Fornire alla Cina sei laser che rilevano l’inquinamento atmosferico nei cieli di Pechino: è questo l’obiettivo della commessa firmata tra il Consorzio nazionale interuniversitario per le scienze fisiche della materia (Cnism) e l’Istituto di ricerca Telemetria di Pechino (Brit) dell’Agenzia Spaziale cinese (Casc). La commessa ha un valore di due milioni di euro che serviranno per produrre in Italia sei laser atmosferici chiamati Lidar (Laser Imaging Detection and Ranging). Il progetto è stato sviluppato dal gruppo di ricerca di Nicola Spinelli, dell’università Federico II di Napoli, mentre a realizzare una delle principali componenti del Lidar, la sorgente laser, è l’azienda Bright Solutions di Pavia. Uno dei lidar da produrre sarà un prototipo che verrà testato su un aereo e se i test saranno positivi, sarà sviluppato e successivamente verrà fornito ai cinesi per metterlo su satellite e controllare l’inquinamento dallo spazio. Il Brit, si è detto interessato, inoltre, a progetti di ricerca e prospettive di produzione industriale in comune col Cnism per dotare l’area urbana di Pechino, una delle più inquinate del pianeta, di una rete di monitoraggio composta da 150 lidar di diverse lunghezze d’onda. Un lidar è un laser a cui vengono aggiunti un telescopio e un rivelatore della luce emessa dal laser e riflessa dalle sostanze presenti in atmosfera. La produzione dei lidar avviene in due tempi: dapprima la Bright Solution realizza il laser della giusta lunghezza d’onda, quindi all’università di Napoli il laser si trasforma il lidar con l’aggiunta di un telescopio e di un rivelatore. I lidar che saranno forniti ai cinesi avranno diverse lunghezze d’onda per intercettare differenti tipi di inquinanti.
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Sei laser atmosferici italiani monitoreranno aria Pechino
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Piano quinquennale per ridurre l’inquinamento in Cina
Il governo cinese ha presentato oggi un piano d’azione quinquennale articolato su più fronti per affrontare il problema dell’inquinamento nel paese. Lo riferisce l’agenzia Nuova Cina. In primo luogo Pechino intende ridurre il consumo di carbone portandolo al di sotto del 65% del consumo totale di energia primaria entro il 2017, incrementando le forniture di energia pulita. Sarà poi vietata la costruzione di nuove centrali elettriche a carbone sia nella regione dell’Hebei, sia sul delta del fiume Yangtze e su quello del fiume delle perle. Entro il 2017, la capacità totale dei reattori nucleari della Cina raggiungerà i 50 milioni di kilowatt e la quota di energia da combustibili non fossili sarà elevata al 13%. Secondo il piano, la Cina sta anche considerando un taglio di circa il 20% del consumo di energia per unità di valore aggiunto industriale entro il 2017. Anche la capitale Pechino ha diffuso il suo piano per proteggere l’ambiente, con la decisione di tagliare il consumo di carbone di 13 milioni di tonnellate entro il 2017, contro i 23 milioni consumati nel 2012. Deciso anche il taglio della capacità di produzione di cemento di quattro milioni di tonnellate entro il 2017. Tutte le industrie, entro i prossimi cinque anni, dovranno ridurre le emissioni del 30% rispetto a quanto emettono oggi. La capitale cinese, promuoverà anche l’uso di energia pulita nei veicoli pubblici, con l’obiettivo di