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Cina offre soldi a delatori in Tibet

Le autorità cinesi hanno offerto fino a 300.000 yuan (circa 50.000 dollari) per chi farà rivelazioni utili a scoprire “attività terroristiche” nella regione del Tibet. Lo scrive l’agenzia ufficiale Nuova Cina. In realtà i problemi di terrorismo in Cina riguardano soprattutto la regione vicina dello Xinjiang, dove la minoranza musulmana e turcofona degli Uiguri, che è stata incolpata per una serie di aggressioni violente e di attentati. Negli ultimi anni non si ha notizia di attività terroristica dalla regione semiautonoma del Tibet, dove la protesta contro Pechino dal 2009 si è espressa soprattutto con l’immolazione col fuoco di almeno 130 persone, per lo più monaci. Ma le informazioni sulla regione himalayana sono estremamente limitate così come l’accesso per i giornalisti.

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Le autorità cinesi condannano l’attentato di Parigi, ma i giornali riflettono sulla libertà di stampa occidentale

Se le autorità cinesi hanno fermamente condannato l’attacco terroristico alla redazione del Charlie Hebdo, la stampa ufficiale, pur condannando l’episodio, ha chiesto una maggiore comprensionedei fatti. Secondo un editoriale del Global Times, giornale vicino alle posizioni del partito comunista cinese, “dal punto di vista d’Oriente, quello che Charlie Hebdo ha pubblicato non è completamente difendibile ed è comprensibile che alcuni musulmani si sentono male per le vignette nella rivista”. L’editoriale non firmato però sottolinea che questo “non può essere usata per giustificare un attacco che è andato oltre i confini civili di tutte le società”. Il quotidiano lamenta che l’ondata di sostegno internazionale ai fatti di Parigi non si è verificata quando la Cina ha subito attacchi terroristici, come Pechino ha definito gli scontri avuti tra le forze di polizia e la minoranza uighura. Per il giornale, infatti, “La lotta al terrorismo ha bisogno di un alto livello di solidarietà tra la comunità internazionale. Il mondo è sempre unificato nella sua risposta agli attacchi terroristici che si sono verificati in Occidente, ma quando è il turno dell’Occidente di reagire a questi attacchi in paesi come la Cina e la Russia, spesso giri di parole.”. Il sostegno dato ai giornalisti di Charlie, è per l’editoriale l’occasione per criticare la visione occidentale della libertà di stampa. “Notiamo che molti leader occidentali e media di tendenza – è scritto nell’articolo – hanno evidenziato il loro sostegno per la libertà di stampa nel commentare l’incidente. Questo rimane una questione aperta. La libertà di stampa si trova all’interno dei sistemi politici e sociali dell’Occidente ed è un valore fondamentale. Ma in questi tempi globalizzati, quando le loro azioni contraddicono con i valori fondamentali di altre società, l’Occidente dovrebbe avere la consapevolezza di facilitare i conflitti, invece di accentuando in conformità con i propri valori in un modo a somma zero.”. Per il Global Times, “poichè l’Occidente detiene predominio assoluto in giudizio globale, le società non occidentali possono a malapena far ascoltare nel mondo il loro disaccordo. L’Occidente deve controllare coscientemente il suo uso di “soft power”. Anche se l’Occidente pensa che sia giusto sostenere la libertà di stampa – contiua l’editoriale – vale ancora la pena rispettare i sentimenti degli altri. Se l’Occidente pensa della globalizzazione come ampliamento assoluto e la vittoria di certi valori, allora è in cerca di guai senza fine.”. Il Global Times chiude poi l’editoriale con l’invito all’Occidente ad essere “più mite nell’esprimere scontri culturali e prendere in considerazione i sentimenti di molti altri” cosa che “sarebbe molto gratificante e rispettabile”.

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In Cina a rischio minoranza uighura anche per aiuti autorità a matrimoni misti

