Resta difficile – talora da semi schiavi – la condizione dei lavoratori migranti interni in Cina. A rivelarlo è uno studio condotto dalla Commissione Nazionale di Statistica nel 2013. La ricerca evidenzia come la maggior parte di queste persone, che lasciano le loro terre di origine per recarsi in altre provincie a lavorare, devono combattere per avere anche diritti elementari come l’assicurazione e il pagamento regolare del salario. I dati parlano di oltre due milioni di persone che lo scorso anno hanno avuto problemi nell’essere pagati regolarmente anche a livelli minimi. Di tutti questi lavoratori solo circa il 40% può contare su un qualche contratto di lavoro. La media mensile di uno stipendio di questi migranti nel 2013 è stata di 2609 yuan (circa 300 euro al mese), 319 yuan in più (circa 35 euro) rispetto all’anno precedente. I ritmi sono inoltre pesantissimi e alcuni lavorano una media di oltre 12 ore al giorno.
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Tornano al lavoro gli operai della fabbrica di scarpe in sciopero da giorni
La maggior parte degli operai del colosso delle calzature Yue Yuen, in sciopero da oltre dieci giorni nella più grande manifestazione del genere in Cina, sono tornate al lavoro. Secondo Ong che si battono per i diritti dei lavoratori, riferiscono che diversi operai (chi parla del 60% chi dell’80%) sono tornati al lavoro dopo che l’azienda ha acconsentito a concedere alcune delle rivendicazioni degli operai. Altri invece sarebbero tornati al lavoro dietro pressioni delle forze di polizia, altri per la paura del licenziamento paventato dalla Yue Yuen. Non hanno ripreso il lavoro gli operai che sono impiegati in una linea di produzione della Nike, così che diverse migliaia di operai sono ancora per strada. Polizia in assetto antisommossa circonda l’enorme complesso industriale. Ieri il sindacato, che dipende dal partito comunista, aveva accolto le richieste degli operai, giudicandole legittime, intimando all’azienda di pagare gli arretrati, soprattutto l’assicurazione sociale, che è il maggior oggetto del contendere. Ma molti dipendenti non credono alla promessa dell’azienda e hanno dichiarato che fino a quando non vedranno i soldi versati, non ritorneranno al lavoro. In diverse strutture della fabbrica sono stati smantellati gli apparecchi che rivelano le presenze. Lo sciopero, in vigore dal 14 aprile, ha bloccato la produzione di grandi marchi come Nike, Reebok, Puma, Timberland e Adidas. Quest’ultima, in particolare, ha spostato parte della produzione altrove in Cina.
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Lavora 31 giorni di fila e accumula 190 ore di straordinario: muore per troppo lavoro
Trentuno giorni di lavoro in un mese e 190 ore di straordinario sono stati fatali, tanto da portarlo alla morte, ad un giovane ingegnere di 33 anni originario della provincia cinese del Jianxi ma che lavorava in una azienda del Guangdong, nel sud del Paese. Liu, secondo chi lo frequentava e la sua famiglia, era un ragazzo modello: non beveva non fumava, non aveva svaghi se non il lavoro. E’ per questo che la sua morte, scoperta lo scorso 9 aprile da alcuni colleghi che, non vedendolo arrivare per un paio di giorni in ufficio, si sono insospettiti e sono andati a casa sua, viene legata dalla sua famiglia al troppo lavoro, allo stress accumulato. Per tutto l’anno scorso, aveva cominciato a marzo, il giovane non aveva preso una sola vacanza in più rispetto ai pochissimi giorni di chiusura della fabbrica, non usufruendo neanche dei congedi dovuti. Lavorava dodici ore al giorno: dalle otto del mattino alle 21.30, concedendosi mezz’ora per pranzare e altrettante per cenare, le uniche due pause dal lavoro. Solo nel mese scorso ha sommato 31 giorni di lavoro, neanche un giorno festivo a settimana e ben 190 ore di straordinario, come si evince dal registro delle presenze della Derchun Industries, l’azienda presso la quale lavorava. Azienda che si è giustificata dicendo che è stata una scelta dell’ingegnere di lavorare tanto e di fare anche gli straordinari, per i quali sarebbe stato poi pagato. Tuttavia, la famiglia del giovane vuole vederci chiaro e