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Boom nella vendita di armi, la Cina scalza la Germania dal terzo posto

La Cina supera la Germania ed ora è il terzo esportatore di armi del mondo. Lo afferma lo Stockholm Internationale Peace Research Institute (Sipri) in uno studio dal quale risulta che le esportazioni di armi cinesi sono cresciute del 143% negli ultimi cinque anni, un periodo nel quale il mercato globale degli armamenti è cresciuto del 16 per cento. Pechino rimane a grande distanza col suo 5% del mercato dai grandi dominatori Usa e Russia, che insieme coprono il 58% delle vendite di armamenti di tutto il mondo. I dati diffusi dal Sipri confermano il potente sviluppo dell’industria cinese che oggi è in grado di produrre jet da combattimento e fregate per la marina di quarta generazione oltre ad una vasta gamma di armi leggere che sono largamente usate in molti dei conflitti in corso nel mondo. Il portavoce del ministero degli esteri Hong Lei ha affermato che Pechino ha un “approccio prudente” al mercato internazionale degli armamenti e che “rispetta le rilevanti risoluzioni dell’Onu e le leggi nazionali (dei Paesi importatori)”. “Seguiamo il principio in base al quale l’esportazione di armi aiuterà il Paese ricevente a rafforzare le sue legittime capacità di difesa e non nuocerà alla pace e alla stabilità internazionali”, ha aggiunto il portavoce. La notizia del balzo in avanti della Cina sul mercato delle armi non mancherà di suscitare preoccupazioni nei suoi vicini asiatici, già intimoriti dai massicci aumenti delle spese militari che si susseguono da due decenni e dall’aggressività mostrata l’anno scorso da Pechino nel sostenere le proprie rivendicazioni nel Mar della Cina Meridionale e nel Mar della Cina Orientale. Tra i 35 Paesi che comprano armi dalla Cina il primo posto è occupato dal Pakistan, seguito dal Bangladesh e dal Myanmar. Questi dati non piaceranno di certo al governo di New Delhi, “nemico” storico del Pakistan – col quale ha combattuto quattro guerre per il possesso del Kashmir – che potrebbe sentirsi minacciato anche dal rafforzamento delle capacità militari degli altri due vicini. Tra le vendite della Cina all’estero, il Sipri sottolinea anche quella di veicoli blindati ed aerei da addestramento al Venezuela, di tre fregate all’Algeria, di missili anti-nave all’Indonesia e di droni – aerei senza piloti – alla Nigeria, impegnata in sanguinosi combattimenti con gli estremisti islamici del Boko Haram. I droni cinesi – sulla cui produzione e il cui commercio Pechino è estremamente riservata – sono molto apprezzati all’estero, in particolare – sempre secondo il Sipri – il modello conosciuto come Yilong o Wing Loong e detto anche Pterodattilo. L’esperto del mercato internazionale delle armi americano Ian Easton sostiene che questi dati “risulteranno sconcertanti per i leader politici e militari” degli Usa.

fonte: ANSA

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Le autorità cinesi condannano l’attentato di Parigi, ma i giornali riflettono sulla libertà di stampa occidentale

