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Cina: la bolla delle borse

Articolo pubblicato su Affari Internazionali

E’ un bagno di umiltà e una svolta verso il reale quella che sta affrontando la Cina di questi giorni. La bolla scoppiata nella borsa cinese, che ha portato a perdere oltre 3,5 miliardi di dollari (valori che superano di 11 volte il Pil greco, di quattro volte il valore delle borse spagnole e di due quelle indiane), più del 30% del suo valore, ha fatto realizzare a molti, semmai ce ne fosse bisogno, che Pechino ha bisogno di una operazione verità sui suoi numeri.

Operazione verità sui numeri
Si è cominciato con la crescita: da un paio di anni, il 10% e passa è diventato un miraggio e la Cina si sta stabilizzando su quello che è un sogno per molti Paesi ma che per i cinesi all’inizio era una iattura, il 7% di crescita. Considerato troppo basso fino a qualche anno fa, ma che ora pare più realistico: questo è attualmente l’obiettivo, che alcuni considerano di difficile ma non impossibile raggiungimento, visto l’andamento dell’economia cinese.

Si è proseguito con la borsa: dal giugno 2014 al 12 giugno scorso, ritenuto il vero “venerdì nero” della borsa cinese, sui mercati azionari del Paese del Dragone si era riusciti a guadagnare il 150%. Davvero tanto, per non fare poi scoppiare una bolla che, in poco meno di un mese, ha bruciato un bel po’ di risparmi. Che la borsa cinese sia volatile e, per certi versi, non affidabile è dimostrato dall’altalena dei risultato dei risultati: giovedì 9 luglio, il primo vero test dopo le misure messe in campo dal governo, c’è stata un’apertura a -4%, poi l’indice di Shanghai in chiusura ha guadagnato il 5,7%.

Il colpevole? La mancanza di realismo
La stessa cifra che aveva registrato come perdita il giorno precedente. Una situazione che ha portato le autorità cinesi ad essere euforiche il 9, dopo avere parlato di “panico” l’8 e ad avere annunciato indagini per cercare i colpevoli di questa situazione. Ma il vero colpevole è la mancanza di realismo, di certezza sui numeri. Come molti analisti hanno osservato, il problema è che in Cina tutto è gigantesco e per di più mancano l’esperienza, le competenze e “la forza intrinseca del sistema per gestire crisi di queste proporzioni”.

Nel Paese i dati economici non sono del tutto chiari: c’è un problema notevole relativo ai debiti delle amministrazioni locali, le province, che hanno contratto mutui con le banche statali per arginare la crisi del 2008 mettendo in campo grandi infrastrutture e per fare girare l’economia. Ad oggi, non si sa se e quando potranno restituire quei soldi.

Neofiti dall’entusiasmo alla disperazione
C’è un problema di verità legato alla presenza di un sistema bancario e finanziario occulto, di proporzioni gigantesche e che pare sia il vero motore economico del Paese, in termini di prestiti e denaro della classe media e delle piccole e medie imprese. Proprio questi ultimi sono tra i più colpiti della bolla finanziaria. In un mercato dove non è peccato arricchirsi e dove, come detto, si è guadagnato il 150% in un anno, buttare in borsa i soldi risparmiati è sembrato l’investimento più giusto.

Se poi si considerano i prezzi degli immobili sempre più alti (altra bolla in Cina) e l’intervento continuo del governo quasi a sostenere la borsa, si capisce il motivo per il quale i piccoli risparmiatori cinesi, milioni di persone, abbiano anche preso soldi a prestito per investire in borsa. Neofiti che ora si stanno mangiando le mani e che si lamentano sui social network delle perdite.

Il governo corre a drastici ripari
Ma il governo è corso ai ripari, come solo un esecutivo di regime può, mettendo in campo misure drastiche: blocco delle vendite per i prossimi sei mesi agli investitori che detengono più del 5% delle azioni di una compagnia; conferma da parte della banca centrale, la People’s Bank of China, di continuare a fornire ampia liquidità alle istituzioni che concedono prestiti a chi vuole investire in Borsa; blocco delle Ipo; taglio dei tassi di interesse e interventi sulle riserve obbligatorie delle banche; compagnie statali obbligate a comprare azioni; aumento della quantità di azioni che le compagnie di assicurazioni possono acquistare; costituzione, da parte dei 21 broker principali del Paese, di un fondo da 120 miliardi di yuan per stabilizzare il mercato, che si è impegnato a non vendere azioni fino a quando l’indice di Shanghai sarà inferiore a quota 4.500.

