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Boom delle spese militari cinesi, +12,2% e obiettivo crescita al 7,5% annuo

Boom delle spese militari, ma anche crescita economica stabile fissata al 7,5% annuo e “guerra” all’inquinamento. Sono i punti principali del rapporto del governo all’Assemblea Nazionale del Popolo, il “Parlamento” di Pechino che si è aperto oggi. Davanti ai tremila delegati nell’imponente Sala dell’Assemblea del Popolo, il premier Li Keqiang si è soffermato sull’importanza della stabilità economica, indicando tra i suoi obiettivi il contenimento dell’inflazione e un tasso di cambio dello yuan senza variazioni di rilievo. Ma l’attenzione degli osservatori stranieri si è concentrata sull’aumento delle spese per la difesa del 12,2%, ad un tasso ancora superiore di quello del 2013, quando era stato del 10,7%. Secondo Dennis J.Blasko, un ex addetto militare a Pechino intervistato dal New York Times, “una parte significativa” della spesa verrà impiegata per aumentare i salari di ufficiali e soldati. “Sono frequenti le dichiarazioni secondo le quali gli ufficiali dell’Esercito di Liberazione Popolare (o Pla), devono essere pagati meglio dei funzionari civili”, ha aggiunto. Il portavoce del governo di Tokyo Yoshihide Suga ha affermato tuttavia che si tratta di “un motivo di preoccupazione” per il Giappone, impegnato in una rovente disputa territoriale con Pechino nel Mar della Cina Orientale, dove entrambi i paesi rivendicano la sovranità sulle isole Senkaku/Diaoyu, disabitate ma in una posizione strategica al centro di una zona ricca di materie prime. Pechino ha investito ingenti cifre nell’ammodernamento della sua Marina militare, rimettendo a nuovo anche la sua prima portaerei, la Liaoning, acquistata nel 1998 dall’Ucraina. “Rafforzeremo in modo significativo la natura rivoluzionaria delle forze armate cinesi, modernizzeremo ulteriormente le loro prestazioni e continueremo a incrementare il loro livello di deterrenza e la loro capacita’ di combattimento”, ha sottolineato il premier. Nel suo rapporto, Li Keqiang ha messo l’accento sulla necessità di “misure radicali per rafforzare il controllo e la prevenzione” dell’ inquinamento dell’aria, che nella capitale Pechino e in tutta la Cina del nord ha superato i limiti di guardia. “Un ambiente sano ed ecologico è vitale per il benessere del popolo e per il futuro del Paese”, ha affermato Li, aggiungendo che la Cina deve “dichiarare guerra all’inquinamento come (in precedenza) l’ha dichiarata alla povertà”. I gruppi per i diritti umani hanno denunciato che decine di dissidenti sono stati preventivamente messi agli arresti domiciliari o costretti ad allontanarsi dalla capitale, come spesso succede in occasione delle importanti scadenze politiche. In un confuso episodio, quattro o cinque dissidenti sono stati bloccati dalla polizia su piazza Tiananmen, dove sorge l’enorme palazzo in stile stalinista nel quale si svolgono i lavori. Secondo voci non confermate, una delle persone arrestate, una donna, avrebbe tentato di darsi fuoco. La sessione dell’Assemblea Nazionale del Popolo durerà dieci giorni.

fonte:Beniamino Natale per ANSA

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Giappone aumenta spese militari dopo tensione con Cina

