Se le autorità cinesi hanno fermamente condannato l’attacco terroristico alla redazione del Charlie Hebdo, la stampa ufficiale, pur condannando l’episodio, ha chiesto una maggiore comprensionedei fatti. Secondo un editoriale del Global Times, giornale vicino alle posizioni del partito comunista cinese, “dal punto di vista d’Oriente, quello che Charlie Hebdo ha pubblicato non è completamente difendibile ed è comprensibile che alcuni musulmani si sentono male per le vignette nella rivista”. L’editoriale non firmato però sottolinea che questo “non può essere usata per giustificare un attacco che è andato oltre i confini civili di tutte le società”. Il quotidiano lamenta che l’ondata di sostegno internazionale ai fatti di Parigi non si è verificata quando la Cina ha subito attacchi terroristici, come Pechino ha definito gli scontri avuti tra le forze di polizia e la minoranza uighura. Per il giornale, infatti, “La lotta al terrorismo ha bisogno di un alto livello di solidarietà tra la comunità internazionale. Il mondo è sempre unificato nella sua risposta agli attacchi terroristici che si sono verificati in Occidente, ma quando è il turno dell’Occidente di reagire a questi attacchi in paesi come la Cina e la Russia, spesso giri di parole.”. Il sostegno dato ai giornalisti di Charlie, è per l’editoriale l’occasione per criticare la visione occidentale della libertà di stampa. “Notiamo che molti leader occidentali e media di tendenza – è scritto nell’articolo – hanno evidenziato il loro sostegno per la libertà di stampa nel commentare l’incidente. Questo rimane una questione aperta. La libertà di stampa si trova all’interno dei sistemi politici e sociali dell’Occidente ed è un valore fondamentale. Ma in questi tempi globalizzati, quando le loro azioni contraddicono con i valori fondamentali di altre società, l’Occidente dovrebbe avere la consapevolezza di facilitare i conflitti, invece di accentuando in conformità con i propri valori in un modo a somma zero.”. Per il Global Times, “poichè l’Occidente detiene predominio assoluto in giudizio globale, le società non occidentali possono a malapena far ascoltare nel mondo il loro disaccordo. L’Occidente deve controllare coscientemente il suo uso di “soft power”. Anche se l’Occidente pensa che sia giusto sostenere la libertà di stampa – contiua l’editoriale – vale ancora la pena rispettare i sentimenti degli altri. Se l’Occidente pensa della globalizzazione come ampliamento assoluto e la vittoria di certi valori, allora è in cerca di guai senza fine.”. Il Global Times chiude poi l’editoriale con l’invito all’Occidente ad essere “più mite nell’esprimere scontri culturali e prendere in considerazione i sentimenti di molti altri” cosa che “sarebbe molto gratificante e rispettabile”.
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Le autorità cinesi condannano l’attentato di Parigi, ma i giornali riflettono sulla libertà di stampa occidentale
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Processo d massa nello Xinjiang, tre condanne a morte
Almeno tre condanne a morte e centinaia di anni di prigione sono stati inflitti a 55 imputati nella regione cinese dello Xinjiang nel corso di un raduno di massa. Il processo, che ha risvegliato le memorie dei raduni delle Guardie Rosse negli anni duri del comunismo, si è svolto in uno stadio nella città di Yining davanti ad un pubblico di circa settemila persone, secondo l’agenzia Nuova Cina. Foto diffuse su internet che in seguito sono state cancellate mostrano camion di militari in tenuta anti-sommossa dai quali vengono fatti scendere gli imputati, che indossano le divise arancioni dei galeotti. Gli spalti dello stadio sono gremiti di spettatori. Un dirigente locale del Partito Comunista Cinese (Pcc), Li Minghui, ha dichiarato che il raduno ha messo in evidenza la “risoluta determinazione” delle autorità a sconfiggere i “tre mali” e cioè, secondo uno slogan del Pcc, “il terrorismo, il separatismo e l’estremismo”. Dagli