avere 200.000 veicoli ad energia pulita sulle strade entro il 2017. La Cina intende agire su piu’ fronti per affrontare il problema dell’inquinamento nel paese. Secondo quanto riferisce l’agenzia Nuova Cina, il governo di Pechino ha oggi reso noto un piano d’azione mirato in cinque anni. In primo luogo il paese intende ridurre il suo consumo totale di carbone portandolo al di sotto del 65% del suo consumo totale di energia primaria entro il 2017, incrementando le forniture di energia pulita. Sara’ poi vietata la costruzione di nuove centrali elettriche a carbone sia nella regione dell’Hebei, sia sul delta del fiume Yangtze e su quello del fiume delle perle. Entro il 2017, la capacità totale dei reattori nucleari della Cina raggiungerà i 50 milioni di kilowatt e la quota di energia da combustibili non fossili sarà elevata al 13%. Secondo il piano, la Cina sta anche considerando un taglio di circa il 20% del consumo di energia per unità di valore aggiunto industriale entro il 2017. Anche la capitale Pechino ha diffuso il suo piano per proteggere l’ambiente, con la decisione di tagliare il carbone di 13 milioni di tonnellate entro il 2017, contro i 23 milioni consumati nel 2012. Decisa anche il taglio della capacità di produzione del cemento di 4 milioni di tonnellate nel 2017. Tutte le industrie, entro i prossimi cinque anni, dovranno ridurre le emissioni del 30% rispetto a quanto emettono oggi. La capitale cinese, promuoverà anche l’uso di energia pulita nei veicoli pubblici, con l’obiettivo di avere 200.000 veicoli ad energia pulita sulle strade nel 2017.
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Greenpeace, fino a 16.000 morti in cina per centrali a carbone
Le emissioni provenienti da nuove previste centrali a carbone nella provincia del Guangdong potrebbero causare la morte di 16.000 persone nei prossimi 40 anni. A rivelarlo è una ricerca commissionata da Greenpeace a Andrew Gray, un consulente privato americano esperto in qualità dell’aria. La scioccante rivelazione ha rimesso in discussione per la provincia l’apertura dei 22 nuovi impianti, dei quali la metà sono già in costruzioni e l’altra metà in fase di progettazione, tornando alla vecchia politica del 2009 che prevedeva l’alt all’apertura di nuovi impianti nella zona del Delta del fiume delle Perle. Nel solo 2011 ci sono state 3600 morti riconducibili all’inquinamento da emissioni provenienti dai 96 impianti già operativi nella provincia del Guangdong e a Hong Kong, e 4000 casi di asma infantile. Ma non tutti sembrano d’accordo sull’ipotesi di bloccare i nuovi impianti. “Che dovrebbe fare il Guangdong? – ha scritto sul suo microblog Yu Yang, uno studente della Stanford University che si occupa di ricerche sulle politiche ambientali – trasportare elettricità dalla zona sud occidentale del paese?”. Yang ha anche aggiunto che una tale ipotesi creerebbe più inquinamento e danni per l’ecologia locale. Altra ipotesi sarebbe quella di fare ricorso all’energia nucleare, ma la stessa Greenpeance ha portato avanti campagne contro l’energia nucleare sollevando questioni di sicurezza. Delle ipotetiche 16.000 morti che si verificherebbero nei prossimi 40 anni, i due terzi avverrebbero per ictus e il resto per cancro al polmone e per malattie cardiache. L’inquinamento provocherebbe anche 15.000 nuovi casi di asma e 19.000 casi di bronchite cronica.
