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Cina: flessibilità esterna, rigidità interna

Articolo pubblicato da Affari Internazionali

Se Pechino da un lato mostra flessibilità e mediazione nelle questioni di politica internazionale, soprattutto legate alla Corea del Nord, dall’altro continua senza esitazione a tenere il pugno duro internamente e a combattere quelle che ritiene essere tentazioni indipendentiste (molte delle quali, invece, sono rivendicazioni di autonomie già concesse a termine di legge). Così, qualsiasi accenno di insubordinazione alle regole imposte e alle posizioni del partito comunista, continua ad essere soffocato sul nascere.

L’attenzione di Pechino e del suo più alto rappresentante, quel Xi Jinping che dal primo momento del suo insediamento ha spinto la Cina verso posizioni sempre più intransigenti e – se possibile – persino peggiori di quelle del passato in termini di libertà di espressione e autonomia, è rivolta in modo particolare verso quelle situazioni che rappresentano un potenziale pericolo per l’unità cinese.

La situazione di Hong Kong
Hong Kong prima di tutto. Ritornata alla Cina nel 1997, l’ex colonia britannica è, almeno sulla carta, una regione autonoma speciale. L’accordo sino-britannico prevede infatti il principio “un Paese due sistemi” fino al 2047, anno in cui poi Hong Kong dovrebbe tornare definitivamente alla Cina. Questo in teoria, come si diceva, perché le ingerenze di Pechino nella vita politica di Hong Kong sono sempre più frequenti.

È di solo qualche giorno fa la notizia dell’arresto di due parlamentari, Sixtus Leung Chung-hang detto Baggio e Yau Wai Ching, per aver tentato di entrare con la forza nel Legco, il Parlamento locale. La storia dei due in realtà va avanti da mesi. Iscritti al partito Young Ispiration, che crede nelle libertà civili e nel rispetto della democrazia (impegnati in quel movimento anti-Pechino chiamato “Umbrella Movement”), i due erano stati eletti lo scorso settembre nelle elezioni amministrative.

I guai per loro erano iniziati presto. Ad ottobre, nel corso della cerimonia di giuramento, pronunciarono volutamente la parola “Cina” nel modo usato dai giapponesi durante la seconda guerra mondiale e considerato offensivo dai cinesi. Non solo: si presentarono issando striscioni su cui c’era scritto “Hong Kong is not China”. Il loro giuramento non è stato riconosciuto come valido e dopo qualche giorno Pechino vietò l’insediamento ai due parlamentari. Il 2 novembre, in segno di protesta, i due tentarono di introdursi nel parlamento e si scontrarono con le forze dell’ordine.

Recependo le disposizioni del governo centrale cinese, il 15 novembre l’alta Corte di Hong Kong ha escluso i giovani parlamentari dalla possibilità di ricoprire l’incarico politico per il quale erano stati eletti. Ora i due, fermati dalla polizia, dovranno anche rispondere delle loro azioni di protesta.

La repressione nello Xinjiang musulmano
Altra regione a patire la pressione cinese è da sempre quella dello Xinjang, a maggioranza musulmana, dove da secoli è insediata la minoranza etnica degli uiguri, che i cinesi mirano a sottomettere a vantaggio della imposizione della cultura Han. Gli uiguri, osteggiati dalla Cina e considerati terroristi, rivendicano l’autonomia concessa (lo Xinjiang è regione autonoma) che dovrebbe declinarsi anche nella possibilità di perseguire la fede, i costumi, le usante islamiche e l’uso dell’arabo.

C’è da dire che alcune fronde uighure chiedono invece l’indipendenza da Pechino anche a suon di attentati. È così, dopo il divieto di portare la barba o il velo femminile, arriva ora da parte del governo cinese il divieto di chiamare i bambini con nomi di derivazione o significato che rimandi alla religione islamica.