articoli non risulta chiaro quale autorità abbia condotto il processo, né se siano stati presenti avvocati difensori degli imputati. I media aggiungono che in un analogo processo collettivo la scorsa settimana sono stati condannati alcune decine di imputati. Inoltre, è stato annunciato che altre 65 persone sono state arrestate e che verranno giudicate nei prossimi giorni. Gli imputati sono accusati di reati che vanno dal “terrorismo” al secessionismo all’appartenenza a gruppi terroristici. Le tre condanne a morte, secondo Nuova Cina, sono state inflitte a persone accusate di aver massacrato con “sistemi estremamente violenti” una famiglia di quattro persone. I resoconti non forniscono particolari sull’etnia dei condannati ma non ci possono essere dubbi che si tratta in grande maggioranza di uighuri, turcofoni e musulmani. I processi di massa vengono dopo una serie di attentati attribuiti all’ala estremista degli uighuri, che secondo Pechino è legata all’internazionale islamica del terrore che ha le sua basi in Pakistan e in Afghanistan. I principali gruppi attivi nello Xinjiang, sempre secondo le autorità cinesi, sono il Movimento Islamico del Turkestan dell’Est (Etim) e Turkestan Islamic Party (Tip). Gli esuli uighuri, la cui rappresentante più conosciuta è l’ex imprenditrice Rebiya Kadeer, affermano che Pechino esagera ad arte la forza di questi gruppi per giustificare una politica di repressione e di genocidio culturale. Gli uighuri oggi sono circa il 40% dei venti milioni di abitanti dello Xinjiang, che nei decenni passati è stato meta di una massiccia immigrazione da regioni povere della Cina. Le relazioni tra gli uighuri e i cinesi di etnia han sono estremamente tese dal 2009, quando quasi 200 persone furono uccise nella capitale provinciale Urumqi in scontri a sfondo etnico. Da allora la regione è militarizzata ed è impossibile visitarla per osservatori indipendenti. Sono stati eseguiti migliaia di arresti e celebrati centinaia di processi nei quali sono state comminate decine di condanne a morte. Migliaia di uighuri sono emigrati clandestinamente, o hanno tentato di farlo, raggiungendo vicini paesi dell’Asia centrale o sudorientale. Dall’anno scorso è stato un crescendo di attentati che, oltre alle principali città dello Xinjiang, si sono verificati in posti lontani come la capitale Pechino e Kunming, nel sud del paese. Nell’attacco più recente, che secondo la polizia cinese è stato condotto da cinque terroristi suicidi, 39 persone sono state uccise a Urumqi in un mercato frequentato dai cinesi han.
Beniamino Natale per Ansa
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Paura attacchi terroristici, arresti a Pechino e nello Xinjiang
La Cina ha rafforzato le misure di sicurezza nella capitale Pechino, dopo una serie di attacchi terroristici attribuiti a esponenti della minoranza etnica degli uighuri. Lo affermano oggi i media cinesi, che riferiscono anche che nel Xinjiang, la regione del nordovest dove vivono la grande maggioranza dei circa nove milioni di uighuri cinesi, oltre 200 persone sono state fermate dalla polizia perche’ sospettate di complicita’ con i terroristi responsabili degli attacchi. Nella capitale, sono state schierate 150 pattuglie di poliziotti armati col compito di “contrastare il terrorismo”. Oltre alla tensione con la minoranza uighura a preoccupare i responsabili dell’ ordine pubblico c’ e’ anche l’ avvicinarsi del 25/mo anniversario del massacro di piazza Tiananmen. I 232 fermati nel Xinjiang, secondo il quotidiano Global Times, sono sospettati di aver “diffuso su Internet informazioni e video che promuovono il terrorismo”. L’ attacco piu’ grave si e’ verificato il primo marzo alla stazione di Kunming, nel sud della Cina, dove 29 persone sono state uccise prima che la polizia intervenisse ed eliminasse quattro terroristi. Analoghi attacchi si sono in seguito verificati in seguito ad Urumqui (tre morti) e a Guangzhou, dove non ci sono state vittime.