Proteste da parte di Ong che si battono per i diritti delle minoranze in Cina, per la decisione delle autorità di una contea cinese nella turbolenta regione dello Xinjiang di offrire soldi e benefit per i giovani che decidano di accettare un matrimonio inter-etnico. Secondo quanto annunciato dall’amministrazione della contea di Qiemo, conosciuta anche come Qargan, nella provincia del nord ovest a fortissima presenza di uighuri, una etnia turcofona e musulmana da tempo in lotta con Pechino per ottenere una reale autonomia, qualunque membro delle comunità etniche di minoranza, siano essi mongoli o uighuri, accettino di sposare un Han (l’etnia principale in Cina) otterrà 10.000 yuan, oltre 1.200 euro l’anno per cinque anni, oltre ad aiuti per la casa, per la scuola e la sanità. Nella contea, che si trova a sud della provincia occidentale, vivono più di 100.000 persone, per la maggioranza (oltre il 70%) di etnia uighura, mentre gli Han sono meno del 25%. Il reddito annuo è di 7.400 yuan, circa 915 euro. Ma la mossa delle autorità viene vista da coloro che si battono per i diritti degli uighuri, soprattutto Ong e il World Uygur Congress, come un ulteriore tentativo di Pechino di limitare la minoranza turcofona, a cui viene già impedito di parlare la propria lingua, frequentare scuole islamiche, vestire con gli indumenti tradizionali ed altro. La provincia dello Xinjiang è al centro di forti scontri tra hgli uighuri e gli Han soprattutto dal 2009, quando quasi 200 persone furono uccise nella capitale provinciale Urumqi in scontri a sfondo etnico. Da allora la regione è militarizzata ed è impossibile visitarla. Sono stati eseguiti migliaia di arresti e celebrati centinaia di processi nei quali sono state comminate decine di condanne a morte.

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Eseguite otto condanne a morte nello Xinjiang

Otto persone sono state messe a morte in Cina perché ritenute coinvolte in “attentati terroristici” attribuiti a gruppi separatisti radicali degli uiguri: l’indocile minoranza islamica cinese dello Xinjiang (nord-ovest del Paese) di ceppo turcomanno. Lo riferisce l’agenzia Nuova Cina, precisando che fra i capi d’imputazione considerati nel processo c’era anche quello di complicità nell’attacco suicida perpetrato nell’ottobre del 2013 in piazza Tiananmen, a Pechino, con un bilancio di due turisti uccisi e 40 feriti. Interpellato via mail dall’Afp, Dilxat Raxit, portavoce del Congresso mondiale degli Uiguri in esilio, ha denunciato il processo come preconfezionato e le esecuzioni delle otto persone come inique. “Un tipico caso di giustizia al servizio della politica” del regime di Pechino, ha accusato.

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Autorità cinesi vietano gli autobus pubblici a musulmani con veli o barbe

Le autorità di una città della provincia nord occidentale dello Xinjiang, regione con una fortissima presenza di musulmani, hanno vietato l’accesso agli autobus pubblici alle donne che indossano vestiti e veli tradizionali (hijab, niqab e burqa) e agli uomini con una folta barba o che indossano abiti con luna crescente e stella a cinque punte, simbolo dell’indipendenza del Turkestan orientale. Secondo l’ordinanza, coloro che saranno sorpresi a salire sugli autobus così abbigliati, saranno arrestati. Ad Urumqi, capoluogo della provincia, sugli autobus ci sono già le stesse restrizioni che vigono sugli aerei, dove sono vietate le sigarette, gli accendini o i fiammiferi. Lo Xinjiang è da alcuni anni al centro di violenti scontri tra la parte musulmana e i cinesi di etnia Han, la cui massiccia e forzata immigrazione in zona ha fatto diventare una minoranza gli uighuri (turcofoni musulmani), ai quali è vietato parlare nella propria lingua e seguire i dettami religiosi. Solo nella scorsa settimana, si sono registrate più di 100 vittime, in particolare in attacchi nella contea di Kashgar. Nel luglio 2009 un attacco a Urumqi, il capoluogo della regione, provocò 197 morti e oltre 1.700 feriti.

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Ricompense milionarie per catturare terroristi uighuri

Le autorità della provincia occidentale cinese dello Xinjiang, dove vive la comunità turcofona islamica degli uighuri, hanno stanziato circa 40 milioni di euro in ricompense a coloro che aiutino la ricerca e l’arresto dei ‘terroristi’, termine con il quale i funzionari di Pechino chiamano gli uighuri che si battono per l’autodeterminazione del proprio popolo. Una prima parte di ricompense sono state già elargite in una cerimonia pubblica nella prefettura di Hotan ieri, alla quale hanno preso parte 10.000 tra funzionari e residenti. Questi, per aver aiutato le autorità a rintracciare un gruppo di 10 terroristi, hanno ricevuto 500 mila euro in totale. Lo Xinjiang è da alcuni anni al centro di violenti scontri tra la parte musulmana e i cinesi di etnia Han, la cui massiccia e forzata immigrazione in zona ha fatto diventare una minoranza gli uighuri, ai quali è vietato parlare nella propria lingua e seguire i dettami religiosi. Solo nella scorsa settimana, si sono registrate più di cento vittime, in particolare in attacchi nella contea di Kashgar, in quello che è considerato l’attacco più importante da quello che nel luglio 2009 a Urumqi, il capoluogo della regione, fece 197 morti e oltre 1.700 feriti.