Se le autorità cinesi hanno fermamente condannato l’attacco terroristico alla redazione del Charlie Hebdo, la stampa ufficiale, pur condannando l’episodio, ha chiesto una maggiore comprensionedei fatti. Secondo un editoriale del Global Times, giornale vicino alle posizioni del partito comunista cinese, “dal punto di vista d’Oriente, quello che Charlie Hebdo ha pubblicato non è completamente difendibile ed è comprensibile che alcuni musulmani si sentono male per le vignette nella rivista”. L’editoriale non firmato però sottolinea che questo “non può essere usata per giustificare un attacco che è andato oltre i confini civili di tutte le società”. Il quotidiano lamenta che l’ondata di sostegno internazionale ai fatti di Parigi non si è verificata quando la Cina ha subito attacchi terroristici, come Pechino ha definito gli scontri avuti tra le forze di polizia e la minoranza uighura. Per il giornale, infatti, “La lotta al terrorismo ha bisogno di un alto livello di solidarietà tra la comunità internazionale. Il mondo è sempre unificato nella sua risposta agli attacchi terroristici che si sono verificati in Occidente, ma quando è il turno dell’Occidente di reagire a questi attacchi in paesi come la Cina e la Russia, spesso giri di parole.”. Il sostegno dato ai giornalisti di Charlie, è per l’editoriale l’occasione per criticare la visione occidentale della libertà di stampa. “Notiamo che molti leader occidentali e media di tendenza – è scritto nell’articolo – hanno evidenziato il loro sostegno per la libertà di stampa nel commentare l’incidente. Questo rimane una questione aperta. La libertà di stampa si trova all’interno dei sistemi politici e sociali dell’Occidente ed è un valore fondamentale. Ma in questi tempi globalizzati, quando le loro azioni contraddicono con i valori fondamentali di altre società, l’Occidente dovrebbe avere la consapevolezza di facilitare i conflitti, invece di accentuando in conformità con i propri valori in un modo a somma zero.”. Per il Global Times, “poichè l’Occidente detiene predominio assoluto in giudizio globale, le società non occidentali possono a malapena far ascoltare nel mondo il loro disaccordo. L’Occidente deve controllare coscientemente il suo uso di “soft power”. Anche se l’Occidente pensa che sia giusto sostenere la libertà di stampa – contiua l’editoriale – vale ancora la pena rispettare i sentimenti degli altri. Se l’Occidente pensa della globalizzazione come ampliamento assoluto e la vittoria di certi valori, allora è in cerca di guai senza fine.”. Il Global Times chiude poi l’editoriale con l’invito all’Occidente ad essere “più mite nell’esprimere scontri culturali e prendere in considerazione i sentimenti di molti altri” cosa che “sarebbe molto gratificante e rispettabile”.

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Arrestati 29 “terroristi” nello Xinjiang, nove condannati morte

Le autorità cinesi hanno annunciato l’arresto di 29 persone, ritenute terroriste, nella regione nord orientale dello Xinjiang, teatro di numerosi attentati. Lo scrive l’agenzia Nuova Cina. Gli arresti si iscrivono nella scia della repressione della polizia nei confronti di terroristi separatisti ritenuti responsabili di numerosi attentati, ultimo dei quali lo scorso 22 maggio ha fatto 49 morti. Secondo le informazioni, gli arrestati sono accusati di diversi crimini, dall’incitamento al terrorismo all’organizzazione di proteste, all’incitamento all’odio etnico. Nella nota della Nuova Cina, si legge che la Cina ha lanciato una campagna nazionale di un anno contro il terrorismo: lo Xinjiang, dove vive l’etnia musulmana degli uighuri, sarà il maggiore “campo di battaglia”. Gli uighuri, minoranza turcofona, da anni si battono per una vera autonomia della loro provincia, dove invece sono vietati i culti religiosi e l’uso della lingua tradizionale. Il governo cinese li ha più di una volta chiamati “terroristi separatisti”. Dall’inizio dell’anno, gli agenti hanno arrestato più di 200 presunti “terroristi”, appartenenti ad almeno 23 gruppi, e ha sequestrati armi, munizioni ed esplosivi. Un tribunale cinese ha condannato 9 uighuri a morte con l’accusa di terrorismo. Lo scrive l’agenzia Nuova Cina. Precedentemente era stata diffusa la notizia dell’arresto di 29 persone della stessa etnia tutti della regione nord occidentale cinese dello Xinjiang. I nove fanno parte di un gruppo più numeroso di 81 condannati da diversi tribunali della regione autonoma, con accuse inerenti il terrorismo. Un processo di massa, con 55 accusati, si era celebrato alcuni giorni fa in uno stadio dello Xinjiang. Al termine di questo processo, il giudice ha condannato tre imputati alla pena capitale sempre per fatti di terrorismo.

