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Cina riconosce il Consiglio Nazionale di Transizione come autorità di governo in Libia

La Cina ha riconosciuto ufficialmente il consiglio di transizione libico come ”autorita’ di governo” della Libia. Lo riferisce l’agenzia Nuova Cina. L’ annuncio, dato Nuova Cina nella tarda serata locale, mette fine a settimane di incertezza in cui non era chiaro se Pechino avrebbe formalmente riconosciuto i ribelli che hanno deposto Muammar Gheddafi. In una nota riportata dall’ agenzia, il portavoce del ministero degli esteri Ma Zhaoxu afferma che la Cina “rispetta le scelte del popolo libico e attribuisce grande importanza al ruolo del Cnt, col quale mantiene stretti contatti”. Pechino, prosegue il portavoce, “si augura che gli accordi e i contratti raggiunti in precedenza con la Libia rimangano in vigore e possano essere applicati correttamente”. Allo scoppio della rivolta anti-Gheddafi, in febbraio, Pechino aveva forti investimenti in Libia, dove lavoravano più di 35mila cittadini cinesi. In seguito, la Cina ha preso contatto con il Consiglio Nazionale di Transizione mantenendo allo stesso tempo rapporti con gli emissari di Gheddafi. Alcuni di loro, in luglio, hanno chiesto alla Cina forniture di armi che, secondo un portavoce di Pechino, sono state declinate.

fonte: ANSA

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Cina smentisce, non abbiamo fornito armi a Gheddafi

La Cina nega di aver fornito armi al regime libico di Muammar Gheddafi fino al luglio scorso, come affermato dal quotidiano canadese Globe and Mail, entrato in possesso di un documento che proverebbe invece il contrario. La portavoce del ministero degli esteri di Pechino, Jiang Yu ha confermato la notizia riportata dal giornale, secondo il quale consiglieri militari dell’ ex leader libico hanno incontrato a Pechino, a metà luglio, i dirigenti di alcune imprese cinesi produttrici di armi tra cui la China North Industries Corp. (Norinco), la China National Precision Machinery Import&Export Corp.(Cpmic) e la China XinXing Import&Export Corp. Parlando in una conferenza stampa a Pechino, Jiang Yu ha precisato che essi sono venuti “senza che il governo di Pechino ne fosse a conoscenza” e che “non hanno concluso alcun accordo” con le aziende cinesi. Il Globe and Mail aveva scritto che i suoi corrispondenti hanno trovato a Tripoli dei documenti che dimostrano le offerte di armi cinesi agli uomini di Gheddafi. Inoltre Omar Hariri, responsabile militare del Consiglio nazionale di transizione libico, citato dal giornale, aveva affermato di essere “quasi sicuro che alcune di quelle armi sono arrivate e sono state usate contro il nostro popolo”. La portavoce ha concluso affermando che “dopo l’ approvazione della risoluzione dell’ Onu 1970 (in febbraio) la Cina non ha venduto direttamente o indirettamente armi alla Libia”.

fonte: ANSA

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La Cina chiede ai ribelli libici di rispettare propri interessi e intanto ha cercato di vendere armi Gheddafi

