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L’altra faccia dei Giochi olimpici: atleti cinesi non riescono a trovare lavoro dopo ritiro

Il sipario sulle Olimpiadi si è appena chiuso ma emergono dettagli sulla vita degli atleti cinesi. Secondo quanto ha raccontato Sun Xuguang, ex campione cinese di ginnastica, a China Labour Watch, un organizzazione non governativa per la tutela del lavoro, la vita per coloro che decidono di dedicare la propria vita all’atletica è particolarmente dura nel paese del dragone. Dopo il ritiro dallo sport agonistico, quando aveva solo 26 anni, l’atleta non è riuscito a trovare lavoro. Mentre gareggiava aveva lasciato gli studi. Ha dovuto accontentarsi di soluzioni di ripiego che gli consentivano a stento di sopravvivere. Attualmente l’ex atleta vive insieme a sua madre, a sua moglie e a sua figlia grazie alla pensione della madre che ammonta a 1000 yuan al mese (poco più di 100 euro). Ma quello di Sun non è un caso isolato. In Cina, a differenza che negli altri paesi, i ragazzi dediti allo sport a livello professionale raramente completano gli studi e questo fa si che poi quando smettono di gareggiare, di solito ancora giovanissimi, intorno ai 20-25 anni, non hanno nessuna competitività nel campo del lavoro. Secondo le stime, dei 50.000 atleti professionisti registrati in Cina, circa 3.000 ogni anno si ritirano, ma di questi solo un terzo riesce a trovare un lavoro dignitoso e adeguato. Il tasso di disoccupazione tra gli atleti che si ritirano in Cina è molto alto, circa il 40%. Diversa è la situazione per quelli che arrivano al top, quelli che travalicano i confini nazionali e diventano campioni a livello internazionale o medaglie d’oro olimpiche. Secondo un sondaggio, infatti, delle 115 medaglie olimpiche cinesi ormai ritiratasi dalla vita sportiva, almeno la metà ha fatto un’ottima carriera, entrando nel mondo del business o, come l’olimpionica della ginnastica di Sydney, Liu Xuan, in quello dello spettacolo. Solo il 10% degli ex campioni olimpici cinesi stanno ancora cercando lavoro.

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Bambino di 10 anni con passaporto dell’Expo voleva andare a Londra

Un bambino cinese di 10 anni ha tentato di prendere da solo un aereo diretto a Londra cercando di imbarcarsi utilizzando un passaporto giocattolo, un souvenir dell’Expo di Shanghai 2010. Lo riferisce il Global Times. Il ragazzino si era recato qualche giorno fa all’aeroporto internazionale di Shanghai dicendo di essere diretto a Londra per assistere alle gare olimpiche. Agli addetti al check in dell’area partenze il bambino ha mostrato un passaporto souvenir dell’Expo 2010 con il timbro del padiglione britannico. Durante l’esposizione universale tenutasi due anni fa a Shanghai, infatti, i visitatori potevano acquistare dei passaporti finti appositamente stampati per l’evento e farseli poi timbrare, come ricordo, all’ingresso dei padiglioni dei vari paesi. In aeroporto il bambino ha detto che i genitori gli avevano promesso di portarlo a Londra per le Olimpiadi ma che poi non avevano mantenuto la promessa. Di qui la decisione di partire da solo. Prima di recarsi all’aeroporto Li, questo il nome del bambino, era riuscito a racimolare 2000 yuan da portare con sé (poco più di 200 euro). Dopo aver spiegato al ragazzino la situazione, i funzionari aeroportuali hanno chiamato i suoi nonni (ai quali era stato affidato) che sono andati a riprenderlo.

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Polemiche a Taiwan dopo decisione commercianti di Londra di rimuovere bandiera nazionale dietro pressioni cinesi

La bandiera ufficiale della Repubblica di Cina (Taiwan)

