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Dissidente mongolo Hada in gravi condizioni

Sono sempre più complicate le condizioni di salute, soprattutto mentali, di Hada, il dissidente della Mongolia Interna che dopo 15 anni di prigione, é di fatto agli arresti domiciliari senza condanna dalla fine del 2010. Lo ha denunciato all’organizzazione americana che si batte per i diritti umani in Cina, Human Rights in China (Hric), il figlio dello stesso Hada, Uiles. Secondo il racconto del giovane, ad Hada, che è stato carcerato per separatismo e spionaggio, viene vietato dalle autorità qualsiasi trattamento medico. Le visite ad Hada, che si trova ristretto in una stanza del Jinye Ecological Park nei pressi dell’aeroporto internazionale di Hohhot, capoluogo della Mongolia Interna, sono rade e decise dalle autorità. In una delle sue ultime visite all’uomo, la moglie Xinna lo ha trovato all’inizio di gennaio in pessime condizioni, con fisime e paranoie, diversi problemi fisici e mentali. Lo stesso figlio ha detto che in una precedente visita alla fine dell’anno, suo padre non gli ha neanche rivolto la parola. Uiles ha detto che le autorità continuano a fare pressioni su lui e sua madre perché non parlino con le Ong. Hada, attivista per una maggiore autonomia della Mongolia Interna, è stato arrestato nel 1995.

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Eseguita sentenza condanna a morte per killer pastore mongolo

L’ uomo condannato per aver investito e ucciso un pastore mongolo in un episodio che ha dato il via a gravi disordini, è stato messo a morte dalla autorità cinesi. Lo riferisce oggi l’ agenzia Nuova Cina precisando che l’ esecuzione è avvenuta il 18 agosto. L’ uomo, un cinese han di nome Li Lindong che lavorava nelle miniere della Mongolia Interna, era stato condannato alla pena capitale per aver investito col suo camion il pastore mongolo Mergen, e per averlo trascinato per oltre cento metri prima di lasciarlo, morto, sulla strada. Mergen aveva tentato di bloccare la strada per protestare contro lo sfruttamento delle risorse della regione da parte degli immigrati cinesi. La vicenda aveva innescato massicce manifestazioni di protesta della locale popolazione mongola, le prime da decenni. I mongoli, in gran parte pastori seminomadi, accusano gli immigrati cinesi han di rovinare i pascoli per i loro animali con l’ inteso sfruttamento delle miniere di carbone della zona. Oggi i mongoli sono circa il 20% dei 25 milioni di abitanti della Regione Autonoma della Mongolia Interna, in maggioranza immigrati da altre province della Cina.

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Uccise pastore mongolo, condannato alla pena di morte

Il tribunale di Xilingol, in Mongolia, ha condannato alla pena di morte Li Lindong, l’autista di camion che il 10 maggio ha investito un allevatore mongolo scatenando le proteste dei locali. Lo riferisce l’agenzia Nuova Cina. La decisione del tribunale è arrivata dopo sei ore di processo, al termine del quale Lu Xiangdong, che nel camion sedeva dietro Li Lindong, è stato condannato all’ergastolo. Altri due autisti, Wu Xiaowei e Li Minggang, sono stati condannati a tre anni di carcere per aver ostruito la giustizia. Tutti hanno annunciato un ricorso in appello. Al processo erano presenti circa 160 persone, compresi i parenti della vittima. Mergen è stato investito e trascinato via per oltre 150 metri da un camion guidato da un uomo di etnia Han, quella prevalente in Cina. Pochi giorni dopo, un altro allevatore è morto per gli scontri con dei minatori locali. Secondo la versione ufficiale, Mergen cercava di impedire il passaggio dei camion che si riforniscono in zona di carbone dalle miniere, provocando, a detta dei locali, inquinamento e rumore. L’uccisione di Mergen ha scatenato le proteste di migliaia di mongoli, che si sentono oppressi dalla maggioranza Han. La Mongolia interna è tra le maggiori produttrici di carbone, tanto che la Cina intende aprire qui diverse nuove miniere. Questi piani hanno fatto sorgere nella popolazione locale mongola la preoccupazione di un nuovo e sempre maggiore afflusso nella zona della maggioranza Han, che conta circa il 90% della popolazione totale della Cina. Il governo locale ha prima inviato l’esercito e poi ha vietato manifestazioni all’aperto, imponendo una sorta di stato di emergenza. La situazione è andata normalizzandosi nei giorni scorsi.

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