La Cina ha chiesto al Consiglio Nazionale di Transizione libico di ”proteggere realmente gli interessi delle imprese cinesi in Libia”. Lo scrive l’agenzia Nuova Cina riferendo dell’incontro avvenuto ieri a Parigi tra il viceministro degli Esteri cinese Zhai Jun e il numero due del Cnt, Mahmoud Jibril. La Cina e’ l’unico dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu a non aver riconosciuto il Cnt. Nel corso dell’incontro Zhai ha ribadito la posizione gia’ espressa dal suo governo, secondo la quale il Cnt ”svolge un ruolo importante” in Libia.
“La Cina sta ostacolando lo sblocco dei beni libici congelati”. E’ l’accusa lanciata dal presidente del Consiglio nazionale transitorio (Cnt), Mustafa Abdel Jalil, nel corso di una conferenza stampa. Il numero due del Cnt, Mahmoud Jibril, ha aggiunto Jalil, ha già avuto un incontro con un rappresentante del governo cinese per capire meglio questa “posizione inattesa”.
Nei mesi finali del regime di Gheddafi la Cina avrebbe offerto di vendere grossi quantitativi di armi ai lealisti libici. A provarlo e’ un documento scritto su carta intestata di un dipartimento governativo libico, ritrovato in mezzo ai rifiuti vicino alle abitazioni dei militari nel compound di Bab al Aziziya. Il documento, di cui da’ notizia il quotidiano canadese The Globe and Mail che ha potuto consultarlo, mostra che alla fine del luglio scorso tre aziende cinesi produttrici di armi, controllate dallo Stato, erano pronte a vendere armi e munizioni per un valore pari a 200 milioni di dollari, in violazione delle sanzioni imposte dall’Onu. Il documento riporta di un viaggio, lo scorso 16 luglio, di alcuni ufficiali del regime a Pechino, dove avrebbero avuto incontri con la China North Industries Corp. (Norinco), la China National Precision Machinery Import & Export Corp. (Cpmic), la China XinXing Import & Export Corp. Le aziende cinesi avrebbero suggerito la possibilita’ di effettuare la spedizione attraverso l’Algeria o il Sudafrica. ”E’ quasi certo che queste armi sono arrivate e sono state usate contro il nostro popolo”, afferma Omar Hariri, uno dei responsabili militari del Consiglio nazionale di transizione libico. Secondo Hariri, che ha esaminato il documento, le informazioni in esso contenute spiegherebbero la presenza di armi nuove di zecca ritrovate dai suoi soldati sul campo di battaglia. Per alcuni esponenti del Cnt, il documento rafforza i sospetti sull’atteggiamento tenuto da Cina, Algeria e Sud Africa. Questi Paesi, sottolinea il quotidiano canadese, potrebbero ora trovarsi in svantaggio quando si trattera’ di siglare contratti con imprese straniere per la ricostruzione della Libia.

fonte: ANSA

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Continua ostruzione della Cina su Libia in sede Onu

La Cina si è opposta allo scongelamento di circa 4,5 miliardi di dollari in asset libici bloccati dalle sanzioni dell’Onu. Lo indicano fonti diplomatiche al Palazzo di Vetro, spiegando che Pechino ha fermato un’iniziativa di tre Paesi occidentali simile a quella voluta, la settimana scorsa, dagli Stati Uniti. La delegazione della Gran Bretagna chiedeva di scongelare un miliardo di sterline, mentre i diplomatici di Francia e Germania auspicavano di sbloccare un miliardo di euro a testa. I fondi ammontano complessivamente a circa 4,5 miliardi di dollari, e sarebbero utilizzati per acquistare aiuti umanitari e creare programmi per la ricostruzione del Paese. Il motivo che ha spinto Pechino a fermare l’iniziativa delle tre delegazioni occidentali non è chiaro. “Speriamo che sia semplicemente una questione tecnica: i delegati cinesi hanno detto che vogliono sentire il parere del loro ministero prima di dare luce verde”, hanno spiegato le fonti diplomatiche. La settimana scorsa, gli Stati Uniti avevano chiesto lo sblocco di 1,5 miliardi di dollari, che Washington voleva usare per finanziare iniziative umanitarie in Libia. Il Sudafrica si era opposto, sostenendo che versare soldi nelle casse del Consiglio nazionale di transizione avrebbe implicato il riconoscimento dei ribelli quale governo legittimo del Paese (riconoscimento che all’Onu non è avvenuto). Gli Usa hanno quindi deciso di andare incontro al Sudafrica, e nel testo per lo sblocco dei fondi si sono riferiti alle “autorità rilevanti” piuttosto che al “Consiglio nazionale di transizione”, ottenendo così il via libera di Pretoria.ù
Prima di una missione delle Nazioni Unite in Libia, caldeggiata dal segretario generale Ban Ki-moon, “deve essere dichiarata la pace, il conflitto deve finire”. E’ questa la posizione della Cina. Li Baodong, rappresentante di Pechino al Palazzo di Vetro, ha sottolineato che l’idea di dispiegare dei funzionari, illustrata oggi dal segretario generale, potrà avere seguito “quando il conflitto finirà, e nel contesto di un processo di dialogo e riconciliazione nazionale”. Il diplomatico di Pechino ha aggiunto che “andrà rispettata la sovranità della Libia” e che va inoltre ascoltata “la posizione dell’Unione africana”. Riguardo i fondi libici da scongelare per gli aiuti umanitari, l’ambasciatore ha detto che “se i soldi vengono sbloccati, essi devono andare al popolo libico” e sono necessarie assicurazioni e controlli affinché questo avvenga