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Quasi 10mila vittime in Cina settentrionale nel 2011 per inquinamento da carbone
Sono 9.900 le persone decedute prematuramente a Pechino, a Tianjin e nella provincia dell’Hebei nel 2011 a causa dell’inquinamento causato dalle centrali elettriche a carbone. Lo riferisce uno studio condotto da Greenpeace con la collaborazione di esperti americani del settore. Oltre ai decessi, secondo lo studio, le emissioni dannose sarebbero state responsabili anche di 11.110 casi di asma e 12.100 casi di bronchite. Tra le morti, 850 sarebbero avvenute per cancro legato a metalli pesanti – come l’arsenico, il piombo, il cadmio e il nichel – e il resto sarebbero state attribuite a ictus, problemi cardiaci e respiratori comunque derivati dall’inquinamento. Il rapporto ha ulteriormente fatto aumentare la preoccupazione della popolazione sulla questione dell’inquinamento e sui danni che può provocare alla salute. “Seriamente – ha commentato un utente su un microblog – ora è venuto il momento di pensare di lasciare Pechino”. Ma la situazione peggiore sembra quella rinvenuta nella provincia dell’Hebei, nella Cina settentrionale, che è il terzo maggior consumatore di carbone nel paese e dove sono avvenuti la maggior parte dei decessi. Pechino dal canto suo sta cercando di ridurre il suo consumo nazionale di carbone, portandolo da 27 milioni di tonnellate nel 2010 a 20 milioni di tonnellate nel 2015, laddove la provincia dell’Hebei da sola nel 2011 ha consumato 307 milioni di tonnellate di carbone. “Per l’Hebei – ha spiegato Huang Wei, che conduce per Greenpeace una campagna sul clima – è arrivato il momento di fare cambiamenti sostanziali e ridurre il suo consumo di carbone che ha provocato ben 6700 morti premature nella zona”.
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Aumenta inquinamento a Pechino a gennaio
Dalla Cina ancora notizie negative dal fronte “inquinamento”: secondo un nuovo rapporto della Beijing News, il biossido di azoto e il PM10 sembrano essere “nettamente aumentati” nel mese di gennaio. Il rapporto, che come riporta il New York Times cita come fonte Chen Tian, capo del Beijing Municipal Environmental Protection Bureau, sottolinea come nel primo mese del 2013 i livelli dei due inquinanti siano stati più alti del 47% rispetto a quanto riscontrato nello stesso mese del 2012. Secondo Chen, il motivo principale di tale aumento è da attribuire agli elevati livelli di emissioni di CO2: “le emissioni create da coloro che vivono e producono in città superano di gran lunga ciò che l’ambiente può assorbire”, ha dichiarato il capo dell’agenzia per l’Ambiente. L’analisi afferma inoltre che gli aumenti sono in parte dovuti alla topografia e alle condizioni meteorologiche: in questo periodo, Pechino ha infatti registrato i livelli più alti di umidità del decennio e la velocità del vento di superficie è stata la più bassa in 10 anni. Nonostante questo tuttavia è emerso anche che il terzo maggiore inquinante, il biossido di zolfo, sia leggermente diminuito rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
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Tumori da inquinamento, Pechino studia come ridurli
E’ ancora l’inquinamento uno dei temi più caldi e discussi in Cina in questo periodo. Forse anche per venire incontro ai timori della gente, a Pechino le autorità sanitarie hanno lanciato un progetto pilota per verificare il tasso di tumori in città. Il progetto prevede anche l’effettuazione gratuita di test diagnostici ed esami per coloro che sono considerati a rischio. Secondo i dati resi noti dalla Commissione sanitaria di Pechino nella capitale cinese è quello al polmone il tipo di cancro più diffuso e tra le cause sono indicate proprio lo smog da inquinamento e il fumo. Seguono il cancro al seno, quello al colon, al fegato e i tumori del tratto gastrointestinale. Il cancro è attualmente la