Tutte misure che hanno avuto l’effetto di iniettare, oltre a soldi, fiducia soprattutto nei piccoli risparmiatori. Ma aumenta la volatilità e, soprattutto, il dubbio che il problema sia strutturale e che possa riverberarsi sull’economia reale. Anche se la borsa cinese ha un valore pari al 40% del Pil (in molti altri paesi si supera il 100%) è, come detto, considerato un bene rifugio da tanti. La corsa del governo cinese a far cambiare faccia al Paese del Dragone, facendolo diventare da “fabbrica del mondo” a “negozio del mondo”, tentando di aumentare i consumi interni, sta mietendo vittime. E’ in campo soprattutto la credibilità si un sistema che, come detto, pare si basi su travi -alcune delle quali- d’argilla.
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Paura bolla borse, Cina vara fondo da 19 mld, ferma ipo. Misure per arginare crollo, in 3 settimane bruciati 2.800 mld

La Cina vara nuove misure nel tentativo di arginare la ‘rotta’ delle borse di Shanghai e Shenzhen, reduci da un crollo che in tre settimane ha spazzato via 2.800 miliardi di dollari di capitalizzazione e fatto perdere agli indici circa il 30% del loro valore. I 21 principali broker del Paese, riuniti nella Securities Association of China, hanno annunciato la costituzione di un fondo da 120 miliardi di yuan (circa 19,3 miliardi di dollari) per acquistare Etf sulle blue-chip. Il fondo, appoggiato dal governo, inizierà ad operare già lunedì nel tentativo di stabilizzare il mercato. Gli operatori si sono anche impegnati a non vendere azioni in loro possesso fino a quando l’indice di Shanghai, sceso a 3.686 punti, non tornerà a quota 4.500. E anche 25 gestori hanno assicurato che manterranno per almeno un anno i loro fondi azionari. Il governo di Pechino ha poi imposto il congelamento di tutte le nuove quotazioni – ne erano in programma 28 – per non disperdere risorse presenti sul mercato su nuovi titoli. Il più lungo rally borsistico della storia della Cina – con Shanghai e Shenzhen che hanno guadagnato in un anno il 150% e il 190% – sta dunque trasformandosi in una Caporetto che rischia di travolgere gli oltre 90 milioni di cinesi – impiegati, operai e contadini, molti dei quali digiuni di finanza – che si sono buttati sul mercato azionario attirati dalla più capitalistica delle aspirazioni: fare soldi facili con la speculazione borsistica. Una prospettiva peraltro alimentata dalle politiche di sostegno del governo cinese alla corsa del mercato azionario. Solo nell’ultima settimana la Banca centrale cinese ha tagliato per la quarta volta da novembre i tassi, mentre le autorità cinesi hanno ridotto le commissioni di trading e allentato le regole per operare a debito (ci si potrà finanziare dai broker anche dando in garanzia la casa) così da non dover liquidare le posizioni quando il valore delle azioni diventa insufficiente per ripagare i prestiti. Inoltre la Consob cinese (Csrc) ha avviato un’indagine per verificare che il mercato non sia stato manipolato, mettendo nel mirino i ribassisti. E così 19 conti sono stati inibiti dallo short-selling sugli indici per un mese. Per ora questi tentativi non sono riusciti ad arrestare la più violenta emorragia di vendite dal 1992, esplosa dopo che le valutazioni azionarie hanno raggiunto livelli superiori a quelli della ‘bolla’ del 2007. E tra gli analisti ci sono dubbi sulla capacità del nuovo fondo di incidere su un mercato che scambia ogni giorno un controvalore di 2.000 miliardi di yuan. “Per ora l’atteggiamento si sta orientando verso il panico ed è estremamente difficile calmare un orso rabbioso” è il commento di Bernard Aw, strategist a Ig Asia. Che la situazione stia prendendo una brutta piega lo dimostra anche l’apertura del Financial Times, dedicata oggi non alla Grecia ma alla Cina. Gli investitori globali, riferisce il quotidiano, temono infatti che il crollo di Shanghai e Shenzhen possa destabilizzare l’economia del colosso asiatico, accentuandone la fase di rallentamento.

fonte Ansa

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Crollo pe rle borse cinesi su timori dei tassi

Le borse cinesi hanno fatto registrare oggi la loro peggiore performance dal 31 agosto dell’anno scorso, a causa delle preoccupazioni degli investitori che temono un rialzo dei tassi di interesse dopo che ad ottobre l’inflazione ha raggiunto il suo massimo in 25 mesi. L’indice Composite della borsa di Shanghai ha perso oggi il 5,16%, lasciando 162,31 punti e chiudendo a 2.985,44 punti. L’indice Component della borsa di Shenzhen, la seconda in Cina, ha perso il 7%, quantificato in 958,40 punti e chiudendo a 12.762,54 punti. Anche la borsa di Hong Kong ha chiuso in ribasso, perdendo alla fine l’1,93% e lasciando sul campo 477.72 punti, la peggior perdita da quattro mesi. Secondo gli analisti della China International Capital Corporation, il governo cinese ha mostrato la sua volontà di frenare le aspettative di inflazione e di bolle speculative, così i tassi di interesse potrebbero essere rialzati alla fine di quest’anno. Le rafforzate misure governative potrebbero quindi interferire con i margini di profitto delle società. Tra i titoli che hanno perso di più oggi a Shanghai, la Citic Securities, il più grande broker di titoli del Paese, ha perso il 9,27%, mentre Merchants Securities ha perso il 9,02%. L’Industrial and Commercial Bank of China Ltd., il più grande finanziatore della nazione, è scivolata dell’1,89%, mentre la Bank of China ha perso il 3,43%. In crisi oggi anche i produttori di ferro e acciaio, che hanno ceduto sulle preoccupazioni che il rallentamento della crescita farebbe ridurre la domanda dei loro prodotti. La Baogang Iron & Steel ha perso il 10,06% mentre Ansteel ha perso il 7,89%. L’inflazione in Cina ha toccato il 4,4% nel mese di ottobre, il più alto in 25 mesi. I nuovi prestiti bancari hanno anche superato le previsioni di mercato. Gli operatori temono che le nuove manovre decise dalla Federal Reserve, banca centrale americana, che ha deciso si immettere nell’economia 600 miliardi di dollari, possa aggravare l’eccesso di liquidità, con pericoli per la lotta anti inflazione della Cina. Per arginare il rischio immediato, la Banca centrale cinese ha innalzato i tassi attivi e passivi di 25 punti lo scorso 20 ottobre.