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La Cina alla Libia: rispettare investimenti di Pechino nel paese. Ed è corsa al petrolio

La Cina ha chiesto oggi al governo di transizione della Libia di proteggere i propri investimenti nel paese africano. Lo ha detto il vice capo del dipartimento commercio nell’omonimo ministero di Pechino, Wen Zhongliang. Wen ha commentato in conferenza stampa un’affermazione di un funzionario della Agoco, la societa’ libica petrolifera in mano al governo transizione, che aveva detto che Russia e Cina, non essendosi impegnati nella guerra contro Gheddafi, avrebbero potuto perdere i loro contratti. ”Gli investimenti cinesi in Libia – ha detto Wen Zhongliang – specialmente nel settore petrolifero, riguardano la mutua cooperazione economica tra la Cina e la Libia, cooperazione che e’ nell’interesse di entrambi i popoli”. ”Speriamo – ha continuato Wen – che dopo il ritorno alla stabilita’ in Libia, il paese africano possa continuare a proteggere gli interessi e i diritti degli investitori cinesi e speriamo di continuare ad avere investimenti e cooperazione economica con la Libia”. La Cina e’ sempre stata contraria all’attacco Nato, non opponendo però il diritto di veto in sede di Consiglio di sicurezza Onu, soltanto astenendosi. E’ pero’ stata tra i primi paesi a ricevere emissari del governo di transizione e ieri il governo di Pechino ha detto di ”rispettare la decisione del popolo libico”.
La bandiera del Consiglio nazionale di transizione libico e’ stata issata questa mattina nell’ambasciata libica a Pechino. Il nuovo vessillo, lo stesso del regno di Libia prima dell’avvento di Gheddafi nel 1969, e’ stato issato questa mattina e per poco meno di un’ora e’ stata lasciata issata anche la bandiera verde libica che fino ad oggi sventolava sulla sede diplomatica. Il vessillo della nazione sotto il regime di Gheddafi e’ stato poi ammainato e lasciato sventolare solo il nuovo.
Finita la guerra riparte la corsa all’oro nero, la grande risorsa naturale che la Libia custodisce nel suo sottosuolo in quantità superiori a qualunque altro Paese africano. Membro dell’Opec, Tripoli è il quarto produttore di petrolio dell’Africa, dopo la Nigeria, l’Algeria e l’Angola, con una produzione di quasi 1,8 milioni di barili al giorno e riserve valutate per circa 44 miliardi di barili. Il primo partner è l’Italia (che importa il 28% della produzione), presente con l’Eni nella Gran Jamahiriya fin dal 1959, quando ottenne dal governo libico la ‘concessione 82’ nel deserto del Sahara sud-orientale. Seguono la Francia con il 15%, la Cina con l’11%, la Germania (10%). l’Europa nel suo complesso importa l’80% della produzione di greggio. Secondo gli analisti, nella migliore delle ipotesi e cioé nell’ipotesi di un governo stabile che si insedi al più presto, la produzione di petrolio dovrebbe riprendere progressivamente per tornare entro il 2012 al 50% della produzione precedente al conflitto, ed entro il 2013 recuperare il 100%. Fra le grandi compagnie petrolifere in Libia sono presenti, oltre all’Eni, la francese Total e i giganti anglosassoni Bp, Shell e ExxonMobil. Con la caduta di Gheddafi tutti gli operatori si preparano a ritornare in campo, ma qualcosa potrebbe cambiare. Il nuovo governo dovrà confermare gli accordi e le intese sottoscritte prima dell’inizio del conflitto. Un ruolo strategico lo potrebbe avere l’Arabian Gulf Oil Company (Agoco), la seconda maggiore compagnia petrolifera pubblica della Libia, che si è schierata dalla parte delle forze rivoluzionarie. L’Eni, come anche la Total, è data in pole position nella corsa al greggio e infatti entrambe le due società sono state premiate dalle borse. Il titolo Eni nel rush finale ha guadagnato il 6,33% mentre Total ha guadagnato il 2,25%. Per le compagnie europee di Italia, Francia e Inghilterra non dovrebbero esserci problemi, mentre potrebbero esserne escluse altre. “Non abbiamo problemi con le compagnie di Paesi come Italia, Francia e Inghilterra, ma potremmo avere qualche problema politico con Russia, Cina e Brasile”, ha detto alla Reuters Abdeljalil Mayouf, responsabile delle comunicazioni nella Agoco. Secondo gli osservatori Russia, Cina e Brasile potrebbero avere delle difficoltà, rischiando anche di essere escluse, perché si sono opposte con forza alle sanzioni verso Gheddafi. Prima della guerra in Libia operavano 75 imprese cinesi. La Russia è presente con Gazprom Neft e Tatneft, mentre il Brasile é presente con Petrobras.

