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Parla lo ‘schiavo’ che denunciò il campo di rieducazione cinese

Parla lo ‘schiavo’ che da un gulag nel nord della Cina lancio’ un Sos al mondo: un attivista di Falun Gong ha fatto outing con il New York Times autodenunciandosi come il detenuto-operaio che, grazie a un biglietto inserito in una confezione di decorazioni di Halloween finita da K-Mart in Oregon, mise in piazza le drammatiche condizioni di Masanija, a Shenyang nella Cina nord orientale, uno dei campi per la rieducazione attraverso il lavoro su cui si fonda il sistema cinese. ”Migliaia di persone che sono qui perseguitate dal governo del Partito comunista cinese vi ringrazieranno e vi ricorderanno per sempre”, si leggeva nel bigliettino scritto in un inglese zoppicante scivolato da una confezioni di lapidi di polistirolo acquistate in un K-mart dell’Oregon e in cui l’anonimo operaio denunciava giornate di lavoro di 15 ore sette giorni alla settimana sotto l’occhio sadico delle guardie di custodia. La letterina all’epoca fece il giro del mondo ma il suo autore era rimasto ignoto fino a oggi, quando il New York Times, parlando con un attivista di Falun Gong a Pechino, ne ha raccolto la confessione: ”Sono io l’autore del messaggio”. 47 anni, ex detenuto a Masajia, l’uomo e’ stato identificato semplicemente come Zhang per timore di rappresaglie. Al quotidiano americano ha detto di aver scritto una ventina di accorati SOS nell’arco di due anni affidandoli a prodotti le cui confezioni in inglese rendevano probabile una destinazione in Occidente. ”Per molto tempo mi sono immaginato il momento in cui sarebbero stati scoperte”, ha detto Zhang delle lettere: ”Poi mi sono convinto che non sarebbe mai successo e me ne sono dimenticato”. Circa meta’ della popolazione di Masajia, scrive il New York Times, e’ composta di attivisti di Falun Gong, una pratica spirituale messa al bando in Cina, o di membri di chiese, con l’altra meta’ un misto di prostitute e spacciatori. Il gulag si prefigge di rieducare i detenuti attraverso il lavoro, ma ex detenuti hanno parlato di drammatici maltrattamenti al limite della tortura: prigionieri legati per le gambe alle sponde di letti che poi venivano divaricati lentamente o lasciati per giorni a giacere nei loro escrementi. La vicenda del bigliettino aveva attirato l’anno scorso l’attenzione delle organizzazioni per i diritti umani: la donna che, scartando la confezione di lapidi acquistata l’anno prima, lo aveva scoperto, si era rivolta a Human Rights Watch come scritto dall’anonimo mittente.

fonte: ANSA

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Indennizzo per donna detenuta illegalmente in cimitero

Il governo cinese paghera’ un’ indennizzo alla donna che e’ stata illegalmente detenuta per tre anni in una baracca che si trova all’ interno di un cimitero. Il caso della donna, Chen Qingxia, e’ emerso in dicembre, in seguito alle denunce di cittadini che erano venuti a conoscenza dei fatti. La donna era stata arrestata dalla polizia della sua provincia, l’ Heilongjiang, nel nordest della Cina, per impedirle di recarsi a Pechino a denunciare il caso del marito, Song Lisheng, che era stato condannato a 18 mesi di ”rieducazione attraverso il lavoro” – ingiustamente, secondo la donna. Sei poliziotti sono stati licenziati e il governo locale ha promesso che fara’ di tutto per ritrovare il figlio della coppia, sparito dopo l’ arresto della madre. E’ la seconda volta in pochi giorni che le autorita’ cinesi intervengono a favore dei ”petitioners” (postulanti), che si recano a Pechino dalle province per denunciare le ingiustizie subite dalle autorita’ locali. All’ inizio di questa settimane tribunale di Pechino ha condannato dieci persone che avevano illegalmente arrestato alcuni ”petitioners” e averli rinchiusi in una delle cosiddette ”prigioni nere”, cioe’ illegali.

