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Rilasciato studente di 16 anni, arrestato per un tweet

E’ considerata una piccola ma importante vittoria dagli attivisti cinesi il rilascio, avvenuto ieri mattina, di Yang Hui, un ragazzo di 16 anni che era stato arrestato la scorsa settimana nella provincia nord occidentale del Gansu, con l’accusa di aver “creato problemi”. Ma per la stampa di partito, “dipingere il ragazzo come un eroe per sfogare il malcontento contro severe normative è irresponsabile”, come scrive oggi il Global Times. Il giovane era stato arrestato dopo aver pubblicato online un post in cui sollevava dubbi circa l’operato della polizia locale che indagava sulla morte del proprietario di un locale notturno. Il post era stato ritwittato centinaia di volte, cosa che lo ha assoggettato alla nuova legge secondo la quale oltre i 500 retweet di un post “sgradevole” aprono le porte del carcere fino a tre anni. La foto del ragazzo libero, con le dita a “V” in segno di vittoria e con addosso una maglietta con la scritta ”Make the change” (sii artefice del cambiamento), sta facendo il giro della rete. Dopo il suo arresto due attivisti e avvocati, You Feizhu e Wang Shihua, si erano recati nel Gansu per perorare la sua liberazione con le autorità. Altri 40 avvocati hanno firmato una petizione in suo favore e alla fine la polizia ha ceduto, liberando il ragazzo. ”Se gli internauti cinesi si uniscono, chi li può fermare?” ha scritto online Zhou Ze un noto avvocato e attivista di Pechino. Ma non tutti sono così entusiasti e ottimisti. Nonostante le tante campagne, sono ancora centinaia gli attivisti e dissidenti in carcere o agli arresti domiciliari e il caso di Yang è visto da molti solo come una goccia nel mare. Un articolo del Global Times, organo del Partito Comunista, sottolinea come il giovane sia stato rimesso in libertà solo per la sua giovane età, non come riconoscimento di un errore.

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Sedicenne arrestato per post ritwittato su internet

Uno studente di 16 anni della provincia del Gansu e’ stato arrestato dalla polizia per aver pubblicato sul suo microblog un commento, che poi e’ stato ripreso 500 volte da altri utenti, in cui criticava la condotta delle autorita’ locali a seguito della morte di un uomo. Lo riferisce il South China Morning Post. Secondo le accuse, il ragazzo avrebbe falsamente accusato i poliziotti di aver aggredito i familiari di un uomo trovato morto per strada la settimana scorsa nella contea di Zhangjiachuan. Yang, questo il nome dello studente, ha scritto anche in uno dei suoi commenti che il vice capo del tribunale di Zhangjiachuan e’ proprietario di un karaoke che si trova proprio vicino a dove e’ stato rinvenuto il cadavere, circostanza che invece e’ stata totalmente smentita dal portavoce della polizia locale. Dopo l’arresto del giovane, tutti i commenti sul microblog sono stati eliminati. Solo pochi giorni fa la suprema corte cinese ha emesso un documento nel quale si afferma che la diffusione di notizie false su internet e’ da considerarsi un reato penale in Cina. La Corte ha aggiunto che, quando un post che diffonde notizie non vere viene commentato o inoltrato piu’ di 500 volte, il suo autore rischia il carcere fino a tre anni.

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Nuove regole censura online, scoppia polemica in rete

Non si placano le polemiche in rete il giorno dopo la pubblicazione, da parte delle autorità cinesi, delle nuove linee guida sul controllo delle informazioni online. Ad essere criticate, soprattutto le misure coercitive, che portano anche fino all’arresto per tre anni se un tweet o un messaggio ritenuto diffamatorio, viene inoltrato in rete per almeno 500 volte o visto da più di 500 persone. “Così una persona – ha scritto un utente in un commento ripreso anche dalla stampa di Hong Kong – non viene punito per quello che fa ma per quello che altri fanno con il suo post. Benvenuti nel medioevo”. L’accusa, per chi ha scritto il messaggio, è diffamazione secondo la nuova interpretazione giuridica, che ritiene attività criminali quelli che le autorità chiamano “irresponsabili voci online” e che debbano essere considerati casi gravi. Nel documento, ad essere presi in considerazione, anche i messaggi che hanno a che fare con false informazioni che portino a proteste, anche religiose o etniche, che abbiano anche effetti internazionali. In più post di commento, si lamenta che la libertà di espressione con questo regolamento viene ancora di più intaccata, con una serie di maggiori controlli in quei pochi canali dove ancora si riusciva a far circolare le idee diverse da quelle ufficiali.