denuncia le forti pressioni sul giovane e i suoi colleghi. Liu è soltanto uno degli oltre 600.000 lavoratori cinesi, stime pubblicate un paio di anni fa dalla stampa, che muoiono ogni anno per troppo lavoro. Situazioni sociali come l’aumento dei costi della vita, l’arrivismo sociale e le pressioni familiari legate anche alla legge del figlio unico (divenuta l’unica fonte di sussistenza per i genitori che non lavorano più), la voglia di fare soldi e di realizzarsi, hanno fatto diventare la Cina, secondo una indagine del sito di consulenza aziendale cinese Iheima, il primo paese al mondo per le morti sul lavoro. Il Giappone, quello che prima era il regno del “karoshi”, la morte da troppo lavoro, è stato oramai superato dalla Cina in questa macabra classifica. Lo scorso dicembre, un ragazzino di 15 anni morì per troppo lavoro alla catena di montaggio degli iPhone, mentre a giugno dell’anno scorso un impiegato di 24 anni morì a Pechino sul luogo dove lavorava.
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Fornitore cinese di iPhone 5c viola norme sul lavoro
Una Ong che si batte per i diritti dei lavoratori cinesi ha scoperto condizioni di lavoro precarie per i lavoratori di una fabbrica in cui si producono i nuovi iPhone c economici della Apple, a breve sul mercato. Secondo China Labor Watch, che ha sede a New York, gravi violazioni delle norme sul lavoro sono state scoperte nella fabbrica della Jabil Circuit, che lavora per la Apple, a Wuxi, nella Cina orientale. Nell’indagine è emerso che i lavoratori sono obbligati a turni di oltre 11 ore di lavoro nei quali lavorano in piedi con una interruzione di soli 30 minuti per mangiare. Inoltre, sono obbligati anche a più di 100 ore di straordinario al mese, molte delle quali non vengono neppure pagate. Nella fabbrica, inoltre, verrebbero discriminati i dipendenti in base all’età e assunti solo i più giovani e uomini, per evitare donne incinte. China Labor Watch negli anni ha condotto diverse inchieste sulle fabbriche cinesi, soprattutto quelle legate a proprietà o che hanno commesse straniere. Nel loro mirino, negli ultimi tempi, soprattutto le aziende legate alla Apple.
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“Operaio” di 14 anni muore in fabbrica
A quattordici anni, un ragazzino cinese che lavorava dodici ore al giorno con due brevi pause per il pranzo in una fabbrica di prodotti elettronici, è stato trovato morto nel suo letto del dormitorio dell’azienda. Una fine che ha dell’incredibile, bollata come ‘morte immediata’ dalle autorità che non hanno però voluto offrire maggiori indicazioni e che, al momento, è stata risarcita con poco più di 12 mila euro. Secondo testimonianze raccolte da organizzazioni che si battono per i diritti dei lavoratori in Cina, la causa della morte, avvenuta il 21 maggio, potrebbe essere attribuita al troppo lavoro. Nella fabbrica, infatti, secondo China Labor Watch, una organizzazione americana, gli straordinari erano all’ordine del giorno, anche di decine d’ore. Liu Fuzong, questo il nome del ragazzo, proveniva da una famiglia povera della zona rurale cinese. Il 27 febbraio, tramite una società di consulenza sul lavoro, la Dongguan Wantong Labor Dispatch Company, fu assunto alla Yinchuan Electronic Company, azienda che produce le schede madri per i computer della Asus a Dongguan, città non lontana da Guangzhou, l’ex Canton, nella provincia meridionale del Guangdong. Qui il ragazzino si presenta con un documento falso, nel quale c’era scritto che aveva diciotto anni. Senza troppi controlli da parte dell’azienda (che verrà multata dalle autorità per questo), viene assunto e messo alla catena di montaggio. Con lui lavorano molti studenti, parecchi dei quali sotto i sedici anni, nonostante sia vietato dalla legge. Tutti provenienti dalla provincia meridionale del Sichuan, tutti messi a produrre pezzi elettronici. La Yinchuan è di proprietà della taiwanese 3CEMS Group, un colosso che lavora per conto di Samsung, Canon e Sony. La Samsung ha subito fatto cancellare il proprio nome dal sito dell’azienda taiwanese, anche se attraverso ricerche su internet si trovano le prove dei loro legami. E l’azienda sudcoreana