Potrebbe partire dalla provincia meridionale del Guangdong l’abolizione del ‘laojiao’, ovvero il sistema cinese di rieducazione attraverso i campi di lavoro. Un primo importante passo, che darebbe il via – almeno in un secondo tempo – all’abolizione di questa pratica, in vigore dal 1950, anche nel resto del Paese. Il dipartimento di Giustizia del Guangdong ha reso noto che entro l’anno il laojiao scomparirà e gradualmente coloro che sono detenuti nei campi di lavoro, scontate le pene, torneranno a casa. Ma c’é chi resta scettico e pensa che si tratti solo di propaganda politica e che il giorno in cui il laojiao scomparirà è ancora molto lontano. Già all’inizio di gennaio si era diffusa la notizia secondo la quale il governo cinese stava prendendo in considerazione l’ipotesi di abolire i campi di lavoro. Ma poco dopo l’agenzia di stampa ufficiale, Nuova Cina, aveva affermato che il governo avrebbe effettuato solo una ‘riforma’, senza mai citare la possibilità della chiusura dei campi. Il sistema del laojiao, che ultimamente sta suscitando molte polemiche, prevede che la polizia possa inviare persone nei campi di rieducazione fino a tre anni (con possibilità di estensione di un anno, ufficialmente), senza processo. Normalmente vi vengono mandati coloro che si macchiano di reati minori, spacciatori e prostitute, ma anche oppositori al regime, dissidenti e appartenenti a fedi e religioni. Lo scorso mese di agosto suscitò molto clamore il caso di una donna condannata a 18 mesi nei campi di rieducazione per aver protestato contro il governo contro la pena di soli sette anni comminata agli uomini che tempo prima avevano rapito, stuprato e spinto alla prostituzione la figlia, allora solo undicenne. Il caso della donna destò l’attenzione e le proteste di accademici e dell’opinione pubblica, tanto che dopo circa una settimana il governo decise di liberarla. Ed è di questi giorni la notizia che la signora ha ora chiesto un risarcimento danni per ingiusta detenzione di 2.400 yuan (circa 260 euro) per il tempo trascorso nel campo di rieducazione. Il numero dei laojiao attualmente presenti in Cina non è chiaro. Secondo Nuova Cina, che diffonde dati relativi al 2008, sarebbero 350 i campi di rieducazione, nei quali sono rinchiuse 160.000 persone, mentre fonti televisive cinesi parlano di 300.000 reclusi. Secondo altre fonti, come ad esempio quelli forniti da alcune Ong americane, in Cina ci sarebbero 1.422 campi tuttora attivi. Sono stati ufficialmente aboliti nel 1997, invece, i ‘laogai’, i campi di lavoro nei quali si veniva mandati a scontare le condanne penali. Tuttavia, secondo molti esistono ancora, anche se vengono chiamati prigioni.
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Il Guandong prima provincia ad annunciare stop a laojiao. Sarà vero?
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Dopo campo di lavoro, una donna e’ rimasta chiusa tre anni in obitorio
Una donna cinese, dopo aver trascorso 18 mesi in un campo di lavoro, da tre anni è tenuta segregata in un obitorio in disuso. Lo riferisce il Global Times, che cita un servizio effettuato dalla Radio Nazionale cinese. Le vicissitudini di Chen Qingxia, questo il nome della donna, hanno avuto inizio nel 2007 quando si era recata a Pechino per protestare contro il governo che, a suo dire, avrebbe maltrattato suo marito, arrestato nel 2003 per essere entrato in una zona sottoposta a quarantena durante l’epidemia della Sars. Ma giunta a Pechino la donna fu arrestata e mandata per 18 mesi in un campo di lavoro. Suo figlio, allora dodicenne, durante il suo viaggio a Pechino, scomparve misteriosamente e di lui non si è saputo più nulla. Trascorsi i 18 mesi tuttavia, Chen, anziché essere rilasciata venne collocata in un edificio abbandonato nella città di Yichun, un ex obitorio. Ammalata e ridotta su una sedia a rotelle, la donna è sorvegliata 24 ore su 24 e le è consentito solo di avere contatti minimi con alcuni dei suoi familiari, tra i quali la sorella, che le porta ogni tanto cibo e medicine. “Voglio andare a casa, ho molta voglia di tornare a casa mia – ha detto la donna ad un reporter della radio che ha dovuto fingere di essere un familiare per poterla avvicinare – ma se me ne vado la polizia tornerà da me non mi lasceranno andare”. Il reporter ha poi raccontato di essere stato fermato dalla polizia, che lo ha vessato ispezionando la sua casa e sequestrando la scheda sim del suo cellulare. Da qualche settimana sui media cinesi sono rimbalzate notizie secondo le quali si starebbe pensando alla cancellazione o, comunque, alla revisione del sistema dei laojiao, i campi di lavoro ai quali si può essere inviati fino a tre anni senza nessun tipo di condanna formale di un tribunale.