fonte: ANSA

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Provincia dello Yunnan limita rieducazione attraverso il lavoro

La provincia dello Yunnan, nella Cina meridionale, ha deciso che per tre tipi di reato non si potranno più comminare condanne alla “rieducazione attraverso il lavoro”. La notizia è riportata oggi da numerosi organi di stampa cinesi. Non è chiaro se questo significhi l’ abolizione dei cosidetti “laojiao” – i campi nei quali si può essere rinchiusi per alcuni anni su decisione delle autorità di polizia – o se per altri reati si potrà ancora subire quel tipo di punizione amministrativa. Un alto funzionario della provincia ha dichiarato che le persone che stanno scontando condanne rimarranno nei “laojiao” fino al termine della pena. In gennaio un alto dirigente del Partito Comunista Cinese, Meng Jianzhu, ha affermato che la Cina dovrebbe abolire i laojiao. Per farlo, però, è necessaria una decisione dell’ Assemblea Nazionale del Popolo (Npc), il Parlamento cinese, che terrà in marzo la sua sessione annuale. Il “laojiao” non deve essere confuso coi “laogai”, i campi nei quali si scontavano le condanne al lavoro forzato. I “laogai” sono stati formalmente aboliti nel 1997 ma la condanna ai lavori forzati è ancora prevista per una serie di reati.

fonte: ANSA

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Il Guandong prima provincia ad annunciare stop a laojiao. Sarà vero?

Potrebbe partire dalla provincia meridionale del Guangdong l’abolizione del ‘laojiao’, ovvero il sistema cinese di rieducazione attraverso i campi di lavoro. Un primo importante passo, che darebbe il via – almeno in un secondo tempo – all’abolizione di questa pratica, in vigore dal 1950, anche nel resto del Paese. Il dipartimento di Giustizia del Guangdong ha reso noto che entro l’anno il laojiao scomparirà e gradualmente coloro che sono detenuti nei campi di lavoro, scontate le pene, torneranno a casa. Ma c’é chi resta scettico e pensa che si tratti solo di propaganda politica e che il giorno in cui il laojiao scomparirà è ancora molto lontano. Già all’inizio di gennaio si era diffusa la notizia secondo la quale il governo cinese stava prendendo in considerazione l’ipotesi di abolire i campi di lavoro. Ma poco dopo l’agenzia di stampa ufficiale, Nuova Cina, aveva affermato che il governo avrebbe effettuato solo una ‘riforma’, senza mai citare la possibilità della chiusura dei campi. Il sistema del laojiao, che ultimamente sta suscitando molte polemiche, prevede che la polizia possa inviare persone nei campi di rieducazione fino a tre anni (con possibilità di estensione di un anno, ufficialmente), senza processo. Normalmente vi vengono mandati coloro che si macchiano di reati minori, spacciatori e prostitute, ma anche oppositori al regime, dissidenti e appartenenti a fedi e religioni. Lo scorso mese di agosto suscitò molto clamore il caso di una donna condannata a 18 mesi nei campi di rieducazione per aver protestato contro il governo contro la pena di soli sette anni comminata agli uomini che tempo prima avevano rapito, stuprato e spinto alla prostituzione la figlia, allora solo undicenne. Il caso della donna destò l’attenzione e le proteste di accademici e dell’opinione pubblica, tanto che dopo circa una settimana il governo decise di liberarla. Ed è di questi giorni la notizia che la signora ha ora chiesto un risarcimento danni per ingiusta detenzione di 2.400 yuan (circa 260 euro) per il tempo trascorso nel campo di rieducazione. Il numero dei laojiao attualmente presenti in Cina non è chiaro. Secondo Nuova Cina, che diffonde dati relativi al 2008, sarebbero 350 i campi di rieducazione, nei quali sono rinchiuse 160.000 persone, mentre fonti televisive cinesi parlano di 300.000 reclusi. Secondo altre fonti, come ad esempio quelli forniti da alcune Ong americane, in Cina ci sarebbero 1.422 campi tuttora attivi. Sono stati ufficialmente aboliti nel 1997, invece, i ‘laogai’, i campi di lavoro nei quali si veniva mandati a scontare le condanne penali. Tuttavia, secondo molti esistono ancora, anche se vengono chiamati prigioni.