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Si a Facebook e Twitter in Cina, ma solo da hotel di lusso

Piccoli segnali di apertura in Cina: le autorità hanno deciso di allentare i controlli sull’uso di Facebook, Twitter e altri social network normalmente inaccessibili. Secondo quanto riferiscono alcune fonti locali, solo in alcuni posti frequentati perlopiù dagli stranieri, come alcuni alberghi a cinque stelle, è ora possibile accedere a questi siti un tempo bloccati dalla censura. Un turista ha riferito al South China Morning Post di aver potuto accedere senza problemi con il suo computer portatile sia a Facebook che a Twitter stando seduto nella hall del St Regis Hotel di Pechino, un lussuoso 5 stelle della capitale. “Ma non è solo al St Regis – ha aggiunto il turista – alcuni amici che risiedono in altri hotel mi hanno riferito la stessa cosa”. Stessa cosa pare sia stata notata in alcuni noti alberghi di Shanghai e persino in un resort di una città della provincia meridionale del Guangdong, Dongguan, frequentata in prevalenza da uomini di affari. Siti come Facebook, Twitter ma anche Youtube sono bloccati in Cina dalla censura che teme possano rappresentare un pericoloso veicolo di informazioni. Molte persone, tuttavia, specie gli stranieri, aggirano il divieto usando delle vpn (virtual private network), ovvero dei software che creando un collegamento con un indirizzo virtuale fuori dalla Cina consentono di bypassare la censura.

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In Cina la rete internet tra l epiù lente e costose al mondo

La Cina è il paese con più utenti di internet al mondo, ma questo è proprio uno dei casi in cui quantità non significa qualità. Secondo una ricerca resa nota dalla stampa locale, la Cina è infatti uno dei Paesi che ha una bassa velocità di navigazione, classificandosi 98/ma su 200 Paesi analizzati. Nel secondo trimestre del 2013 la velocità media di connessione in Cina si è attestata su 1,5 megabytes al secondo, laddove la media mondiale è di 2,6 e molti Paesi dell’area asiatica sono ben al di sopra. Basti pensare che la Corea del sud naviga ad una velocità media di 15.7 megabytes al secondo, il Giappone di 10.9 e Hong Kong di 9.3 al secondo. Internet in Cina dunque lento, ma anche molto costoso. In paesi come gli Stati Uniti e la stessa Hong Kong navigare costa molto meno oltre ad essere molto più veloce. Piccola consolazione, c’è chi sta peggio. In fondo alla classifica, dopo la Cina, paesi come la Libia, il Kazakhistan e l’Iran.

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Datagate: i sospetti dei servizi americani sulla Cina

