Archivi tag: uiguri

Musulmana uighura costretta ad abortire al nono mese per legge figlio unico

Costretta ad abortire al nono mese di gravidanza e ad ascoltare il suo neonato piangere per qualche istante prima che tacesse per sempre: il racconto-shock, fatto da attivisti sul sito di Radio Free Asia, proviene dalla Cina. Viene denunciato come un episodio di rigida applicazione della regola del “figlio unico” in un momento in cui Pechino ha deciso di allentare le maglie di quella legge. Ma in questo caso si tratta di una madre appartenente all’etnia musulmana turcofona degli Uighuri, che vive in gran parte nella provincia nord-occidentale dello Xinjiang. Da tempo la minoranza etnica denuncia una politica persecutoria da parte di Pechino, che a sua volta da alcuni anni si è trovata a far fronte a un terrorismo di matrice uighura. Ma il caso del nono mese non è il solo: sempre secondo il sito d’opposizione, altre tre donne, a diversi stadi della gravidanza, sono state costrette brutalmente ad abortire. Il vice capo della città di Arish nella prefettura di Hotan ha fatto sapere che erano programmati anche altri due aborti per la scorsa settimana. In un caso la donna si trova ancora in ospedale in attesa dell’intervento, nell’altro la madre in attesa è fuggita e di lei si sono al momento perse le tracce. “Quando hanno saputo che mia moglie era incinta del quarto figlio, un maschio dopo tre femmine – ha raccontato uno dei mariti delle donne costrette ad abortire -, le autorità ci hanno detto che avremmo dovuto abortire, noi abbiamo detto loro che avremmo voluto anche pagare la multa, di solito compresa tra i 50.000 e i 100.000 yuan (tra i 6.000 e gli 11.000 euro circa, ndr). Ma loro rifiutarono di accettare e a novembre ci siamo nascosti in casa di alcuni parenti. Ma poi la polizia la scorsa settimana ci ha trovati e mia moglie è stata costretta ad abortire al sesto mese di gravidanza”. Il bambino, secondo il racconto dell’uomo, è nato vivo come nel caso della donna al nono mese, ed è morto nel giro di un’ora a causa delle medicine usate per indurre l’aborto. In quanto minoranza etnica gli Uighuri non sono rigidamente assoggettati alla legge del figlio unico. Possono avere due bambini se vivono in città e tre se vivono in campagna. Ma, come denunciano gruppi che si battono per la tutela dei diritti umani, se eccedono questo limite vengono perseguitati, costretti a sterilizzazioni forzate, aborti forzati etc. E la notizia di questi nuovi aborti forzati arriva proprio a pochi giorni dalla decisione del governo di Pechino di allentare proprio la legge del figlio unico, che fu imposta quando la crescita demografica era vorticosa. La Cina di oggi fa infatti i conti con i cambiamenti sociali e demografici: per la prima volta in decenni, la forza lavoro, pari a circa 940 milioni di individui, è diminuita l’anno scorso di 3,45 milioni e, secondo le previsioni, in questo decennio dovrebbe diminuire di altri 29 milioni. Inoltre aumenta la popolazione anziana: gli “over 60” sono il 14,3% e si prevede che diventeranno un terzo della popolazione nel 2050. Un anno e mezzo fa aveva suscitato grande clamore il caso di una donna costretta ad abortire al settimo mese di gravidanza. Le immagini del feto insanguinato, morto accanto alla madre, fecero il giro della rete. Lo sdegno che suscitando gettò i semi del dibattito sulla necessità di abrogare la legge del figlio unico. (