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Paura attacchi terroristici, arresti a Pechino e nello Xinjiang

La Cina ha rafforzato le misure di sicurezza nella capitale Pechino, dopo una serie di attacchi terroristici attribuiti a esponenti della minoranza etnica degli uighuri. Lo affermano oggi i media cinesi, che riferiscono anche che nel Xinjiang, la regione del nordovest dove vivono la grande maggioranza dei circa nove milioni di uighuri cinesi, oltre 200 persone sono state fermate dalla polizia perche’ sospettate di complicita’ con i terroristi responsabili degli attacchi. Nella capitale, sono state schierate 150 pattuglie di poliziotti armati col compito di “contrastare il terrorismo”. Oltre alla tensione con la minoranza uighura a preoccupare i responsabili dell’ ordine pubblico c’ e’ anche l’ avvicinarsi del 25/mo anniversario del massacro di piazza Tiananmen. I 232 fermati nel Xinjiang, secondo il quotidiano Global Times, sono sospettati di aver “diffuso su Internet informazioni e video che promuovono il terrorismo”. L’ attacco piu’ grave si e’ verificato il primo marzo alla stazione di Kunming, nel sud della Cina, dove 29 persone sono state uccise prima che la polizia intervenisse ed eliminasse quattro terroristi. Analoghi attacchi si sono in seguito verificati in seguito ad Urumqui (tre morti) e a Guangzhou, dove non ci sono state vittime.

fonte: ANSA

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Bomba in stazione dello Xinjiang, spettro terrorismo

Torna lo spettro del terrorismo nella tormentata provincia cinese dello Xinjiang a forte presenza musulmana: almeno tre persone sono rimaste uccise e altre 79 ferite in un’esplosione avvenuta nel capoluogo Urumqi, proprio all’indomani della visita nella regione del presidente Xi Jinping. Quello che è stato definito dai media di Stato un “attacco terroristico violento” si è verificato alle 19.30 locali nella stazione ferroviaria di Urumqi. Secondo gli inquirenti, gli attentatori hanno lasciato una bomba all’interno di un bagaglio all’uscita della stazione, vicino alla fermata degli autobus, e avevano anche dei coltelli per aggredire i passanti. Lo Xinjiang, provincia autonoma del nord ovest del Paese, ha registrato episodi di violenza negli ultimi mesi, con scontri tra gli uighuri, di religione musulmana, e il potere cinese, che hanno provocato oltre venti morti. Da anni i primi chiedono maggiore autonomia, libertà di culto ed il rispetto delle loro tradizioni, ma il regime di Pechino li considera terroristi secessionisti. Lo stesso presidente Xi, che proprio ieri ha visitato per la prima volta lo Xinjiang, ha bollato la regione come una “frontiera della lotta al terrorismo”, sollecitando un impegno maggiore delle forze dell’ordine. Gli uighuri, di lingua turcofona e di religione islamica, sono gli abitanti originari della zona e oggi rappresentano circa il 40% dei 20 milioni di abitanti della provincia, ma lamentano di essere diventati una minoranza nella loro terra in seguito alla massiccia immigrazione dalle altre province cinesi e di essere lasciati ai margini dello sviluppo economico. Dal 2009 – quando quasi 200 persone furono uccise nella capitale Urumqi in scontri tra diverse etnie – la provincia e’ sotto uno stretto controllo militare e poliziesco. Gli uighuri in esilio denunciano migliaia di arresti e di condanne mentre le autorità di Pechino mettono l’accento sul pericolo rappresentato dal radicalismo islamico e dai gruppi jihadisti. Il pugno duro contro il “terrorismo” è stato agitato anche questa volta dal leader cinese, ieri, nel corso della sua visita nella turbolenta provincia, ‘addolcito’ comunque da un gesto distensivo. Dopo aver incontrato una famiglia uighura, Xi ha invitato la minoranza musulmana a imparare il cinese ma anche i cinesi ad imparare l’uighuro, per favorire una maggiore comprensione tra le due etnie.

fonte: ANSA

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Uighuri in esilio: “non demonizzateci”