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Mano dura di Pechino nello Xinjiang: condanne a morte e arresti

La Cina non intende rinunciare alla linea dura contro gli estremisti uighuri. Con tre condanne a morte, due ergastoli e decine di anni di prigione si e’ concluso il processo per l’attentato a Tiananmen dell’ottobre scorso, che aveva provocato cinque morti. Mentre nella provincia di Xinjiang – dove vive la minoranza etnica turcofona e musulmana degli uighuri – oggi sono state giustiziate 13 persone, dopo essere state accusate di “terrorismo e altri atti di violenza”. I tre condannati al patibolo – Husanjan Wuxur, Yusup Umarniyaz e Yusup Ahmat – sono stati considerati i capi del gruppo terrorista che ha organizzato l’attentato in piazza Tiananmen, nel centro di Pechino. Per gli altri imputati, tra cui due donne, ritenuti i loro complici, la condanna e’ a decine di anni di prigione. L’attentato era stato compiuto da tre terroristi (un uomo accompagnato dalla moglie e dalla madre) che si erano scagliati con una jeep contro i turisti in fila davanti all’ingresso della Citta’ Proibita, uno dei luoghi piu’ controllati di Pechino. L’ automobile aveva poi urtato contro un pilone e preso fuoco proprio sotto al ritratto del presidente Mao Zedong che domina la piazza, simbolo del potere comunista cinese. I tre attentatori erano morti sul colpo. Con loro, avevano perso la vita due turisti mentre altri cento erano rimasti feriti. Nelle ultime settimane sono stati effettuati nel Xinjiang centinaia di arresti e sono state comminate almeno 15 condanne a morte, tre delle quali in un processo di massa allo stadio che ha ricordato agli osservatori i tempi della Rivoluzione Culturale e delle guardie rosse. Oggi, 13 di queste sono state eseguite, riferisce l’agenzia Nuova Cina che fornisce però pochi dettagli: i giustiziati sono risultati implicati in sette casi diversi “di terrorismo e altri atti di violenza”. Il processo ai presunti organizzatori dell’attentato di Tiananmen e’ durato tre giorni, e vi hanno assistito circa 400 persone. Alcune donne sono state viste piangere alla lettura della sentenza. In nessuno dei processi contro gli uighuri risulta che siano stati presenti avvocati difensori scelti in modo indipendente dagli imputati. Negli ultimi mesi si e’ verificata una moltiplicazione di attentati che Pechino attribuisce agli estremisti uighuri legati all’Internazionale islamica del terrore: i piu’ gravi sono stati quelli di marzo a Kunming (29 morti) e del mese scorso a Urumqi (43 morti compresi quattro terroristi uccisi dalle forze di sicurezza). Il Congresso Mondiale degli Uighuri, la principale organizzazione di esiliati del Xinjiang, sostiene invece che Pechino esagera il pericolo dei terroristi islamici per giustificare la sua politica di repressione e di annientamento culturale dell’etnia. Il Xinjiang e’ in stato d’ assedio dal 2009, quando quasi 200 persone furono uccise a Urumqi in scontri a sfondo etnico. Spesso la regione e’ stata tagliata fuori dalle comunicazioni col resto della Cina. Internet funziona a singhiozzo e le visite di testimoni indipendenti sono fortemente scoraggiate dal governo e dai servizi di sicurezza. Gli uighuri sono circa nove milioni di persone e lamentano di essere stati ridotti a minoranza nella loro patria dalla massiccia immigrazione da altri aree della Cina. La regione e’ ricca di materie prime e si trova in una posizione strategica ai confini con l’ Asia centrale e meridionale.

fonte: Beniamino Natale per ANSA

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Arrestati 29 “terroristi” nello Xinjiang, nove condannati morte