prima causa di morte a Pechino. Gli ultimi dati disponibili, che si riferiscono al decennio 2001-2010, evidenziano come ogni giorno a 104 abitanti di Pechino viene diagnosticato un tumore dal 2010. I malati sono aumentati da 171 a 302 ogni 100.000 persone tra il 2001 e il 2010. Secondo Cui Xiaobo, professore alla Medical University, il governo cinese dovrebbe impegnarsi di più nel combattere le cause del cancro, anche se ha specificato che le polveri sottili da particolato PM2,5, possono provocare malattie respiratorie o malattie polmonari, ma non è ancora provato che provochino il cancro. Per il professor Cui la principale causa di cancro al polmone resta il fumo. Tuttavia una ricerca condotta congiuntamente dall’Università di Pechino e da Greenpeace, pubblicata nel dicembre 2012, ha rivelato che le polveri di PM2,5 hanno causato la morte di 2.349 persone a Pechino nel 2010. Ma i pericoli collegati all’inquinamento non riguardano solo Pechino. A Shanghai, secondo la Commissione per la Protezione ambientale, negli ultimi tre mesi ci sono stati solo 59 giorni in cui l’aria non era inquinata. I giorni peggiori si sono avuti in gennaio quando in alcuni giorni il livello di Pm2,5 ha superato i 200. La capitale economica cinese ha deciso di predisporre un piano di emergenza che consiste in una campagna per aumentare la consapevolezza della gente, nella limitazione di produzione imposta ad alcune industrie altamente inquinanti e nella riduzione del numero di veicoli sulle strade. L’allerta scatterà quando l’indice della qualità dell’aria supera i 200. La popolazione verrà avvisata tramite microblog governativi, siti web e media locali. Le scuole non potranno svolgere attività all’aria aperta. Se poi l’indice dovesse superare i 300, che indica un inquinamento ancora più grave, saranno adottate misure ancora più drastiche, tra le quali anche il divieto di sparare fuochi d’artificio e una riduzione del 30% dell’uso di veicoli pubblici. In casi estremi potrebbe essere ordinata la chiusura delle scuole.
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Per Greenpeace, la Cina è vittima dell’inquinamento da produzione concimi
Centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti prodotti dall’industria dei fertilizzanti fosfatici stanno provocando un grave inquinamento in varie regioni della Cina. A dirlo da Pechino è Greenpeace. Dal 2001 la Cina ha più che raddoppiato la sua capacità di fabbricazione di fertilizzanti al fosfato tanto da diventare leader con il 40% della produzione mondiale. Il paese soffre ancora oggi di sovraccapacità produttiva, secondo Greenpeace. Tuttavia, questo settore genera un sottoprodotto molto inquinante, il fosfogesso, di cui sono state trovate enormi quantità conservate illegalmente: una “bomba a orologeria” ha denunciato l’organizzazione di tutela ambientale in un rapporto dal titolo “Vivere in pericolo” pubblicato oggi. “La Cina ha accumulato almeno 300 milioni tonnellate di fosfogesso, più di 200 chilogrammi pro capite. E a peggiorare la situazione è che il fosfogesso contiene una serie di sostanze estremamente dannose”, ha spiegato Lang Xiyu, uno degli autori dell’indagine. L’Ong ha presentato foto e video che mostrano enormi discariche a cielo aperto di fosfogesso (di cui una di 33 ettari nella provincia di Sichuan), vicine a fiumi o aree abitate in violazione delle leggi in vigore, secondo Greenpeace. I campioni prelevati in loco hanno evidenziato la presenza di arsenico, cadmio, cromo, mercurio e altri metalli pesanti molto dannosi. “I campioni che abbiamo raccolto mostrano solo la punta di un iceberg “, ha rilevato Xiyu Lang. “E’ fondamentale che il governo affronti il problema e fornisca sostegno alle vittime dell’egoismo delle grandi società. Non possiamo più continuare ad agire come se non ci fossero 300 milioni di tonnellate di fosfogesso che inquinano la nostra terra, la nostra acqua e la nostra aria”.
