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Cyber spionaggio: Washington prepara giro di vite

Nuova escalation nella guerra nel cyber-spazio: oltre all’arsenale informatico del Pentagono, in continuo sviluppo, gli Stati Uniti si preparano a rafforzare anche le leggi di cui dispongono per punire persone e Paesi coinvolti nel furto di proprieta’ intellettuali e segreti industriali, ovvero il cyber-spionaggio. Ma allo stesso tempo, gli hacker che soprattutto dalla Cina prendono di mira aziende e agenzie governative Usa sono sempre piu’ aggressivi, mentre quelli all’opera in Iran e Corea del Nord dimostrano sempre piu’ una volonta’ ”distruttiva”. Il Congresso dovrebbe passare all’azione entro aprile, introducendo norme per la revoca dei visti per chi ruba o usa proprieta’ intellettuale, e anche sanzioni ai Paesi che sostengono attivita’ del genere. ”Dobbiamo far sì che le conseguenze siano maggiori dei guadagni” realizzabili rubando segreti industriali, ha detto uno dei promotori di leggi piu’ dure, il repubblicano Mike Rogers, presidente della commissione Intelligence della Camera. In una legge per il finanziamento del governo gia’ firmata la scorsa settimana dal presidente Barack Obama e’ stata inoltre gia’ inserita una norma che vieta alle agenzie federali come i Dipartimenti di giustizia e commercio, Nasa e centri di ricerca di acquistare ‘hardware’ prodotto o assemblato da aziende di proprieta’ o gestite dalla Repubblica Popolare Cinese. Si tratta di una iniziativa per rafforzare la ‘catena della sicurezza’, perche’ le aziende dimostrino la loro indipendenza dalle autorita’ di Pechino, scrive Politico, che cita anche un membro del Congresso secondo cui la norma non riguarda le aziende Usa che assemblano i loro prodotti in Cina. Frattanto, ancora ieri il sito web dell’American Express e’ stato preso di mira da un attacco informatico che lo ha messo fuori uso per oltre due ore e che fa seguito ad assalti simili subiti da altre banche nelle settimane e mesi scorsi, tra cui JPMorgan Chase, Wells Fargo, Bank of America. Attacchi che sono stati rivendicati da un gruppo che si firma ‘Combattenti informatici Izz ad Din al Qassam’, e che sarebbero riconducibili all’Iran. E Pyongyang sarebbe responsabile di iniziative del genere soprattutto contro istituti finanziari in Corea del Sud. ”Gli attacchi sono cambiati, dallo spionaggio sono passati alla distruzione”, ha affermato citato dal New York Times Alan Paller, direttore ricerche al SANS, un’organizzazione per la cyber-security. ”Le Nazioni – ha aggiunto – stanno attivamente testando fino a dove possono arrivare prima che noi rispondiamo”. Ma il maggior contingente di hacker rimane comunque quello cinese, impegnato soprattutto nel furto di segreti industriali. E che la cosa rappresenti per la Casa bianca una priorita’ assoluta lo dimostra il fatto che l’argomento sia stato sollevato da Obama gai’ nel suo primo colloquio telefonico con il nuovo presidente cinese Xi Jinping, cosi’ come nel primo viaggio a Pechino del nuovo segretario al Tesoro Jack Lew. A sua volta, il generale Keith Alexander, comandante dello US Cyber Command, si e’ detto assolutamente d’accordo con il consigliere per la sicurezza nazionale Tom Donilon che in un discorso pubblico ha criticato la Cina esortandola ad adottare misure per mettere fine ai ‘cyber-attack’.

fonte: ANSA

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Ip ciensi dietro attacco informatico alla Corea del Sud

Ci sarebbe un indirizzo internet cinese dietro al maxi attacco informatico che ieri ha oscurato numerosi network televisivi e alcune banche in Corea del Sud. Gli hacker però non hanno ancora un’identità. Lo hanno riferito responsabili sudcoreani. Gli specialisti sudcoreani pensano che gli hacker nordcoreani agiscano per conto del regime comunista formandosi in Cina, suo principale alleato, e operando proprio da lì. “Pirati informatici non ancora identificati hanno utilizzato un indirizzo IP cinese per contattare i server di sei organizzazioni e di numerose aziende – afferma il direttore della ricerca all’interno della Commissione coreana delle comunicazioni, Park Jae-Moon – e installare sui loro computer un malware (forma di virus informatico, ndr)”.