Quello dell’intelligence americana è più di un sospetto: che dietro al ‘datagate’ ci sia la mano cinese. E non solo perché Edward Snowden, la talpa che ha svelato il programma americano di spionaggio della rete, si è rifugiato ad Hong Kong. La sensazione degli 007 e di molti altri a Washington è che la vicenda faccia parte di un colpo che le autorità di Pechino hanno voluto assestare proprio mentre si stanno ridisegnando gli equilibri tra Stati Uniti e Cina. Con quest’ultima sempre più nel mirino per la questione dei cyberattacchi alle istituzioni, alle aziende e alla stampa americane. E’ un ex agente della Cia a confermare come all’interno dei servizi segreti statunitensi si guardi ai cinesi per capire ciò che è accaduto nei giorni scorsi: “Ho parlato a Washington con alcune persone vicino all’amministrazione e all’intelligence e ho avuto conferme che stanno cercando di capire se dietro alla vicenda vi sia un caso di spionaggio da parte della Cina”, ha affermato l’ex 007 Bob Baer alla Cnn, sottolineando come il posto scelto da Snowden per la fuga non è casuale. “Hong Kong é controllata dall’intelligence cinese, non è più un’area indipendente dalla Cina. E sembra che Snowden – aggiunge Baer – sia sotto il controllo delle autorità cinesi”. Di sicuro – come scrivono in molti sui media americani e internazionali – la vicenda è destinata a mettere a dura prova le relazioni tra Washington e Pechino, proprio nel momento in cui Barack Obama e Xi Jinping – incontratisi venerdì e sabato in California – stanno tentando di rilanciarle. E’ un test potrebbe essere proprio quelle dell’eventuale domanda di estradizione di Snowden verso gli Stati Uniti. Estradizione chiesta a gran voce da molti membri del Congresso americano, ma su cui Pechino potrebbe mettere il veto. “L’amministrazione deve immediatamente avviare con Hong Kong le procedure per l’estradizione”, ha detto il senatore repubblicano, Pete King, definendo Snowden un “transfuga” che rischia da 15 a 20 anni di detenzione per la rivelazione di informazioni segrete. Di contro, in poche ore oltre 13 mila cittadini americani hanno firmato una petizione alla Casa Bianca per chiedere “il perdono” di Edward Snowden, definito “un eroe nazionale a cui dovrebbe essere immediatamente garantito il perdono assoluto per ogni crimine eventualmente Ma al momento l’amministrazione non si pronuncia, ribadendo solo come il presidente Barack Obama sia interessato a un dibattito per stabilire il maggior equlibrio possibile tra protezione della privacy e sicurezza nazionale. “Non parliamo né della talpa né delle indagini in corso”, ha per il resto tagliato corto il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney. Intanto Lonnie Snowden, il padre della talpa del datagate si é detto preoccupato per la sorte del figlio che, secondo il Washington Post, avrebbe lasciato l’albergo di Hong Kong dopo aver registrato l’intervista con il Guardian in cui si è uscito allo scoperto. E tramite un’intervista all’australiana Abc si è fatto sentire anche Julian Assange, il fondatore di Wikileaks sul quale gli Stati Uniti vorrebbero mettere le mani: “Ero in contatto con Edward Snowden – ha detto dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra dove è rifugiato -: è un esempio per tutti noi”.

fonte: ANSA

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Forse via censura su internet durante giochi asiatici giovanili di Nanchino

Le autorità cittadine di Nanchino, nella parte orientale della Cina, sono pronte ad aprire una breccia nella Grande Muraglia di Fuoco, la censura cinese che blocca in Cina siti come Facebook, Twitter e Youtube, durante i prossimi giochi asiatici giovanili. Secondo la stampa di Hong Kong, le autorità locali avrebbero già avanzato una proposta del genere agli organi competenti per assicurare agli oltre 2000 atleti di tutto il mondo che ad agosto prenderanno parte all’evento, di potersi collegare ad internet senza problemi. In Cina, infatti, senza programmi che permettono di aggirare la censura, è impossibile collegarsi a diversi siti, comprese le piattaforme che ospitano blog come WordPress, oltre ai social network. Iniziative del genere sono state già state avviate altrove. In alcuni alberghi internazionali cinesi è possibile collegarsi ad internet e raggiungere tutti i siti, compresi quelli normalmente vietati, grazie a programmi per aggirare la censura, le cosiddette Vpn. I giochi asiatici giovanili si terranno a Nanchino, capoluogo del Jiangsu, dal 16 al 24 agosto, ospitando atleti da 45 paesi, di età compresa tra i 13 e i 17 anni, che concorreranno in 15 sport e 118 eventi.

