Il giorno dopo la sua presentazione ufficiale, già in vendita in Cina le copie a basso costo dell’Apple Watch, l’ultimo nato nella casa di Cupertino. Sono molte le società di Shenzhen, la città meridionale cinese hub della produzione mondiale di apparati tecnologici, che hanno realizzato copie del ‘melorologio’, la maggior parte delle quali molto simili o uguali (almeno nel design e nell’involucro esterno, non nelle funzionalità) all’originale della Apple. Le copie sono in vendita sia nell’area commerciale di Huaqiangbei a Shenzhen, sia sulle piattaforme online di commercio elettronico. I prezzi partono dai 40 dollari (anche se alcuni modelli più elementari costano anche meno) e gli Apple Watch copia non funzionano con il sistema operativo Ios proprio dell’azienda che fu di Steve Jobs, ma con sistema operativo Android. Tutti hanno unna sim card per i collegamenti internet e le telefonate, molti anche le videocamere. Da ieri molte copie sono in vendita anche online sulle piattaforme di commercio elettroniche più diffuse, in particolare Taobao, di proprietà del colosso Alibaba. Questi è stata già accusata in passato di tollerare troppo la vendita di prodotti falsi nei suoi negozi online, tanto da attirarsi critiche governative e multe.
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Autorità cinesi accusano Alibaba di vendere prodotti falsi
Per la prima volta, le autorità cinesi si scagliano contro un gigante del commercio elettronico accusandolo di vendere prodotti contraffatti. Nel mirino di un rapporto dell’Amministrazione Statale per il Commercio e l’Industria (SAIC), Alibaba, il più grande gruppo del genere al mondo, al centro di un rapporto nel quale è accusata di gravi irregolarità, in particolare di vendita di prodotti falsi. Accuse che il gruppo cinese respinge ricordando i forti investimenti fatti nella battaglia contro i falsi. “Per lungo tempo – si legge nel rapporto del Saic – Alibaba non ha prestato la necessaria attenzione alle operazioni effettuate sulla sua piattaforma e non si è occupata della questione come avrebbe dovuto. Ora si trova ad affrontare una grossa crisi di credibilità e il suo comportamento ha una cattiva influenza anche su altri operatori che lavorano in Internet e che invece cercano di agire legalmente”. Secondo quanto scritto dalla stampa cinese, già nel luglio scorso la società era stata messa in allerta, durante un incontro ufficiale, ed invitata a maggiori e più stringenti controlli che però pare non siano stati effettuati. All’epoca fu fatto tutto a porte chiuse, per non rischiare di compromettere l’offerta pubblica iniziale, che poi ha portato a settembre la quotazione record di 25 miliardi di dollari di Alibaba a New York. Ma ora, a distanza di alcuni mesi, le autorità cinesi sono tornate alla carica. Anche perché, secondo la SAIC, Alibaba nel frattempo ha fatto poco o nulla per cercare di risolvere o quantomeno contenere il problema, ma anzi continua a consentire sulle proprie piattaforme di e-commerce, in primis Taobao ma anche Tmall, la vendita di prodotti falsi o contraffatti, in particolar modo sigarette e alcolici, ma anche prodotti di telefonia, borse e accessori vari. Il problema, sottolineano alcuni esperti, è che Alibaba non vende in maniera diretta ma consente a venditori terzi di usare il suo spazio per pubblicizzare e poi vendere i loro articoli. Inoltre, molti di questi negozianti non si sono mai registrati, non hanno licenze ufficiali e commettono reati che includono in alcuni casi anche la corruzione dei dipendenti di Alibaba. In un separato rapporto pubblicato il 23 gennaio, la SAIC ha fatto sapere che a seguito di ispezioni e controlli a campione, di 51 articoli venduti su Taobao, solo 19 sono risultati originali. Dal canto suo il gigante delle vendite on line cinesi, pur dichiarando di volersi “assumere la responsabilità nella lotta ai falsi” ha criticato i metodi usati per le ispezioni che hanno danneggiato l’immagine di Alibaba e rischiano di colpire negativamente anche il business cinese via web in generale, sottolineando come l’azienda abbia speso tra il 2013 e il 2014 oltre 161 milioni di dollari nella battaglia anti-falso. Già in passato Alibaba, e le sue piattaforme di e-commerce, Taobao e Tmall, erano stati sospettati di vendita di prodotti contraffatti tanto che per lungo tempo erano state incluse