leader nel settore dei tablet e smartphone, non è muova ad accuse di sfruttamento del lavoro minorile. La stessa China Labor Watch ha più volte denunciato le condizioni pessime di lavoro in fabbriche cinesi riconducibili alla Samsung, dove sono impiegati anche minorenni. L’Ong americana ha più volte denunciato le condizioni di lavoro alla Foxconn, l’azienda taiwanese tristemente famosa come ‘la fabbrica dei suicidi’ per gli oltre venti suicidi tra i suoi operai nel 2010. Gli ultimi tre suicidi si sono registrati tra la fine di aprile e la metà del mese scorso. Ma in Cina si muore anche per il troppo lavoro, oltre che per il cattivo lavoro. Pochi giorni fa un giovane di 24 anni è morto sul posto di lavoro per il troppo lavorare. Secondo le stime ufficiali, in Cina si contano 600mila morti all’anno per troppo lavoro, in prevalenza colletti bianchi impiegati nelle grandi città.
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In fabbriche cinesi condizioni di lavoro da schiavitù
Chi costruisce i nostri iPhone, iPod e iPad? Come? E a quale costo? Perché sul prezzo finale di questi prodotti, costruiti o assemblati per la maggior parte in Cina, non vanno ad incidere proprio tutti i “costi”. Come ad esempio le condizioni di lavoro al limite della schiavitù, discriminazioni di sesso e di età, maltrattamenti fisici e verbali, mancanza degli standard minimi di sicurezza e ancora l’impiego di manodopera minorile e infine la morte per suicidio o iperlavoro. Come l’ultima, quella di un ragazzino di 14 anni morto di fatica mentre lavorava in una fabbrica di prodotti elettronici nel sud della Cina. Liu Fuzong era stato assunto il 27 febbraio scorso usando il documento di un diciottenne. La denuncia arriva da China Labor Watch, una organizzazione con sede negli Usa che si batte per i diritti dei lavoratori in Cina. Torna ancora una volta lo spettro della morte nelle fabbriche di questo paese, in cui le condizioni di lavoro sono spesso al limite del sostenibile. Tra aprile e maggio scorso si sono registrati tre suicidi tra gli operai della Foxconn, Technology Group, il colosso cinese dell’assemblaggio, anche conosciuto come la ‘fabbrica dei suicidi’, tutti collegabili alle condizioni di lavoro nella fabbrica considerate pessime. La società taiwanese con molti impianti in Cina nei quali si producono, tra gli altri, iPhone, iPod e iPad è un nome che campeggia sempre negli scandali degli ultimi anni, sia per una serie di suicidi a catena tra i suoi dipendenti a metà 2010, sia per le condizioni di lavoro al limite della schiavitù, portate a conoscenza del grande pubblico da media e da diversi gruppi e movimenti per i diritti dei lavoratori. Ma la Foxconn non è l’unica azienda i cui dipendenti si tolgono la vita. Il 15 maggio è stata una dipendente della fabbrica della Samsung a Huizhou, nella provincia del Guangdong, che si è suicidata gettandosi dal settimo piano di un palazzo. L’informazione, pervenuta dai colleghi della donna, non è stata confermata finora da fonti ufficiali. E infine l’ultimo giovane deceduto in questi giorni, Liu Fuzong, sarebbe morto in un’altra fabbrica ancora, la Yinchuan Electronic Company, Ltd di Dongguan, città non lontana da Guangzhou. La Yinchuan, azienda di proprietà della 3CEMS Group (che lavora per conto di Samsung, Canon e Sony), produce schede madri per la Asus ed era stata già al centro di denunce per lavoro minorile. Heg Electronics, succursale cinese della Samsung è stata poi denunciata da China Labor Watch in un report del 2012 per una serie di violazioni dei diritti dei lavoratori da parte dell’azienda, comprese ore di lavoro eccessive, violazioni del contratto di lavoro, utilizzo di lavoratori minorenni, discriminazione di età e sesso, mancanza di sicurezza. L’organizzazione ha rilevato che “gli operai sono costretti a turni di 11 o addirittura 12 ore di fila in piedi” e fanno “oltre cento ore di straordinari per mese spesso non pagati”. La Samsung, a seguito di questa denuncia condusse diverse indagini e alla fine comunicò che “a parte la questione delle ore di lavoro supplementari, non è emersa nessuna delle violazioni denunciate nel rapporto”, ovviamente.