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Obama punta il dito contro il governo cinese per gli attacchi informatici

”C’e’ anche lo Stato cinese” dietro i cyber-attacchi alle imprese e istituzioni americane. Si inasprisce, ormai a ritmo quotidiano, il confronto tra Stati Uniti e Cina sul cyber-spionaggio: con il presidente Barack Obama che, uscendo allo scoperto, ha detto che ci sono stati sulla questione ”duri colloqui” con la Cina, e ”altri ce ne saranno”. Ma certo, ha pero’ frenato, prima di parlare di ”guerra” nel cyber-spazio e’ opportuno usare ”cautela”. In un’intervista alla Abc News, rispondendo ad una domanda se – come sostengono alcuni parlamentari, e non solo – sia ormai in corso una ‘cyber-war’ con la Cina, Obama ha affermato che di certo c’e’ ”un costante aumento di minacce alla sicurezza informatica” e ”alcune sono sostenute dallo Stato, altre sono sostenute semplicemente da criminali”. Tuttavia, ha detto, ”bisogna sempre essere cauti con le analogie sulla guerra”, perche’ ”c’e’ una grande differenza tra il cyber-spionaggio o i cyber-attacchi e, ovviamente, una vera guerra”. Ieri Pechino si era detta ”pronta, sulla base dei principi della fiducia e del rispetto reciproci, a condurre un dialogo costruttivo” e oggi il portavoce ufficiale della Casa Bianca ha espresso apprezzamento per l’apertura; ma diversi esponenti della stessa amministrazione Obama da tempo usano toni piu’ che bellicosi. Senza arrivare all’allarme su una possibile ”Pearl Harbor digitale” lanciato lo scorso anno dall’allora capo del Pentagono Leon Panetta, solo negli ultimi giorni il capo dell’ intelligence Usa James Clapper ha ammonito in un rapporto al Congresso che la minaccia numero uno per gli Usa non e’ il terrorismo di al Qaida, o l’Iran nucleare, bensi’ le intrusioni nei sistemi informatici di grandi aziende e istituzioni dello Stato. Anche il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Obama, Tom Danilon, ha lanciato un appello a Pechino affinché avvii serie indagini per contrastare il fenomeno e si impegni in un ”serio dialogo per stabilire norme accettabili di comportamento nel cyberspazio”. A sua volta, la stampa usa toni sempre piu’ allarmanti. Oggi, ad esempio, in un commento pubblicato sul Wall Street Journal si legge che spie cinesi sono entrate nei database del Pentagono e di aziende che lavorano per la Difesa e, in caso di guerra, la Cina potrebbe usare i dati rubati per per ”accecare” i satelliti che guidano le armi americane e permettono le comunicazioni. Potrebbe mandare in tilt le reti di comunicazione finanziarie, che regolano i trasporti, l’energia, le infrastrutture. Senza contare, si nota poi maliziosamente, che il nuovo caccia cinese J-31 assomiglia davvero molto all’F-35. Obama, che ha in programma un incontro alla Casa Bianca con diversi amministratori delegati del settore privato per parlare del problema della sicurezza informatica, di certo non e’ andato cosi’ lontano. Pero’ ha sottolineato che a causa dello spionaggio, ”miliardi di dollari vengono persi”, e ”segreti industriali vengono rubati. Le nostre aziende vengono messe in in condizione di svantaggio, ci sono interruzioni ai nostri sistemi, che coinvolgono ogni cosa, dai nostri sistemi finanziari alle nostre infrastrutture”. E apparentemente anche la First Lady Michelle, visto che il presidente ha confermato che si sta ”indagando” sulla possibilita’ che sia stata vittima di un cyber-attacco.

fonte: ANSA

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Guerra informatica, controaccuse da Pechino agli Usa

