umani in Mongolia (Smhric) – ma trascorsi i 15 anni lo scorso dicembre, non solo non lo hanno liberato ma per mettergli ulteriore pressione hanno anche arrestato sua moglie e suo figlio”. Hada, 55 anni, era stato arrestato per “separatismo” in quanto aveva condotto una campagna non violenta per l’indipendenza della Mongolia interna dal dominio cinese. La cognata del dissidente, Naara, ha raccontato che le autorità non lo hanno rilasciato perché Hada si è sempre rifiutato di piegarsi, dimostrandosi non cooperativo con le autorità. “Da quando lo hanno arrestato – ha raccontato Naara – non hanno mai consentito a nessun membro della famiglia di visitarlo. Il nostro telefono di casa per un certo periodo è stato anche staccato”. Il figlio di Hada, dopo essere stato arrestato, ufficialmente per spaccio di droga, è stato messo agli arresti domiciliari. Il suo appartamento è sorvegliato da telecamere di sicurezza e i suoi movimenti sono limitati. Il ragazzo ha raccontato di aver assistito, durante la detenzione, ai maltramenti subiti dagli studenti e dagli intellettuali mongoli che avevano partecipato alle proteste delle scorsa estate. La moglie di Hada, Xinna, è invece detenuta (per aver gestito degli affari illegalmente) e in attesa di processo. I Mongoli rappresentano una minoranza etnica riconosciuta in Cina e il loro numero, secondo i dati ufficiali, si aggira sui 6 milioni di persone.

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Seimila lottatori partecipano a colossale torneo

Piu’ di seimila lottatori mongoli stanno affluendo nella capitale Ulan Bator per partecipare alla piu’ grande competizione di lotta di tutti i tempi. I partecipanti hanno tra i 14 e gli 80 anni di eta’ e il vincitore della colossale gara avra’ un premio di 12mila dollari. Il vero obiettivo degli organizzatori e’ pero’ quello di battere il record detenuto dalla Cina per le competizioni di lotta con un torneo tenuto nel 2004, al quale hanno partecipato 2.048 atleti. ”La tradizione della lotta mongola risale al periodo degli Xiongnu (gli antenati degli Unni), molto prima dell’ avvento di Gengis Khan”, ha spiegato Reegjibuu Nyamadorj, il presidente della Fondazione nazionale per la lotta mongola. Il conquistatore mongolo mori’ nel 1227. La Repubblica di Mongolia occupa un territorio grande tre volte quello della Francia e gran parte dei suoi 3 milioni di abitanti vivono ancora di pastorizia. Nelle vicina provincia cinese della Mongolia Interna vivono 4 milioni di persone di etnia mongola. La lotta e’ uno dei tre sport nazionali, insieme al tiro con l’ arco e l’ equitazione. I lottatori si battono fino a quando uno dei due non viene costretto dall’ avversario a toccare il suolo con una parte del corpo diversa dalle piante dei piedi e dei palmi delle mani.

fonte: ANSA

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Eseguita sentenza condanna a morte per killer pastore mongolo

L’ uomo condannato per aver investito e ucciso un pastore mongolo in un episodio che ha dato il via a gravi disordini, è stato messo a morte dalla autorità cinesi. Lo riferisce oggi l’ agenzia Nuova Cina precisando che l’ esecuzione è avvenuta il 18 agosto. L’ uomo, un cinese han di nome Li Lindong che lavorava nelle miniere della Mongolia Interna, era stato condannato alla pena capitale per aver investito col suo camion il pastore mongolo Mergen, e per averlo trascinato per oltre cento metri prima di lasciarlo, morto, sulla strada. Mergen aveva tentato di bloccare la strada per protestare contro lo sfruttamento delle risorse della regione da parte degli immigrati cinesi. La vicenda aveva innescato massicce manifestazioni di protesta della locale popolazione mongola, le prime da decenni. I mongoli, in gran parte pastori seminomadi, accusano gli immigrati cinesi han di rovinare i pascoli per i loro animali con l’ inteso sfruttamento delle miniere di carbone della zona. Oggi i mongoli sono circa il 20% dei 25 milioni di abitanti della Regione Autonoma della Mongolia Interna, in maggioranza immigrati da altre province della Cina.

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Uccise pastore mongolo, condannato alla pena di morte

Il tribunale di Xilingol, in Mongolia, ha condannato alla pena di morte Li Lindong, l’autista di camion che il 10 maggio ha investito un allevatore mongolo scatenando le proteste dei locali. Lo riferisce l’agenzia Nuova Cina. La decisione del tribunale è arrivata dopo sei ore di processo, al termine del quale Lu Xiangdong, che nel camion sedeva dietro Li Lindong, è stato condannato all’ergastolo. Altri due autisti, Wu Xiaowei e Li Minggang, sono stati condannati a tre anni di carcere per aver ostruito la giustizia. Tutti hanno annunciato un ricorso in appello. Al processo erano presenti circa 160 persone, compresi i parenti della vittima. Mergen è stato investito e trascinato via per oltre 150 metri da un camion guidato da un uomo di etnia Han, quella prevalente in Cina. Pochi giorni dopo, un altro allevatore è morto per gli scontri con dei minatori locali. Secondo la versione ufficiale, Mergen cercava di impedire il passaggio dei camion che si riforniscono in zona di carbone dalle miniere, provocando, a detta dei locali, inquinamento e rumore. L’uccisione di Mergen ha scatenato le proteste di migliaia di mongoli, che si sentono oppressi dalla maggioranza Han. La Mongolia interna è tra le maggiori produttrici di carbone, tanto che la Cina intende aprire qui diverse nuove miniere. Questi piani hanno fatto sorgere nella popolazione locale mongola la preoccupazione di un nuovo e sempre maggiore afflusso nella zona della maggioranza Han, che conta circa il 90% della popolazione totale della Cina. Il governo locale ha prima inviato l’esercito e poi ha vietato manifestazioni all’aperto, imponendo una sorta di stato di emergenza. La situazione è andata normalizzandosi nei giorni scorsi.