un una “black list” americana di “mercati noti per prodotti contraffatti”. Nel 2012 gli Stati Uniti rimossero Alibaba dalla lista a seguito dei suoi sforzi di bloccare i falsi. Martedì scorso su Weibo, il twitter cinese, Taobao ha scritto che il rapporto della SAIC è basato su pochi e non rappresentativi campioni e contiene errori. Il post è stato poi cancellato. In teoria per garantire la legalità e la trasparenza delle operazioni Alibaba chiede che ogni fornitore si registri e ottenga una licenza rilasciata da una agenzia di certificazione. Tuttavia nel 2011 la società confessò di aver dato questo certificato a oltre 2000 fornitori che poi si erano rivelati dei truffatori. L’allora direttore generale di Alibaba venne licenziato come pure altri 28 impiegati accusati di aver assegnato in maniera illecita le certificazioni.
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Per la Coldiretti, arrivano dalla Cina 2 prodotti contraffatti su 3
Due prodotti contraffatti su tre (65 per cento) in arrivo nel mercato europeo provengono dalla Cina che si conferma essere la centrale mondiale della falsificazione. E’ quanto emerge da un rapporto della Coldiretti sulla contraffazione nel 2012. Le dogane dell’Unione Europea – sottolinea la Coldiretti – hanno sequestrato quasi 40 milioni di prodotti per un valore delle merci intercettate vicino al miliardo di euro. I prodotti maggiormente contraffatti in termini di valore sono, secondo l’analisi della Coldiretti, gli orologi (20 per cento), borse e portafogli (15 per cento), vestiti (12 per cento), profumi e cosmetici (7 per cento) e sigarette (6 per cento). Con la crisi in Italia – sottolinea Coldiretti – sono peraltro in crescita le contraffazioni alimentari, con un aumento del 170 per cento del valore dei cibi e bevande sequestrate dai carabinieri dei Nas nei primi nove mesi del 2013 rispetto al 2007. Nei primi nove mesi del 2013 sono stati requisiti beni e prodotti per un valore di 335,5 milioni di euro soprattutto con riferimento a prodotti base dell’alimentazione come la carne (24 per cento), farine pane e pasta (16 per cento), latte e derivati (9 per cento), vino ed alcolici (8 per cento).
fonte: ANSA
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La Camera della Moda consegna lista di marchi italiani usurpati in Cina
La Camera della Moda Italiana (CNMI) ha consegnato oggi alla Camera di Commercio Generale Cinese, un duplice dossier con lista dei brand italiani “usurpati” in Cina e una diffida ai presenti ad ospitare marchi che non siano quelli utilizzati dai legittimi proprietari, con l’annuncio della disponibilità da parte della CNMI “ad effettuare le verifiche del caso in uno spirito di fattiva collaborazione”. Sono questi i risultati dell’incontro Italia-Cina avvenuto oggi a Milano fra il presidente della CNMI Mario Boselli e gli stati generali della moda cinese, nella quarta edizione della China Retailers Convention. Inoltre, nel corso del meeting, Boselli ha ricevuto un importante riconoscimento da parte della China General Chamber of Commerce. E’ il primo italiano ad ottenere il certificato di “Membro esperto della China General Chamber of Commerce”. La Camera di Commercio generale Cinese è un’organizzazione governativa e ha la missione di costruire un ponte tra il governo e le imprese private. E’ organizzata in 14 divisioni, una per ogni settore merceologico, conta 16 filiali. I membri diretti sono 3.000 e oltre 80.000 gli indiretti. La Camera gestisce direttamente per conto del Governo 14 altri enti governanti, 39 associazioni professionali nazionali e controlla 31 pubblicazioni stampa nazionali. Nel corso dell’incontro è stata comunicata la composizione della commissione, prevista nell’ambito del memorandum d’intesa con la China Business Coalition Shopping Center Professional Committee. Da parte della CNMI fanno parte della Commissione il Presidente Boselli e due membri della CNMI, Carlo Capasa e Massimo Ferretti. Della China Business Coalition Shopping Center Professional Committee fanno parte oltre al Presidente Xing He Ping, Luciano Nataloni e Fu Yixiang. La commissione si riunirà in tempi brevi, tra fine giugno e i primi di luglio, per iniziare il lavoro di penetrazione della PMI italiane in Cina. La lista dei marchi usurpati è stata consegnata da Boselli alla signora Zaho, responsabile della CBCSCPC.
