Una giornalista cinese che lavora come assistente del corrispondente a Pechino del settimanale tedesco Die Zeit, è in carcere da tre mesi con l’accusa di disturbo dell’ordine pubblico, spesso usata dalle autorità contro gli attivisti e i dissidenti. Zhang Miao lo scorso due ottobre era appena tornata da Hong Kong dove aveva documentato per la testata tedesca le proteste anti cinesi, quando è stata arrestata da quattro uomini. Anche la corrispondente della rivista tedesca, Angela Kockritz, è stata chiamata e interrogata dalle autorità, con la minaccia dell’arresto e in quanto la collega cinese l’avrebbe accusata. Anche da qui, la decisione per la Kockritz di lasciare la Cina. Per non inficiare il lavoro diplomatico con il quale si stava cercando la liberazione di Zhang, fino ad ora la Kockritz aveva deciso di non rivelare la notizia. Ma dopo tre mesi di detenzione, dopo che la collega cinese ha potuto incontrare solo a dicembre un avvocato, è stato deciso di far conoscere la storia. Le autorità cinesi hanno risposto sull’arresto che l’atto è stato compiuto in quanto la giornalista cinese non aveva i permessi adatti. E’ vietato a cinesi lavorare per giornali stranieri. I corrispondenti possono avere degli assistenti che comunque vengono istruiti dalle autorità sul lavoro. Secondo i dati diffusi da Freedom House, sotto Xi Jinping la pressione sui giornalisti soprattutto stranieri, è aumentata.
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La Cina respinge le accuse americane dopo espulsione giornalista Nyt
La Cina respinge le accuse americane, espresse ieri in un comunicato del Dipartimento di Stato, circa la sua decisione di non rinnovare il visto a un giornalista del New York Times. Per Hong Lei, portavoce del ministro degli esteri cinese, la questione è in ossequio alle leggi e i regolamenti interni alla Cina, avendo il giornalista in questione, Austin Ramzy, non rispettato le leggi. Il portavoce ha spiegato che Ramzy era in Cina come corrispondente del settimanale Time fino a maggio, quando lasciò il lavoro e restituì la tessera giornalistica. Secondo le leggi cinesi, in quel momento il suo visto cinese era scaduto. Poco dopo, il New York Times presentò alle autorità di Pechino una domanda per Ramzey affinchè ricevesse le credenziali da giornalista residente in Cina, domanda che non è stata ancora approvata. Il giornalista, secondo Hong Lei, non avrebbe mai cambiato il suo visto e il suo permesso di residenza dopo la fine del lavoro con Times e avrebbe usato, cosa che “costituisce una violazione delle leggi e dei regolamenti in Cina” come ha detto Hong Lei, il vecchio visto e il vecchio permesso di residenza per stare nel paese e viaggiare. Al giornalista era stato dato un visto di 30 giorni, per “questioni umanitarie” con l’impossibilità di lavorare, dal momento che il Nyt aveva chiesto un aiuto visto che Ramzy aveva ancora delle questioni pendenti in Cina. Alla scadenza, Ramzy ha dovuto lasciare il paese ma, secondo il portavoce, non è stato “allontato né deportato”. “La Cina esprime il suo dispiacere – ha detto Hong Lei – non accettiamo le accuse ingiustificate dalla parte americana e gli chiediamo il rispetto dei fatti e di usare azioni e parole caute”. Il portavoce ha ribadito che la Cina continua a dare il benvenuto ai giornalisti stranieri continuandone a proteggere i diritti e gli interessi secondo la legge, ma chiede loro di osservare i regolamenti e le leggi cinesi. Il caso di Ramzy arriva 13 mesi dopo l’allontanamento di un altro giornalista americano, Chris Buckley. Anche in quel caso, la Cina addusse motivi di lavoro, in quanto il giornalista non aveva comunicato il cambio del datore di lavoro dalla Reuters al New York Times. Il quotidiano americano era nell’occhio del ciclone in Cina per aver pubblicato una inchiesta sui beni milionari dei partenti dell’allora premier Wen Jiabao.