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Si riparla di abolire i laojiao
Un alto funzionario cinese ha affermato che la chiusura dei campi di lavoro noti come ”laojiao” e’ ”imminente”, secondo la stampa cinese. Il funzionario, Chen Jiping della China Law Society, ha precisato in un’intervista al quotidiano China Daily che la chiusura deve essere sanzionata dall’Assemblea Nazionale del Popolo (Npc nella sigla inglese), il Parlamento cinese che terra’ in marzo la sua sessione annuale. I laojiao non vanno confusi con i laogai – i campi di lavoro nei quali si veniva mandati dopo una condanna penale – che sono stati aboliti nel 1997 (ma che secondo molti esistono ancora, anche se vengono chiamati prigioni). La detenzione nei laojiao e’ una misura amministrativa decisa dalle autorita’ di polizia, che possono infliggere condanne fino ai 3 anni senza che sia necessario l’intervento della magistratura. Nei laojiao sono detenuti di solito piccoli criminali, come gli spacciatori di droga al dettaglio e le prostitute. L’annuncio della chiusura dei laojiao era stato gia’ dato due settimane fa in dichiarazioni attribuite ad un membro del potente Politburo comunista.
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Governo pensa a revisione del sistema dei campi di lavoro. Li aboliranno?
La Cina potrebbe cancellare entro l’anno l’uso dei campi di lavoro, la pratica della “rieducazione attraverso il lavoro”, in vigore al 1957. La notizia è stata diffusa in mattinata da diversi messaggi su Weibo, il Twitter cinese. Secondo le informazioni, poi sparite dalla rete, l’annuncio sarebbe stato fatto da Meng Jianzhu, capo della Commissione per gli affari politici e legali del Partito, dalla quale si controlla il potentissimo apparato di sicurezza cinese. Secondo quanto circolava su internet, in un incontro Meng (che fino allo scorso 28 dicembre era ministro della Pubblica sicurezza) avrebbe annunciato l’interruzione della pratica della ‘rieducazione attraverso il lavoro’, i cosiddetti laojiao (abbreviazione di ‘laodong jiaoyang’). La notizia, confermata anche dal direttore del giornale del ministero della Giustizia cinese, è stata però parzialmente modificata dall’agenzia Nuova Cina che in serata ha comunicato che il governo cinese andrà avanti nella ‘riforma’, senza citare la possibilità della chiusura dei campi. In questi, la polizia può inviare persone fino a 3 anni (con possibilità di estensione di un anno, ufficialmente), senza processo. Negli ultimi mesi diverse volte la pratica era stata criticata anche dalla stampa cinese vicina al partito. In particolare ad agosto una donna era stata condannata a 18 anni per aver protestato chiedendo una pena pesante nei confronti dell’uomo che era stato condannato a sette anni per aver rapito, violentato e indotto alla prostituzione sua figlia di 11 anni. La donna fu liberata dopo una settimana dopo che giornalisti, scrittori, gente comune e accademici si mobilitarono in suo favore. Le critiche al sistema dei laojiao muovono anche dal fatto che la loro pratica è in contraddizione con la costituzione cinese. Non ci sono maggiori dettagli in cosa consista la riforma, né se debba portare alla soppressione della pratica. La riforma era comunque già contenuta in un libro bianco sulla giustizia pubblicato ad ottobre dalle autorità competenti e ci fu anche una raccolta di firme per la loro abolizione. Secondo Nuova Cina, che diffonde dati relativi al 2008, sarebbero 350 i campi di rieducazione, nei quali sono rinchiuse 160.000 persone, mentre altre fonti televisive cinesi parlano di 300.000 reclusi. Ma i numeri come sempre sono ballerini: secondo l’ultima edizione, 2008, del dossier della Ong americana Laogai Foundation (fondata da Harry Wu che ha trascorso in un laogai dal 1960 al 1979) in Cina ci sarebbero 1422 campi attivi. Il laogai è diverso dal laojiao: nel primo, chiamato prigione dal 1990, ufficialmente cancellato dal 1997 (ma la condanna ai lavori forzati resta), il condannato vi veniva spedito dopo una sentenza di tribunale per reati maggiori, non veniva pagato e perdeva i diritti politici. Nel secondo, invece, vengono rinchiuse persone ritenute colpevoli di reati minori (reati contro il patrimonio, prostituzione, consumo di droga) ma anche oppositori al regime, postulanti, religiosi e fedeli. Ricevono un modesto salario per il loro lavoro e non perdono i diritti politici. L’annuncio di oggi lascia il campo a molte speculazioni, soprattutto su cosa succederà a coloro che sono attualmente rinchiusi nei campi o cosa succederà a coloro che saranno ritenuti colpevoli in futuro dei reati che ora portano ai laojiao.
