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Tre monasteri chiusi in Tibet dalle autorità cinesi

Le autorità cinesi hanno chiuso tre monasteri della contea di Driru (Biru in cinese), nella regione autonoma del Tibet, la stessa oggetto da mesi dei scontri tra locali e polizia per il rifiuto dei residenti di issare la bandiera cinese. I tre monasteri, Dron Na, Tarmoe, and Rabten che si trovano nella prefettura di Nagchu (Naqu per i cinesi) sono stati per settimane circondati dalle forze paramilitari cinesi. Molti monaci sono stati portati in alcuni campi di rieducazione e sono state sospese le attività religiose nella zona. Già nelle scorse settimane la polizia aveva arrestato alcuni monaci, in particolare i capi dei monasteri oggi chiusi, e effettuato controlli e ispezioni in diverse celle e locali del monastero.

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Nuova immolazione pro Tibet e importante monaco morto per percosse sotto custodia della polizia

Un monaco di 42 anni si è immolato dandosi alle fiamme nella provincia nord occidentale cinese del Gansu, per protesta contro il controllo cinese sul Tibet. Lo riferiscono fonti tibetane e cinesi. Il monaco è morto per le ferite portando a quota 125 i casi di immolazione dal 2009, di cui 27 solo quest’anno. L’episodio è avvenuto ad Amchok, nella contea di Sangchu.
Un importante monaco buddista tibetano è morto mentre si trovava in custodia delle autorità cinesi. Lo riferisce il Centro per i diritti Umani e la Democrazia (Tibetan Centre for Human Rights and Democracy, Tchrd) con sede a Dharamsala, in India. Ngawang Jamyang, 45 anni, era tra i tre monaci arrestati senza motivo dalle forze di polizia cinesi mentre si trovavano a Lhana, lo scorso 23 novembre ed era molto conosciuto in ambiente tibetano per le sue doti oratorie, per la sua conoscenza, per le sue doti meditative. Apparteneva al monastero di Tarmoe, nella contea di Driru (Biru in cinese), sotto assedio da mesi da parte delle forze cinesi a causa del rifiuto dei locali di issare la bandiera cinese. Secondo le indiscrezioni, il monaco sarebbe morto l’altro ieri e il suo corpo consegnato alla famiglia che ha notato segni di percosse e violenze. Consegnando il corpo, gli agenti hanno vietato alla famiglia di parlare con chiunque, minacciando arresti in caso contrario. Ngawang Jamyang era stato già arrestato nel 2008, durante le proteste per il passaggio della fiaccola olimpica, con l’accusa di aver rivelato segreti di stato. Rimase in carcere per due anni, prima di entrare come insegnante nel monastero di Tarmoe, lo stesso che, dopo il suo arresto, è stato chiuso dalle autorità. Da giorni migliaia di agenti circondano questa ed altre strutture religiose in zona. Non si hanno notizie degli altri due monaci arrestati con Ngawang Jamyang.

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Monasteri circondati in Tibet, oltre 1000 arresti

Gruppi paramilitari e militari cinesi da qualche giorno hanno circondato alcuni monasteri tibetani nella contea di Driru (Biru in cinese), prefettura di Nagchu nella regione autonoma del Tibet, arrestando diversi monaci. La regione è al centro di scontri, da settembre scorso, tra le autorità cinesi e i residenti locali per l’obbligo imposto ad issare la bandiera cinese, obbligo rifiutato dai residenti. Da allora, oltre 1000 persone sono state arrestate, molte di queste monaci. Agenti hanno circondato i monasteri di Tarmoe, Rabten e Dron Na e ai monaci non sono permessi contatti con l’esterno. Le forze di sicurezza hanno anche sequestrato cellulari, computer e perquisito tutte le stanze e gli appartamenti privati dei monaci di alcuni familiari di questi, sequestrando materiale religioso.