La bandiera usata per le olimpiadi

Polemiche a Taiwan per la decisione delle autorita’ britanniche di rimpiazzare la bandiera della Repubblica di Cina (il nome ufficiale dell’isola nel mar cinese) con quella della sua federazione sportiva (accettata anche durante le manifestazioni sportive) su pressione della Cina. La bandiera nazionale di Taiwan, blu e rossa con una stella (simbolo del Kuomintang, il maggior partito) in alto a sinistra, era stata piazzata, insieme a quella di altri paesi, dall’associazione dei commercianti di Regent Street, una delle strade commerciali piu’ importanti di Londra, vicino a Piccadilly Circus. Dal momento del posizionamento della bandiera, lo scorso 20 luglio, le foto del vessillo sventolante hanno fatto il giro della rete, con commenti positivi da parte dei taiwanesi, orgogliosi di poter vedere sventolare la loro bandiera non riconosciuta, cosi’ come il paese, dalla Cina. Come riporta il quotidiano taiwanese China Times, su pressione del governo di Pechino, le autorita’ britanniche avrebbero deciso di togliere, tre giorni dopo, la bandiera nazionale di Taiwan sostituendola, dopo altri due giorni di vuoto di bandiera, con quella usata dall’isola cinese durante le manifestazioni sportive. Questa bandiera, utilizzata su accordo con il Cio dal 1980, e’ bianca con il sole blu e bianco simbolo del paese e del Kuomintang, oltre ad avere i cinque cerchi olimpici.
Nelle competizioni sportive Taiwan non partecipa neanche con il suo vero nome di Repubblica di Cina ma con quello di Chinese Taipei. Cosi’ come aveva riscosso soddisfazione la decisione e la foto della bandiera di Taiwan che sventolava su Regent Street, ha scatenato proteste invece sia sui media sia su internet tra i taiwanesi la decisione di rimpiazzare la bandiera nazionale con quella olimpica su pressione cinese. Dopo che il presidente dei commercianti di Regent Street, Annie Walker, ha confermato che la bandiera nazionale taiwanese e’ stata rimossa per le pressioni dei cinesi su richiesta del ministero degli esteri britannico, il presidente taiwanese Ma Ying-jeou ha ordinato una inchiesta sull’accaduto.

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Rischio doping per atleti cinesi alle Olimpiadi: la carne che mangiano contiene clenbuterolo

Preoccupazione per il rendimento degli atleti cinesi alle prossime Olimpiadi di Londra e’ stato espresso dalle autorita’ e dalla stampa, dal momento che molti atleti on stanno consumando carne in quanto in Cina contiene sostanze che l’antidoping sportivo considera vietate. Lo scrive il Global Times. A far accendere un campanello d’allarme e’ stata la sconfitta della squadra femminile cinese di pallavolo per 3-0 contro gli Usa alla finale del Gran Prix mondiale disputata domenica a Ningbo, non lontano da Shanghai. La sconfitta e’ stata attribuita al calo fisico delle atlete in preda anche a crampi, che non hanno consumato carne da tre settimane. In Cina la maggior parte della carne macellata arriva da animali a cui viene dato anche il clenbuterolo, una sostanza vietata dall’antidoping olimpico, usata dagli allevatori per ottenere una carne piu’ magra. Molti tifosi pero’ non credono in questa tesi che considerano una scusa e temono invece che le pessime performance di alcune squadre nazionali dipendono da cattivi allenamenti. Non e’ la prima volta che emerge il pericolo della carne al clenbuterolo per gli atleti. L’agenzia mondiale anti doping ha piu’ volte messo all’erta gli atleti che si recano in Cina e in Messico per gare, della presenza della sostanza nella carne. La judoka campionessa cinese Tong Wen e’ stata squalificata per due anni nel 2009 dopo essere stato scoperto positivo alla sostanza. Da quel momento la sua societa’ sportiva alleva in proprio i maiali, galline e anatre per evitare la contaminazione.

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Polemica sui gadget delle Olimpiadi prodotti in Cina

E’ polemica fra Gran Bretagna e Cina per le bambole mascotte delle Olimpiadi di Londra 2012. Il quotidiano britannico Sun ha pubblicato un servizio in cui denuncia che gli operai cinesi che producono i gadget sono sfruttati e sottopagati, accusa respinta dall’azienda produttrice, la Yancheng Rainbow Arts and Crafts Co Ltd, con sede nella provincia orientale dello Jiangsu. Secondo quanto ha scritto il Sun in due reportage pubblicati alla fine di gennaio, l’azienda cinese costringerebbe i suoi operai a turni massacranti di lavoro: circa 358 ore al mese, oltre 11 ore al giorno, per uno stipendio mensile dai 900 ai 1.700 yuan (da 108 a 205 euro). Il presidente della Yancheng, Gu Feng, intervistato dal quotidiano cinese China Daily, ha risposto che le accuse sono false e sarebbero state riferite alla stampa internazionale da un ex dipendente, Zhu Shengrong. “Zhu è stato licenziato nel 2008 a causa di suoi ripetuti comportamenti inappropriati con lo staff femminile – ha spiegato il presidente -. Chiese anche un risarcimento, che gli fu negato dal tribunale, e ora ha deciso di gettare fango su di noi”. Per il manager cinese “gli operai citati dal giornale inglese non esistono nemmeno”. Gu ha aggiunto che la fabbrica ha superato i controlli del Consiglio internazionale per l’industria del giocattolo, con sede in Svizzera, e che ha tra i suoi clienti la Disney e altri importanti marchi. “La nostra è una azienda che ha una lunga storia – ha concluso Gu -. Produce prodotti di alta qualità. I nostri operai lavorano in un ambiente sano e hanno buoni stipendi, non meno di 2.000 yuan mensili”. Diversi operai, interpellati dal China Daily, hanno confermato di guadagnare tra i 2.000 e i 3.600 yuan circa al mese e di lavorare dalle 7.30 alle 17.30.

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