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Polizia fa irruzione a veglione dissidenti
La polizia cinese ha fatto irruzione in un ristorante di Guangzhou, la ex Canton, nella provincia meridionale del Guangdong, dove un gruppo di attivisti, dissidenti e avvocati per i diritti umani si erano dati appuntamento per festeggiare insieme l’ultimo giorno dell’anno. Secondo quanto riferisce il sito di Radio Free Asia, le autorità hanno infatti considerato la riunione “illegale”. “Ci eravamo appena seduti nel locale e non avevamo nemmeno iniziato a sorseggiare il té – ha raccontato l’avvocato di Guangzhou Tang Jingling – quando la polizia è entrata, c’erano anche diversi agenti in borghese, ci hanno perquisito e ci hanno impedito di proseguire la cena”. Tang ha poi aggiunto di essere stato portato via dagli agenti insieme ad altri attivisti, tra cui anche Li Yuanfeng e Zhao Haitong, giunti appositamente dalla città nord occidentale di Lanzhou per partecipare all’incontro, e di aver più tardi ricevuto un sms da quest’ultimo che lo avvisava di essere stato costretto dalla polizia a salire sul primo treno per fare rientro nella sua città di origine. Tang invece è stato portato nella più vicina stazione di polizia e – secondo quanto lui stesso ha poi raccontato – è stato trattato come un criminale. “Mi hanno preso le impronte e fatto le foto segnaletiche – ha detto Tang – e mi hanno poi lasciato andare solo dopo le 22”. Secondo l’avvocato Sui Muqing, la cena non è stata consentita dalla polizia in quanto, in base alla legge, tutte le riunioni che coinvolgono più persone devono essere preventivamente autorizzate. “Ma – ha aggiunto l’avvocato Sui Muiqing – in questo caso posso dire chiaramente che si è trattato di un modo di limitare la libertà dei cittadini, violando i loro diritti civili”. L’attivista Li Biyun, della città di Foshan, ha fatto sapere che la polizia, per impedirle di recarsi alla cena ha sorvegliato la sua casa per ore, non permettendole di uscire.
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Beffa di dissidenti: a cena dalla moglie (agli arresti domiciliari di fatto) del Nobel per la Pace Liu Xiaobo (che si trova ancora in carcere)
In un’audace sfida al governo cinese, quattro dissidenti sono riusciti a superare i controlli della polizia e hanno raggiunto Liu Xia, la moglie del premio Nobel per la pace Liu Xiaobo, tenuta illegalmente agli arresti domiciliari da oltre due anni. Si tratta della prima volta che dei dissidenti provano con successo a violare gli arresti domiciliari, una misura usata con frequenza dalla potente polizia cinese. Liu Xia, 53 anni, è rinchiusa nel suo appartamento alla periferia di Pechino dall’ ottobre del 2010, quando fu annunciato che suo marito – che sta scontando una condanna a 11 anni di prigione per “sovversione” – aveva ricevuto il premio Nobel per la pace. Il 28 dicembre scorso, dopo un’ accurata preparazione, i quattro attivisti sono riusciti ad eludere la sorveglianza dei poliziotti che stazionano in permanenza davanti all’ appartamento della donna. Sfruttando il cambio della guardia tra due gruppi di agenti, i dissidenti sono riusciti a parlare per qualche minuto con la donna e a filmarla (il filmato è visibile su Youtube: http://www.youtube.com/watch?v=MVnKQReMqKo). Liu Xia non è accusata di alcun reato, non è mai stata processata e la sua detenzione è tecnicamente illegale. Le detenzioni extragiudiziali, o “sparizioni”, sono state largamente usate dalla polizia cinese negli ultimi anni, quando la responsabilità della sicurezza era affidata al discusso Zhou Yongkang, che si è dimesso dalla sua carica in novembre, quando il 18/mo congresso del Partito Comunista ha dato il via al rinnovamento dei vertici. E’ stato ipotizzato che la detenzione di Liu Xia – che non può ricevere visite, non può uscire senza essere accompagnata dagli agenti e alla quale è stato concesso solo saltuariamente di visitare la madre, vecchia e malata – sia uno strumento di pressione sul marito, che il governo vorrebbe convincere ad espatriare. Nel video, la donna appare invecchiata e spaventata. Non parla mai rivolgendosi alla telecamera ma solo sottovoce, nell’ orecchio, ai sui visitatori. Dopo pochi minuti, aspettandosi da un momento all’ altro l’ arrivo del nuovo “picchetto” di guardia, gli attivisti si sono allontanati. Dell’ impresa sono stati protagonisti l’ attivista anti-Aids Hu Jia, la blogger Liu Di, lo storico Xu Youyu e il dissidente Hao Jian. Hu Jia, che ha trascorso oltre anni in prigione, anche lui condannato per “sovversione”, e Xu Youyu sono tra i firmatari del documento pro-democrazia Charta08, redatto e promosso da Liu Xiaobo.