Due importanti siti web dell’esercito cinese hanno subito l’anno scorso circa 144mila attacchi informatici al mese, che per due terzi provenivano dagli Stati Uniti. Lo ha affermato oggi il ministero della difesa di Pechino in una conferenza stampa chiusa alla stampa straniera il cui andamento e’ stato in seguito descritto sul sito web del ministero. Le dichiarazioni del ministero appaiono come la risposta della Cina alle rivelazioni della compagnia americana Mandiat, che la scorsa settimana ha accusato l’Unita’ 61398 dell’Esercito di Liberazione Popolare (Pla nella sigla inglese) di aver sistematicamente attaccato con i suoi esperti di informatica i siti web militari degli Usa. ”Il sito web del ministero della difesa e quello dell’Esercito hanno subito una seria minaccia di attacchi sin dalla loro creazione da parte di pirati informatici e gli attacchi si sono moltiplicati negli ultimi anni”, ha sostenuto un portavoce del ministero citato dal sito web. ”Sulla base degli indirizzi IP i siti sono stati attaccati in media 144mila volte al mese nel 2012, con il 62,9% di questi attacchi provenienti degli Usa”. ”Speriamo che gli Usa possano spiegare e chiarificare questa circostanza”, ha aggiunto il portavoce.

fonte: ANSA

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Hacker cinesi frugano in mappa potere Washington

La lista delle vittime a Washington è lunga e comprende uffici del Congresso, agenzie federali, ambasciate, studi legali, mass media; e mettendo insieme i ‘punti’, ne viene fuori la mappa del potere: gli hacker cinesi sono al lavoro non solo per carpire segreti industriali, ma anche per impadronirsi di quelli politici. Lo affermano diversi esperti; mentre ogni giorno sempre più grandi aziende – superando l’imbarazzo e i timori di negative ricadute economiche – vengono allo scoperto denunciando pubblicamente violazioni ai loro sistemi informatici. Giornalisti, avvocati, attivisti per i diritti umani, membri di prestigiosi think tank hanno accesso ai protagonisti della vita politica e le loro comunicazioni possono potenzialmente offrire una chiave per capire ‘come funziona’ Washington. “Si tratta di una sofisticata raccolta di informazioni di intelligence per disegnare la rete dei rapporti delle persone di potere, sia nel Congresso che nei settori esecutivi”, dice Dan Blumnethal, direttore del settore Asia nell’American Enterprise Institute, a sua volta vittima di cyberspie. L’interesse è apprendere “come il governo assume le decisioni”. L’unica questione, affermano diversi esperti di cyberspionaggio citati oggi dal Washington Post, è capire se i cinesi hanno risorse analitiche adeguate per gestire ed esaminare l’enorme mole di dati che rubano ogni giorno. Nei giorni scorsi un’azienda americana di sicurezza informatica ha diffuso un dossier in cui si dimostrerebbe, attraverso numerosi dati, che oltre 100 attacchi ad aziende in tutto il mondo, e in particolare negli Usa, sono partiti da un palazzo di Shanghai, nel quale risiederebbe l’Unità 61398 dell’esercito cinese. Uno spionaggio apparentemente diverso da quello nelle stanze del potere, compiuto ai danni di obiettivi economici più tradizionali, che può rivelarsi molto utile per i cinesi nel campo della competizione industriale e militare. In campo in cui gli hacker cinesi sono stati particolarmente attivi da anni, riuscendo ad infiltrarsi in migliaia di aziende. Fino ad ora però ben poche aziende americane lo avevano ammesso pubblicamente, mentre ora il vento sta cambiando. Solo nelle ultime settimane sono venuti allo scoperto Twitter, Facebook e Apple, sottolinea oggi il New York Times, che a sua volta ha reso pubblico di aver avuto gli hacker ‘in casa’, così come il Washington Post e il Wall Street Journal. Le ammissioni, sottolinea il giornale, riflettono un nuovo modo di reagire agli attacchi che per lo più finora non dovevano essere rivelati ad azionisti, clienti e avversari, per evitare conseguenze negative quantomeno a Wall Street. Ma ora anche la Casa Bianca alza pubblicamente la voce, affermando che “gli altri governi devono riconoscere che la tutela dei segreti industriali e commerciali è vitale per il successo delle relazioni economiche. I furti di segreti commerciali – si legge in una nota diffusa ieri – sono una minaccia per le aziende americane, mettono in pericolo la sicurezza nazionale e la sicurezza dell’economia americana”. Pechino, dal canto suo smentisce con forza ogni accusa, che definisce “senza fondamento di fatti e di basi legali”.