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Espulso giornalista del New York Time, polemiche e proteste dalla Casa Bianca
Sulla liberta’ di stampa e’ scontro tra Washington e Pechino. La Cina e’ infatti accusata di ricorrere alle maniere dure nei confronti dei giornalisti stranieri, ostacolandone il lavoro. A scaldare gli animi e’ stata l’espulsione annunciata dalla Cina di Austin Kramzy, corrispondente del New York Times, a cui e’ stato ritirato il visto dopo che gli era stato negato il rinnovo. Kramzy e’ stato quindi costretto a imbarcarsi su un volo verso Taiwan da dove tornerà negli Stati Uniti. La reazione del presidente americano Barack Obama non si e’ fatta attendere. “Siamo profondamente preoccupati per il fatto che i giornalisti stranieri in Cina continuino a confrontarsi con una serie di restrizioni che impediscono lo svolgimento del loro lavoro”, afferma il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, che parla di ritardi nel concedere i visti e di limitazioni per gli spostamenti e i viaggi in alcune località ritenute sensibili da Pechino. Ma gli Usa denunciano anche “violenze per mano delle autorità locali”. Sono infatti di pochi giorni fa le immagini di un giornalista della Cnn, David McKenzie, visibilmente maltrattato in strada da alcuni agenti della polizia cinese mentre realizzava un servizio su un processo a carico di alcuni attivisti per i diritti umani. “Queste restrizioni e questi comportamenti non sono coerenti con la libertà di stampa, e contrastano nettamente col trattamento che gli Usa riservano ai giornalisti cinesi e di altri Paesi”, sottolinea Carney. La Casa Bianca, comunque, auspica che Stati Uniti e Cina “rafforzino la loro cooperazione sul fronte dell’attività dei media in uno spirito sempre più di comprensione e fiducia reciproche”. Pechino viene quindi invitata ad accelerare le procedure attraverso le quali vengono concessi visti e credenziali ai giornalisti stranieri e a sbloccare i siti dei media americani inaccessibili alla popolazione cinese. Kramzy era in Cina dal 2007, prima come corrispondente del Time e poi del New York Times. Il sospetto e’ che la sua espulsione sia una ritorsione – come quella avvenuta anche nei confronti di Bloomberg News – per punire i media Usa che hanno pubblicato diverse rivelazioni sulle ricchezze e sui ‘traffici’ della famiglia del presidente Xi Jinping e di quella dell’ex premier Wen Jabao. E per il New York Times quello di Ramzy e’ il secondo caso in 13 mesi. Prima di lui, Chris Buckley era stato costretto a lasciare Pechino nel dicembre del 2012.
fonte: ANSA
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Rifiutato visto a giornalista americano, polemiche
La Cina nega il rinnovo del visto ad un giornalista del New York Times. Austin Ramzy, a Pechino dal 2007 prima come corrispondente per Time Magazine, dovra’ lasciare il Paese entro la fine del mese, ufficialmente a causa del visto scaduto. Secondo il governo cinese, il giornalista sarebbe andato contro le procedure previste quando ha interrotto il rapporto di lavoro con il Time per passare al New York Times. “Purtroppo – ha detto un portavoce – il signor Ramzy ha continuato ad entrare e uscire dal Paese usando il suo vecchio permesso di soggiorno e cosi facendo ha infranto le regole cinesi”. In realta’, stando a fonti Usa, pare che si tratti di una ritorsione contro il New York Times, mentre Washington, anche dopo la recente visita del vice presidente Joe Biden, ha espresso preoccupazione per lo stato dei giornalisti stranieri in Cina. Secondo le accuse, Pechino avrebbe negato visti a testate giornalistiche che hanno scritto storie negative sulla Cina. Non a caso é più di un anno che sia il New York Times sia Bloomberg News si vedono negare visti per il loro giornalisti dopo aver pubblicato storie sulla ricchezza dei familiari dell’ex premier Wen Jiabao e dell’attuale presidente Xi Jinping. Per il New York Times, quello di Ramzy e’ il secondo caso in 13 mesi. Prima di lui, Chris Buckley e’ stato costretto a lasciare Pechino nel dicembre del 2012, dopo il suo passaggio da Reuters al quotidiano newyorkese.
