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Nuova immolazione per il Tibet, siamo a 131 dal 2009

Un giovane tibetano si è immolato urlando slogan contro l’occupazione cinese del Tibet, la liberazione dello stesso e il ritorno del Dalai Lama. Lo riferiscono fonti tibetane. Thinley Namgyal, 32 anni, si è dato alle fiamme ieri pomeriggio intorno alle 12 nella provincia occidentale del Sichuan, nella contea di Tawu della regione di Kardze, parte della tradizionale area tibetana di Kham. Il corpo del giovane, che è morto poco dopo essere stato avviluppato dalle fiamme, è stato trasportato nel monastero di Gagthel e poi consegnato alla famiglia. Thinley è diventato così la 131 persona ad autoimmolarsi per il Tibet dal 2009.

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Liberato dopo quattro anni scrittore tibetano

Le autorità cinesi della provincia del Sichuan hanno rilasciato Tashi Rabten, meglio conosciuto come Teurang, uno scrittore tibetano di 29 anni in carcere da quattro anni per “incitamento al separatismo”. Lo riferisce il sito di Radio Free Asia. Direttore in passato della rivista Shar Dungri, poi vietata dalle autorità, era stato arrestato ad aprile 2010 e dopo oltre un anno di custodia senza processo, fu condannato a 4 anni di carcere. I suoi scritti (pubblicati sia sulla rivista che in suoi libri) erano incentrati per lo più su argomenti come la democrazia e il predominio cinese in Tibet. Lo scrittore era stato già arrestato in precedenza altre due volte, nel 2008 e nel 2009. E con la stessa accusa, quella di incitamento al separatismo, è stato invece condannato a 18 anni di carcere un monaco tibetano del monastero di Drongna, nella contea di Driru, nella regione autonoma del Tibet. Thardoe Gyaltsen, amministratore del monastero, sarebbe stato arrestato e condannato per essere stato trovato in possesso di fotografie del Dalai Lama e registrazioni dei suoi discorsi. Finora sono 130 le persone che si sono date fuoco a favore della causa tibetana. L’ultima, sabato scorso, quando una giovane monaca si è data fuoco nei pressi del monastero di Ba Choede, nella contea di Bathang nella regione autonoma del Tibet. Restano ignote le sue condizioni di salute dopo il trasporto in ospedale dalla polizia.

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Monaca si immola per il Tibet, 130mo atto del genere dal 2009

Una monaca tibetana si è data fuoco in segno di protesta contro l’egemonia cinese in Tibet. Lo riferisce il sito di Radio Free Asia. Il fatto è accaduto sabato pomeriggio verso le 15 ora locale nei pressi di un monastero nella contea di Bathang, nella prefettura di Kardze (Ganzi per i cinesi), nella provincia del cinese del Sichuan. Secondo le poche informazioni disponibili, la polizia sarebbe immediatamente intervenuta a spegnere le fiamme portando la donna in ospedale. A seguito dell’incidente la polizia cinese ha intensificato i controlli nella zona e imposto una serie di restrizioni tra cui il blocco delle comunicazioni telefoniche. Con questa di sabato sono 130 le persone che si sono date fuoco in Cina a favore della causa tibetana sin dal 2009. Le autorità cinesi hanno tagliato fuori da ogni comunicazione la zona teatro dell’ultima immolazione, quella che ha visto protagonista una monaca tibetana lo scorso sabato, ma anche posto sotto controllo diversi monasteri già teatro di simili episodi. Secondo fonti tibetane, la polizia ha messo sotto controllo il monastero di Bachoede, al quale forse apparteneva la monaca della quale non si sanno le generalità, nella contea di Bathang (Batang per i cinesi) nella prefettura autonoma tibetana di Kardze (Ganzi), provincia del Sichuan. Qui sono state interrotte da sabato tutte le comunicazioni, sia fisse che mobili, non funziona la rete internet e impediti tutti i messaggi. La monaca si è immolata mentre, come tradizionalmente fanno i tibetani, girava intorno ad un luogo di preghiera. Si trovava in mezzo ad altra gente quando, urlando slogan contro quella che ha definito “l’occupazione cinese del Tibet” e per chiedere il ritorno del Dalai Lama, si è fatta avviluppare dalle fiamme. E’ stata portata in ospedale dalla polizia cinese che, secondo quanto si è appreso, ha impedito alla famiglia e agli amici di recarsi a farle visita. Non si hanno al momento notizie sulle sue condizioni di salute. Il suo è il 130mo gesto del genere dal febbraio 2009, e lei è la 21ma donna ad autoimmolarsi per il Tibet. Lo scorso 16 marzo due monaci si diedero alle fiamme, morendo, in due incidenti separati, nelle province del Sichuan e del Qinghai. Le autorità cinesi stanno negli ultimi tempi rafforzando i controlli, arrestando anche persone ritenute a vario titolo collegate ad episodi di immolazione. Alcuni sono stati condannati anche fino a 15 anni di carcere.