fonte: ANSA
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Nuova opera di Ai Weiwei su “guerra” del latte in polvere
L’artista e dissidente Ai Weiwei ha tratto ispirazione per la sua ultima opera dalle controversie cinesi in materia di latte in polvere per neonati e dal dibattito in corso circa la tendenza dei cinesi di recarsi a Hong Kong per comprare latte non di produzione cinese considerato a rischio per la salute dei bambini. Secondo quanto riferisce il South China Morning Post, la nuova opera sarà presentata alla mostra sulla identità e sui sentimenti anti-cinesi che si aprirà a Hong Kong il prossimo 17 maggio. “Non capisco le persone che dalla Cina vanno a Hong Kong per comprare il latte per i bambini – ha commentato l’ artista – allora in futuro che faranno, andranno fuori dalla Cina per comprare l’aria oppure l’acqua?”. Ai Weiwei non ha ancora voluto fornire dettagli sulla sua nuova opera, che al momento non ha ancora un nome, ma ha detto che l’idea gli è venuta già da parecchio tempo, da quando cioé in Cina si verificò nel 2008 lo scandalo del latte alla melamina che provocò la morte di sei bambini, mentre molti altri si ammalarono. Il curatore della mostra, Guerrero, ha sottolineato come l’intenzione dell’esibizione sia quella di analizzare la storia delle epidemie del 19mo secolo ad Hong Kong e in particolare di quella di SARS nel 2003 anche per indagare su come le epidemie abbiano un impatto che da un piano strettamente sanitario si muove poi anche verso prospettive sociali e culturali. Guerrero ha ad esempio evidenziato come la Sars abbia diffuso la paura verso l’altro e come ora l’arrivo di molti cinesi a Hong Kong per acquistare il latte in polvere abbia creato tensioni sociali con la popolazione locale.
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Manager cinese ammette contraffazione di latte in polvere olandese
L’ex responsabile dell’azienda cinese importatrice del latte in polvere olandese Hero Nutradefense, ha ammesso di aver alterato il prodotto originario mischiandolo con altre polveri provenienti da altri paesi. Lo scrive lo Shanghai Daily. La settimana scorsa le autorità di Shanghai avevano ordinato il ritiro del latte in polvere prodotto in Olanda dal colosso alimentare svizzero Hero, perché era stato accertato che conteneva latte in polvere scaduto. I vertici della Hero si erano affrettati a addossare la responsabilità sull’importatore cinese che oggi ha ammesso la colpa. In definitiva Mou Jou, ex capo della Xile Lier, società importatrice del latte in polvere più venduto in Cina, ha ammesso di aver mischiato l’originale latte della Hero con altri, importati senza le dovute certificazioni. In molti casi, la Xile ha anche falsificato le date di scadenza sulle confezioni. Mou ha detto di aver agito in questo modo per venire incontro alla grande richiesta di latte in polvere, maggiore della quantità importata legalmente.