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Per Pechino i ribelli libici sono importanti interlocutori

Il ministro degli esteri cinese Yang Jiechi ha definito oggi il Consiglio di transizione nazionale (Cnt) dei ribelli libici ”un’importante forza politica”. Yang ha ricevuto Mahmud Jibril, responsabile della diplomazia del Cnt, invitato per la prima volta in visita a Pechino. Secondo il resoconto dell’ incontro pubblicato dal ministero degli esteri sul proprio sito web, Yang ha affermato che il Consiglio ”e’ diventato ogni giorno piu’ forte da quando e’ stato istituito ed e’ gradualmente diventato un’ importante forza politica” nel Paese nordafricano. ”La Cina – ha detto il ministro a Jibril – vi vede come un importante partner col quale dialogare”. Pechino ha forti interessi in Libia, dove prima dell’inizio della guerra civile lavoravano 36mila cinesi, ma non ha mai avuto col regime del colonnello Muammar Gheddafi rapporti stretti come con altri governi africani. All’inizio di giugno, Pechino ha ricevuto la visita del ministro degli esteri di Gheddafi, Abdelati Obeidi, e sottolinea di essere in contatto con entrambe le parti. Indicando che la Cina sta cercando una mediazione, Yang ha sostenuto che ”la crisi in Libia prosegue e il popolo libico sta soffrendo per i disagi e il caos portati dalla guerra…questo preoccupa la Cina”. ”Speriamo che i due gruppi in conflitto diano la giusta importanza agli interessi del popolo e del Paese, e che considerino con obiettivita’ le proposte della comunita’ internazionale, cessino rapidamente le ostilita’ e risolvano la crisi libiCa attraverso canali politici”. La Cina, che in quanto membro permanente del Consiglio di sicurezza ha il diritto di veto, si e’ astenuta sulla risoluzione che ha autorizzato l’ intervento della Nato contro le forze di Gheddafi.

fonte: ANSA

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Per la Cina in Libia deve decidere il popolo

La Cina ha chiesto oggi a tutte le parti in causa nella faccenda libica di dare priorita’ all’interesse del paese e del suo popolo, considerando seriamente la road map predisposta dall’Unione Africana per risolvere la crisi del paese nordafricano. Lo ha detto in conferenza stampa Hong Lei, il portavoce del ministero degli esteri cinese. Pechino, secondo quanto ha detto Hong, chiede a tutte le parti in Libia di raggiungere un cessate il fuoco e risolvere la crisi attraverso mezzi politici, sottolineando che la Cina intende lavorare con la comunita’ internazionale per trovare una soluzione politica. ”Il futuro della Libia dovrebbe essere decisa dal suo popolo e la Cina rispetta la scelta del popolo libico”, ha detto ai giornalisti Hong Lei. Oggi arriva in Cina anche Abdelati Obeidi, ministro degli esteri libico, che si tratterra’ fino a giovedi’ per incontri con le autorita’ cinesi come inviato speciale del governo libico. La Cina non ha avallato l’intervento armato in Libia, astenendosi (non esercitando il diritto di veto) iin sede di consiglio di sicurezza Onu. Ha poi criticato duramente i radi. Non è mai stata molto vicina a Gheddafi, ma prende dall’area la metà del petrolio necessario a portare avanti la sua crescita. E’ stato il primo paese a far partire dalla Libia martoriata dalla guerra una petroliera e ha subito attivato contatti con il governo di transizione. La settimana scorsa il governo cinese confermo’ che il suo ambasciatore in Qatar Zhang Zhiliang aveva incontrato il presidente del Consiglio nazionale di transizione della Libia, Mustafa Abdel Jalil. Un comunicato del ministero degli Esteri sul suo sito, spiega che un diplomatico cinese di base in Egitto ha incontrato il leader del consiglio di transizione libica oltre ad aver visitato una citta’ orientale libica per informarsi sulla situazione umanitaria.