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Gli Usa insistono: Chuck Hagel, capo del Pentagono, continua ad accusare cinesi per cyberspionaggio

Alla vigilia del faccia a faccia tra il presidente americano Barack Obama e il presidente cinese Xi Jinping in California, il capo del Pentagono, Chuck Hagel, e’ tornato a sferzare la Cina sulla spinosa questione del cyber-spionaggio: lo ha fatto da Singapore, davanti ad una platea di militari cinesi, che sembrano aver reagito con una certa stizza. Gli Stati Uniti tengono gli occhi aperti sulle sfide nel cyber-spazio, ha detto Hagel nel corso dell’annuale conferenza sulla sicurezza nota come ‘Shangri La Dialogue’, aggiungendo esplicitamente che molte delle intrusioni informatiche nei computer della difesa, delle industrie e istituzioni finanziarie americane ”sembrano essere collegate al governo e alle forze armate cinesi”. Ma allo stesso tempo, Hagel ha affermato che gli Usa sono ”determinati a lavorare vigorosamente con la Cina e altri partner per stabilire norme internazionali per un comportamento responsabile nel cyber-spazio”. Il 7 e 8 giugno i presidenti di Stati Uniti e Cina si incontreranno per un vertice informale nel Rancho Mirage, una distesa di 80 ettari dove c’e’ la residenza Sunnylands, nel cuore del deserto del Mojave, che in passato ospito’ anche Nixon e Reagan. La questione del cyber-spionaggio sara’ ovviamente al centro dell’agenda dell’incontro, di certo assieme alla cosiddetta ‘guerra dello yen’ e all’annosa questione dei diritti umani, che coinvolge anche il lavoro minorile e la leale concorrenza commerciale, e alla presenza militare Usa in Asia. E non a caso, a Singapore, Hagel ha anche parlato dell’ impegno del Pentagono in Asia, assicurando che, nonostante i tagli al bilancio del Dipartimento della Difesa, continuera’ a crescere e affermando che ”sarebbe poco saggio e miope concludere…che il nostro riequilibrio (nell’area) non puo’ essere sostenuto”. Dopo di lui ha preso la parola un generale cinese, Yao Yiunzhu, direttore del centro per le relazioni militari Cina-Usa dell’accademia delle scienza militari cinesi, che ironicamente ha detto, rivolto ad Hagel, ”grazie per aver citato cosi’ tanto la Cina”. E allo stesso tempo ha affermato che la Cina ”non e’ convita” da tutte le rassicurazioni di Washington che la sua crescente presenza militare in Asia non ha lo scopo di contenere la potenza cinese. Poche ore dopo, da Pechino un portavoce del ministero degli esteri ha peraltro anche diffuso una nota condannando le affermazioni contenute in un comunicato relativo ai fatti di piazza Tiananmen del 1989 apparso di recente sul sito web del Dipartimento di Stato. Gli Stati Uniti, ha affermato il portavoce, ”dovrebbero smetterla di interferire nelle questioni interne cinesi, per non sabotare le relazioni cino-americane”. Un’altra questione che con ogni probabilita’ sara’ sul tavolo del vertice in California, dove Obama e Xi arriveranno con l’ambiziosa prospettiva di ravvivare quello il G2, la partnership cruciale per i destini del pianeta.

fonte: ANSA

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Monito del Pentagono alla Cina sugli hacker, “ora servono regole”