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Sequestrato in Cina latte in polvere olandese scaduto
Ritirato per ordine delle autorità, dagli scaffali di negozi e supermercati di Shanghai, il latte in polvere per bambini Hero Nutradefense, prodotto dall’omonimo gruppo svizzero con latte olandese. Secondo quanto riferisce lo Shanghai Daily, la Commissione di Shanghai per l’Industria e il Commercio avrebbe preso la decisione di bloccare la vendita del prodotto dopo aver accertato che conterrebbe latte in polvere scaduto. Secondo le accuse sarebbero anche state cambiate, allungandole, le date di scadenza sulle confezioni. La Commissione ha fatto sapere che sono stati tolti dagli scaffali oltre 1300 chilogrammi di prodotto. Xile Lier, l’unico rivenditore autorizzato in Cina del gruppo Hero, con sede a Suzhou nella provincia del Jiangsu, era già finito nel mirino dei controlli di qualità lo scorso mese di novembre in quanto scoperto a mescolare latte in polvere di diversa provenienza, dei quali alcuni scaduti, e a modificare le etichette contenenti le informazioni sulla provenienza e la scadenza. Già allora oltre 520.000 pacchetti e quasi 40.000 barattoli di latte in polvere (un quantitativo sufficiente per sfamare 12.400 bambini per sei mesi), per un valore di 50 milioni di yuan (oltre 5 milioni di euro) furono sequestrati dalla polizia. Nonostante questo, prodotti a marchio Hero Nutradefense hanno continuato ad essere venduti in svariate parti della Cina, Shanghai compresa, in quanto l’osservatorio per la qualità di Suzhou non aveva emesso l’ordine di richiamo del prodotto né pubblicizzato adeguatamente l’accaduto. La Hero Group dal canto suo si difende dalle accuse dichiarando di aver sempre mantenuto adeguati standard di sicurezza alimentare e che tutto il suo latte in polvere proviene dall’Europa, è stato sempre prodotto in Olanda, e che eventuali problemi possono eventualmente essere scaturiti in Cina per colpa della società appaltata per le operazioni di impacchettamento.
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Sostanze tossiche nelle auto di lusso prodotte in Cina
Gli interni dei veicoli prodotti in Cina da alcune case automobilistiche di lusso tra cui Audi, Bmw e Mercedes potrebbero contenere sostanze chimiche dannose. Lo riferisce lo Shanghai Daily, citando un programma della televisione cinese CCTV (China Central Television) che ha sollevato il caso dopo che alcuni proprietari avevano segnalato un persistente odore anomalo all’interno delle vetture e lamentavano problemi di salute. A seguito di alcuni controlli effettuati dal dipartimento di chimica dell’Università di Pechino, negli abitacoli di alcune vetture di Audi, Mercedez e Bmw sono stati trovati dei pezzi di disco sagomato prodotti in Cina negli ultimi anni effettuati con sostanze bituminose capaci di rilasciare sostanze tossiche specie quando esposti ad alte temperature. Il reportage della CCTV ha messo in rilievo come usando queste sostanze, anziché resine più rispettose dell’ambiente e della salute, ma più costose, le case automobilistiche possono arrivare a risparmiare fino a 130 milioni di yuan all’anno (oltre 13 milioni di euro). Alcuni dei proprietari delle auto incriminate hanno raccontato a CCTV di soffrire di vertigini, stanchezza e altri disturbi. Uno di questi ha raccontato che il suo medico gli ha detto che i suoi polmoni sono come quelli di un accanito fumatore, mentre lui non ha mai fumato. Intanto la Bmw in Cina ha fatto sapere di stare prestando la massima attenzione al caso, segnalato dagli uffici competenti. Quanto alla Mercedes Benz ha dichiarato che tutti i materiali impiegati nei suoi veicoli venduti in Cina seguono gli standard di qualità della società, e non sono diversi da quelli usati nelle auto vendute in altri paesi.