Per ora l’ordinanza prevede 12 nomi messi al bando, tra i quali Mohammed e Jihad, ma non è escluso che la lista possa essere ampliata. In caso di violazione del divieto il neonato non potrà essere registrato, e quindi non potrà avere accesso all’assistenza sanitaria e all’istruzione. Pechino giustifica le decisioni parlando di strumenti di lotta all’estremismo religioso.

Nessun cedimento in Tibet
E la situazione resta sempre tesa anche in Tibet dove la Cina non mostra nessun segno di cedimento. Anzi. Anche qui, come nello Xinjiang, XI Jinping e i suoi proseguono con un’opera di evidente cinesizzazione, tentando di sradicare in ogni modo la cultura locale e religiosa e i suoi simboli.

In questa ottica si pone anche la distruzione, avviata ormai mesi fa, di un importante simbolo religioso buddista, il monastero e l’accademia di Larung Gar, considerato la più grande scuola filosofica del Tibet, sito nella prefettura di Kardze. Al momento dell’intervento cinese nella struttura organizzazioni pro Tibet si tratta dell’ennesimo sopruso cinese nei confronti della regione lamaista.

A luglio scorso, dopo l’inizio dei lavori di demolizione, due giovani monache tibetane si tolsero la vita in segno di protesta.

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Cristiani e musulmani sotto attacco in XInjiang, chiese chiuse e vietato Ramadan

Anche i cristiani, non solo i musulmani, nelle mire delle autorita’ cinesi nella provincia nord occidentale dello Xinjiang, dove e’ nutrita la presenza degli islamici di etnia uighura. Dalla settimana scorsa agenti di polizia hanno fatto irruzione in due ‘chiese’ familiari distruggendo arredi, sequestrando libri ed altro e ferendo anche alcuni bambini che frequentavano le cerimonie e le classi di catechesi. Gli episodi sono avvenuti a Hotan nei confronti della Xinjiang Hetian Church e a Urumqi (il capoluogo della provincia). I proprietari delle due case, nelle quale si tenevano le funzioni, sono stati arrestati insieme a tre insegnanti di catechismo, e non si sa dove siano stati portati. Alcuni gruppi internazionali che si battono per la liberta’ di fede, hanno lanciato appelli online per chiedere il loro rilascio. Le scuole religiose in Cina sono vietate, ma gruppi religiosi cattolici e musulmani cercano comunque di aprire strutture per far si’ che i bambini possano ricevere anche una educazione religiosa. Hotan e’ la stessa citta’ dove a giugno la polizia fece irruzione in una madrassa illegale ”liberando”, secondo le autorita’ cinesi, 54 bambini che venivano indottrinati. Nel raid, una decina di questi furono feriti anche a causa dell’incendio che si sprigiono’ nell’appartamento. Ma la battaglia delle autorita’ contro le fedi religiose, nello Xinjiang significa soprattutto scontri tra le autorita’ cinesi e l’etnia musulmana degli uighuri. La polizia ha arrestato oggi 20 uighuri con accuse di terrorismo, accusandoli di far parte di gruppi che intendono organizzare attentati contro l’etnia cinese degli Han. Secondo le associazioni che si battono per i diritti degli uighuri, invece, i venti sono solo religiosi attaccati a causa della loro fede. Fede musulmana che viene annullata in questo periodo sacro di Ramadan, dalle autorita’ di Pechino. Queste, infatti, hanno vietato il digiuno attraverso ordinanze che obbligano scuole e centri di provvedere ad assicurarsi che soprattutto i ragazzi ”mangino bene”. Nelle moschee della provincia sono stati affissi manifesti con nuove regole, che impongono ai capi religiosi di non parlare di Ramadan o di non invitare a seguire le regole del mese sacro, pena la sospensione della licenza. Anche negli anni scorsi c’erano state campagne per obbligare i ristoranti a rimanere aperti tutto il giorno, nonostante i musulmani durante il mese sacro mangino solo dopo il tramonto. Perdita di benefici e pensioni per i funzionari pubblici o membri del partito di religione musulmana che decidano di seguire il digiuno sacro. Divieto di attivita’ religiose per tutti, mentre pasti gratuiti vengono offerti anche agli studenti per obbligarli a mangiare. Problemi anche per gli impiegati di societa’ private che, se celebrano il mese sacro, rischiano la perdita del lavoro. Nello Xinjiang ci sono stati forti scontri tra Uighuri e Han soprattutto nel 2009, con diversi morti.