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Bob Dylan festeggia 70 anni e assicura che in Cina non c’è stata nessuna censura su lui

Nessuna censura in Cina per Bob Dylan. A pochi giorni dai suoi 70 anni, poche settimane dopo essere stato accusato di avere tradito i suoi ideali da ‘protest singer’ non avendo interpretato i suoi più famosi inni alla libertà a Pechino e Shanghai per ragioni di opportunità, Dylan ha risposto pacatamente a fan e critici. Lo ha fatto sul suo sito web spiegando di non essere stato censurato in Cina il mese scorso, come è stato scritto, e precisando che non gli era stata rifiutata la possibilità di suonare l’anno precedente, come era stato ipotizzato. Gli Stati Uniti, intanto, si preparano a festeggiare il loro più famoso ed influente musicista vivente, che anche in questi ultimi anni, con ormai poca voce dai toni sempre più nasali, ha conquistato le chart con album decisamente più rock e country rispetto al passato, senza neppure disdegnare i canti di Natale, un ‘must’ per qualsiasi artista americano che si rispetti. Il primo a festeggiare Bob è stato il bimensile Rolling Stone, la bibbia del rock. Il numero speciale è già in edicola: c’é un quiz sulle tappe della carriera del cantautore, c’é un lungo servizio fotografico e viene riproposta la prima (rara) intervista concessa alla rivista nel 1969, frutto di 18 mesi di lavoro per riuscire ad ottenerla. Come spesso succede nelle colonne di RS ci sono interventi di altre rockstar, alle quali è stato chiesto quali sono le loro canzoni preferite. Per Bono degli U2 è Like a Rolling Stone, per David Crosby è Mr. Tambourine Man, per Bob Weir è The Times They Are a Changin’. C’é infine un intero capitolo dedicato alle tournee senza fine del cantautore, e ai ‘bootleg’, pirata ed ufficiali, che ne sono la testimonianza spesso eccezionale. Sulla sua storica tournee cinese, Dylan spiega sul suo sito che le autorità di Pechino si sono limitate a chiedergli la lista delle canzoni che intendeva suonare in Cina. “Non essendoci nessuna risposta logica a ciò – racconta Bob – abbiamo inviato loro la lista delle canzoni interpretate in concerti negli ultimi tre mesi. Se ci sono state canzoni, parole o versi censurati, nessuno me lo ha detto e abbiamo suonato tutte le canzoni che avevamo l’intenzione di interpretare”. Il cantautore di Duluth precisa che i suoi concerti hanno praticamente fatto il pienone, con 12 mila posti venduti su 13 mila, e che (a parte ad Hong Kong) il pubblico era soprattutto cinese. La scelta delle canzoni, molte delle quali relativamente recenti, è stata fatta in base al gusto del pubblico locale, dove i 4-5 ultimi album sono stati accolti molto bene e dove i giovani spesso ignorano chi sia Joan Baez, Che Guevara, Jack Kerouac e Allen Ginsberg. La (presunta) tournee dell’anno scorso non è mai stata progettata fino in fondo. Tutto nasce dalle dichiarazioni di un promotore, che avrebbe voluto portare Dylan in Cina, ma “non avevamo nessuna intenzione di suonare in Cina a quel momento” e le autorità cinesi non erano neppure al corrente del progetto. Spiega Dylan: “La mia convinzione è che il tizio ha stampato i biglietti e fatto una serie di promesse… molto probabilmente il promotore ha voluto salvare la faccia dichiarando che le autorità cinesi hanno rifiutato di darmi il permesso di suonare”.