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Tragedie in miniera in Cina, 111 morti in due diversi incidenti
Le miniere cinesi continuano ad essere le piu’ pericolose del mondo: oggi due tragedie hanno causato la morte di 111 minatori. Nel primo caso, una frana ha seppellito i lavoratori che si trovavano all’interno di una miniera d’oro non lontano da Lhasa, la capitale della Regione Autonoma del Tibet, nel sudovest della Cina. Dopo aver scavato tra i detriti per oltre 12 ore, i soccorritori non hanno trovato superstiti. Il secondo incidente si e’ verificato in una miniera di carbone all’estremita’ opposta del Paese, la provincia nordorientale del Jilin. Gli 83 minatori morti in Tibet, secondo l’agenzia Nuova Cina, erano in grande maggioranza cinesi di etnia han, mentre i locali tibetani erano solo due. Una circostanza destinata a rafforzare il malcontento dei tibetani, secondo i quali i massicci investimenti di Pechino nascondono uno sfruttamento delle materie prime delle quali la regione e’ ricca e vanno a beneficio soprattutto degli immigrati dalle altre province cinesi, mentre i locali vengono lasciati indietro. A Jilin e’ stata invece un improvvisa folata di grisou a provocare il crollo di una parte di una miniera dell’impresa statale Tonghua Mining Group. I 28 lavoratori che si trovavano in quel momento all’interno non hanno avuto scampo. La Cina e’ una grande consumatrice di carbone, che le fornisce il 70% dell’energia che consuma. La mortalita’ tra i minatori e’ altissima, anche se e’ diminuita nel 2012, con 1.384 morti in incidenti contro i 1.973 del 2011. Sotto accusa vengono in genere messe le piccole miniere, gestite spesso da imprenditori improvvisati e pronti a tutto ma in questo caso la disgrazia si e’ verificata in una miniera di una grande impresa, che dovrebbe garantire le minime condizioni di sicurezza ai suoi dipendenti. In marzo, un altro grave incidente si e’ verificato nella provincia meridionale del Guizhou, dove hanno perso la vita 21 minatori. In precedenza, alla fine di dicembre 2012, un colpo di grisou aveva causato 17 vittime in una miniera di Shangchang, nella provincia dello Yunnan. Il vicepremier Zhang Dejiang, numero tre della gerarchia cinese e membro del potente Comitato Permanente dell’Ufficio Politico comunista, ha affermato che queste disgrazie sono ”un segnale d’allarme”. ”Dobbiamo sapere – ha proseguito – che la prevenzione di incidenti di questo tipo e’ un compito complesso, difficile e urgente”.
fonte: ANSA
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Con tag gas, grisu, lavorare in miniera, miniera, miniere cinesi, monossido di carbonio, morire in miniera
Esplosione in miniera: 28 morti nel nord est della Cina
Sono 28 le vittime confermate dello scoppio in una miniera nella provincia nordorientale cinese di Jilin. Lo riferisce l’agenzia Nuova Cina.
Tredici le persone salvate dopo l’incidente, accaduto alle 22:40 di ieri sera nella miniera di carbone Babao a Baishan. Il sito appartiene alla statale Tonghua Mining.
I soccorritori hanno dichiarato finite le operazioni, fissando il bilancio delle vittime. Le autorita’ locali hanno annunciato un’inchiesta.
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Pechino decide investimenti miliardari contro l’inquinamento
La municipalità di Pechino investirà cento miliari di yuan (circa 12 miliardi di euro) nei prossimi tre anni nel tentativo di migliorare la qualità dell’aria respirata dagli oltre 20 milioni di abitanti della metropoli. Dall’inizio dell’anno l’inquinamento dell’aria è stato costantemente sui livelli “molto dannoso” o “pericoloso” per la salute. Secondo il quotidiano China Daily, l’amministrazione municipale si muoverà per migliorare la gestione dei rifiuti, per bloccare le costruzioni illegali. La regola per la quale tutti i veicoli della metropoli (circa cinque milioni) devono restare fermi un giorno a settimana, con una turnazione basata sull’ ultimo numero delle loro targhe, rimarrà in vigore, hanno dichirato funzionari al China Daily. Il giornale sostiene che punti chiave del piano anti-inquinamento sono la costruzione di condutture per 1.290 chilometri per il trasporto dei rifiuti e di 20 impianti per il loro riciclaggio. E’ inoltre in programma la costruzione di 47 impianti per la purificazione dell’ acqua.
fonte: ANSA
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