Basta con la guerra nel cyber spazio: la Cina deve decidersi a fermare i suoi hacker che imperterriti, nonostante le tante proteste, continuano a violare istituzioni e imprese americane. E deve accettare la messa a punto di regole di comportamento chiare e trasparenti. Il monito arriva dal capo del Pentagono, Chuck Hagel, a una settimana dal summit informale tra Barack Obama e Xi Jinping in California. L’amministrazione statunitense mette subito in chiaro che quello dei cyber attacchi dovrà essere uno dei punti cruciali nell’agenda del faccia a faccia tra il presidente americano e quello cinese: una sorta di ‘ritiro’ che si svolgerà in un ranch nel cuore del deserto del Mojave, che in passato ospitò anche Richard Nixon e Ronald Reagan. “I cyber attacchi sono una minaccia reale e molto pericolosa, come gli attacchi reali”, ha ammonito Hagel in viaggio verso l’Asia per una serie di incontri, a partire dalla tappa di Singapore. Per questo – sottolinea il capo del Pentagono – serve un ‘codice di comportamento’ che fermi l’escalation di quella che sta diventando una vera e propria guerra del cyber spazio. Del resto siamo a un passo dalla goccia che potrebbe far traboccare il vaso, con gli hacker che nelle ultime settimane hanno a messo a dura prova proprio i sistemi della Difesa americana, violando alcuni segreti militari relativi alla realizzazione di nuovi armamenti: missili, supercaccia da combattimento, navi da guerra. Una situazione che il Pentagono giudica intollerabile ed estremamente pericolosa. “Gli Stati Uniti sanno da dove provengono la maggior parte di questi attacchi, dobbiamo essere onesti”, ha attaccato Hagel, per il quale le autorità di Pechino non possono più nascondersi dietro un dito. Devono affrontare il problema prima che succeda l’irreparabile. E il confronto, anche confidenziale, tra Obama e Xi è un’occasione da non perdere per fare dei passi in avanti su questa vicenda. Del resto l’attività degli hacker è un qualcosa che colpisce anche l’economia e la finanza ‘made in Usa’, con decine di imprese (anche i principali giornali come il New York Times o il Wall Street Journal) e società di Wall Street i cui sistemi informatici vengono oramai costantemente violati. Insomma, uno spionaggio a tutti i livelli usando le tecnologie informatiche più moderne. Nel mirino dell’amministrazione statunitense, però, non c’é solo la Cina – di certo la più pericolosa sul fronte dei cyber attacchi – ma anche Paesi come l’Iran e la Corea del Nord. E Casa Bianca e Pentagono, seppur in tempi di risparmi, stanno investendo come non mai proprio per rafforzare le misure di sicurezza e rendere sempre più impenetrabili le difese dei propri sistemi informatici. Ma ad essere finanziati anche strumenti pensati per la controffensiva.

fonte: ANSA

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Hacker cinesi rubano pianta sede dei servizi segreti australiani

Pirati informatici di base in Cina hanno rubato la planimetria top secret del nuovissimo quartier generale dei servizi segreti australiani Asio a Canberra. Lo rivela il programma Four Corners della Tv nazionale Abc, secondo cui è stato ottenuto accesso al percorso dei cavi di comunicazione, all’ubicazione dei server e ai sistemi di sicurezza, in un attacco orchestrato da un server cinese. Secondo il programma, sono stati violati in operazioni sostenute di hacking anche i dipartimenti della Difesa, degli Esteri e del Premier. Non viene però specificato da dove si sia originato il cyberspionaggio, o se vi siano state ramificazioni diplomatiche. I piani sarebbero stati rubati a un’impresa impegnata nel progetto. “E’ stata un’operazione di spionaggio. I piani piratati sono stati rintracciati in un server in Cina”, ha detto una fonte citata dal programma. Secondo il professor Des Ball del Centro studi strategici e di difesa dell’Università nazionale, il furto dei piani è significativo. “Una volta conosciuti i piani, potranno ricostruire i diagrammi dei cavi, dei collegamenti telefonici e wi-fi, quali stanze saranno usate per conversazioni sensibili, e come nascondere congegni nelle pareti di quelle stanze”. I ministri della Giustizia Mark Dreyfus e degli Esteri Bob Carr si sono rifiutati di confermare o di commentare la notizia. Carr ha tuttavia assicurato che le rivelazioni non danneggeranno la partnership strategica con Pechino.
La Cina ha respinto oggi le accuse della stampa australiana e statunitense, secondo le quali pirati informatici cinesi avrebbero rubato materiale che mette in pericolo la sicurezza dei due Paesi. Giornali australiani hanno affermato che i pirati hanno copiato la mappa del quartiere generale dei servizi segreti di Canberra, mentre il Washington Post ha affermato che hanno rubato disegni di armamenti come portaerei e missili. Il portavoce cinese Hong Lei ha respinto le accuse, affermando in una conferenza stampa che Pechino ”presta grande attenzione e si oppone con decisione alla pirateria informatica in tutte le sue forme”. Hong ha aggiunto di non conoscere ”quali prove citino i media per queste notizie” e ha ricordato che ”e’ estremamente difficile trovare la l’ origine degli attacchi informatici”.

fonte: ANSA

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