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Dopo campo di lavoro, una donna e’ rimasta chiusa tre anni in obitorio

Una donna cinese, dopo aver trascorso 18 mesi in un campo di lavoro, da tre anni è tenuta segregata in un obitorio in disuso. Lo riferisce il Global Times, che cita un servizio effettuato dalla Radio Nazionale cinese. Le vicissitudini di Chen Qingxia, questo il nome della donna, hanno avuto inizio nel 2007 quando si era recata a Pechino per protestare contro il governo che, a suo dire, avrebbe maltrattato suo marito, arrestato nel 2003 per essere entrato in una zona sottoposta a quarantena durante l’epidemia della Sars. Ma giunta a Pechino la donna fu arrestata e mandata per 18 mesi in un campo di lavoro. Suo figlio, allora dodicenne, durante il suo viaggio a Pechino, scomparve misteriosamente e di lui non si è saputo più nulla. Trascorsi i 18 mesi tuttavia, Chen, anziché essere rilasciata venne collocata in un edificio abbandonato nella città di Yichun, un ex obitorio. Ammalata e ridotta su una sedia a rotelle, la donna è sorvegliata 24 ore su 24 e le è consentito solo di avere contatti minimi con alcuni dei suoi familiari, tra i quali la sorella, che le porta ogni tanto cibo e medicine. “Voglio andare a casa, ho molta voglia di tornare a casa mia – ha detto la donna ad un reporter della radio che ha dovuto fingere di essere un familiare per poterla avvicinare – ma se me ne vado la polizia tornerà da me non mi lasceranno andare”. Il reporter ha poi raccontato di essere stato fermato dalla polizia, che lo ha vessato ispezionando la sua casa e sequestrando la scheda sim del suo cellulare. Da qualche settimana sui media cinesi sono rimbalzate notizie secondo le quali si starebbe pensando alla cancellazione o, comunque, alla revisione del sistema dei laojiao, i campi di lavoro ai quali si può essere inviati fino a tre anni senza nessun tipo di condanna formale di un tribunale.

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Si riparla di abolire i laojiao

Un alto funzionario cinese ha affermato che la chiusura dei campi di lavoro noti come ”laojiao” e’ ”imminente”, secondo la stampa cinese. Il funzionario, Chen Jiping della China Law Society, ha precisato in un’intervista al quotidiano China Daily che la chiusura deve essere sanzionata dall’Assemblea Nazionale del Popolo (Npc nella sigla inglese), il Parlamento cinese che terra’ in marzo la sua sessione annuale. I laojiao non vanno confusi con i laogai – i campi di lavoro nei quali si veniva mandati dopo una condanna penale – che sono stati aboliti nel 1997 (ma che secondo molti esistono ancora, anche se vengono chiamati prigioni). La detenzione nei laojiao e’ una misura amministrativa decisa dalle autorita’ di polizia, che possono infliggere condanne fino ai 3 anni senza che sia necessario l’intervento della magistratura. Nei laojiao sono detenuti di solito piccoli criminali, come gli spacciatori di droga al dettaglio e le prostitute. L’annuncio della chiusura dei laojiao era stato gia’ dato due settimane fa in dichiarazioni attribuite ad un membro del potente Politburo comunista.

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Governo pensa a revisione del sistema dei campi di lavoro. Li aboliranno?

