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Xi Jinping va a mangiare baozi di maiale in un fast food

Sono diventate virali sulla rete cinese le foto che ritraggono il presidente cinese Xi Jinping entrare come un qualsiasi cliente in una catena di fast food cinese a Pechino, ordinare del cibo, pagare e consumarlo insieme agli altri. Senza nessuno al seguito, il presidente cinese e segretario del partito comunista cinese, è entrato a pranzare nel ristorante del quartire di Xinjiekou a Pechino, appartenente alla catena Qing-Feng, molto popolare in Cina. Le immagini sono state ritwittate su Sina Weibo, il twitter cinese, da diversi utenti, ma anche dai profili dell’agenzia di stato, della televisione e di altri organi ufficiali, dando ufficialità all’evento. Secondo quanto si legge in rete, il presidente avrebbe ordinato sei ‘baozi’ (tipici panini cotti al vapore) con ripieno di maiale, del fegato fritto di maiale e un piatto di verdure, pagando 21 yuan, circa 2,4 euro. Le immagini ritraggono Xi fare la fila come tutti e pagare di tasca sua, prima di sedersi come gli altri e di ripulire il suo vassoio. Tantissimi messaggi che inneggiano a questa azione, altra prova del soft power cinese ma soprattutto del nuovo volto dell’establishment cinese che lo stesso Xi ha voluto dare. Ma non mancano anche gli scettici che parlano di foto combinate, come quelle messe in rete subito dopo del presidente che visita una casa per anziani. Lo scorso aprile, si era diffusa la voce che Xi fosse salito su un taxi e avesse fatto una corsa come un normale passeggero, poi smentita dalla stampa ufficiale.

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Si espande in silenzio il soft power di Pechino

La voce della Cina, la superpotenza emergente sulla scena mondiale, arriva in Europa attraverso i mezzi di comunicazione legati a Pechino, come l’ agenzia Nuova Cina e la televisione di Stato Cctv, che hanno investito miliardi di dollari per promuovere l’ immagine del loro Paese. Ma Pechino sta usando con sempre maggior frequenza media apparentemente indipendenti che non dichiarano la loro appartenenza al governo cinese, come la società Global Broadcasting Times (o Gbtimes), che è basata in Finlandia e che opera in numerosi Paesi dell’ Europa. In Italia, Gbtimes è proprietaria all’ 80% dell’ emittente di Milano Radio Globale, che diffonde i suoi programmi. A sua volta, ha dichiarato all’ ANSA il vicepresidente Henrik Resman, Gbtimes è di proprietà per il 60% di Radio China International e di due fondi d’ investimento cinesi, mentre il restante 40% è di proprietà di individui sia finlandesi che cinesi. Una serie di scatole cinesi dalla quale risulta che il governo di Pechino é coproprietario con quote di maggioranza di questi mezzi di comunicazione. La redazione di Radio Globale non ha risposto ad una email con la quale le venivano chiesti chiarimenti sulla struttura della sua proprietà. Il problema è già emerso in altri Paesi europei come la Danimarca, dove la SBS media, attraverso due emittenti radiofoniche, diffonde a pagamento i programmi della Gbtimes. In seguito ad un’ inchiesta del giornale “Dagbladet Information” la competente autorità danese, il Consiglio per l’ Informazione, sta ora valutando la possibilità che le due emittenti – The Voice e Radio Nova – abbiano violato la legge facendo passare della pubblicità pagata per informazioni prodotte autonomamente dai loro giornalisti. La vicenda Gbtimes-Radio Globale ricorda quella denunciata lo scorso novembre dal corrispondente da Pechino dell’ Australian Broadcasting Corporation (Abc), Stephen McDonell e che riguarda la Camg Media, un’ emittente di Melbourne il cui azionista di maggioranza è, ancora una volta, la cinese Rci, che però si presenta come “indipendente”. McDonell si era insospettito rilevando che nelle conferenze stampa legate al 18/mo congresso del Partito Comunista Cinese (Pcc), spesso la parola veniva data all’inviata della Camg Media, una ragazza sinoaustraliana che poneva domande innocue, evitando accuratamente i temi scottanti come gli scandali politici e la situazione dei diritti umani. Sul suo sito web (www.camg-media.com) la compagnia si presenta come un mezzo di comunicazione “emerso dall’ Oceania, che porta avanti progetti culturali e d’ informazione su tutta la regione dell’ Asia Pacifico”. Allo stesso modo la Gbtimes afferma sul suo sito web (http://gbtimes.com) di avere come obiettivo quello di “promuovere la comunicazione e la comprensione tra la Cina e il resto del mondo”, utilizzando il “terzo angolo”, vale a dire un punto di vista originale che “amplifichi le voci di culture diverse in modo tale che possano essere ascoltate”. Però, non chiarisce di essere un media del governo cinese. Anche Radio Globale (www.radioglobale.it) si presenta al pubblico affermando di voler “creare un ponte culturale tra la comunità cinese e quella italiana su base locale” ma non fa cenno ai suoi stretti rapporti con Gbtimes e Radio China International, cioé mezzi di informazione che sono legati al governo di Pechino e che ne riflettono le opinioni.