fonte: ANSA

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Cina preoccupata per vittime civili in Libia

La Cina si e’ dichiarata ”preoccupata” per le vittime civili in Libia. Lo ha detto oggi in conferenza stampa la portavoce del ministero degli esteri cinese, Jiang Yu, commentando con i giornalisti l’uccisione dei familiari del leader libico Muammar Gheddafi da parte dei raid della Nato. ”La Cina ha avuto notizie che il figlio di Gheddafi, Saif al-Arab e altri sono stati uccisi nei raid. Siamo molto preoccupati per la morte e i ferimenti dei civili causati dall’escalation del conflitto in Libia”, ha detto la portavoce della diplomazia cinese. ”La Cina – ha aggiunto la Jiang – disapprova ogni atto dietro l’autorizzazione del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e spera che tutte le parti in causa cessino immediatamente il fuoco e risolvano la crisi politica attraverso il dialogo e altre misure pacifiche”.

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Il Brics critica attacco Nato in Libia

I cinque Paesi emergenti del cosiddetto Brics – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – hanno criticato oggi le operazioni della Nato in Libia, affermando che esse non rispettano la risoluzione dell’Onu che ha autorizzato l’intervento per difendere la popolazione civile. Riuniti a Sanya, una localita’ turistica nel sud della Cina il presidente cinese Hu Jintao e i suoi ospiti Dimitri Medvedev (Russia), Dilma Rousseff (Brasile), Manmohan Singh (India) e Jacob Zuma (Sudafrica) hanno anche espresso il loro sostegno ad un rafforzamento del ruolo dei Diritti Speciali di Prelievo (Sdr nella sigla inglese) nel commercio internazionale e ad un ridimensionamento del dollaro. Nella ”dichiarazione di Sanya” che ha concluso il vertice la questione della Libia e’ all’ultimo posto, sotto il titolo ”turbolenze regionali”. Nel testo si sottolinea che i cinque sono ”fortemente preoccupati” per la situazione ”nel Medio Oriente, Nord Africa e Africa Occidentale” e che ”condividono il principio secondo il quale l’ uso della forza va evitato”. Parlando alla stampa dopo la conclusione del vertice, Medvedev e’ stato piu’ esplicito. Il presidente russo ha sostenuto che le risoluzioni del Consiglio di sicurezza ”…devono essere applicate in accordo con la loro lettera e con il loro spirito”. ”Quale risultato abbiamo avuto? Abbiamo essenzialmente un’operazione militare e la risoluzione non dice nulla di questo”, ha aggiunto polemicamente. Pur disponendo del diritto di veto, Russia e Cina si sono astenute nel voto del Consiglio di sicurezza dell’Onu che ha autorizzato l’intervento contro le forze del colonnello libico Muammar Gheddafi. Il Sudafrica ha votato a favore ma domenica scorsa, nel corso di una visita a Tripoli, Zuma ha chiesto la fine dei raid aerei. Nella ”dichiarazione di Sanya”, i Paesi del Brics hanno rivendicato un maggior peso all’ interno del Consiglio. Sul piano dell’ economia , i cinque hanno affermato che la ripresa economica internazionale e’ ”ancora minacciata da molte incertezze”, mettendo l’ accento sul massiccio afflusso di valuta speculativa nelle economie emergenti oltreche’ sulla ”volatilita”’ dei prezzi dei prodotti energetici e dei cereali. ‘Bric’ e’ una definizione inventata dal banchiere Jin O’Neill della Goldman Sachs per indicare i Paesi con maggior potenziale di crescita economica nei prossimi anni. Il Sudafrica e’ stato invitato per la prima volta. ”Il Sudafrica e’ piccolo rispetto a questi Paesi…non capisco proprio perche’ i cinesi e gli altri lo abbiano accettato”, ha dichiarato lo stesso O’Neill alla rete televisiva Bbc. ”Ci sono altri Paesi con caratteristiche simili come Turchia, Indonesia, Messico, Corea del Sud, anche Arabia Saudita”, ha aggiunto il banchiere.

fonte: ANSA

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