fonte: ANSA
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Migliaia di arresti in Cina nella giornata dei diritti umani
Sono rimasti anche oggi in stato di detenzione migliaia di ”postulanti” e di dissidenti cinesi arrestati nei giorni scorsi dalla polizia cinese per impedire proteste nella Giornata internazionale dei diritti umani (che si e’ celebrata ieri). Lo hanno riferito organizzazioni umanitarie internazionali. ”Mi hanno imposto gli arresti domiciliari fino a martedi”’, aveva riferito Hu Jia, uno dei piu’ noti dissidenti cinesi uscito l’anno scorso di prigione dopo aver scontato tre anni e mezzo per ”istigazione alla sovversione”, accusa che con maggiore frequenza viene rivolta ai dissidenti. Tra gli altri e’ poi stato condannato per ”sovversione” a 11 anni di reclusione l’intellettuale Liu Xiabo, premio Nobel per la pace nel 2010. Secondo le denunce, ieri sono stati fermati migliaia di ”postulanti”, cittadini che dalle province arrivano nella capitale per denunciare i soprusi subiti dalle autorita’ locali, e scendono in piazza proprio in occasione della giornata dei diritti umani. La maggior parte degli arresti ha riguardato proprio persone giunte nella capitale cinese per chiedere giustizia o risarcimenti alle autorita’ centrali, in riferimento soprattutto a questioni legate alla requisizione forzata delle loro case o delle loro terre. Secondo quanto raccontato da testimoni a Radio Free Asia, dalla sola metropoli di Shenzhen, nel sud del Paese, sono arrivati a Pechino 50 autobus pieni di gente che gridava: ”Ridateci i nostri diritti”. I passeggeri degli autobus sono stati tutti portati a Jiujingzhuang, un centro di detenzione ”segreto” nei dintorni di Pechino, lo stesso dal quale centinaia di ”postulanti” erano stati rilasciati lo scorso 6 dicembre. Secondo Lin Minghao, giunto dalla citta’ nordorientale di Shenyang a Jiujingzhuang ieri sera, sarebbero state sottoposte a custodia fino a 5.000 persone, arrivate su oltre 60 autobus nei quali era stipata moltissima gente. Secondo il gruppo per i diritti umani Tianwang, che ha base nel Sichuan, i ”postulanti” si erano dati appuntamento alla stazione meridionale di Pechino. Dopo il fermo, alcuni di loro sono stati rilasciati, altri portati nei campi di lavoro. Intanto le autorita’ cinesi – secondo la denuncia di alcune organizzazioni cristiane – hanno revocato l’incarico di vescovo ausiliare di Shanghai a Ma Daqin, il presule ordinato lo scorso luglio e da allora in ‘ritiro’ forzato nel seminario di Sheshan dopo che aveva espresso la volonta’ di lasciare la chiesa patriottica cinese. Eppure Daqin era stato nominato vescovo ausiliario di Shanghai con l’approvazione papale e la sua ordinazione era avvenuta solo pochi mesi fa, il 7 luglio. Al termine della cerimonia, il presule aveva ufficialmente detto di voler lasciare l’Associazione della Chiesa Cattolica Patriottica Cinese (Chinese Catholic Patriotic Association, Ccpa), l’organizzazione statale che gestisce il credo cristiano e i suoi apparati in Cina. Una ”presa di posizione” che ora anche lui sta pagando.