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Autorità Mongolia promete indagine su miniere

Le autorità della regione autonoma della Mongolia interna cinese, hanno annunciato oggi una inchiesta sulle miniere di carbone della regione per venire incontro alle richieste dei manifestanti, dopo l’uccisione di un pastore da parte di un camion che trasportava il carbone, e che da giorni bloccano la provincia. Lo riferisce l’agenzia Nuova Cina. Secondo l’agenzia un tribunale locale sta preparando il processo contro quattro persone legate alla morte del pastore che, come riferisce la versione ufficiale, protestava per il rumore e l’inquinamento creato notte e giorno nel suo villaggio dai camion che trasportano il carbone. Le dimostrazioni hanno avuto inizio dopo che Mergen, un allevatore mongolo, il 10 maggio scorso è stato investito e trascinato via per oltre 150 metri da un camion guidato da un uomo di etnia Han, quella prevalente nel paese. Pochi giorni dopo un altro allevatore è morto in seguito agli scontri con minatori locali. Venerdì scorso centinaia di allevatori mongoli si sono scontrati con la polizia non tanto, come recita la versione ufficiale, per il rumore e l’inquinamento causato dai camion, ma per chiedere che le autorità cinesi rispettino i cittadini di etnia mongola e il diritto di conservare il loro tradizionale stile di vita. La Mongolia interna è una delle regioni tra le maggiori produttrici di carbone, tanto che la Cina intende aprire qui diverse nuove miniere. Questi progetti hanno fatto sorgere nella popolazione locale di etnia mongola la preoccupazione di un nuovo e sempre maggiore influsso nella zona della maggioranza han, che conta già circa il 90% della popolazione totale della Cina. Circa 4 milioni di mongoli vivono in Cina, la maggior parte proprio nella Mongolia Interna, dove attualmente rappresentano circa il 20% della popolazione complessiva che ammonta a circa 20 milioni di persone.

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Ancora tesa la situazione in Mongolia interna

Resta tesa la situazione nella Regione della Mongolia Interna, dove da diversi giorni ormai si verificano scontri tra la polizia e la popolazione di etnia mongola. Oggi, secondo quanto riferisce il South Asia Morning Post, sono state vietate manifestazioni all’aperto ma nuove e piu’ massicce proteste sono previste ancora per tutta questa settimana. Il Centro per l’informazione per i diritti umani della Mongolia del Sud, una organizzazione di base negli Stati Uniti che si occupa di tutela dell’etnia mongola, ha fatto sapere che le manifestazioni continueranno ancora per diversi giorni, anche con proteste dinanzi alle ambasciate. Anche il governo e’ preoccupato per l’evoluzione della situazione nella regione se oggi il comitato centrale del partito, presieduto dal presidente Hu Jintao, ha diffuso un comunicato nel quale si parla di ”contraddizioni sociali che rendono la gestione del sociale piu’ difficile” legate allo sviluppo, chiedendo un miglioramento della gestione sociale per risolvere i problemi sociali e salvaguardare i diritti dei cinesi, perche’ ”migliorando e innovando nel campo della gestione sociale si consolida il ruolo del partito e la stabilita’ del popolo”. Le dimostrazioni hanno avuto inizio dopo che Mergen, un allevatore mongolo, il 10 maggio scorso e’ stato investito e trascinato via per oltre 150 metri da un camion guidato da un uomo di etnia Han, quella prevalente nel paese. Pochi giorni dopo di lui un altro allevatore e’ morto in seguito agli scontri con dei minatori locali. Venerdi’ scorso centinaia di allevatori mongoli si sono scontrati con la polizia. In Cina ci sono al momento circa sei milioni di persone di etnia mongola, che sono culturalmente e linguisticamente vicini alla popolazione della Mongolia. A seguito degli scontri degli scorsi giorni, il capo del partito comunista della Mongolia interna, Hu Chunhua, venerdi’ scorso si e’ recato in visita ad una scuola di una zona interessata dalle manifestazioni. Hu ha voluto rassicurare sul fatto che i colpevoli delle morti degli allevatori mongoli saranno opportunamente perseguiti. ”Studenti, insegnanti – ha detto Hu – state pur tranquilli che i sospetti saranno punti severamente e velocemente per salvaguardare i diritti delle vittime e delle loro famiglie.”. Secondo quanto fatto sapere dai residenti della zona, nella capitale della Regione, Hohhot e in altre citta’ ”chiave” della protesta, la sorveglianza e’ stata resa molto piu’ stringente, la polizia presidia tutti i palazzi governativi e ci sono posti di blocco quasi ovunque. Da ieri sembra inoltre che le autorita’ cinesi abbiano posto un freno anche alle comunicazioni. Nella capitale, Hohhot, ieri non era possibile connettersi alla rete internet tramite telefoni cellulari. Il governo locale ha emesso un avviso, invitando la gente a non postare messaggi on line. Diverse le chat rooms che sarebbero state bloccate.
Tra i motivi delle tensioni vi e’ anche il fatto che la Mongolia interna e’ tra le maggiori produttrici di carbone, tanto che la Cina intende aprire qui diverse nuove miniere. Questi piani hanno fatto sorgere nella popolazione locale di etnia mongola la preoccupazione di un nuovo e sempre maggiore influsso nella zona della maggioranza han, che conta già circa il 90% della popolazione totale della Cina.

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