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Due immolazioni pro Tibet in anniversario repressioni

Due monaci tibetani si sono immolati ieri nell’anniversario di una ondata di repressioni da parte delle autorita’ cinesi che porto’ ad una serie di immolazioni. Il primo monaco a perire tra le fiamme e’ stato Lobsang Palden di 20 anni, appartenente al monastero di Kirti, al centro di numerosi episodi di immolazione e di protesta, nella provincia del Sichuan, prefettura tibetana autonoma di Ngaba (Aba per i cinesi). Un altro monaco, del quale non si conoscono le generalità, si e’ invece dato fuoco nella contea di Tsekhog (Zeku per i cinesi), nella provincia del Qinghai, prefettura autonoma tibetana di Malho (Huangnan).
Lobsang Palden si e’ dato alle fiamme sulla strada principale di Ngaba ribattezzata dai tibetani ”la strada degli eroi”, dopo che nel 2012 divenne il luogo solitamente usato per le immolazioni in zona. Il giovane, per compiere il gesto estremo, ha scelto la ricorrenza del sesto anniversario delle repressioni cinesi del 2008 a Ngaba, quando, nell’onda del viaggio della fiaccola olimpica, la polizia cinese intervenne duramente contro i manifestanti locali aprendo il fuoco contro inermi tibetani uccidendo almeno 10 persone, tra i quali un monaco. Palden ha urlato slogan anti cinesi e chiesto il ritorno del Dalai Lama in Tibet mentre era avviluppato dalle fiamme. Poco dopo diversi agenti lo hanno preso e, spente le fiamme, portato in luogo sconosciuto. Nessuno conosce le sue condizioni, su internet in molti lo danno per morto. Nulla si sa invece dell’altro immolatosi, se non che ha commesso il gesto dinanzi al monastero di Sonag a Jador. Ogni anno, in memoria delle vittime delle repressioni, ci sono state immolazioni nell’area. I due atti estremi di ieri hanno portato a 129 il numero delle auto immolazioni dal febbraio 2009, 45 delle quali compiuti proprio a Ngaba, mentre sono 11 i monaci di Kirti immolatisi. Con i due di ieri, sono quattro le immolazioni dall’inizio di quest’anno, un’altra delle quali avvenuta a Ngaba. Le comunicazioni telefoniche e mobili nell’area sono state bloccate.

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Donna tenta di immolarsi su piazza Tiananmen

Una donna si è data fuoco ieri a Pechino a piazza Tiananmen, in coincidenza con l’apertura della sessione dell’Assemblea nazionale del popolo, il parlamento cinese. Lo riferisce Radio Free Asia. Secondo le poche informazioni disponibili sembra che la donna, intorno alle ore 11 del mattino ora locale, si sia data fuoco. Le guardie che presidiano la piazza si sono tuttavia immediatamente accorte di quanto stava accadendo e hanno bloccato la donna, estinguendo in pochi minuti le fiamme e portandola via. Non si hanno al momento informazioni sulle condizioni della donna. Persone che si trovavano nella piazza al momento dell’accaduto hanno riferito di aver solo intravisto la donna, che pare avesse riportato alcune bruciature al volto. Altri hanno affermato di aver solo visto del fumo. La polizia ha infatti cercato subito di ripulire la piazza da ogni traccia dell’episodio, impedendo anche ai presenti di fare fotografie. Ad alcune persone sarebbero anche stati sequestrati i cellulari per evitare che potessero fare foto o video. Ignoti al momento i motivi del gesto, ma è probabile che la donna volesse in tal modo protestare contro il governo cinese. E’ infatti abbastanza usuale che coloro che vogliono presentare lamentale o critiche nei confronti delle autorità di Pechino scelgano proprio dei momenti particolari, quale appunto quello dell’apertura della sessione del parlamento. Tali forme di protesta sono tuttavia quasi sempre bloccate dalla polizia e le persone coinvolte sono arrestate o rimandate a casa. Lo scorso mese di dicembre 13 persone tentarono un suicidio di massa a Pechino per protestare contro il mancato risarcimento per lo sgombero forzato delle loro case. In quel caso ricorreva la Giornata mondiale per i diritti umani.