fonte: ANSA
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Peggiorano in Cina le condizioni dei corrispondenti stranieri
La situazione dei corrispondenti di media stranieri in Cina continua a peggiorare, e nel 2013 ha mostrato “una serie di tendenze negative”, tra cui l’ uso dei visti di residenza come strumento di pressione. Lo afferma il Foreign Correspondent Club of China (Fccc) in un comunicato diffuso oggi a Pechino. Il comunicato ricorda che “nessuno dei corrispondenti del New York Times e dell’ agenzia Bloomberg hanno finora ottenuto il rinnovo del visto”, dopo “la pubblicazione di articoli sulla situazione finanziaria di alcuni alti dirigenti cinesi”. L’ Fccc aggiunge che “larghe fette” del territorio della Cina “rimangono di fatto irraggiungibili” per i corrispondenti. Tra queste, l’ organizzazione dei corrispondenti ricorda le aree a popolazione tibetana delle province occidentali della Cina e il Xinjiang, patria della minoranza etnica e religiosa degli uighuri. “Il governo cinese ha affermato piu’ volte il suo impegno per migliorare le condizioni di lavoro dei giornalisti stranieri, ne aspettiamo i frutti con ansia”, conclude il comunicato. L’ Fccc, che non e’ riconosciuto dal governo cinese, conta circa 500 membri.
fonte: ANSA
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Presidente Nuova Cina: media stranieri contro la Cina
“Parte della stampa e dei media occidentali sta cercando di demonizzare la Cina e di promuovere la rivoluzione e la disintegrazione nazionale in quanto odia vedere come il paese stia prosperando”. Lo ha detto in un articolo Li Congjun, presidente dell’Agenzia di stampa ufficiale cinese, Nuova Cina. Le sue parole arrivano in un momento in cui il Partito Comunista cinese ha deciso di rafforzare i controlli su internet e sulla stampa, ricordando come sia responsabilita’ dei media quella di “promuovere una corretta direzione politica”. Secondo il capo di Nuova Cina e’ anche necessario combattere la visione distorta che molti giornali occidentali danno del Paese. “Alcune forze ostili occidentali – ha scritto Li nel suo articolo – non vogliono vedere una Cina socialista prospera e mirano alla occidentalizzazione, separazione e rivoluzione”. Gia’ lo scorso anno la Cina aveva duramente attaccato la stampa occidentale dopo che il New York Times aveva pubblicato la notizia secondo la quale la famiglia dell’allora premier Wen Jiabao aveva accumulato una ricchezza di almeno 2,7 miliardi di yuan. La Cina consente ai giornalisti stranieri di vivere nel Paese e svolgere la loro attivita’ ma essi sono sottoposti comunque a restrizioni e controlli e in alcuni casi sono stati costretti a subire numerose minacce o problemi nel trattare argomenti sensibili.
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Giornalista britannico filma il suo arresto a piazza Tiananmen
Un giornalista e un cameraman della tv britannica Sky Nwews sono stati bloccati dalla polizia cinese in piazza Tiananmen a Pechino mentre stavano girando un servizio giornalistico. Le immagini del giornalista Mark Stone e del suo cameraman fermati sono state mandate in onda da Sky e mostrano i due uomini caricati su un furgone. I giornalisti di Sky News erano in possesso di un regolare permesso per filmare e si apprestavano a fare delle interviste sulla protesta del 1989 sanguinosamente repressa proprio su piazza Tiananmen. Ma i poliziotti li hanno interrotti, invitandoli a seguirli, e spiegando poi che i loro permessi non erano visibili. I due giornalisti sono stati poi lasciati andare, ma Sky News ha scelto di mandare in onda le immagini dell’intero episodio, con il il commento del corrispondente che ha sottolineato: “E’ un piccolo esempio di come i media lavorano qui in Cina. A volte può andare tutto bene, altre volte si va incontro ad incidenti come questo”.