La Cina potrebbe cancellare entro l’anno l’uso dei campi di lavoro, la pratica della “rieducazione attraverso il lavoro”, in vigore al 1957. La notizia è stata diffusa in mattinata da diversi messaggi su Weibo, il Twitter cinese. Secondo le informazioni, poi sparite dalla rete, l’annuncio sarebbe stato fatto da Meng Jianzhu, capo della Commissione per gli affari politici e legali del Partito, dalla quale si controlla il potentissimo apparato di sicurezza cinese. Secondo quanto circolava su internet, in un incontro Meng (che fino allo scorso 28 dicembre era ministro della Pubblica sicurezza) avrebbe annunciato l’interruzione della pratica della ‘rieducazione attraverso il lavoro’, i cosiddetti laojiao (abbreviazione di ‘laodong jiaoyang’). La notizia, confermata anche dal direttore del giornale del ministero della Giustizia cinese, è stata però parzialmente modificata dall’agenzia Nuova Cina che in serata ha comunicato che il governo cinese andrà avanti nella ‘riforma’, senza citare la possibilità della chiusura dei campi. In questi, la polizia può inviare persone fino a 3 anni (con possibilità di estensione di un anno, ufficialmente), senza processo. Negli ultimi mesi diverse volte la pratica era stata criticata anche dalla stampa cinese vicina al partito. In particolare ad agosto una donna era stata condannata a 18 anni per aver protestato chiedendo una pena pesante nei confronti dell’uomo che era stato condannato a sette anni per aver rapito, violentato e indotto alla prostituzione sua figlia di 11 anni. La donna fu liberata dopo una settimana dopo che giornalisti, scrittori, gente comune e accademici si mobilitarono in suo favore. Le critiche al sistema dei laojiao muovono anche dal fatto che la loro pratica è in contraddizione con la costituzione cinese. Non ci sono maggiori dettagli in cosa consista la riforma, né se debba portare alla soppressione della pratica. La riforma era comunque già contenuta in un libro bianco sulla giustizia pubblicato ad ottobre dalle autorità competenti e ci fu anche una raccolta di firme per la loro abolizione. Secondo Nuova Cina, che diffonde dati relativi al 2008, sarebbero 350 i campi di rieducazione, nei quali sono rinchiuse 160.000 persone, mentre altre fonti televisive cinesi parlano di 300.000 reclusi. Ma i numeri come sempre sono ballerini: secondo l’ultima edizione, 2008, del dossier della Ong americana Laogai Foundation (fondata da Harry Wu che ha trascorso in un laogai dal 1960 al 1979) in Cina ci sarebbero 1422 campi attivi. Il laogai è diverso dal laojiao: nel primo, chiamato prigione dal 1990, ufficialmente cancellato dal 1997 (ma la condanna ai lavori forzati resta), il condannato vi veniva spedito dopo una sentenza di tribunale per reati maggiori, non veniva pagato e perdeva i diritti politici. Nel secondo, invece, vengono rinchiuse persone ritenute colpevoli di reati minori (reati contro il patrimonio, prostituzione, consumo di droga) ma anche oppositori al regime, postulanti, religiosi e fedeli. Ricevono un modesto salario per il loro lavoro e non perdono i diritti politici. L’annuncio di oggi lascia il campo a molte speculazioni, soprattutto su cosa succederà a coloro che sono attualmente rinchiusi nei campi o cosa succederà a coloro che saranno ritenuti colpevoli in futuro dei reati che ora portano ai laojiao.

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Tribunale smentisce condanna per arresti illegali