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Obama riceve il Dalai Lama, ira di Pechino

Per la terza volta Barack Obama ha ricevuto alla Casa Bianca Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama. Un incontro annunciato solo nel tardo pomeriggi di ieri, ma che ha immediatamente suscitato la prevedibile ira della Cina: nel giro di poche ore, ancora prima che il leader spirituale tibetano si avvicinasse al numero 1600 di Pennsylvania Avenue, Pechino ha reagito affermando che l’incontro rappresenta una “grossolana interferenza” degli Stati Uniti negli affari interni cinesi. Poi, a cose fatte, l’incaricato d’affari americano a Pechino, Daniel Kritenbrink, e’ stato prontamente convocato dal vice ministro degli esteri, Zhang Yesui, che gli ha espresso “la viva indignazione” della Cina e la sua “ferma opposizione”. Con un gesto significativo, Obama ha accolto il Dalai Lama nella Map Room, invece di farlo accomodare nello Studio Ovale, normalmente riservato agli incontri con i capi di Stato. Una portavoce della Casa Bianca, Caitlin Hayden, ha anche precisato che il presidente Obama riceve “un leader spirituale e culturale rispettato internazionalmente”. E per essere ancora più chiara, ha anche ribadito che gli Stati Uniti riconoscono che il Tibet è parte della Cina e non sostengono l’indipendenza tibetana. Un concetto poi espresso anche dalla Casa Bianca in una nota ufficiale in cui ha precisato nell’incontro il presidente ha ribadito la posizione degli Usa, secondo cui “il Tibet e’ parte della Repubblica popolare di Cina e gli Stati Uniti non sostengono l’indipendenza del Tibet”. Ma anche ribadito “il suo forte sostegno alla conservazione delle tradizioni uniche religiose, culturali e linguistiche del Tibet e alla protezione dei diritti umani dei tibetani in Cina”. Pechino non considera il Dalai Lama come un leader spirituale ma piuttosto come “un lupo travestito da agnello”, che si batte per l’indipendenza del Tibet e per ottenerla contempla anche eventuali metodi violenti. Tenzin Gyatso è un “esiliato politico”, ha detto oggi il portavoce del ministero degli Esteri, che è “impegnato da molto tempo in attività separatiste anticinesi sotto la copertura della religione”. A sua volta, il Dalai Lama, fuggito nel 1959 dal Tibet per trovare rifugio in India, nega di lavorare per l’indipendenza del Tibet, per il quale chiede però una una reale autonomia. Dal 2011 ha anche rinunciato all’attività politica, che ha delegato al governo in esilio che ha sede in India e che è guidato dal laico Lobsang Sangay. Proprio il primo ministro in esilio oggi ha definito “un messaggio forte” per i tibetani l’incontro, “perché dimostra che la loro voce è ascoltata, anche dalla persona più potente del mondo”. Pechino ieri aveva esortato il presidente Usa ad “annullare la riunione” che, aveva ammonito, potrebbe “danneggiare seriamente” i rapporti tra i due Paesi. Rapporti peraltro resi negli ultimi mesi particolarmente difficili da una serie di questioni, che vanno dalle dispute territoriali che la Cina ha in corso nel Pacifico col Giappone e altri alleati degli Usa, come Filippine e Vietnam; fino alla questione dei diritti umani. Aspetti che sono stati sollevati dal segretario di Stato John Kerry nella visita della settimana scorsa a Pechino, durante la quale è stato anche ricevuto dal presidente Xi Jinping, ma in cui, in aperta sfida al governo cinese, ha anche incontrato nei locali dell’ambasciata americana alcuni blogger critici verso il regime a partito unico. Un incontro per ribadire la sua richiesta alla Cina di “sostenere la libertà di Internet”. Non è chiaro se nei colloqui con il presidente Xi Jinping, con il premier Li Keqiang e con il ministro degli esteri Wang Yi, Kerry abbia preannunciato l’incontro di oggi tra Obama e il Dalai Lama. Ma certo, la reazione stizzita di Pechino non è stata per lui, né per nessuno, una sorpresa.