Lascia un commento

Archiviato in Diritti incivili

Nessuna notizia da un anno di 20 uiguri deportati

Dopo un anno non c’é ancora nessuna notizia dei 20 uiguri deportati dalla Cambogia in Cina, secondo quanto denunciato dall’Uaa (Uyghur American Association). In un comunicato, l’associazione ha chiesto al governo cinese di dare qualche informazione sul destino dei 20 uiguri, su dove si trovino attualmente e sulle loro condizioni di salute e ha anche fatto appello alla comunità internazionale esprimendo preoccupazione per la loro sorte, aggiungendo che essi dovrebbero essere trattati in base agli standard internazionali sui diritti umani. Secondo l’Uaa, infatti, non è da escludere che essi possano subire o aver subito persecuzioni, torture e perfino essere stati uccisi. I 20 uiguri, tra cui vi erano anche una donna e due bambini, sono stati deportati un anno fa, il 19 dicembre 2009, dopo essere stati etichettati come criminali dal governo cinese e poco prima della visita in Cambogia del vice presidente cinese Xi Jinping, durante la quale venne firmato anche un accordo di aiuto del valore di oltre 1 miliardo di dollari con il governo di Phnom Penh. Migliaia di giovani uiguri sono fuggiti dalla Cina a partire dal 5 luglio 2009, per scappare alla violenta repressione. Secondo quanto dichiarato dal leader degli uiguri, Rebiya Kadeer, è vitale che i paesi occidentali continuino a fare pressioni sulla Cina per avere informazioni sul destino di queste persone. Dopo essere scappati dalla Cina, in un primo momento erano stati 22 gli uiguri che avevano chiesto protezione presso l’ufficio dell’Onu per i Rifugiati in Cambogia ma prima che potesse essere completata la procedura 20 di loro vennero catturati e deportati (solo due riuscirono a fuggire) Nel mese di gennaio 2010, l’Organizzazione Human Right Watch emise un comunicato, a seguito delle deportazioni, chiedendo alle autorità cinesi di far sapere lo stato e le condizioni dei deportati. “Gli uiguri che cercavano asilo – ha detto Sophie Richardson, di Human Rights Watch Asia – e sono stati rispediti in Cina dalla Cambogia, sono spariti come in un buco nero. Non c’é alcuna notizia né garanzia che non siano stati torturati o perseguitati”. Oltre ai 20 uiguri deportati dalla Cambogia mancano notizie anche di altri 17 deportati dalla Birmania lo scorso mese di gennaio. Secondo un rapporto del 2009 di Human Right Watch, gli arresti dei membri del popolo uiguro sono avvenuti in violazione delle leggi sia cinesi che internazionali. Alle famiglie dei deportati non è stato mai rivelato dove essi venivano portati. L’Uaa ha anche denunciato che il governo cinese ha portato avanti la persecuzione degli uiguri considerandoli tutti criminali e senza distinguere i comportamenti violenti di un ristretto gruppo con la protesta di massa ma pacifica del loro popolo.

Lascia un commento

Archiviato in Diritti incivili

Ruspe a Urumqi per abbattere baracche

Il governo cinese ha inviato le ruspe ad Urumqi, il capoluogo della provincia autonoma dello Xinjiang, per abbattere le baraccopoli nelle quali vivono oltre 200.000 persone, nella regione degli Uighuri, etnia protagonista di un violento confronto con i cinesi Han, che nel luglio dell’anno scorso ha provocato la morte di 190 persone e il ferimento di altre 1.600. Secondo l’agenzia Nuova Cina, l’intento del governo e’ quello di trasferire in nuove case gli abitanti, che vivono in baracche senza acqua né elettricita’, molti dei quali sono stati gia’ compensati per il trasferimento, ma altri sono ancora in attesa. Le ruspe sono in azione nell’area di Heijiashan, nel distretto di Tianshan del capoluogo della provincia autonoma degli Uighuri. la stessa area e’ stata interessata il 5 luglio dell’anno scorso. La circostanza ha suscitato la perplessità di alcune organizzazioni non governative che temono che la volonta’ dichiarata dal governo di migliorare le condizioni di vita degli abitanti nasconda invece quella di “punire” coloro che si sono resi responsabili delle manifestazioni di protesta. Non tutte le nuove case, infatti, sono disponibili per coloro che stanno vedendo la loro baracca demolita. Il governo ha cominciato all’inizio di quest’anno l’opera di investimenti nella citta’, mettendo in campo intorno ai 30 milioni di euro in cinque anni per completare il progetto di costruzione di nuove case. Polemiche anche sui modi di concessione dei contributi che molti uighuri lamentano avere carattere clientelare, favorendo solo coloro che sono aiutati da funzionari corrotti. Molti abitanti della baraccopoli si sono trasferiti in case di amici e parenti nell’attesa di ottenere i contribuiti per i quali, secondo l’agenzia Nuova Cina, ci vogliono dai 18 ai 30 mesi.