La principale organizzazione di uighuri in esilio, il Congresso Mondiale degli Uighuri, ha chiesto a Pechino di “non demonizzare” la comunità dopo la tragedia di sabato scorso, quando un commando di terroristi ha ucciso a freddo 29 civili nella stazione ferroviarie di Kunming, nel sudovest della Cina. Più di cento persone ferite nell’attacco sono ancora ricoverate in ospedale. In un comunicato diffuso oggi, il Congresso “condanna senza equivoci le violenze” ed “esprime le proprie condoglianze alle vittime dell’attacco e alle loro famiglie”. Le autorità cinesi hanno attribuito l’attacco terroristico ai “secessionisti del Xinjiang”, cioè la regione del nordovest della Cina abitata dagli uighuri, che sono di lingua turcofona e di religione islamica. La presidente del Congresso Mondiale degli Uighuri, Rebiya Kadeer, afferma nel comunicato che “è importante che in questa vicenda il governo agisca in modo razionale e non demonizzi l’insieme del popolo uighuro”. Kadeer ha aggiunto che “la contestazione pacifica delle politiche repressive del governo (di Pechino) contro gli uighuri rimane legittima”.

fonte: ANSA

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Tre sospetti arrestati per strage di Kunming

La polizia cinese ha arrestato tre persone sospettate dell’attentato di sabato scorso a Kunming, nel sudovest del paese, in cui un commando di terroristi ha ucciso oltre trenta persone e ne ha ferite più di centoquaranta. Lo rende noto la Bbc, citando media cinesi. L’attacco è stato attribuito dal governo ai secessionisti della minoranza etnica degli uighuri. Quattro di loro, tra cui una donna, sarebbero stati uccisi dalle forze dell’ordine. L’agenzia Nuova Cina, comunicando l’arresto di tre membri del commando terrorista, ha specificato che – secondo quanto riferisce il ministero della pubblica sicurezza – il commando era composto da otto persone, tra cui due donne, e che il suo leader e’ un esponente della minoranza etnica degli uighuri chiamato Abdurehim Kurban. Quattro dei terroristi sono stati uccisi dalla polizia sul luogo dell’attentato, mentre una donna che faceva parte del commando e’ stata ferita ed e’ ricoverata in ospedale a Kunming. Gli uighuri sono un gruppo etnico turcofono di religione musulmana originario della regione del Xinjiang, nel nordovest della Cina. Gli uighuri – circa nove milioni su una popolazione totale di 22 milioni di persone – lamentano di essere diventati una minoranza sulla terra a causa della massiccia immigrazione da altre regioni della Cina e di essere lasciati ai margini dello sviluppo economico. La situazione nella regione e’ estremamente tesa dal 2009, quando quasi duecento persone persero la vita in scontri tra uighuri e immigrati cinesi a Urumqi, la capitale della regione.

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Caccia agli uighuri per l’attentato di Kunming