fonte: ANSA

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La Cina nega gli attacchi cibernetici, Obama promette reazione dura

La Cina respinge al mittente le accuse americane: non e’ vero, ha detto oggi Pechino, che un reparto speciale del suo esercito sia dietro a centinaia di attacchi informatici in tutto il mondo, Stati Uniti in testa. Il governo e l’esercito cinesi ”non hanno nulla a che fare con gli attacchi”. Ma gli Usa non ci credono, e in serata alzano ancora i toni: la nostra reazione contro lo spionaggio industriale sara’ forte, fa sapere la Casa Bianca. Barack Obama passa dunque al contrattacco e presenta il proprio piano contro il furto di segreti commerciali a scapito di aziende americane. Piano che prevede maggiore pressione diplomatica e reazioni forti contro chi pratica lo spionaggio industriale. ”Gli altri governi devono riconoscere che la tutela dei segreti industriali e commerciali e’ vitale per il successo delle relazioni economiche – dichiara la Casa Bianca -. I furti di segreti commerciali sono una minaccia per le aziende americane, mettono in pericolo la sicurezza nazionale e la sicurezza dell’economia americana”. La smentita cinese evidentemente non convince. Malgrado le parole di Geng Yansheng, portavoce del ministro della Difesa, che nelle ore precdenti aveva definito ”senza fondamento di fatti e di basi legali” le denunce rilanciate in un rapporto della societa’ americana di sicurezza informatica Mandiant. Ieri la Mandiant aveva diffuso un dossier nel quale si dimostrava, con diversi dati, che oltre 100 attacchi ad aziende diverse in tutto il mondo dal 2006, in particolare verso gli Stati Uniti, erano partiti da un palazzo di Shanghai nel quale risiede l’Unita’ 61398 dell’esercito cinese, la cui esistenza e’ un segreto di Stato. Secondo la Mandiant, che ha analizzato dati, Ip e altro, la provenienza da Shanghai e dall’esercito cinese degli attacchi e’ certa. Poco dopo la diffusione del rapporto, gia’ il portavoce del ministro degli Esteri di Pechino, Hong Lei, aveva respinto le accuse, dichiarando anzi che la Cina e’ oggetto essa stessa di attacchi informatici, problema mondiale, provenienti in maggior parte dagli Usa, ma che Pechino non ha mai utilizzato questi attacchi contro Washington. Secondo quanto detto oggi dal portavoce del ministro della Difesa, il fatto che attraverso gli Ip (gli indirizzi delle connessioni) la Mandiant basi la sua certezza che gli attacchi siano partiti da Shanghai, mostra la vacuita’ dell’accusa. Gli hacker operano in regime di anonimato e normalmente utilizzano programmi che simulano la connessione da Paesi diversi, cosi’ da cambiare gli Ip. Secondo Geng, che ha ribadito che la Cina e’ uno dei Paesi piu’ esposti agli attacchi informatici, il ministero della sicurezza pubblica di Pechino ha assistito piu’ di 50 Paesi e regioni in indagini su circa 1.100 casi di crimini cibernetici dal 2004. ”Inoltre – ha detto il portavoce – la Cina ha stabilito accordi bilaterali per il rafforzamento della legge sulla cooperazione con piu’ di 30 Paesi, inclusi Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Russia. E sostenendo accuse giornalistiche a senso unico, non aiuta trovare una soluzione e mette a rischio la collaborazione esistente”. Per alcuni esperti anche stranieri citati dall’agenzia Nuova Cina, con questa mossa gli Usa cercano di colpire il principale rivale nella corsa alla supremazia mondiale. La notizia del rapporto americano e della replica cinese e’ stata ripresa dalla stampa di Pechino e gira vorticosamente su internet. Il Global Times, vicino all’organo ufficiale del partito, ha chiesto che la Cina protesti con piu’ forza e piu’ spesso per gli attacchi di cui e’ vittima. Sui microblog le reazioni sono disparate: c’e’ chi si dice orgoglioso dell’hackeraggio da parte dei corpi speciali cinesi e chi invece non crede che il rapporto sia vero perche’ i militari cinesi non sarebbero in grado di farlo. E si torna a favoleggiare di Lanxiang, famigerata scuola di hackeraggio pagata dall’esercito cinese nella provincia dello Shandong.