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Nuova immolazione pro Tibet, 124ma dal 2009, 26ma da gennaio 2013

Nuova immolazione per il Tibet. Un uomo di 30 anni, padre di due bambini ed ex prigioniero politico cinese, si e’ autoimmolato martedi’ sera nella citta’ di Meruma, nella contea e prefettura autonoma tibetana di Ngaba (Aba per i cinesi), nella provincia meridionale cinese del Sichuan. Kunchok Tseten, questo il nome dell’uomo, ha urlato slogan in favore del ritorno del Dalai Lama in Tibet e per la fine di quella che ha chiamato l’occupazione cinese. L’uomo era stato gia’ arrestato in passato per aver manifestato contro la Cina. Gli agenti convogliati sul posto hanno dapprima spento le fiamme, poi hanno preso il corpo dell’uomo le cui condizioni, cosi’ come il luogo dove si trova, sono sconosciute. La polizia ha anche arrestato sua moglie e suo fratello in seguito all’atto di martedi’. Kunchok Tseten e’ il 124/o immolato dal 2009, 26/o dall’inizio di quest’anno.

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Nove tibetani arrestati per rifiuto di issare la bandiera cinese

Un tribunale cinese ha ordinato l’arresto di nove tibetani, tra cui uno scrittore, accusati di “attivita’ anti-statali” e di essersi rifiutati di issare la bandiera cinese nella contea di Driru (Biru in cinese) nella regione autonoma del Tibet. Lo rivela il sito di radio Free Asia. Per il momento sono stati resi noti i nomi solo di tre dei nove arrestati, tra cui Tobden, uno scrittore di 30 anni. Secondo le poche informazioni disponibili le autorità li considerano “allineati con la cricca del Dalai Lama, con l’intento di frazionare la nazione cinese”. Lo scrittore Tobden è stato condannato a cinque anni di reclusione. Secondo Radio Free Asia, le autorità cinesi si sono adirate con lui soprattutto per alcuni suoi scritti sulle sofferenze patite dai tibetani della contea di Driru a causa di leggi ingiuste. Il Centro per i diritti Umani e la Democrazia (TCHRD) con sede a Dharamsala, in India, ha confermato gli arresti e le condanne per i nove tibetani. Da circa due mesi, la contea di Driru è al centro di una campagna da parte dei tibetani che si oppongono al dominio cinese. Iniziata ad ottobre quando diversi residenti nella zona si rifiutarono di far sventolare la bandiera cinese sulle loro abitazioni, ha portato ad una serie di scontri con le autorità che hanno causato quattro morti e 50 feriti.

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Arrestata donna, postava on line messaggi pro Tibet

Una donna tibetana, sola e madre di tre bambine, è stata arrestata dalle autorità cinesi per aver scritto messaggi anti cinesi e in favore della liberazione del Tibet su un sito di messaggistica. Lo rivelano fonti tibetane. La donna, Kalsang, madre di bambine di 11, 9 e 4 anni, è stata presa in custodia dagli agenti dopo che su WeChat aveva postato alcuni messaggi pro Tibet. La polizia gli ha trovato anche foto del Dalai Lama e della bandiera tibetana sul suo cellulare usato per collegarsi a internet. Non si sa ora dove sia. La donna è stata arrestata nella contea di Driru, (Biru in cinese) nella prefettura di Nagchu (Naqu per i cinesi) nella regione autonoma tibetana. L’area è al centro di proteste da parte dei locali e di controllo e repressione da parte delle autorità dopo il rifiuto di molti tibetani di esporre la bandiera cinese in occasione delle festività nazionali. Gli scontri hanno portato anche alla morte di quattro persone, uccise dai colpi esplosi dalla polizia per sedare le manifestazioni. Decine gli arresti operati dagli inizi di ottobre. Ieri altre 17 persone sono state messe agli arresti sempre per gli stessi motivi. Sette invece i tibetani arrestati, tra i quali tre monaci, nella provincia nord occidentale cinese del Qinghai. L’accusa per loro è di aver collaborato all’ immolazione, l’ultima in ordine di tempo, la 123ma dal 2009 di un monaco. Lo scorso 11 novembre, Tsering Gyal, di 20 anni, si è dato fuoco a Pema (Banma in cinese), nella prefettura tibetana autonoma di Golog (Guoluo), provincia del Qinghai. I tre monaci tra gli arrestati appartengono allo stesso monastero del giovane immolato, gli altri quattro sono amici.