Il Giappone “mostra i muscoli” e vara le nuove linee relative alla “Strategia nazionale sulla sicurezza” con un piano che riflette le crescenti tensioni con la Cina sulle sovranità delle isole Senkaku, controllate da Tokyo e rivendicate da Pechino con il nome di Diaoyu. Il governo ha deciso di aumentare del 5% le spese militari nei prossimi cinque anni per dotare le Forze di Autodifesa di equipaggiamenti “mirati” alla tutela dei territori più lontani, stanziando 24.670 miliardi di yen (175 miliardi di euro) tra il 2014 e il 2019. Nel programma, che fissa più stretti legami con Usa, Corea del Sud, Australia, India, Ue e Paesi dell’Asean, si apre alla revisione dei termini sull’export di armi a conferma di un’inversione di rotta sulle politiche restrittive e si menzionano acquisti di droni, aerei a decollo verticale, mezzi anfibi, missili, elicotteri da trasporto truppe, caccia F35A, sottomarini e distruttori con tecnologia Aegis per assicurare il controllo delle oltre 6.800 isole (secondo i dati governativi) dell’arcipelago nipponico, includendo anche le più remote. Il piano, per altro verso, segna un’altra pietra miliare nei propositi del premier conservatore Shinzo Abe, determinato a rafforzare la difesa e ad alleggerire le restrizioni maturate nel dopoguerra sulle forze armate. Il Giappone, dopo la pesante sconfitta nella Seconda guerra mondiale, ha una costituzione “pacifista” imposta dagli Usa che vieta la creazione di forze armate se non per l’autodifesa. L’approccio più “proattivo”, con l’assertività cinese, mira al concetto di difesa “dinamica”, integrando l’operatività delle Forze di Autodifesa e la creazione di unità anfibie simili ai Marines americani. Il documento riconosce “un ambiente circostante sempre più severo”, vista anche la minaccia nucleare della Corea del Nord, condanna la politica aggressiva di Pechino e ribadisce che la zona di identificazione aerea cinese definita il 23 novembre è “incompatibile con le leggi internazionali”. “La strategia di sicurezza è progettata per rendere la nostra politica estera chiara e trasparente in patria e all’estero”, ha commentato Abe, assicurando che il Sol Levante potrà dare così “contributi ulteriori alla pace e alla sicurezza globale”. Anche il patriottismo si affaccia: il Giappone promuoverà “l’amore per il Paese” causando, inevitabilmente, sospetti e critiche in funzione del passato militarismo. Pechino e Seul, infatti, hanno criticato le mosse di Tokyo: la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, ha esortato il Giappone a “riflettere seriamente sulla sua storia” e a rispettare le preoccupazioni dei vicini, con “azioni reali” per la pace e la stabilità nella regione. Toni simili (“bisogna guardare alla verità della storia”) dalla Corea del Sud, con cui c’è il contenzioso territoriale sugli scogli di Dokdo/Takeshima. “Sono solo le linee fondamentali sulla sicurezza nazionale, incentrata sulla politica di difesa e sull’azione diplomatica”, ha assicurato il ministero degli Esteri nipponico, che tengono conto, hanno osservato i funzionari che hanno illustrato alla stampa il ponderoso piano, di “situazioni oggettive”.

fonte: Antonio Fatiguso per ANSA

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Nuovo aumento a due cifre delle spese militari cinesi nel 2013

La Cina ha annunciato oggi un aumento a due cifre delle spese militari, che quest’anno cresceranno del 10,7%. Un aumento, che conferma una tendenza emersa negli ultimi dieci anni destinato a suscitare preoccupazione in molti Paesi vicini come il Giappone, le Filippine e il Vietnam, con i quali Pechino ha in corso delle dispute territoriali che negli ultimi mesi hanno raggiunto punte di asprezza senza precedenti. La disputa col Giappone sulle isole Senkaku/Diaoyu, controllate da Tokyo ma rivendicate da Pechino e da Taiwan, ha portato le relazioni diplomatiche tra i due Paesi al punto più basso degli ultimi decenni. Pesanti scambi di accuse si sono verificati anche tra Pechino e Hanoi e Pechino e Manila per le dispute di sovranità nel Mar Cinese Meridionale. La Cina è anche preoccupata per la virata impressa alla politica estera americana dall’amministrazione di Barack Obama, che ha fatto dell’ Asia il ‘perno’ della sua presenza sulla scena internazionale. Per il terzo anno consecutivo la spesa per la sicurezza interna salirà in termini assoluti più di quella militare – a 769 miliardi di yuan contro 720 miliardi di yuan (rispettivamente circa 94 miliardi e 88 miliardi di euro) – a dimostrazione della preoccupazione che la Cina nutre per la sicurezza interna. La situazione rimane precaria nel Tibet, scosso dal dramma delle autoimmolazioni di protesta, e nel Xinjiang, i vasti territori abitati da minoranze etniche che si ritengono emarginate dallo sviluppo economico del Paese. I cosiddetti “incidenti di massa”, cioé azioni di protesta popolare, in genere per dispute legale alla terra, continuano a crescere e sono state circa 90 mila nel 2010, secondo gli studi di alcuni istituti governativi.

fonte: ANSA

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Crescono le spese militari in Cina

Le spese militari della Cina aumenteranno dell’11,2 % nel 2012. Lo ha detto oggi il portavoce dell’Assemblea nazionale del popolo Li Zhaoxing, in una conferenza stampa a Pechino. L’Assemblea, la versione cinese di un parlamento, aprirà domani la sua sessione annuale.