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Le accuse di un dossier Usa: esercito Cina dietro Cyber Attacchi

Una cellula di elite supersegreta dell’esercito cinese dietro i cyber-attacchi che stanno bersagliando gli Stati Uniti. E’ la denuncia contenuta in un rapporto della societa’ americana di sicurezza informatica Mandiant che, in 75 pagine, spiega come i membri dell’Unita’ 61398 – corpo scelto dell’esercito di Pechino – abbiano rubato dati e creato problemi ad industrie di ogni genere, localizzate soprattutto in paesi anglofoni, l’87% del totale. La sede del corpo speciale cinese – un oscuro palazzo di 12 piani situato in un compound di 12 mila metri quadrati a Pudong, la zona nuova di Shanghai verso il mare dove c’e’ anche l’aeroporto internazionale – sarebbe la base dalla quale dal 2006 ad oggi sono partiti attacchi informatici che hanno compromesso almeno 141 societa’ in tutto il mondo, soprattutto negli Usa. Oggi un reporter della Bbc, John Sudworth, che stava lavorando sulla storia e filmando il palazzone di Shanghai, e’ stato fermato e arrestato per un breve periodo dalle autorita’ cinesi.

La denuncia della Mandiant ha fatto infuriare il governo cinese che ha parlato di ”accuse senza fondamento”, asserendo che la Cina e’ essa stessa vittima di attacchi informatici. Mentre la Casa Bianca, in serata, non ha fatto nulla per nascondere ”preoccupazione” e irritazione per le intrusioni informatiche, definite senza mezzi termini ”una minaccia ai nostri interessi” dal Dipartimento di Stato. Non e’ la prima volta che la Mandiant presenta un rapporto del genere: gia’ nel gennaio 2010 era stato presentato un dossier sulle ‘minacce persistenti avanzate’ (Apt) nel quale si paventava la possibilita’ che il governo cinese fosse dietro gli attacchi informatici a societa’ di tutto il mondo analizzati dal 2004. Con questo nuovo rapporto, chiamato Apt1 e diffuso ieri sera negli Usa, gli attacchi vengono ricondotti con prove specifiche all’unita’ speciale dell’Esercito di Liberazione del Popolo di Pechino, la 61398, la cui natura e’ considerata in Cina un segreto di Stato. Attraverso l’analisi degli indirizzi Ip (quasi tutti riconducibili a Shanghai) e dei server, oltre che delle modalita’ e addirittura di qualche hacker, i tecnici della societa’ americana sono giunti alla conclusione che militari cinesi ben addestrati, conoscitori dell’inglese e dell’informatica, sono senza dubbio dietro gli attacchi.

Parte posteriore della sede dell'unità 61398 al 208 di Datong Lu a Pudong, Shanghai

Parte posteriore della sede dell’unità 61398 al 208 di Datong Lu a Pudong, Shanghai


Il Paese piu’ colpito dagli attacchi informatici sono di gran lunga gli Stati Uniti con 115 casi, seguiti dalla Gran Bretagna con 5, India e Israele con 3, Canada, Taiwan, Svizzera e Singapore 2 e Francia, Norvegia, Belgio, Lussemburgo, Giappone, Emirati Arabi, Sud Africa con un solo attacco registrato. Le societa’ spaziano in tutti i campi: tra loro anche la Coca Cola, aziende finanziarie, organizzazioni internazionali, motori di ricerca come Google e diversi giornali, tra cui spiccano il New York Times e il Wall Street Journal. In oltre dieci mesi, da una singola azienda, secondo il rapporto americano, sarebbero stati rubati oltre 6,5 terabytes di dati. Normalmente gli hacker cinesi ‘soggiornano’ nei server delle aziende per circa un anno, di media, con una punta di 4 anni e dieci mesi in un caso. I tecnici americani sono anche riusciti ad identificare tre degli hacker al servizio del paese del dragone, con dei nick name da battaglia: il ‘gorilla brutto’, ‘Dota’ e ‘superforte’.
Ingresso della sede dell'unità 61398 al 208 di Datong Lu a Pudong, Shanghai