Lascia un commento

Archiviato in Diritti incivili, Vita cinese

Un anno dopo scontri, migliaia di telecamere in Xinjiang

Quarantamila telecamere sono state installate dalla polizia cinese ad Urumqi, capitale della provincia del Xinjiang, in vista dell’anniversario delle violenze etniche nelle quali un anno fa vennero uccise quasi 200 persone, mentre i feriti furono 1.700. Le telecamere, scrivono oggi i mezzi d’informazione cinesi, sono state installate su 3400 autobus, 200 fermate di autobus, 4440 strade, 270 scuole, cento mercati e centri commerciali e in altri posti e saranno seguite per 24 ore al giorno dalla centrale di polizia della città. Le misure di sicurezza sono eccezionali e indicano che le autorità non intendono correre rischi. Piazza del Popolo, nel centro della città e teatro il 5 luglio 2009 di scontri tra gruppi di immigrati cinesi di etnia han e uighuri originari della regione, è stata chiusa, ufficialmente per lavori, ed è guardata a vista da un massiccio schieramento della Polizia armata del popolo (Pap), il corpo paramilitare specializzato nelle azioni anti-sommossa. Apparecchi a raggi x sono stati installati agli ingressi dei principali mercati di Urumqi, l’International Grand Bazaar e quello di Erdaoqiao, e tutti coloro che entrano vengono perquisiti. Il governo locale ha annunciato che l’anno prossimo spenderà per la sicurezza più di 400 milioni di dollari, con un aumento dell’87 per cento rispetto all’anno scorso. La dinamica delle violenze dell’ anno scorso, le peggiori ad essersi verificate in tutta la storia del Xinjiang, non e ancora chiara. Secondo la versione delle autorità gruppi armati di uighuri ispirati dai dissidenti in esilio hanno attaccato quartieri e negozi degli immigrati cinesi. Il Congresso Mondiale degli Uighuri, il principale raggruppamento degli esuli, sostiene invece che le violenze sono scoppiate dopo che la Pap aveva represso con violenza una protesta pacifica di migliaia di uighuri. Nei giorni seguenti, secondo una serie di testimonianze concordanti, giovani cinesi hanno scatenato violente rappresaglie. Nei mesi seguenti sono stati effettuati migliaia di arresti e sono state emesse almeno 200 condanne, 26 delle quali alla pena capitale. Almeno nove delle condanne a morte sono state eseguite. In tutto il Xinjiang le comunicazioni via Internet e telefono sono state interrotte e sono state gradualmente ripristinate a partire dallo scorso maggio. In aprile è stato sostituito a sorpresa il capo del Partito Comunista del Xinjiang Wang Lequan, che ha governato con pugno di ferro la regione fin dal 1994. Wang, che ha mantenuto il suo posto nel potente Ufficio Politico del Partito Comunista Cinese, è stato sostituito dal più moderato Zhang Chunxian, che ha lanciato un programma di investimenti teso a migliorare le condizioni di vita della popolazione. Il Xinjiang è un territorio enorme che va dal deserto del Taklamakan alle montagne del Pamir ed è ricco di materie prime. Inoltre, si trova in una posizione geo-politica di importanza strategica ai confini con Russia, Mongolia, Kazakhstan, Kirghizistan, Tajikistan, Afghanistan, Pakistan ed India. Gli uighuri, una popolazione musulmana e turcofona originaria della regione, sono oggi circa il 40% dei 20 milioni di abitanti del Xinjiang, in maggioranza immigrati cinesi han.

fonte: Ansa

Lascia un commento

Archiviato in Diritti incivili, Taci, il nemico ci ascolta, Vita cinese

Investimenti in Xinjiang per placare conflitti

La Cina ha in programma di investire circa 1 miliardo e mezzo di dollari nella Regione occidentale del Xinjiang, sperando che, dando una spinta vigorosa all’economia della zona, si possano anche attenuare i conflitti e le tensioni fra le diverse etnie. Lo riporta il quotidiano China Daily. Il piano prevede l’incremento dell’edilizia, maggiori opportunita’ di lavoro e il miglioramento dell’istruzione. Lo scopo del governo cinese e’ quello di innalzare gli standard di vita e portare la regione ad una condizione di stabilita’ sia economica che sociale. La Regione dello Xinjiang e’ stata teatro per molti anni di fermenti e conflitti, culminati nel luglio 2009 con gli scontri tra esponenti dell’etnia degli Uiguri e quelli dell’etnia Han, che provocarono la morte di centinaia di persone. Gli Uiguri rivendicano lo Xinjiang come loro terra e si oppongono agli Han, che invece si sono stabiliti nella regione solo da pochi decenni. Gli Uiguri sostengono che gli Han in questo modo hanno beneficiato immeritatamente delle ricchezze dello Xinjiang, regione che ha importanti depositi di petrolio e di gas. ”Dare impulso all’economia dello Xinjiang e’ il solo modo che ha il governo di stabilizzare questa regione, non certo con le armi o rafforzando la sicurezza” ha detto Hu Zhaoliang, professore di sviluppo regionale dell’Universita’ di Pechino”. ”Aiutando i locali abbattendo le barriere linguistiche e dando loro maggiori opportunita’, pian piano il rancore svanira”, ha detto Hu. Il programma di aiuto per lo Xinjiang verra’ lanciato nel 2011 e secondo il vice premier Li Keqiang dovrebbe portare i primi significativi risultati entro cinque anni.

Lascia un commento

Archiviato in 'E renare (i soldi, l'economia), Diritti incivili