fonte: ANSA
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Bomba in stazione dello Xinjiang, spettro terrorismo
Torna lo spettro del terrorismo nella tormentata provincia cinese dello Xinjiang a forte presenza musulmana: almeno tre persone sono rimaste uccise e altre 79 ferite in un’esplosione avvenuta nel capoluogo Urumqi, proprio all’indomani della visita nella regione del presidente Xi Jinping. Quello che è stato definito dai media di Stato un “attacco terroristico violento” si è verificato alle 19.30 locali nella stazione ferroviaria di Urumqi. Secondo gli inquirenti, gli attentatori hanno lasciato una bomba all’interno di un bagaglio all’uscita della stazione, vicino alla fermata degli autobus, e avevano anche dei coltelli per aggredire i passanti. Lo Xinjiang, provincia autonoma del nord ovest del Paese, ha registrato episodi di violenza negli ultimi mesi, con scontri tra gli uighuri, di religione musulmana, e il potere cinese, che hanno provocato oltre venti morti. Da anni i primi chiedono maggiore autonomia, libertà di culto ed il rispetto delle loro tradizioni, ma il regime di Pechino li considera terroristi secessionisti. Lo stesso presidente Xi, che proprio ieri ha visitato per la prima volta lo Xinjiang, ha bollato la regione come una “frontiera della lotta al terrorismo”, sollecitando un impegno maggiore delle forze dell’ordine. Gli uighuri, di lingua turcofona e di religione islamica, sono gli abitanti originari della zona e oggi rappresentano circa il 40% dei 20 milioni di abitanti della provincia, ma lamentano di essere diventati una minoranza nella loro terra in seguito alla massiccia immigrazione dalle altre province cinesi e di essere lasciati ai margini dello sviluppo economico. Dal 2009 – quando quasi 200 persone furono uccise nella capitale Urumqi in scontri tra diverse etnie – la provincia e’ sotto uno stretto controllo militare e poliziesco. Gli uighuri in esilio denunciano migliaia di arresti e di condanne mentre le autorità di Pechino mettono l’accento sul pericolo rappresentato dal radicalismo islamico e dai gruppi jihadisti. Il pugno duro contro il “terrorismo” è stato agitato anche questa volta dal leader cinese, ieri, nel corso della sua visita nella turbolenta provincia, ‘addolcito’ comunque da un gesto distensivo. Dopo aver incontrato una famiglia uighura, Xi ha invitato la minoranza musulmana a imparare il cinese ma anche i cinesi ad imparare l’uighuro, per favorire una maggiore comprensione tra le due etnie.
fonte: ANSA
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Gruppo jihadista rivendica attentato a Tiananmen
Un gruppo jihadista, il sedicente “Partito islamico del Turkestan” ha rivendicato l’attacco a piazza Tiananmen a Pechino del 28 ottobre scorso, tre i morti. “Si è trattato di una operazione jihadista”, afferma il Site, il centro di monitoraggio dell’estremismo islamico sul web: il gruppo ha pubblicato un comunicato del loro leader, in lingua uighura. “E’ solo l’inizio”, afferma la sigla. Già tre giorni dopo l’attentato – che causò anche una quarantina di feriti e in cui persero la vita, oltre alle vittime, tre kamikaze – Meng Jianzhu, massimo responsabile della sicurezza in Cina, aveva parlato di un attacco ”organizzato e premeditato” con la complicità del Movimento Islamico del Turkestan dell’Est (Etim): un gruppo legato all’ internazionale islamica del terrore con basi in Afghanistan e nelle aree tribali del Pakistan, che si richiama a una vasta regione geografica (un tempo chiamata Turkestan) estesa fino a parte dell’Asia centrale ex sovietica. Secondo le autorità cinesi, l’Etim avrebbe in effetti dato ”appoggio” logistico agli attentatori suicidi. Dopo l’attacco, 5 persone di etnia uighura erano state del resto già arrestate a Pechino come presunti fiancheggiatori dei kamikaze. Gli uighuri sono una minoranza etnica di religione musulmana originaria del Xinjiang, nel nordovest della Cina. I nazionalisti uighuri indicano il territorio in cui vivono come ‘Turkestan dell’Est’.
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