Ingresso della sede dell’unità 61398 al 208 di Datong Lu a Pudong, Shanghai


Il metodo di intrusione e’ piu’ o meno lo stesso: invio di malware e virus attraverso mail civetta che si rivelano poi attivita’ di phishing. Pechino ha reagito duramente. Il portavoce del ministero degli Esteri Hong Lei, respingendo al mittente le ”irresponsabili” accuse, ha detto che la Cina e’ stata oggetto di attacchi informatici che hanno interessato 14 milioni di computer cinesi, portati da 73.000 indirizzi Ip stranieri, la maggior parte dei quali sono americani. Gli stessi americani ovviamente non se ne stanno con le mani in mano. La Casa Bianca di Barack Obama e’ ormai in dirittura d’arrivo nell’elaborazione del primo manuale di regole sulla cyber-war per difendere il Paese: secondo indiscrezioni circolate nei giorni scorsi prevedrebbe anche la possibilita’ per il ‘Comandante in Capo’ di ordinare pesanti attacchi informatici preventivi qualora ci siano dall’estero minacce credibili. Mentre il Pentagono, attraverso il suo Cyber Command, continua a potenziare il suo arsenale per difendere il Paese sul fronte sempre piu’ infuocato della guerra nel cyberspazio.
Mappa dell'area intorno alla sede dell'unità 61398 a Pudong, Shanghai

Mappa dell’area intorno alla sede dell’unità 61398 a Pudong, Shanghai

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Hacker cinesi violano computer della camera di comercio Usa

In una nuova tappa della lotta al cyber-spionaggio, l’Fbi ha scoperto che un gruppo di agguerriti hacker cinesi sono riusciti ad infiltrarsi nei computer della Camera di Commercio americana: per oltre un anno, a quanto pare, hanno potuto avere accesso ad informazioni su circa tre milioni di membri dell’associazione, e hanno rubato dati e email. Non e’ chiaro quanti dati siano stati compromessi nel corso dell’invasione, che e’ andata avanti fino al maggio del 2010 e che e’ una delle piu’ audaci di cui si abbia avuto notizia, riferisce oggi il Wall Street Journal. Secondo quanto ha riferito una fonte vicina alle indagini all’interno della Camera di commercio, che e’ una specie di Confindustria americana, sembra che il gruppo di hacker protagonisti della vicenda siano sospettati dalle autorita’ americane di avere rapporti con il governo di Pechino. Le indagini hanno evidenziato che gli intrusi si sono concentrati in particolare su quattro funzionari dell’associazione che lavoravano sulle politiche con l’Asia e che le email che hanno ricevuto in sei settimane sono state rubate. Si tratta di una rivelazione che arriva peraltro a poche ore di distanza dal colloquio telefonico fra il segretario al Tesoro Usa, Timothy Geithner, e il vicepremier cinese, Wang Qishan, che hanno discusso le relazioni fra Stati Uniti e Cina. Il mese scorso gli Stati Uniti hanno accusato esplicitamente Cina e Russia di spionaggio informatico ad agenzie governative, aziende e universita’ americane: un ”furto” di informazioni che in un rapporto e’ stato descritto come una minaccia alla sicurezza economica nazionale. In un documento elaborato per il Congresso dall’organismo nazionale per il controspionaggio sono state raccolte le valutazioni delle 14 agenzie di intelligence Usa e viene puntato senza mezzi termini il dito contro Pechino e Mosca: in Cina, si legge, ci sono ”i piu’ attivi e persistenti perpetratori di spionaggio economico”, mentre i servizi russi ”stanno conducendo una serie di attivita’ per raccogliere informazioni e tecnologia da obiettivi negli Stati Uniti”. Non e’ stata certo la prima volta che Washington ha denunciato lo spionaggio nel cyberspazio, ma fino ad ora si era limitata ad accusare genericamente degli hacker, soprattutto cinesi, mostrandosi invece piuttosto riluttante a citare esplicitamente governi stranieri. In agosto, inoltre, la societa’ specializzata in sicurezza informatica McAfee aveva reso noto che negli ultimi anni oltre 70 organizzazioni e governi sono stati vittime di una vasta operazione di cyber-spionaggio, dietro la quale diversi esperti vedono la mano della Cina. Respingendo gli attacchi, anche se indiretti, la stessa Cina ha dal canto suo piu’ volte affermato di essere vittima di ‘intrusioni’ informatiche e ha affermato che solo l’anno scorso ha subito 500 mila attacchi di questo tipo, di cui la meta’ provenienti dall’estero, e buona parte proprio dagli Usa. E anche ora, in questo caso, il Wsj ha chiesto un commento all’ambasciata cinese a Washington e si e’ visto rispondere da un portavoce che l’affermazione secondo cui l’attacco alla Camera di Commercio e’ partito dalla Cina ”manca di prove ed e’ irresponsabile” e che la questione degli hacker non dovrebbe essere ”politicizzata”.