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In Cina la più grande ipo della storia

Missione compiuta per l’Agricultural Bank of China. Al suo sbarco in Borsa la banca cinese ha annunciato di aver ufficialmente completato una raccolta di 22,1 miliardi di dollari sulle piazze di Hong Kong e Shanghai mettendo a segno la maggiore Ipo (Initial Public Offering) della storia. Il precedente record apparteneva ad un altro istituto del gigante asiatico: alla Industrial & Commercial Bank of China, che nel 2006 raccolse 21,9 miliardi di dollari al suo debutto sui mercati. AgBank, com’e’ universalmente conosciuta, e’ riuscita nell’impresa di conquistare il titolo di maggiore Ipo della storia dopo aver esercitato interamente l’opzione di over allotment per la porzione di Shanghai della sua Ipo. Sono state 3,34 miliardi di azioni vendute al prezzo originario dell’Ipo di 2,68 yuan per azione a permettere il balzo in avanti e il record. In una prima vendita riservata agli investitori istituzionali ed effettuata simultaneamente ad Hong Kong e Shanghai il 6 luglio scorso, la banca aveva gia’ incassato 19,2 miliardi di dollari. Venerdi’ le azioni dell’AgBank sono salite da 0,37 yuan a 2,69 yuan, mentre oggi l’aumento e’ stato dello 0,74%. AgBank, che ha avviato gli scambi a Shanghai il 15 luglio e il 16 ad Hong Kong, e’ l’ultimo dei quattro grandi istituti bancari cinesi a quotarsi in Borsa. Le altre, la Bank of China, la China Construction Bank e la Commercial Bank of China, vi erano entrate quattro anni fa. Gli investitori sperano che con la quotazione di AgBank la Borsa di Shanghai si risollevi dopo aver perso il 25% del proprio valore dall’inizio dell’anno. La banca ha una rete di 24.000 sportelli ed e’ il principale erogatore di prestiti alle aree rurali. Infatti, a differenza delle altri grandi banche della Cina, AgBank ha l’esplicito mandato del governo di aiutare e sostenere le prospettive economiche delle aree piu’ povere e rurali del paese. Secondo alcuni analisti, questo compito pone AgBank in una posizione difficile, ossia quella di conciliare le sue diverse identita’. ”E’ il tema di maggiore tensione dopo lo sbarco in Borsa. Qualsiasi problema ci sara’ nelle aree rurali, il governo vorra’ utilizzare AgBank per far fluire credito”, sottolineano gli analisti. Tuttavia per alcuni investitori questo non rappresenta un problema. AgBank ha una ”buona rete di sportelli nelle campagne e tutti sappiamo che il prossimo motore di crescita dell’economia cinese sara’ l’urbanizzazione”.

fonte: Ansa

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La borsa di Shanghai aprirà agli stranieri

La Cina potrebbe presto consentire alle società straniere di accedere alla borsa di Shanghai, facendo della città un centro finanziario internazionale. Lo riferisce il China Daily. “I lavori preparatori stanno andando avanti bene – ha detto Fang Xinghai, direttore generale dell’ufficio servizi finanziari di Shanghai – forse si potrà partire l’anno prossimo.” Alcune società straniere, tra cui la HSBC Holdings Plc e il gruppo London Stock Exchange Plc hanno già manifestato interesse. Secondo uno studio diffuso agli inizi di luglio, le offerte iniziali di acquisto presso le borse di Shanghai e Shenzhen potrebbero arrivare quest’anno a 500 miliardi di yuan (circa 60 miliardi di euro). “Aprire agli stranieri è uno dei primi e più importanti passi da fare per fare di Shanghai un centro finanziario globale – ha aggiunto Fang – e la Commissione per le regole di sicurezza in Cina e la Borsa di Shanghai stanno lavorando per la preparazione della normativa per consentire anche alle società straniere di quotarsi”.

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