fonte: ANSA
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Il paese giusto per la Fornero: in Cina i giovani non sono choosy, da diplomati e laureati chiedono di fare gli spazzini
Anche la Cina comincia ad avvertire una crisi occupazionale e i suoi giovani diplomati o laureati si adattano a tutti i lavori, perché stentano a trovare una occupazione stabile e solida, ma sognano sempre il posto fisso statale. Secondo i dati diffusi oggi dal ministero delle risorse umane e sicurezza sociale, alla fine di settembre il tasso di disoccupazione nella Cina urbana è del 4,1%, lo stesso livello del secondo trimestre del 2012. Il governo continua a creare nuovi posti di lavoro, ma dalle campagne arrivano sempre più disperati. Secondo quanto ha ampiamente riportato negli ultimi giorni la stampa locale, 7.186 giovani hanno fatto domanda per una serie di posti di lavoro nella città di Harbin, nel nord della Cina, come spazzini, manutentori ed operai. Di questi 29 hanno la laurea e ben 2954 hanno conseguito almeno una laurea breve mentre il resto sono diplomati. Il sistema di registrazione online ha evidenziato come 3378 persone abbiano fatto domanda come autista, 216 come personale per la pulizia delle auto e 3301 come spazzino. Secondo Feng Jin, professore presso il centro di ricerca per l’impiego e la sicurezza sociale della Fudan University, molti di questi giovani laureati, in un periodo di instabilità occupazionale come questo, accettano anche incarichi modesti ed umili, non congrui al loro titolo di studio, pur di avere un posto fisso, sperando poi in seguito di migliorare e trasferirsi in altri dipartimenti dove potranno svolgere ruoli più adeguati alla loro preparazione. Nella città di Chongqing un unico posto disponibile presso gli uffici della Commissione Nazionale di Statistica ha fatto registrare 9.470 domande di personale qualificato per un esame che si svolgerà nel mese di novembre. A livello nazionale, secondo quanto scrive l’agenzia Nuova Cina, più di 1,5 milioni di giovani candidati, che dovrebbero arrivare a 2 milioni, sperano di vincere uno dei quasi 13.000 posti governativi (che potranno arrivare a 20.000) da assegnare durante i concorsi nazionali del 2013, con un record di partecipazione secondo l’agenzia. Hong Xiangyang, fondatore di xycareer.com, un sito web che si occupa di ricerca del lavoro e pianificazione della carriera, ha detto che l’entusiasmo dei candidati per questo genere di concorsi pubblici indica che in Cina al momento c’é un ambiente difficile per quanto riguarda il lavoro. “Molti laureati – ha commentato Hong – hanno detto di sentire un grande pressione causata dal deterioramento del mercato del lavoro e che desiderano ottenere una posizione stabile negli uffici governativi. Anche le famiglie li spingono in questa direzione, spesso indipendentemente dalle loro attitudini o dal tipo di preparazione o di studi fatti”.
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