fonte: ANSA

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Gli 007 Usa accusa di cyberspionaggio Cina e Russia

Gli Stati Uniti escono allo scoperto e accusano esplicitamente Cina e Russia di spionaggio informatico ad agenzie governative, aziende e universita’ americane: un ”furto” di informazioni che in un rapporto viene descritto come una minaccia alla sicurezza economica nazionale. Il documento e’ stato elaborato per il Congresso dall’ organismo nazionale per il controspionaggio, che ha raccolto le valutazioni delle 14 agenzie di intelligence Usa e che punta senza mezzi termini il dito contro Pechino e Mosca: in Cina, si legge, ci sono ”i piu’ attivi e persistenti perpetratori di spionaggio economico”, mentre i servizi russi ”stanno conducendo una serie di attivita’ per raccogliere informazioni e tecnologia da obiettivi negli Stati Uniti”. E ancora: ”Cina e Russia si considerano concorrenti degli Usa e sono i piu’ aggressivi nel cercare informazioni e tecnologie americane”. Non e’ certo la prima volta che Washington denuncia lo spionaggio nel cyberspazio, ma fino ad ora si era limitata ad accusare genericamente degli hacker, soprattutto cinesi, mostrandosi invece piuttosto riluttante a citare esplicitamente governi stranieri. Respingendo gli attacchi, anche se indiretti, la stessa Cina ha dal canto suo piu’ volte affermato di essere vittima di ‘intrusioni’ informatiche e ha affermato che solo l’anno scorso ha subito 500 mila attacchi di questo tipo, di cui la meta’ provenienti dall’estero, e buona parte proprio dagli Usa. Pochi giorni prima, la societa’ specializzata in sicurezza informatica McAfee aveva reso noto che negli ultimi anni oltre 70 organizzazioni e governi sono stati vittime di una vasta operazione di cyber-spionaggio, dietro la quale diversi esperti vedono la mano della Cina. Confermando quelle informazioni, nel rapporto al Congresso si afferma ora che negli Usa ”le reti di computer di una vasta serie di agenzie governative, aziende private, universita’ e altre istituzioni – tutte attivita’ che hanno un gran volume di informazioni economiche sensibili – sono state obiettivo di spionaggio cibernetico”. In pratica, i settori piu’ colpiti sono quelli dell’informazione, difesa, teconologia, medicina, farmaceutica ed energia ‘pulita’. L’intelligence statunitense afferma che e’ difficile valutare l’entita’ del danno provocato dalle ‘intrusioni’; ma alcune stime affermano che nel 2009 le perdite causate dallo spionaggio industriale, in termini di proprietà intellettuale e contraffazione, ammontano a circa 50 miliardi di dollari. E il problema, affermano gli 007 informatici, e’ comunque destinato ad aggravarsi nei prossimi anni, rimanendo ”una crescente e persistente minaccia” alla sicurezza economica Usa. Washington pero’ si sta preparando da tempo: secondo quanto ha detto Richard George, direttore tecnico del settore per la cyber-difesa della National Security Agency (Nsa) americana, ”oggi cerchiamo cyber-warrior (guerrieri informatici) e non scienziati missilistici”.