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Giornata diritti umani, domiciliari a dissidente Hu Jia
Il dissidente cinese Hu Jia e’ stato messo agli arresti domiciliari in occasione della Giornata internazionale dei diritti umani, che si celebra oggi. ”La polizia mi ha imposto il domicilio coatto fino a martedi’, per evitare che parli con i giornalisti stranieri”, ha affermato lo stesso Hu Jia in una dichiarazione. Hu, 39 anni, noto per aver per primo creato i centri di sostegno ai malati di Aids – una malattia che in Cina viene contratta soprattutto con le trasfusioni di sangue e non per via sessuale – ha trascorso tre anni e mezzo in prigione per ”sovversione” ed e’ stato rilasciato nel giugno del 2011. La Giornata dei diritti umani e’ imbarazzante per Pechino, che continua ad imprigionare i dissidenti spesso con processi sommari e in violazione delle stesse leggi cinesi. Tra i detenuti cinesi ”scomodi” c’e’ il premio Nobel per la pace del 2010 Liu Xiaobo, che sta scontando una condanna ad 11 anni, anche lui per ”sovversione”. Un altro cittadino cinese, lo scrittore Mo Yan, ritirera’ oggi a Stoccolma il premio Nobel per la letteratura.
fonte: ANSA
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Mo Yan, premio Nobel per la letteratura, difende la censura cinese, non Liu Xiaobo
Il dissidente cinese Hu Jia ha criticato oggi lo scrittore e premio Nobel per la letteratura Mo Yan che ieri, in una conferenza stampa, ha evitato di pronunciarsi a favore di Liu Xiaobo, l’ intellettuale detenuto che nel 2010 ha ricevuto il premio Nobel per la pace. Parlando in una conferenza stampa a Stoccolma, dove si trova per ricevere il prestigioso premio, Mo Yan, si e’ limitato a ricordare le sue dichiarazioni di due mesi fa, quando affermo’ che Liu ”deve ritrovare la liberta’ al piu’ presto possibile”. Mo Yan ha anche rilasciato dichiarazioni sulla censura, affermando che ”in alcuni Paesi e’ necessaria” anche se ”dovrebbe essere ispirata da alti principi”. ”Non ho mai affermato di apprezzare la censura, ma bisogna dire che la censura esiste in tutti i Paesi…la differenza e’ solo nel grado di censura”, ha sostenuto lo scrittore. Mo Yan, autore tra l’ altro del celebrato ”Sorgo Rosso”, e’ accompagnato a Stoccolma da un funzionario del governo di Pechino, che ha accolto entusiasticamente il riconoscimento che gli e’ stato riservato. Al contrario, la Cina respinge le critiche per il trattamento al quale ha sottoposto Liu Xiaobo, che nel 2009 e’ stato condannato a 11 anni di prigione per aver stilato e promosso il documento pro-democrazia Charta08.
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Parco a tema in città natale del premio Nobel Mo Yan
La citta’ natale di Mo Yan, lo scrittore cinese al quale la scorsa settimana e’ stato assegnato il premio Nobel per la letteratura, ha deciso di sfruttare notorieta’ dello scrittore per costruire un parco a tema che sia di richiamo per il turismo. Lo riporta oggi la stampa cinese. Il quotidiano Notizie di Pechino scrive che Gaomi, il piccolo centro in una zona rurale dello Shandong (Cina nordorientale) nel quale Mo Yan e’ nato e nel quale sono ambientati alcuni dei suoi romanzi, investira’ 670 milioni di yuan (circa 82 milioni di euro) nella creazione del parco. L’ area verra’ chiamata ”zona d’ esperienza culturale Mo Yan” e verra’ coltivata a sorgo, il cereale che ha dato il titolo all’ opera piu’ famosa del neo-premio Nobel, ”Sorgo Rosso”. Il regista Zhang Yimou ha tratto dal libro un film di successo, che ha contribuito a far conoscere Mo Yan al pubblico internazionale. Nella regione di Gaomi il sorgo era la principale coltivazione fino al 1980, quando divenne poco redditizio e fu gradualmente abbandonato dai contadini locali. Dal sorgo si ricava anche un rinomato vino, che ha un ruolo importante nei romanzi di Mo Yan. Secondo la stampa i libri dello scrittore, che gia’ godevano di una vasta popolarita’, stanno andando a ruba dopo che gli e’ stato assegnato il Nobel.
fonte: ANSA
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