Almeno 33 persone sono state uccise e 140 ferite la notte scorsa a Kunming, nel sudovest della Cina, in un attacco attribuito da Pechino a terroristi della minoranza etnica musulmana degli uighuri. Testimoni hanno riferito di scene di panico e disperazione quando un gruppo di persone armate di lunghi coltelli si è scagliato contro la folla nella principale stazione ferroviaria della città, che conta oltre sei milioni di abitanti e si trova al centro di una popolare zona turistica. Secondo le testimonianze, i terroristi erano una decina, o forse più, ed erano tutti vestiti di nero. I media cinesi affermano che quattro di loro, tra cui una donna, sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco dai poliziotti accorsi sul posto. Un’altra donna sarebbe stata ferita e sarebbe ricoverata in ospedale. Gli altri membri del commando sono attivamente ricercati dalle forze di sicurezza cinesi in una caccia in corso su tutto il territorio della Cina. L’attacco, di una gravità senza precedenti, è stato condotto in un momento delicato della vita politica del Paese, alla vigilia della sessione annuale dell’Assemblea Consultiva del Popolo e dell’Assemblea Nazionale del Popolo, che costituiscono l’istituzione cinese più vicina ad un Parlamento. In una dichiarazione rilasciata durante la notte, appena si era capita la gravità dell’accaduto, il presidente Xi Jinping ha chiesto alle forze di sicurezza di “indagare e risolvere il caso” e di sradicare “tutte le forme di terrorismo” dal Paese. Xi ha anche ordinato al capo dei servizi di sicurezza di Pechino, Meng Jianzhu, di seguire personalmente il caso. Gli uighuri sono la minoranza turcofona e musulmana originaria del Xinjiang, la vasta regione del nordovest della Cina ricca di risorse naturali e che segna i confini con l’Asia meridionale e centrale. Oggi sono una minoranza a causa della massiccia immigrazione da altre regioni della Cina e lamentano di essere lasciati ai margini dello sviluppo economico. La situazione nella regione è estremamente tesa dal 2009, quando quasi duecento persone persero la vita in scontri tra uighuri e cinesi a Urumqi, la capitale della Regione Autonoma del Xinjiang. Da allora il territorio è isolato e teatro di sporadici episodi di violenza che Pechino attribuisce a secessionisti musulmani legati all’Internazionale islamica del terrore basata in Pakistan e Afghanistan e in particolare al Movimento Islamico del Turkestan dell’Est (Etim nella sigla inglese). I gruppi di uighuri in esilio denunciano l’atmosfera di repressione che regnerebbe nella regione e ricordano che negli ultimi anni centinaia di persone sono state arrestate e che le condanne a morte sono state decine. L’ultimo violento attacco attribuito a terroristi uighuri è quello di Turpan, nel luglio scorso, nel quale 24 persone rimasero uccise. Lo scorso 28 ottobre, una jeep ha investito la folla a piazza Tiananmen, a Pechino, uccidendo cinque persone. Anche questo episodio è stato attribuito ai secessionisti del Xinjiang.

fonte: Beniamino Natale per ANSA

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Bagno di sangue in stazione ferroviaria di Kunming. La Cina accusa gli uighuri