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Mandato di arresto per Jiang Zemin sul Tibet, la Cina chiede spiegazioni alla Spagna

La Cina ha chiesto “chiarimenti” a Madrid dopo che la magistratura spagnola ha emesso un mandato di arresto contro l’ex presidente cinese Jiang Zemin, accusato di “genocidio” per la repressione che avrebbe scatenato in Tibet negli anni 1980-90. Lo ha annunciato oggi a Pechino il portavoce del ministero degli Esteri, Hong Lei. Il portavoce ha affermato di aver appreso la notizia dalla stampa ed ha aggiunto che “se è esatta”, Pechino è “fortemente scontenta” e non mancherà di esprimere alle autorità spagnole la sua “ferma opposizione” all’iniziativa. Hong Lei ha aggiunto che si augura che la Spagna “non intraprenda azioni che possano nuocere alle relazioni tra i due Paesi”. Il Tribunale di Madrid ha ritenuto di poter procedere contro l’ex presidente cinese perchè uno dei firmatari di una denuncia contro il governo di Pechino, il tibetano in esilio Thubten Wangchen, ha la nazionalità spagnola. La denuncia è stata presentata da due gruppi filo-tibetani che hanno rivolto le stesse accuse all’ex premier Li Peng e ad altri cinque politici cinesi. Anche Hu Jintao, presidente fino al novembre del 2012, e segretario del partito comunista cinese in Tibet nel periodo citato nella denuncia, è entrato nel processo in un secondo momento e potrebbe essere anche lui incriminato.

fonte: ANSA

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“Genocidio in Tibet”, Spagna vuole arrestare Jiang Zemin e altri papaveri cinesi

Sfida della magistratura spagnola alla Cina. Come già aveva fatto nel 1998 per l’ex dittatore cileno, Augusto Pinochet, l’Audiencia Nacional di Madrid ha spiccato oggi un ordine internazionale di arresto nei confronti dell’ex presidente Jiang Zemin, ancora influente nei ranghi del partito comunista cinese, e di altri veterani della nomenklatura politica e militare della Repubblica Popolare: accusati di complicità nel tentativo di genocidio contro il popolo tibetano. Oltre a Jiang, il provvedimento coinvolge Li Peng, primo ministro cinese tra la fine degli anni ’80 e gli inizi dei ’90; Oiao Shi, ex capo della sicurezza e responsabile della polizia armata popolare; Chen Kuyan, segretario del comitato regionale comunista del Tibet fra il 1992 e il 2001; e Peng Pelyun, ministro di Pianificazione familiare negli anni ’80, tutti denunciati dinanzi alla giustizia iberica (che rivendica competenza globale in caso di crimini impuniti contro l’umanità) da organizzazioni di esuli tibetani. Stralciate sole le posizioni di altri due ex ‘gerarchi’ chiamati in causa nel dossier: uno deceduto e l’altro ormai ultranovantenne. La clamorosa ordinanza di oggi accoglie il ricorso presentato dal Comitato di sostegno al Tibet, dalla Fondazione Casa del Tibet e dall’associazione costituita da Thunten Wangchen Sherpa Sherpa, cittadino di nazionalità spagnola, parti civili nella causa. E ribalta la decisione con cui il giudice istruttore Ismael Moreno aveva decretato il 3 aprile scorso il non luogo a procedere in Spagna per l’ex presidente cinese e gli altri ras coinvolti, ritenendo impossibile provarne la diretta partecipazione alle repressioni contestate in Tibet. La denuncia dei gruppi tibetani era stata presentata nel 2005 e dichiarata ammissibile nel 2006. E proprio su questa base l’Audiencia Nacional ha aperto un’inchiesta per genocidio, dichiarandosi competente di fronte all’impossibilità che i crimini contro l’umanità fossero investigati da tribunali cinesi o dalla Corte Penale Internazionale. Nel dossier si fa riferimento a violenze perpetrate contro la popolazione tibetana dal 1971 – anno in cui il codice penale spagnolo recepì il reato di genocidio – al 2005. E soprattutto a misure come “la legge marziale, le deportazioni, le campagne di aborto e sterilizzazione forzata di massa, le torture di dissidenti, il trasferimento in Tibet di contingenti di cittadini cinesi per dominare ed eliminare la popolazione autoctona”. Il ricorso accolto dalla quarta sezione dell’Audiencia si appoggia alle testimonianze raccolte per rogatoria in Canada, Belgio e Svezia e alle risoluzioni dell’Onu sul Tibet: documenti che consentirebbero di stabilire “la catena di comando” e di attestare “la partecipazione ai fatti” delle autorità cinesi denunciate. La notizia dei mandati di cattura è stata accolta dalle Ong interessate come una parziale vittoria in una lunga battaglia giudiziaria. “Non ce l’aspettavamo dopo tre archiviazioni”, ha commentato all’ANSA José Elias Esteve Molto, cattedratico dell’Università di Valencia e legale del Comitato di sostegno al Tibet. “Anche per le forti spinte esercitate fin dall’inizio dal ministro degli Esteri cinese che ha sollecitato il governo spagnolo ad archiviare il caso”, ha ammesso. L’avvocato ha quindi parlato di “ostruzione sistematica” da parte della diplomazia cinese, lasciando intendere di aspettarsi ancora pressioni di ogni tipo. Da Pechino, per oggi, non ci sono state comunque reazioni ufficiali, anche se la Repubblica Cinese ha già bollato in passato le denunce presentate in Spagna come “diffamazioni” e iniziative legalmente irricevibili. A far salire ulteriormente la tensione pende intanto anche il possibile coinvolgimento di un altro vecchio ‘mandarino rosso’ di spicco: Hu Jintao (presidente della Cina fino al marzo scorso, oltre che ex segretario generale del partito nel Tibet dal 1988 al ’92)). Il suo dossier, archiviato a giugno, e’ stato riaperto dalla stessa Audiencia Nacional il 10 ottobre.