fonte: Beniamino Natale per ANSA

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Espansione di Cctv nel mondo, rafforzato il soft power

L’ obiettivo, secondo Cao Ri, direttore del Servizio Internazionale della televisione pubblica cinese, la Cctv, è quello di “fare in modo che all’estero la Cina sia capita e conosciuta”. Per questo, il governo cinese non sta badando a spese, decidendo di investire più di 7 miliardi di dollari nel tentativo di allargare il “soft power” nazionale tramite un’estesa rete di operatori dei media nel mondo intero. Una delle forme più visibili di quest’espansione è proprio quella della Cctv: dall’anno scorso, sono stati inaugurati i canali in lingua araba e russa, che si aggiungono dunque a quello in spagnolo, inglese e francese, mentre nel futuro se ne dovrebbe aggiungere anche uno in portoghese. “Per essere un ponte di comunicazioni”, ha ribadito Cao, parlando al Foreign Correspondents Club di Hong Kong: “e per rispondere meglio alla richiesta di informazioni sulla Cina che avvertiamo nel mondo intero, seguendo lo slogan di essere Obiettivi, Tempestivi, Efficaci, Affidabili e Accurati, fornendo una visione del mondo attraverso occhi asiatici”, ha detto. La decisione governativa di espandere così tanto la rete informativa nazionale non è senza controversie: l’intero sistema mediatico cinese è sotto il controllo della Sarft (State administration of radio, film and television), un organo esecutivo all’interno del Consiglio di Stato cinese, e per quanto si voglia presentare come “il mondo visto da occhi asiatici”, riporta la visione delle notizie approvata dal governo cinese: “sono consapevole delle nostre debolezze”, dice Cao, “ma credo che il nostro dovere sia quello di sfruttare i nostri vantaggi, come l’accesso all’intera Cina, e una redazione in Repubblica Popolare Democratica della Corea e in Myanmar. Io sono molto ottimista per il futuro, e sono impaziente di vedere il giorno in cui anche la Cctv potrà diffondere notizie come la vittoria del Premio Nobel per la Pace”, ha continuato Cao riferendosi all’assegnazione del Premio, nel 2010, al dissidente Liu Xiaobo che sta scontando undici anni di prigione per sovversione, “dal momento che negli ultimi trent’anni, da quando la Cina si è aperta sul mondo, i cambiamenti sono stati enormi, e l’ apertura continuerà sempre più: ci vuole tempo, ma la Cina sta cambiando”. Cao, di 45 anni, che ha studiato in Cina e in Inghilterra, pur essendo un membro del Partito Comunista Cinese, ha dichiarato che “oggi, non è certo necessario appartenere al Partito per essere giornalista in Cina: però aiuta”.

fonte: ANSA

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