Bagno di sangue in una stazione ferroviaria della capitale della provincia sud-occidentale cinese dello Yunnan. Secondo le informazioni diffuse dall’agenzia di stampa Nuova Cina e da altri media locali, un gruppo di uomini armati di coltello ha fatto irruzione verso le 21 (ora locale) nella stazione ferroviaria, attaccando passeggeri in attesa di partire o appena arrivati. La stazione di Kunming é molto frequentata e, secondo i primi dati, 27 persone sono state uccise e altre 109 ferite. L’agenzia di stampa cinese non fornisce alcuna spiegazione della tragica vicenda, mentre una televisione locale ha definito la vicenda un “violento attacco terroristico”. Un’altra agenzia di stampa cinese, la Yunnan News, attribuisce la sanguinosa aggressione a una banda di criminali. Ma le informazioni arrivano con il contagocce e, anche se non ufficialmente, Pechino sta censurando le notizie che escono dal Paese. Tra le vittime in ogni caso vi sono anche persone ammazzate da colpi d’arma da fuoco perché le forze di sicurezza, una volta arrivate sul posto, hanno cominciato subito a sparare. Raffiche sono state sentite da numerosi sopravvissuti che hanno raccontato di spari ripetuti e continui, tra la gente che presa dal panico urlando cercava di fuggire e di trovare un riparo. Altro mistero riguarda non solo l’identità ma anche la “tipologia” degli aggressori: secondo media locali alcuni sarebbero stati vestiti di nero, mentre altre fonti li descrivono addirittura in divisa. Alcuni assalitori avrebbero anche risposto con armi da fuoco all’intervento delle forze di sicurezza nella stazione, scatenando una violentissima sparatoria. Da ciò l’alto numero di morti e di feriti. Tra le vittime vi sarebbero anche alcuni aggressori. La zona è stata isolata e molte ambulanze fanno la spola verso gli ospedali. La gente si accalca all’esterno ma viene tenuta a distanza. “Sina Weibo”, l’equivalente cinese di Twitter, e la rete televisiva locale K6 sono riusciti a mettere in circolazione alcuni brevi messaggi che parlano di una zona di sicurezza molto ampia istituita dalla polizia. Fotografie, di cui non é possibile verificare l’autenticità, sono invece state postate su vari siti online e danno un’idea solo parziale del disastro: grandi macchie di sangue per terra, sulle pareti e sui tornelli che separano l’atrio dalle banchine ferroviarie. E poi medici che si affannano intorno ai feriti, piegati su persone stese al suolo, alcune apparentemente ferite. La provincia dello Yunnan non é mai stata teatro di attacchi violenti di questo tipo e nessuno fa per ora ipotesi sulle motivazione all’origine della strage.
La Cina accusa i terroristi uighuri per il massacro avvenuto nella tarda serata di ieri nella stazione di Kunming, nel sudovest della Cina, dove secondo l’ ultimo bilancio, 29 persone sono state uccise e più di cento ferite a colpi di coltello. Gli uighuri sono la minoranza turcofona e musulmana originaria del Xinjiang, la vasta regione del nordovest della Cina ricca di risorse naturali e che segna i confini con l’ Asia meridionale e centrale. L’attacco, di una gravità senza precedenti, è stato condotto da almeno dieci uomini vestiti di nero, che senza preavviso si sono scagliati sulla folla nella stazione ferroviaria di Kunming, una città di oltre sei milioni di abitanti al centro di una popolare zona turistica. Il presidente Xi Jinping ha personalmente chiesto alle forze di sicurezza di “indagare e risolvere il caso” e di sradicare “tutte le forme di terrorismo” dal Paese. Xi ha anche ordinato al capo dei servizi di sicurezza di Pechino, Meng Jianzhu, di seguire personalmente il caso. Gli uighuri, che oggi sono una minoranza nel Xinjiang a causa della massiccia immigrazione da altre regioni della Cina, lamentano di essere lasciati ai margini dello sviluppo economico e di essere considerati cittadini di “serie B” rispetto alla maggioranza dei cinesi “han”. La situazione nella regione è estremamente tesa dal 2009, quando quasi 200 persone persero la vita in scontri tra uighuri e cinesi a Urumqi, la capitale della Regione Autonoma del Xinjiang. Da allora il territorio è isolato e teatro di sporadici episodi di violenza che Pechino attribuisce a secessionisti musulmani legati all’Internazionale islamica del terrore basata in Pakistan e Afghanistan. L’ultimo violento attacco attribuito a terroristi uighuri è quello di Turpan, nel luglio scorso, nel quale 24 persone rimasero uccise. Lo scorso 28 ottobre, una jeep ha investito la folla a piazza Tiananmen, a Pechino, uccidendo cinque persone. Anche questo episodio e’ stato attribuito ai secessionisti del Xinjiang. I gruppi di uighuri in esilio sostengono che Pechino esagera ad arte di ruolo dei terroristi e l’ accusa di praticare una politica di repressione. Dal 2009, sottolineano, centinaia di uighuri sono stati arrestati e imprigionati e decine di condanne a morte sono state eseguite nella regione.

fonte: ANSA

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Undici “terroristi” uccisi nello Xinjiang

Almeno 11 “terroristi” sono morti nella Cina occidentale in scontri con la polizia. Lo scrive l’agenzia Nuova Cina. L’episodio sono avvenuti nella provincia dello Xinjiang, al centro di scontri da tempo tra gli uighuri, di religione musulmana, e le autorità cinesi. I primi chiedono maggiore autonomia e libertà di culto, i cinesi li considerano terroristi secessionisti. Secondo la Nuova Cina, otto “terroristi” sono morti uccisi dalla polizia negli scontri, tre invece sono morti a causa dello scoppio di una bombola di gas che trasportavano come bomba. Gli uighuri, a bordo di auto e ciclomotori, avrebbero tentato di attaccare con armi e bombole di gas una stazione di polizia nella contea di Wushi, prefettura di Aksu. Sei “terroristi” erano già stati uccisi in scontri simili lo scorso 24 gennaio a Xinhe, nella stessa prefettura di Aksu.

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