Un tribunale di Pechino ha smentito di aver condannato 10 persone (presumibilmente poliziotti) accusate di aver arrestato e detenuto illegalmente alcuni ”postulanti”: i cittadini che dalle province vengono nella capitale per denunciare i soprusi subiti dalle autorita’ locali. In una insolita dichiarazione all’ agenzia Nuova Cina, un portavoce del Tribunale del Popolo di Chaoyang, un distretto centrale della capitale, ha affermato che la notizia – pubblicata da un quotidiano e ripresa da molti siti web – e’ falsa. Il portavoce ha detto che una denuncia per gli arresti illegali e’ stata presentata, ma che nessuna decisione e’ stata presa fino a questo momento dai giudici. Il sistema delle ”petizioni” ha le sua radici nella Cina imperiale, ma e’ sopravvissuto fino ad oggi. A Pechino esiste un ufficio apposito per i postulanti che vengono dalle province. Spesso, i postulanti vengono intercettati da poliziotti delle loro province d’ origine o da privati assoldati dalle autorita’ locali per impedire che le denunce delle loro malefatte vengano presentate al governo centrale. In passato casi di prigioni segrete nelle quali i postulanti vengono tenuti prima di essere rimandati di forza nelle loro province, sono stati denunciati dalla stampa internazionale. Nessuno dei responsabili dei sequestri e’ stato fino ad oggi condannato dalla magistratura.

fonte: ANSA

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Ancora agli arresti domiciliari dissidente mongolo Hada

Il dissidente cinese Hada, di etnia mongola, e’ stato trasferito in un ”centro turistico di lusso”, secondo un gruppo di esuli che ha dato notizie sulla situazione del dissidente del quale da mesi si ignorava la sorte. Hada, che come molti mongoli usa un solo nome, ha finito nel 2010 di scontare una pena a 15 anni di prigione. Da allora viene tenuto agli arresti ”domiciliari” in una localita’ segreta, una pratica illegale usata spesso dalla polizia cinese. I dissidenti vengono tenuti sotto il continuo controllo di decine di agenti, in genere in alberghi. In un comunicato diffuso oggi, il Southern Mongolian Human Rights Information Centre (Smhric), afferma che la moglie del dissidente, Xinna, e’ stata condannata a tre anni di prigione per ”attivita’ illegali” mentre il figlio Uiles e’ tenuto agli arresti domiciliari nell’appartamento di famiglia a Hohot, la capitale della regione autonoma della Mongolia interna. Hada e’ stato accusato di essere un secessionista, accusa che respinge. Secondo l’Smhric, il dissidente continua a essere perseguitato perche’ rifiuta di firmare un documento nel quale ammette di aver ”sbagliato”.

fonte: ANSA

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Rara visita in carcere a dissidente Gao Zhisheng

Rara visita in carcere, la prima da due anni, per l’avvocato dissidente Gao Zhisheng, di cui non si avevano notizie fino allo scorso gennaio quando si è saputo che era di nuovo in prigione. Ne dà notizia Radio Free Asia. Il suocero e il fratello dell’avvocato, secondo quanto ha raccontato la moglie dell’attivista dal suo esilio americano alla radio, hanno incontrato quattro giorni fa Gao per mezz’ora parlando con un telefono attraverso il vetro, nella prigione della contea di Shaya, nella provincia nord occidentale dello Xinjiang. L’avvocato era stato condannato nel 2006 a tre anni di carcere per “istigazione alla sovversione del potere dello Stato” (il reato del quale vengono in genere accusati i dissidenti e i critici del sistema a partito unico), ma la sua pena era stata sospesa per cinque anni durante i quali ha sofferto arresti, sparizioni e torture. Gao, 47 anni, cristiano, era stato uno dei primi avvocati ad impegnarsi sul terreno dei diritti umani difendendo condannati a morte, dissidenti e attivisti dei gruppi religiosi perseguitati dallo Stato cinese, come gli aderenti alla setta del Falun Gong. In questi anni, Gao era rimasto sotto uno stretto controllo di polizia, come succede abitualmente ai dissidenti, anche dopo che hanno scontato la loro pena. Nell’aprile del 2010 si sono perse le sue tracce (ultimo incontro con il fratello) fino a gennaio del 2011 quando è stata pubblicata una sua denuncia. Alla fine di dicembre si è saputo che l’attivista era stato catturato dalla polizia e solo successivamente le autorità hanno informato che era stato incarcerato. Suocero e fratello di Gao hanno detto di aver trovato l’uomo emaciato e pallido, ma non malissimo.

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