Le autorità cinesi hanno bloccato due attivisti mentre stavano per imbarcarsi alla volta di Ginevra, per una riunione Onu, e di una di questi non si hanno notizie. Lo riferisce l’organizzazione Chine Human Rights Defender. Della donna, Cao Shunli, non si hanno notizie dal 14 settembre, quando agenti della polizia l’hanno prelevata mentre si stava per imbarcare per Ginevra per partecipare ad una conferenza sui Diritti Umani. Nello stesso giorno è stato bloccato all’aeroporto di Guangzhou, l’ex Canton, l’attivista di Shanghai Chen Jianfang. Secondo l’organizzazione non governativa, negli stessi giorni altri attivisti sono stati interrogati dalle autorità, sempre sulla stessa conferenza di Ginevra. Cao Shunli negli anni si è molto impegnata per i diritti umani in cina, scrivendo anche diversi studi proprio per l’organismo di Ginevra. Dal 2008, è stata arrestata diverse volte dalle autorità. Chen ha trascorso più di un anno in un campo di lavoro, dopo essere stato arrestato per aver partecipato a Shanghai a una manifestazione di protesta.
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Ghana arresta minatori cinesi e in Cina scoppia protesta
Il Ghana arresta 124 cercatori d’oro cinesi accusati di operare nel paese al di fuori della legge, e subito scoppia una polemica su internet, come a livello diplomatico, che porta allo scoperto i difficili rapporti tra i lavoratori ghanesi e quelli cinesi, giunti a migliaia per una vera ‘corsa all’orò. Alle accuse rivolte ai cinesi di maltrattare i loro dipendenti locali e di violentare “abitualmente” le donne rispondono denunce secondo le quali gli arrestati sono stati picchiati e umiliati dalla polizia ghanese. Addirittura una fonte, subito smentita dal governo di Pechino, ha ipotizzato che alcuni dei cinesi arrestati siano stati uccisi. La Cina ha inoltre smentito che ci siano dei feriti tra i minatori cinesi. Un articolo dal significativo titolo “Gli insulti e le discriminazioni contro i locali si stanno diffondendo come un’ epidemia”, scritto da un anonimo che accusa i cinesi di disprezzare i locali e di maltrattarli è diventato “virale” su Internet, dove è stato “ristrasmesso” ottomila volte in poche ore. Secondo l’ autore – non è chiaro se cinese o ghanese – “ai locali vengono assegnati i lavori più umili e vengono nutriti con cibo peggiore di quello che i cinesi danno ai loro cani”. Inoltre, “le donne vengono violentate e tormentate quotidianamente”. Molti degli intervenuti hanno scritto sui “microblog” – l’ equivalente cinese di Twitter – che se le accuse sono vere, i colpevoli devono essere puniti. Ma i residenti di Shanling, un piccolo centro nella provincia cinese del Guanxi dal quale provengono quasi tutti i 50mila cercatori d’ oro cinesi emigrati in Ghana, hanno inscenato una manifestazione ed hanno accusato l’ Ambasciata cinese ad Accra di “non aver nulla” per proteggerli. Stretto tra due fuochi, il governo cinese cerca di mantenere un difficile equilibrio, protestando col governo ghanese ma invitando i cinesi a “rispettare le leggi locali”. “Un funzionario dell’ Ambasciata cinese in Ghana ha già presentato una protesta al governo di quel paese”, ha affermato oggi il portavoce del ministero Hong Lei in una conferenza stampa a Pechino. La Cina, ha proseguito, ha chiesto al governo del Ghana di assicurare l’ incolumità dei cittadini cinesi e di garantire che le loro proprietà non verranno depredate mentre sono detenuti. Hong Lei ha anche “ricordato ai cittadini cinesi in Ghana che devono rispettare le leggi locali e non impegnarsi in attività illegali”. La corsa all’oro ghanese da parte degli abitanti di Shanling é cominciata nel 2005. Su Zhenyu, segretario dell’ Associazione dei minatori cinesi in Ghana, ha dichiarato alla stampa cinese che gli immigrati hanno investito “milioni di dollari” nelle miniere d’ oro, facendo aumentare in modo significativo la produzione del paese. I cinesi operano in miniere piccole, trascurate dalle grandi compagnie internazionali. Per legge sarebbero riservate ai cittadini locali, ma Su afferma che i minatori cinesi pagano ingenti somme ai capi villaggi che ne mantengono la proprietà nominale. “Se siamo illegali la nostra Ambasciata e il governo ghanese devono aiutarci a rientrare nella legalità, non perseguitarci”, ha aggiunto Su.
fonte: Beniamino Natale per Ansa
Valanga di dollari dalla Cina per conquistare l’Africa
Miliardi di dollari per conquistare l’Africa. Secondo un rapporto pubblicato oggi negli Stati Uniti, dal 2000 al 2011 la Cina ha investito più di 75 miliardi dollari nel continente, avvicinandosi al livello degli Usa, che nello stesso periodo hanno riversato in Africa circa 90 miliardi. Il rapporto, stilato dopo 15 mesi di ricerche dal Center for Global Development e da AidData, è stato presentato oggi al pubblico. “La Cina considera segreti di Stato i dati sui suoi investimenti all’estero e sugli aiuti allo sviluppo e il nostro é un tentativo di capire che cosa sta succedendo”, ha dichiarato uno degli studiosi che hanno preso parte alla ricercal Andreas Fuchs dell’Università di Heidelberg (Germania). Anche in questo caso, il ministero del commercio cinese non ha risposto ai ricercatori, che si sono basati su fonti occidentali e africane ma anche sugli articoli usciti sulla stampa cinese. I ricercatori hanno individuato quasi 1.700 progetti cinesi nel continente, mille dei quali sono operativi. Secondo Brad Parks, direttore esecutivo di AidData, quello degli investimenti cinesi in Africa “é un argomento che suscita reazioni molto forti, positive o negative, e la gente tende ad avere opinioni molto radicali”. Pechino ha cominciato ad investire massicciamente nel continente nero a metà degli anni novanta, e da allora è stato un continuo crescendo. Nel 2006, che fu dichiarato “l’anno dell’Africa”, decine di capi di Stato e di governo africani presero parte al vertice organizzato a Pechino, nel quale furono gettate le basi per un rafforzamento della presenza cinese nel continente. Non per niente il nuovo presidente cinese Xi Jinping ha scelto per il suo primo viaggio all’estero, in marzo, la Russia e tre Paesi africani: la Repubblica Democratica del Congo, la Tanzania e il Sud Africa. I critici dell’espansione cinese in Africa accusano Pechino di cinismo politico, che si manifesta nel sostegno a dittatori abbandonati dall’Occidente come Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe. Altri sottolineano che, portando i tecnici e spesso gli operai dal loro Paese, le imprese cinesi danno un contributo minimo allo sviluppo delle economie locali. Secondo Parks, non bisogna farsi fuorviare dagli stereotipi, che pure hanno un fondo di verità, secondo i quali la Cina si limita a sfruttare le materie prime africane e a provvedere alle infrastrutture come strade, ferrovie e aeroporti. Oltre a quel tipo di progetti ha affermato Parks, i cinesi “fanno molto nei settori della sanità, dell’istruzione, della società civile, molte cose che generalmente non si pensa siano sostenute dal governo cinese”. Il primo Istituto Confucio – il principale strumento col quale Pechino cerca di esportare il proprio ‘soft power’ – è stato aperto nel 2005 a Nairobi, in Kenya. Ora, sottolinea il rapporto, ne esistono 23 in 17 diversi Paesi.
beniamino natale per ansa
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