fonte: ANSA

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Tibet, si immola giovane monaco, 123 da 2009

Nuova autoimmolazione per il Tibet, la 123/a dal febbraio 2009. Secondo le prime informazioni, Tsering Gyal, un giovane monaco di 20 anni, si è dato fuoco ieri pomeriggio intorno alle 18.30 a Pema (Banma in cinese), nella prefettura tibetana autonoma di Golog (Guoluo), provincia del Qinghai. Lo riferiscono fonti della diaspora tibetana in India. Quella di Tsering Gyal è la 25/a autoimmolazione avvenuta dall’inizio di quest’anno. La protesta estrema arriva in un momento nel quale in diverse contee del Sichuan e del Qinghai, province limitrofe al Tibet, molte comunità tibetane stanno protestando e sono sotto stretto controllo delle autorità cinesi, per il rifiuto di issare la bandiera rossa di Pechino. Le condizioni dell’ultimo immolato, monaco del monastero di Akyong, non sono state rese note, anche perché la polizia ha spento le fiamme e ha portato il monaco in un vicino ospedale, dove è sotto sorveglianza degli agenti. Secondo alcune testimonianze diffuse sulla rete, Tsering Gyal ha urlato alla liberazione del Tibet dal controllo cinese e al ritorno del Dalai Lama, mentre veniva avviluppato dalle fiamme. L’ultima immolazione era avvenuta ad opera di un uomo, padre di due bambini, lo scorso 28 settembre a Gomang Yutso, nei pressi della sua abitazione, nella contea di Ngaba, Aba per i cinesi, nella provincia cinese del Sichuan.

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Per il Dalai Lama, l’uso della forza in Tibet ha fallito, Pechino dialoghi

La politica “dell’uso della forza è fallita” e ora la Cina “deve sviluppare un approccio di rispetto della cultura e del popolo tibetano”: lo ha affermato il Dalai Lama, intervistato in India dal Financial Times. “Sono ottimista, che mi amino o no, il problema tibetano è lì e non è solo un affare del Tibet, è anche un problema della Cina”. Il Dalai Lama si dice pronto a “convincere i tibetani che vogliono il separatismo” ad accettare forme di “genuina autonomia” per il Tibet all’interno dello Stato cinese. Rinviando ai suoi 90 anni, oggi ne ha 78, il tema della successione – invece che reincarnarsi in un bimbo potrebbe scegliere un successore mentre ancora in vita – il Dalai Lama ribadisce ai suoi seguaci che la via da seguire è quella della non-violenza. “Siamo buddisti, per noi il ricorso alla violenza sarebbe come suicidarsi”, conclude il Dalai Lama, al secolo Tenzin Gyatso.

fonte: ANSA

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