Arresti ad Hong Kong per traffico di latte in polvere
Le autorita’ di Hong Kong hanno arrestato 45 persone (26 di Hong Kong e 19 cinesi) per aver violato la nuova normativa che proibisce di far uscire da Hong Kong, per esportalo in Cina, latte in polvere oltre un certo quantitativo. Lo riferisce il Global Times, secondo il quale sono stati confiscati 178 barattoli di latte in polvere. Secondo la nuova legge, entrata in vigore il 1 marzo, non si puo’ far uscire da Hong Kong piu’ di 1,8 kg a testa di latte in polvere (2 barattoli). Il motivo principale per cui i cinesi acquistano grossi quantitativi di latte per bambini fuori dalla Cina sta nella loro diffidenza verso il latte in polvere prodotto nel loro paese specie dopo i numerosi casi di latte contaminato che in passato ha provocato la morte di diversi bambini mettendone in pericolo molti altri. Nel 2008 a causa di latte contaminato con la melamina 6 bambini morirono e oltre 300.000 si ammalarono, alcuni gravemente. I cittadini di Hong Kong lamentano il fatto che da quando i cinesi si recano nell’ex colonia britannica e acquistano ingenti quantitativi di latte, per i locali e’ diventato spesso difficile reperirlo per se’ perche’ le scorte non sono sufficienti a soddisfare sia il fabbisogno della popolazione di Hong Kong che di quella cinese.
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Dopo scandalo melamina, boom di latte in polvere straniero, molto importato illegalmente
Sono almeno 80.000 le tonnellate di latte in polvere straniero che arrivano in Cina illegalmente ogni anno. Servono per soddisfare la sempre maggiore richiesta delle mamme cinesi, che cercano latte in polvere sicuro per i loro figli, dopo gli scandali alimentari scoperti in Cina, soprattutto quello del latte alla melamina, che nel 2008 uccise almeno 6 bambini e ne fece ammalare oltre 300.000. La mancanza di sicurezza nel controllo alimentare e di qualità in Cina spinge molti ad organizzarsi: in questi anni sono sorte diverse organizzazioni che importano illegalmente il latte in polvere dall’estero, soprattutto dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, per poi rivenderlo in Cina a prezzo almeno raddoppiato, soprattutto su internet. Secondo un sondaggio, il 25% delle mamme cinesi decide di comprare direttamente o indirettamente all’estero il latte in polvere. Il 41,7% delle mamme del ‘Regno di mezzo’ è preoccupato della qualità del latte in polvere nazionale e solo il 16,7% delle donne pensa che il prodotto cinese sia conforme alle normative internazionali. “Sono al secondo figlio – spiega all’ANSA Shen, che lavora per una azienda italiana – e ogni volta che qualcuno arriva dall’Italia, collega o amico, sa che deve portarmi il latte in polvere. Prima chiedevo cioccolata, dolci o borse, ora voglio latte in polvere. Non mi fido di questo cinese”. “Da quando sono incinta – dice all’ANSA Hui Ling, 35nne madre di un bambino di un anno – ho cominciato a guardarmi intorno per vedere dove comprare il latte in polvere. Non credo alla qualità di quello cinese, per cui non voglio comprarlo, non voglio che il mio bambino soffra come quelli del 2008. Ho cominciato a comprarlo dall’Australia, dove ho amici che mi aiutano, lo pago anche meno di quello importato regolarmente. Ma non uso agenti, loro ci speculano. Lo so, me lo posso permettere perché sono ricca. Le autorità dovrebbero fare qualcosa per assicurare la qualità del prodotto cinese, così che anche i più poveri possano avere latte di qualità per i loro figli”. Come Hui, sono molte le donne che comprano il latte dall’Australia, dove ci sono vere e proprie organizzazioni di cinesi che operano in questo settore. Questi reclutano studenti universitari cinesi che prima vanno a comprare i prodotti nelle farmacie e nei negozi e poi li portano in Cina, eludendo i controlli doganali. La cosa non è passata inosservata alle autorità australiane e ne ha parlato anche il ministro della salute Tanya Pilbersek, dopo che diversi giornali hanno evidenziato che molte mamme australiane si lamentavano del fatto di trovare gli scaffali vuoti di latte in polvere, dopo le razzie dei cinesi. Le autorità di Pechino hanno stretto i controlli su questa importazione.
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