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Dal 13 febbraio Xi Jinping negli Usa

Cominicera’ il prossimo 13 febbraio una visita che portera’ il vice presidente cinese (e prossimo presidente designato) Xi Jinping a visitare Stati Uniti, Irlanda e Turchia fino al 22 febbraio. Lo ha detto poco fa in conferenza stampa il portavoce del ministero degli esteri di Pechino Liu Weimin. Xi Jinping si rechera’ negli Usa su invito del suo omologo Joe Biden. Xi dovra’ anche cercare di smorzare le polemiche e le frizioni fra i due paesi che ha visto ieri la Cina criticare nuovamente gli Usa, chiedendo di abbandonare la sua ”mentalita’ da guerra fredda” e di smettere di fare accuse infondate contro la Cina. Le dichiarazioni, secondo quanto riferisce l’Agenzia Nuova Cina, sono state fatte dallo stesso Liu Weimin. Commentando una relazione annuale sulla minaccia alla sicurezza nazionale da parte del governo di Washington, Liu ha parlato di accuse ”totalmente false”, fatte alla Cina addirittura con un secondo fine. La relazione americana afferma che la Cina ha invaso le reti di computer americani su larga scala, effettuando furti di proprieta’ intellettuale e conducendo spionaggio economico. Nel dossier si sostiene che le agenzie di intelligence cinesi rappresentano la piu’ grande minaccia per gli Stati Uniti in settori rilevanti. Gli attacchi informatici, ha risposto il portavoce cinese, sono transnazionali e anonimi per cui e’ ”poco professionale e irresponsabile” indicare la fonte di un attacco senza effettuare indagini molto approfondite. Liu ha concluso poi dicendo che la Cina ha piu’ volte dichiarato la sua posizione sulle questioni in materia di sicurezza informatica e che e’ disposta a proseguire la cooperazione con la comunita’ internazionale per la salvaguardia della sicurezza nella rete.

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Taiwan, sconfitta indipendentista, sollievo Usa e Cina

Tanto Pechino che Washington tirano oggi un sospiro di sollievo dopo che a Taiwan il presidente in carica, Ma Ying-jeou, ha ottenuto un secondo mandato, vincendo di misura le elezioni che si sono tenute oggi con il 51,5 dei voti contro il 45,7 della sfidante indipendentista Tsai Ing-wen, sconfitta. Sia la Cina che gli Usa temevano l’instabilita’ che sarebbe seguita a un’eventuale vittoria di Tsai, che nelle campagna elettorale ha criticato il presidente Ma, 61 anni, del partito nazionalista Kuomintang, per la sua ”debolezza” verso la Cina. Pechino infatti considera Taiwan – che da un secolo si è di fatto sganciata dal resto della Cina, si autogoverna e ha creato un sistema istituzionale pienamente democratico – parte integrante del proprio territorio. Gli Usa sono legati a Taipei da stretti rapporti economici e culturali e da un Trattato, il Taiwan Relations Act, che li impegna a intervenire militarmente a fianco dell’isola in caso di ”aggressione esterna”. Le relazioni tra Cina e Usa, gia’ difficili per le divergenze su una serie di temi, che vanno dal commercio ai diritti umani e agli equilibri nel Pacifico meridionale, si sarebbero trovate di fronte a un nuovo ostacolo nel caso di una vittoria di Tsai e del suo Partito Democratico Progressista (Dpp), che rivendica l’indipendenza dalla Cina e che e’ stato fortemente critico verso le aperture di Ma a Pechino. Nei quattro anni del primo mandato di Ma le relazioni con Pechino hanno conosciuto un netto miglioramento, che ha portato alla regolarizzazione dei collegamenti navali e aerei tra le due sponde dello Stretto di Taiwan e alla firma d’un trattato di cooperazione economica che prevede, tra l’altro, la detassazione d’una serie di esportazioni taiwanesi nella Repubblica Popolare. Tsai Ing-wen, 55 anni, la prima donna a concorrere per la massima carica istituzionale dell’isola, ha ammesso la sconfitta e ha annunciato le sue dimissioni dalla carica di presidente del Dpp, il principale partito di opposizione. Il margine della vittoria e’ nettamente inferiore a quello con il quale Ma vinse le elezioni del 2008 – superiore al 17% – ma il Kuomintang ha vinto anche le elezioni per il Parlamento, ottenendo 65 dei 113 seggi in palio; un risultato che permettera’ a Ma di proseguire nella sua politica di cauta apertura a Pechino. ”Abbiamo vinto, nei prossimi quattro anni le relazioni con l’altra sponda dello Stretto sarannno piu’ pacifiche, con maggiore fiducia reciproca e le possibilita’ di un conflitto saranno ridotte”, ha detto Ma parlando ai suoi sostenitori dopo l’annuncio dei risultati. A Taiwan il tema delle relazioni con il grande vicino e’ estremamente delicato e nel corso della campagna elettorale Ma Ying-jeou ha precisato che il suo governo proseguira’ sulla linea seguita nei primi quattro anni di mandato: migliorare le relazioni economiche e culturali con la Cina senza arrivare ”ne’ all’unificazione ne’ alla dichiarazione d’indipendenza”.