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Cure negate e discriminazioni contro malati di Aids

Si stringe sempre di più il controllo sui dissidenti cinesi mentre alcuni attivisti denunciano che le autorità spesso negano cure e assistenza ai malati di Aids. Lo riferisce il sito di Radio Free Asia. In base a quanto riferito da Hu Jia, da poco rilasciato dopo aver scontato tre anni di carcere per sovversione, in vista della giornata mondiale dell’AIDS, che si terrà giovedì prossimo, il governo ha intensificato la sorveglianza di alcuni attivisti particolarmente impegnati nella tutela dei malati di Aids. Hu ha detto di essere molto preoccupato in particolare per Tian Xi, che ha già scontato un anno di carcere dopo aver cercato di difendere le istanze dei malati di Aids nelle zone rurali cinesi. “Se Tian dovesse essere arrestato di nuovo – ha detto Hu – sono convinto che non ne uscirebbe vivo”. Tian era stato arrestato nel 2009 mentre manifestava, fuori al ministero della salute, proprio nella giornata mondiale dell’Aids. Secondo molti avvocati e attivisti, le persone ammalate di Aids sono costantemente bistrattate nel paese, a molti di loro vengono negate cure e trattamenti negli ospedali, con la conseguenza che molti nel frattempo muoiono. Le ultime stime fissano in circa 700.000 le persone affette da virus HIV in Cina e 85.000 le persone con la malattia conclamata. La polizia cinese ha negato che l’arresto di Tian Xi sia stato legato al suo attivismo a favore dei malati di Aids. Tian Xi, che ora ha 23 anni, ha contratto la malattia quando aveva solo 9 anni, a seguito di una trasfusione di sangue resasi necessaria per un incidente nel quale era rimasto coinvolto. Il governo locale gli ha dato 30.000 yuan (poco più di tremila euro) a titolo di risarcimento.
Tre aspiranti professori cinesi hanno denunciato, in un ricorso presentato al governo centrale di Pechino, di essere stati discriminati perche” sieropositivi. I tre insegnanti, ha precisato Yu Fangqiang, un attivista per i diritti dei malati, sostengono nel ricorso che una legge contro le discriminazioni approvata nel 2006 dovrebbe prevalere sui regolamenti della burocrazia, secondo i quali i funzionari pubblici non devono avere malattie infettive. I tre hanno fatto domanda per insegnare nei licei in tre diverse province – Anhui, Sichuan e Guizhou – ma il posto di lavoro è stato loro negato nonostante avessero superato brillantemente l’esame necessario per accedere alla professione. “I governi locali – ha dichiarato Yu Fangqiang in un’intervista alla Bbc – tendono spesso a far prevalere i regolamenti locali sulle leggi valide a livello nazionale”.

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Buddismo come cura per l’Aids