Le autorità cinesi hanno annunciato l’arresto di 29 persone, ritenute terroriste, nella regione nord orientale dello Xinjiang, teatro di numerosi attentati. Lo scrive l’agenzia Nuova Cina. Gli arresti si iscrivono nella scia della repressione della polizia nei confronti di terroristi separatisti ritenuti responsabili di numerosi attentati, ultimo dei quali lo scorso 22 maggio ha fatto 49 morti. Secondo le informazioni, gli arrestati sono accusati di diversi crimini, dall’incitamento al terrorismo all’organizzazione di proteste, all’incitamento all’odio etnico. Nella nota della Nuova Cina, si legge che la Cina ha lanciato una campagna nazionale di un anno contro il terrorismo: lo Xinjiang, dove vive l’etnia musulmana degli uighuri, sarà il maggiore “campo di battaglia”. Gli uighuri, minoranza turcofona, da anni si battono per una vera autonomia della loro provincia, dove invece sono vietati i culti religiosi e l’uso della lingua tradizionale. Il governo cinese li ha più di una volta chiamati “terroristi separatisti”. Dall’inizio dell’anno, gli agenti hanno arrestato più di 200 presunti “terroristi”, appartenenti ad almeno 23 gruppi, e ha sequestrati armi, munizioni ed esplosivi. Un tribunale cinese ha condannato 9 uighuri a morte con l’accusa di terrorismo. Lo scrive l’agenzia Nuova Cina. Precedentemente era stata diffusa la notizia dell’arresto di 29 persone della stessa etnia tutti della regione nord occidentale cinese dello Xinjiang. I nove fanno parte di un gruppo più numeroso di 81 condannati da diversi tribunali della regione autonoma, con accuse inerenti il terrorismo. Un processo di massa, con 55 accusati, si era celebrato alcuni giorni fa in uno stadio dello Xinjiang. Al termine di questo processo, il giudice ha condannato tre imputati alla pena capitale sempre per fatti di terrorismo.

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Processo d massa nello Xinjiang, tre condanne a morte

Almeno tre condanne a morte e centinaia di anni di prigione sono stati inflitti a 55 imputati nella regione cinese dello Xinjiang nel corso di un raduno di massa. Il processo, che ha risvegliato le memorie dei raduni delle Guardie Rosse negli anni duri del comunismo, si è svolto in uno stadio nella città di Yining davanti ad un pubblico di circa settemila persone, secondo l’agenzia Nuova Cina. Foto diffuse su internet che in seguito sono state cancellate mostrano camion di militari in tenuta anti-sommossa dai quali vengono fatti scendere gli imputati, che indossano le divise arancioni dei galeotti. Gli spalti dello stadio sono gremiti di spettatori. Un dirigente locale del Partito Comunista Cinese (Pcc), Li Minghui, ha dichiarato che il raduno ha messo in evidenza la “risoluta determinazione” delle autorità a sconfiggere i “tre mali” e cioè, secondo uno slogan del Pcc, “il terrorismo, il separatismo e l’estremismo”. Dagli articoli non risulta chiaro quale autorità abbia condotto il processo, né se siano stati presenti avvocati difensori degli imputati. I media aggiungono che in un analogo processo collettivo la scorsa settimana sono stati condannati alcune decine di imputati. Inoltre, è stato annunciato che altre 65 persone sono state arrestate e che verranno giudicate nei prossimi giorni. Gli imputati sono accusati di reati che vanno dal “terrorismo” al secessionismo all’appartenenza a gruppi terroristici. Le tre condanne a morte, secondo Nuova Cina, sono state inflitte a persone accusate di aver massacrato con “sistemi estremamente violenti” una famiglia di quattro persone. I resoconti non forniscono particolari sull’etnia dei condannati ma non ci possono essere dubbi che si tratta in grande maggioranza di uighuri, turcofoni e musulmani. I processi di massa vengono dopo una serie di attentati attribuiti all’ala estremista degli uighuri, che secondo Pechino è legata all’internazionale islamica del terrore che ha le sua basi in Pakistan e in Afghanistan. I principali gruppi attivi nello Xinjiang, sempre secondo le autorità cinesi, sono il Movimento Islamico del Turkestan dell’Est (Etim) e Turkestan Islamic Party (Tip). Gli esuli uighuri, la cui rappresentante più conosciuta è l’ex imprenditrice Rebiya Kadeer, affermano che Pechino esagera ad arte la forza di questi gruppi per giustificare una politica di repressione e di genocidio culturale. Gli uighuri oggi sono circa il 40% dei venti milioni di abitanti dello Xinjiang, che nei decenni passati è stato meta di una massiccia immigrazione da regioni povere della Cina. Le relazioni tra gli uighuri e i cinesi di etnia han sono estremamente tese dal 2009, quando quasi 200 persone furono uccise nella capitale provinciale Urumqi in scontri a sfondo etnico. Da allora la regione è militarizzata ed è impossibile visitarla per osservatori indipendenti. Sono stati eseguiti migliaia di arresti e celebrati centinaia di processi nei quali sono state comminate decine di condanne a morte. Migliaia di uighuri sono emigrati clandestinamente, o hanno tentato di farlo, raggiungendo vicini paesi dell’Asia centrale o sudorientale. Dall’anno scorso è stato un crescendo di attentati che, oltre alle principali città dello Xinjiang, si sono verificati in posti lontani come la capitale Pechino e Kunming, nel sud del paese. Nell’attacco più recente, che secondo la polizia cinese è stato condotto da cinque terroristi suicidi, 39 persone sono state uccise a Urumqi in un mercato frequentato dai cinesi han.