fonte: ANSA

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Domani elezioni presidenziali a Taiwan, preoccupati Cina e Usa

I 18 milioni di elettori taiwanesi vanno domani alle urne per eleggere il nuovo presidente in un esercizio che sarà seguito con attenzione da Pechino, che rivendica l’isola, di fatto indipendente da sei decenni, come parte del suo territorio e da Washington, legata a Taiwan da un trattato che le impone di intervenire in caso di “aggressione esterna”. Le relazioni dell’isola con la Cina sono ottime da quattro anni, cioé da quando è salito al potere Ma Ying-jeou, leader del Partito Nazionalista (o Kuomintang), che ha rafforzato gli scambi economici e culturali con la “mainland”. Nonostante i buoni risultati economici conseguiti da Ma anche grazie ai rapporti con la Cina, il presidente uscente ha trovato un’avversaria agguerrita in Tsai Ing-wen, la leader dell’indipendentista Partito Democratico Progressista (Dpp nella sigla inglese). Gli analisti affermano che il terzo candidato, James Soong, non ha alcuna possibilità’ di vincere le elezioni ma potrebbe togliere voti a Ma Ying-jeou. Secondo gli ultimi sondaggi – vietati negli ultimi dieci giorni di campagna elettorale – Ma ha un leggero vantaggio su Tsai. Il presidente uscente rivendica come un successo il miglioramento delle relazioni con Pechino, che ha portato all’instaurazione di regolari collegamenti aerei e navali tra “le due sponde dello stretto di Taiwan” e a un accordo sul commercio che ha tagliato le tariffe sulle esportazioni dell’isola nella Repubblica Popolare Cinese. In caso di vittoria Tsai, un’economista di 55 anni, sarebbe la prima donna a diventare presidente della Repubblica di Cina (il nome ufficiale di Taiwan). La leader del Dpp sostiene che il riavvicinamento alla Cina promosso da Ma è stato troppo frettoloso e che prima di rafforzare i legami con la Repubblica Popolare, i taiwanesi devono decidere che tipo di relazione intendono avere con Pechino. Le preoccupazioni della Cina sono rafforzate dal fatto che l’inizio del processo che porterà al potere un nuovo gruppo dirigente al posto di quello guidato dal presidente Hu Jintao e dal premier Wen Jiabao è previsto per l’ autunno prossimo. I risultati delle elezioni, alle quali si ritiene che prenderà’ parte il 75-80% degli elettori taiwanesi, si conosceranno già’ nella serata locale di domani (il pomeriggio in Italia).

fonte: ANSA

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Vendita armi a Taiwan blocca scambi

La vendita di armi americane a Taiwan ”inficera’ gli scambi militari e le esercitazioni congiunte tra Usa e Cina”. Lo ha detto oggi in conferenza stampa il portavoce del ministero della difesa di Pechino, Geng Yansheng. ”Alla luce del serio danno che risulta dalla vendita di armi da parte degli Usa a Taiwan, gli scambi militari gia’ programmati tra Cina e Stati Uniti, incluse le visite ad alto livello e le esercitazioni congiunte, ne riceveranno sicuramente un impatto”, ha detto Geng. La risposta cinese arriva dopo la decisione americana, osteggiata da Pechino, di vendere armi per un valore di 5,85 miliardi di dollari americani a Taiwan, compreso un miglioramento per 145 jet da guerra F-16 gia’ in possesso dell’esercito di Taipei.

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Pechino infuriata con Washigton per armi a Taiwan, e il senato americano, spaventato dai cinesi, blocca vendita