La dottrina buddista come cura per l’Aids. E’ quanto accade nella prefettura autonoma di Xishuangbanna, nella provincia sud occidentale cinese dello Yunnan, dove vive la minoranza etnica Dai. Lo Yunnan è la provincia cinese con il maggior numero di contagiati malati di Aids e Hiv secondo i numeri dell’anno scorso, con 83.925 malati. Sui 300.000 abitanti dello Xishuangbanna, 1784 sono sieropositivi. Molti di questi non hanno accesso a cure e per analfabetismo o per carenze economiche e di infrastrutture, non sono neanche a conoscenza della malattia e dei metodi di prevenzione. E’ qui che entrano in gioco i monaci buddisti che, attraverso un programma, aiutano i malati. Il progetto ‘casa della gloria di Buddha’ è cominciato nel 2003 con fondi delle Nazioni Unite nel monastero di Zongfo, ad opera di un monaco, Du Hanting, vice abate del monastero, che 20 anni fa era in Thailandia ed entrò in contatto la prima volta con l’Aids. Da quel momento, ha deciso di fare qualcosa per risolvere il problema e alleviare le sofferenze dei malati. Attraverso l’insegnamento buddista, la meditazione e i precetti, organizza classi nel monastero alle quali partecipano malati sia buddisti che non credenti. Attraverso la meditazione, i monaci riescono a dare sollievo ai malati, riuscendo a fortificare anche il corpo. Non solo: gli insegnamenti vengono anche portati a domicilio, nelle case dove stanno malati che non possono muoversi, e tutti giurano di trovare sollievo dalla meditazione buddista e dalle lezioni. Nella contea, il 70% dei contagi è avvenuto attraverso rapporti sessuali non protetti. I monaci non possono parlare di sesso, ma insegnano i fondamenti e le regole del buddismo, soprattutto le prescrizioni che vietano l’uso di alcool e atteggiamenti promiscui. Ma le richieste sono troppe e ci sono anche remoti villaggi che i monaci non riescono a raggiungere. E così si sta lavorando alla realizzazione di compact disk con canti educativi registrati in lingua locale Dai, dal momento che molti dei residenti di questi villaggi sono analfabeti e hanno difficoltà anche a capire la difficile terminologia medica quando qualcuno parla con loro. Attraverso le canzoni, invece, riescono ad afferrare i concetti. L’esperienza religiosa come terapia anti Aids si sta velocemente diffondendo anche nella regione autonoma nordoccidentale cinese Ningxia Hui, a maggioranza musulmana. Leader religiosi musulmani della provincia hanno effettuato un viaggio nel monastero buddista di Zongfo per capire i metodi dei monaci nella cura anti Aids. E così diversi imam delle moschee di Ningxia continuamente informano i fedeli sui rischi derivanti dai comportamenti lascivi, dai contatti con le prostitute, dall’uso di droghe, indicandoli come comportamenti lontani dalla dottrina islamica.

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Aumentano i cristiani in Cina. Forse per boom economico?

Sarebbero più di 23 milioni i cristiani cinesi, secondo uno studio dell’Accademia cinese delle scienze sociali, il numero più elevato nella storia della Cina. Lo rivela il China Daily. Secondo lo studio, il 69% di questi cristiani si sono convertiti quando un membro della loro famiglia si è ammalato, mentre il 15% lo ha fatto sotto l’influenza della famiglia. Il numero dei cattolici ha raggiunto i 5,7 milioni di persone, sul totale dei 23,05 milioni di cristiani. Lo studio dimostra come anche i fedeli delle altre religioni, Buddismo, Islam e Taoismo, siano aumentati. Come in tutto il resto del mondo, le donne rappresentano il 70% della comunità cristiana in Cina. Per gli studiosi dell’ Accademia, il boom dei cristiani è un risultato della crescita economica nel Paese, con il 73% che si è convertito dopo il 1993 e solo il 18% tra il 1982 e il 1992. Fra essi molti giovani, intellettuali, professionisti. Secondo lo studio, è soprattutto nelle zone costiere orientali e in quelle intorno al fiume Yangtze che si raccoglie il maggior numero di cristiani. Si tratta delle regioni più densamente popolate ed economicamente prospere. Per soddisfare le esigenze dei cristiani, è aumentato anche il numero delle chiese, che sono ora più di 55.000, alcune piccole altre che possono ospitare anche 8.000 fedeli, ma per lo più realizzate negli ultimi anni. Secondo lo studio, alla fine del 2009 sono state stampate in Cina oltre 50 milioni di copie della Bibbia.

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