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Cina nega maltrattamenti a giornalisti
La Cina nega che sia difficile la condizione dei giornalisti stranieri nel paese, in risposta ad un comunicato di ieri delle associazioni dei corrispondenti stranieri di Pechino, Shanghai e Hong Kong che avevano denunciato una serie di casi recenti in cui operatori dell’informazione stranieri erano stati picchiati o bloccati dalla polizia cinese mentre facevano il proprio lavoro. Ma la Cina getta acqua sul fuoco. Secondo quanto ha riferito al Global Times un funzionario dell’ufficio affari esteri di Nantong, la polizia sta indagando su questi casi presunti che hanno avuto come vittime giornalisti stranieri e comunichera’ i propri risultati entro questo mese. ”Vogliamo fornire dei risultati convincenti – ha detto il funzionario – e seguire la legge. Ma proteggeremo anche i nostri diritti se il governo e’ stato diffamato”. Secondo Zhang Zhi’an, professore associato presso la Scuola di Comunicazione e Design alla Sun Yat-Sen University, ci sono casi di natura diversa, aggiungendo che non sono presi necessariamente di mira i giornalisti stranieri. ”Riferire su questioni sensibili in Cina – ha detto Zhang – e’ difficile sia per i giornalisti stranieri che per quelli locali, perche’ e’ complicato ottenere informazioni. Spesso accade che per proteggere i funzionari del posto i governi locali non agiscano in linea con il governo centrale”. Lu Haitao, un fotografo di Shanghai, ha invece sottolineato come i giornalisti cinesi si trovino spesso in condizioni anche peggiori rispetto ai loro omologhi stranieri in Cina, specialmente quando coprono notizie locali. ”A Shanghai – ha detto Lu – la situazione e’ piu’ tranquilla, la citta’ ha imparato a trattare meglio e rispettare i giornalisti ma le condizioni sono molto diverse altrove. Io stesso sono stato diverse volte minacciato quando ad esempio ho trattato casi di incidenti in miniera o altri argomenti sensibili”.
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Giornalisti picchiati in Cina, allarme dei club dei corrispondenti
Sale l’allarme per l’attuale situazione dei giornalisti stranieri in Cina. A denunciarlo sono i club dei corrispondenti esteri di Pechino, Shanghai e Hong Kong che hanno diffuso oggi un comunicato nel quale si elencano casi di intimidazione e anche di violenza subita da reporter. ”Siamo preoccupati – e’ scritto nel comunicato – dal numero di recenti casi di giornalisti stranieri minacciati, perseguitati e anche picchiati mentre riportavano notizie dalla Cina”, I tre club citano per primo l’episodio del 28 luglio scorso, quando un giornalista giapponese dell’Asahi Shimbun fu malmenato dalla polizia mentre riprendeva una manifestazione a Nantong. In quella occasione tutto il suo equipaggiamento, del valore di diverse migliaia di dollari fu sequestrato e mai restituito. Il 10 agosto, invece, un reporter di Hong Kong e’ stato assalito da poliziotti in borghese mentre filmava alcuni arresti. Il giorno dopo, inoltre, nella provincia dell’Henan, e’ stata la volta della troupe della televisione tedesca Ard e’ stata attaccata da un gruppo di persone e tenute forzatamente in una fabbrica per nove ore. L’ultimo episodio ha visto giornalisti polacchi e statunitensi pedinati tutta la notte mentre seguivano la manifestazione Miss Mondo. Le maggiori preoccupazioni dei club, si legge nel comunicato, riguarda il fatto che molti di questi casi coinvolgono platealmente membri delle forze di sicurezza e di polizia cinesi o persone a loro associate.
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