Dopo il ministero degli Esteri cinese, anche quello della Difesa ha condannato con parole pesanti la nuova vendita di armi americane a Taiwan, alzando i toni di una polemica che si verifica ogni volta che Washigton fornisce armamenti a Taipei. La Cina considera Taiwan, che si autogoverna dal 1949, un suo territorio e la “riunificazione” con l’isola è uno dei principali obiettivi della sua politica estera. “I militari cinesi esprimono la loro grande indignazione e la loro ferma condanna di questa azione, che interferisce negli affari interni della Cina e danneggia la sua sicurezza e i suoi interessi nazionali”, ha scritto sul sito web della difesa il portavoce Geng Yansheng. In precedenza, l’ambasciatore americano a Pechino Gary Locke era stato convocato dal ministero degli Esteri, dove il viceministro Zhang Zhijiun gli ha espresso la formale protesta del governo di Pechino. “Il comportamento illecito degli Stati Uniti – ha detto Zhang Zhijun a Locke – minerà inevitabilmente le relazioni bilaterali, così come gli scambi e la cooperazione nelle aree di sicurezza e militari”. Anche il principale giornale governativo cinese, il Quotidiano del Popolo, ha condannato Washngton in un editoriale nel quale afferma che “i politici americani sbagliano di grosso se pensano di poter, da una parte, chiedere alla Cina di comportarsi come una potenza responsabile… e dall’altra agire in modo irresponsabile, danneggiando gli interessi fondamentali della Cina”. Gli Usa hanno deciso di ammodernare i 145 caccia F-16 già in possesso dell’aviazione taiwanese. Questo aggiornamento, secondo gli esperti americani, li metterà in grado di avere le stesse capacità del nuovo modello, gli F-16 C/D, che Taiwan ha chiesto invano di acquistare. Gli Usa sono obbligati da una legge chiamata Taiwan Relations Act a rifornire gli arsenali dell’esercito di Taipei, che si ritiene minacciato dal massiccio schieramento militare cinese sullo stretto di Taiwan. La polemica sulle armi a Taiwan viene in un momento delicato delle relazioni tra Pechino e Washington, in crisi su un vasto arco di problemi che vanno dalle dispute commerciali e sullo yuan, la valuta cinese che gli Usa ritengono artificialmente sottovalutata, alla situazione dei diritti umani in Cina.
Il senato americano ha bocciato ieri una proposta che avrebbe costretto il presidente Barack Obama a vendere a Taiwan 66 nuovi caccia F-16, invece di limitarsi modernizzare la flotta degli aerei già in dotazione all’isola stato. Sulla proposta 48 senatori hanno votato a favore e 48 contro ma per farla passare era necessario raggiungere almeno i 60 suffragi. Il voto giunge all’indomani dell’annunciato piano del Pentagono che prevede uno stanziamento di 5,8 miliardi di dollari per un aggiornamento tecnologico degli F-16 di cui l’aeronautica di Taiwan già dispone. La Cina ha protestato e l’ambasciatore americano a Pechino è stato convocato al ministero degli esteri. Diversi parlamentari americani hanno a loro volta accusato l’amministrazione Obama di essersi limitata a un piano di ammodernamento per paura delle reazioni di Pechino.

fonte: ANSA

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Usa annuncia vendita armi a Taiwan e la Cina si incazza

Sale nuovamente la tensione tra Usa e Cina per la vendita di armi a Taiwan. L’amministrazione Obama ha annunciato oggi di aver presentato al Congresso Usa un pacchetto di aiuti militari all’isola per 5,8 miliardi di dollari per permettere l’ammodernamento dei caccia F16 (di fabbricazione Usa) dell’aeronautica di Taipei. La risposta di Pechino non si è fatta attendere. Il governo cinese ha definito la decisione “un segnale gravemente sbagliato” ed ha ammonito gli Stati Uniti a non compiere nuove azioni contro “gli interessi strategici” cinesi a Taiwan. Il vice ministro degli Esteri di Pechino, Zhang Zhijun, ha aggiunto “che gli atti irresponsabili da parte americana avranno delle conseguenze nelle relazioni bilaterali e nella cooperazione nei settori militari e della sicurezza”. Zhang ha rivelato inoltre di aver avuto istruzioni di convocare l’ambasciatore americano a Pechino per rivolgergli una ferma protesta. La settimana scorsa, la Casa Bianca ha deciso di non vendere a Taiwan, su pressione cinese, i 66 caccia F16 di ultima generazione richiesti, scegliendo invece di ammodernare la flotta già in servizio nell’isola. Di fronte a quella che considera una “crescente minaccia” cinese, Taiwan chiese nel 2007 di potersi dotare di 66 caccia F16 C/D ma dovrà invece accontentarsi di un ammodernamento dei ‘vecchi’ F16 A/B, che saranno potenziati nell’armamento e nelle capacità radar. “L’espansionismo militare della Cina costituisce ancora una minaccia per Taiwan. Aumentare la nostra capacità di difesa militare è cruciale ed è l’unica misura per garantire la sicurezza regionale”, ha scritto in un comunicato il ministero della Difesa di Taiwan. Pechino considera Taiwan coma una provincia separatista mentre gli Stati Uniti, pur riconoscendo il principio di una sola Cina, si sono impegnati a garantire la protezione militare dell’isola. La Cina ha sempre considerato la vendita di armamenti a Taiwan da parte degli Stati Uniti un’ingerenza nei propri affari interni.

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