Beniamino Natale per Ansa

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Cina: decine di vittime in un attentato nello Xinjiang

Almeno 31 persone sono state uccise e 94 ferite oggi in un attacco terroristico a Urumqi, nella regione cinese dello Xinjiang, teatro da cinque anni di un crescendo di violenze a sfondo etnico. Alle 7.50 locali di mattina due vetture hanno sfondato gli sbarramenti di un mercato frequentato in genere da immigrati cinesi nella regione, patria della minoranza turcofona e musulmana degli uighuri. Delle bombe sono state lanciate tra la folla dagli occupanti delle due auto, una delle quali è poi esplosa. Testimoni hanno riferito di aver visto “fiamme alte quanto un palazzo” e di essere fuggiti terrorizzati. “Ho più di 60 anni e non ho mai avuto tanta paura”, ha raccontato uno di loro ad un giornale cinese. Immagini di cadaveri e di feriti sono state diffuse su internet dalle persone presenti sulla scena. Il governo della Regione Uighura Autonoma dello Xinjiang ha ordinato l’arresto di decine di internauti che avrebbero diffuso “voci false”. Il presidente Xi Jinping, in una dichiarazione, ha promesso di “punire severamente” i colpevoli e ha chiesto alle autorità locali di “risolvere rapidamente il caso, di prestare le dovute cure ai feriti e di esprimere le condoglianze del governo alle famiglie delle vittime”. L’attacco di oggi è l’ultimo episodio di una serie di attentati e di violenze legati alla crisi etnica dello Xinjiang. Gli uighuri, che sono il 40-45% dei venti milioni di abitanti della regione, lamentano di essere lasciati ai margini dello sviluppo, che andrebbe a esclusivo beneficio degli immigrati da altre regioni della Cina. La regione è desertica, montagnosa, e ricca di materie prime. Inoltre, si trova in una posizione strategica ai confini con l’Asia centrale e meridionale. L’escalation di violenze è iniziata l’anno scorso, con un attacco a Turpan nel quale rimasero uccise 24 persone. In ottobre, secondo la versione della polizia cinese, tre uighuri si sono gettati con la loro vettura sulla folla su piazza Tiananmen, a Pechino, uccidendo due turisti. In gennaio, sempre a Pechino, è stato arrestato e accusato di sedizione il professore uighuro Ilham Tohti, sostenitore dell’integrazione tra uighuri e cinesi e voce dell’ala moderata del dissenso uighuro. Il primo marzo, un commando ha ucciso 29 persone a Kunming, nel sud della Cina, dove in seguito quattro terroristi sono stati abbattuti dalla polizia. Ancora a Urumqi, in aprile, tre persone hanno perso la vita nell’ennesimo attacco ad una stazione ferroviaria condotto durante la visita nella regione del presidente Xi. Secondo l’emittente Radio Free Asia (Rfa) almeno cento persone, quasi tutte di etnia uighura, sono state uccise negli ultimi mesi nello Xinjiang in violenze che hanno opposto piccoli gruppi di uighuri alle forze di sicurezza cinesi. Rfa ha sostenuto che nei giorni scorsi almeno quattro persone sono state uccise ad Aksu mentre cercavano di opporsi ad un massiccio intervento della polizia contro le donne velate e gli uomini con le barbe lunghe, vale a dire i segni distintivi dei fedeli musulmani. Pechino accusa degli attentati i gruppi estremisti uighuri come il Movimento Islamico del Turkestan Orientale (Etim) e il Turkestan Islamic Party (Tip), legati all’internazionale islamica del terrore. Gli esuli uighuri, tra cui la presidente dell’Associazione degli Uighuri in America, Rebiya Kadeer, affermano invece che si tratta di azioni di giovani “disperati” per la repressione cinese e per la “sistematica distruzione” della loro identità culturale.

fonte: Beniamino Natale per ANSA

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