fonte: ANSA

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Ancora una immolazione pro Tibet, sono 127 dal 2009

Ancora una immolazione in Tibet. Secondo quanto riferisce il sito Phayoul giovedì un giovane di 25 anni, ex monaco del monastero di Kirti nella regione di Ngaba (Aba per i cinesi) si è dato fuoco. Lobsang Dorje si è cosparso di benzina intorno alle 18.30 ora locale e poi si è dato fuoco, cantando slogan contro l’egemonia cinese sul Tibet, nei pressi del monastero di Kirti. La polizia, giunta poco dopo, ha estinto le fiamme, lo ha preso e lo ha portato via. Non si sa se il giovane sia sopravvissuto o meno. A seguito dell’accaduto la polizia ha rafforzato i controlli nella zona e ha istituto molti posti di blocco nei punti di accesso alla regione. Molti tibetani sono stati fermati per essere interrogati. Lobsang Dorje è il 127 tibetano ad essersi immolato sin dal 2009.

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Marcia indietro Spagna, il congresso cancella accusa di genocidio in Tibet per vertici Cina

Il Congresso spagnolo ha approvato, con i soli voti della maggioranza del PP, la riforma della “giustizia universale”, che, di fatto, chiude la vicenda giudiziaria del genocidio in Tibet. Due giorni fa il giudice spagnolo Ismael Moreno aveva emesso ordini internazionali di cattura e detenzione in carcere senza condizionale nei confronti dell’ex presidente cinese Jiang Zemin, dell’ex premier Li Peng e altri tre ex dirigenti del partito comunista cinese. Il provvedimento è stato emesso a poche ore dalla dichiarazione della portavoce del ministro degli esteri cinese, Hua Chunying, con la quale si esprimevano “disappunto e contrarietà” per l’ordine di cattura e si auspicava che “il Governo spagnolo sapesse come risolvere questo problema” che “incide sullo sviluppo positivo delle relazioni bilaterali”. Con questa riforma (179 sì e 163 no) vengono limitati i casi di interventi per crimini avvenuti fuori dalla Spagna, come quello all’origine dell’inchiesta, avviata su denuncia di alcune associazioni a sostegno del Tibet e di un monaco tibetano naturalizzato spagnolo. I partiti di opposizione hanno annunciato ricorso al Tribunale costituzionale.

fonte: ANSA

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Cina respinge accuse spagnole di genocidio per il Tibet contro suoi leader

La Cina ha espresso oggi la sua condanna per il mandato di cattura internazionale emesso contro l’ ex-presidente Jiang Zemin da un magistrato spagnolo che lo ha riconosciuto colpevole di genocidio nel Tibet. “La Cina e’ profondamente scontenta e decisamente contraria alle azioni sbagliate delle istituzioni spagnole, che non hanno tenuto conto della posizione della Cina”, ha affermato la portavoce del ministero degli esteri Hua Chunying in una conferenza stampa a Pechino. La portavoce ha aggiunto che la Cina si augura “che il governo spagnolo sappia come risolvere questo problema” che “incide sullo sviluppo positivo delle relazioni bilaterali”. Il mandato di cattura e’ stato emesso ieri dal giudice Ismael Moreno contro Jiang e altri quattro alti dirigenti cinesi sulla base del principio di “giurisdizione universale” usato in passato da un altro magistrato spagnolo, Baltazar Garcon, per incriminare il dittatore cileno Augusto Pinochet. L’ iniziativa appare destinata a non produrre alcun effetto perche’ il Parlamento spagnolo sta discutendo una riforma che cancellera’ la “giurisdizione universale” e i procedimenti aperti in suo nome.