fonte ANSA

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Stretta su Internet, sotto tiro il wi-fi gratuito dei locali pubblici, nuovo software controlla accessi

Polemiche nella capitale cinese per l’ordine della polizia a bar, ristoranti, hotel e internet cafe’ di installare su tutti i computer un software molto caro che monitora e registra i dati di coloro che si collegano ad internet tramite la connessione del locale. Il nuovo software costa dai 2000 ai 4000 euro e permette alle autorita’ di accedere ai dati di chi ha navigato e dei siti visti per almeno 60 giorni dopo la navigazione. Gli esercenti che non si adegueranno, dovranno pagare una multa di oltre 1500 euro. Costo dell’operazione e multa ritenuti troppo onerosi per gli esercenti cinesi che stanno protestando. Ma proteste si stanno diffondendo anche fra gli utenti, soprattutto i giovani su internet che denunciano un’altra stretta sulla censura internet nel paese. Le autorita’ di Pechino si difendono definendo necessaria la nuova norma per una serie di ragioni. L’intenzione e’ quella di porre un freno alla navigazione verso siti vietati, come quelli di gioco d’azzardo, pornografici, o di download illegale di musica. Ma le polemiche non si placano e molti commercianti del centro di Pechino, dove e’ entrata in vigore la legge in via sperimentale, minacciano proteste.
La decisione e’ venuta mentre e’ ancora in corso una pesante ondata di repressione del dissenso innescata dalle rivolte anti-autoritarie in molti Paesi arabi e nei giorni nei quali Internet e’ il principale veicolo della forte protesta anti-governativa scoppiata in seguito all’ incidente tra due treni superveloci nella Cina orientale, che ha causato la morte di almeno 40 persone. Secondo milioni di intervenuti sui cosiddetti ”microblog”, le autorita’ vogliono nascondere la ”verita”’ sull’incidente per proteggere i ”corrotti” funzionari delle ferrovie. ”Non voglio essere spiato, non mi piace assolutamente”, commenta Guan, impiegato di una societa’ di consulenze economiche seduto in uno dei numerosi ‘Starbucks’ di Pechino. ”A dire la verita’, posso usare Internet a casa e in ufficio, ma e’ piacevole stare seduti in un posto confortevole e navigare sul web”, aggiunge Wang, un altro cliente. Se gli utenti sono disturbati da questa ennesima intrusione dell’occhiuta censura cinese nella loro vita privata, i gestori dei locali sono disperati. Il software, prodotto dalla Rain-Soft Software di Shanghai, costa 20mila yuan (quasi 2200 euro). ”Forse lo possono pagare le grandi catene, come Starbucks e McDonald’s ma io certo non me lo posso permettere”, ha sostenuto Ye Jia, proprietario di un piccolo bar nel distretto di Dongcheng, nel centro di Pechino. Un altro gestore, uno straniero che preferisce che non venga fatto il suo nome, ha detto di aver gia’ tagliato il servizio wi-fi nel suo locale. ”Non voglio essere parte di questo sistema orwelliano”, ha spiegato. In Cina sono bloccati tutti i siti di comunicazione sociale come Youtube, Twitter e Facebook. La ”grande muraglia di fuoco” della censura blocca ogni giorno migliaia di parole considerate ”pericolose” dal Dipartimento per la propaganda del Partito comunista, che invia periodicamente le sue ingiunzioni a tutti i siti web, oltre che agli organi di stampa. Secondo la polizia di Dongcheng, la prima ad aver imposto il regolamento, scopo dell’ iniziativa e’ quello di ”fermare i criminali” che usano la rete per ”ricatti, traffici proibiti, giochi d’azzardo, per diffondere informazioni dannose e diffondere virus sui computer”.

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