fonte: ANSA

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Genocidio in Tibet, Spagna chiede arresto per Jiang Zemin e Hu Jintao

Non si ferma la sfida della magistratura spagnola alla Cina sul genocidio in Tibet: una raffica d’ordini d’arresto è scattata oggi nei confronti dell’ex presidente Jiang Zemin, tuttora influente ‘grande vecchio’ del partito comunista cinese, dell’ex premier Li Peng e di altri tre veterani della nomenklatura politica e militare di Pechino. Provvedimenti destinati a restare senza effetto, anche per la prossima approvazione in Parlamento di una riforma politica dell’applicazione del principio della giurisdizione universale, che porterà all’archiviazione di molte delle inchieste aperte dalla giustizia iberica sul fronte internazionale in materia di diritti umani. Ma che nondimeno rischiano di scatenare una nuova reazione politico-diplomatica da parte del ‘dragone’ cinese. Le ordinanze trasmesse dall’Audiencia Nacional all’Interpol prevedono – sulla carta – la detenzione in carcere, senza condizionale, nei confronti dei cinque ‘mandarini rossi’: accusati di genocidio per la repressione perpetrata dal regime nel Tibet dagli anni ’70 fino al 2005. Tutti potrebbero essere arrestati, a patto di prenderli, non appena fuori dal territorio cinese. L’inchiesta prende le mosse dalla denuncia presentata nel 2006 dal comitato di sostegno al Tibet, dalla Fondazione Casa del Tibet e dall’Associazione costituita da Thunten Wngchen Sherpa Sherpa, cittadino e ‘lama’ d’ origine tibetana, ma di nazionalità spagnola, parti civili nella causa. E già a novembre, quando i mandati di arresto furono annunciati, aveva provocato irritazione e pesanti pressioni da parte del governo di Pechino. Il giudice istruttore Ismael Moreno, che aveva inizialmente preso tempo, è stato tuttavia ‘costretto’ alla fine a formalizzare i provvedimenti, in esecuzione di quanto disposto dalla Sala Penale dell’alto tribunale spagnolo contro i cinque dirigenti cinesi, imputati per i reati di genocidio, torture e lesa umanità. Con Jiang e Li, sono accusati Oiai Shi, ex capo della sicurezza della Repubblica Popolare; Chen Kuiyan, segretario del Partito comunista in Tibet nel passato; e Peng Pelyun, ministro di Pianificazione familiare negli anni ’80. Presidente della Cina fra il 1993 e il 2003, Jang Zemin “esercitò autorità di supervisione sulle persone direttamente responsabili di atti di tortura e abusi dei diritti umani contro la popolazione tibetana”, si legge nel capo d’imputazione di Moreno. Jiang, stando alla denuncia dei querelanti, avrebbe inoltre promosso “attivamente politiche il cui obiettivo era popolare la regione autonoma del Tibet con una maggioranza di etnia Han, arrestare migliaia di tibetani e sottometterli ad abusi fisici e mentali”. Nell’inchiesta si fa poi riferimento a deportazioni, campagne di aborto e sterilizzazione forzati di massa, torture di dissidenti. In teoria, l’Audiencia Nacional potrebbe ora spiccare un analogo ordine d’arresto anche per l’ex presidente Hu Jintao. Ma sull’intero procedimento pende la proposta di legge presentata dal Partito Popolare (PP) del premier Mariano Rajoy per limitare gli spazi d’indagine della giustizia spagnola su reati commessi fuori del territorio nazionale. L’iniziativa, contenuta nel progetto di riforma complessivo dell’ordinamento giudiziario, sarà esaminata questa stessa settimana dal congresso dei Deputati, che si appresta ad approvarla grazie alla maggioranza assoluta del PP. Al riguardo, Amnesty International e altre 16 organizzazioni hanno rivolto giusto oggi un appello per chiedere che la giurisdizione universale sia invece mantenuta, per poter “perseguire reati come il genocidio, i crimini di guerra e contro l’umanità, le sparizioni e le torture” ovunque commessi nel mondo. Pena la resa “alle violazioni delle norme del diritto internazionale”.

fonte: ANSA

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