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Il governo annuncia nuove 12 Free Trade Zone

Anche se quella di Shanghai non è ancora del tutto decollata e non ci sono ancora tempi e regole certe, il governo cinese ha deciso di aprire altre 12 zone di libero scambio sulla scia di quella inaugurata da qualche mese nella capitale economica cinese. L’intento del governo di Pechino è di avere sempre più territori dove poter sperimentare riforme economiche e finanziare da poter poi applicare all’intera economia del paese. La notizia dell’approvazione è stata diffusa dalla Nuova Cina che però non indica dove 10 di queste free trade zone saranno ubicate, oltre ad una a Tianjin nei pressi di Pechino e nella provincia del Guangdong. Secondo indiscrezioni, le altre dovrebbero essere ospitate nelle provincie dello Zhejiang, Shandong, Liaoning, Henan, Fujian, Sichuan, Guangxi e Yunnan, in città come Suzhou, Wuxi e Hefei. L’apertura lo scorso settembre della Shanghai Free Trade Zine è stata salutata dal governo cinese come un importante momento nella sperimentazione delle riforme. Nonostante gli annunci, non sono stati ancora definiti del tutto tempi e modi per le aziende interessate, tanto che la partecipazione di società straniere al momento è molto limitata.

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La Cina apre agli stranieri le telecomunicazioni e le consolle nella Ftz di Shanghai

Come già annunciato a settembre, il governo cinese ha confermato l’apertura a società straniere di servizi internet, telefonici e del settore console e videogiochi, all’interno della Shanghai Free Trade Zone. Società straniere potranno operare totalmente in cinque settori delle telecomunicazioni che comprendono call center, App store e accessi a internet (questi ultimi solo all’interno della free trade zone). Società straniere impegnate nei dati online e nei servizi di analisi non potranno avere proprietà maggiori del 55% di una società. Tutti i servizi, ad esclusione di quello dell’accesso a Internet, potranno essere forniti in tutto il paese, ma c’è l’obbligo per la società di essere registrata nella Fre Trade Zone di Shanghai. Oltre a quello delle telecomunicazioni, un settore importante aperto all’interno della nuova zona di libero scambio di Shanghai è quella delle consolle e dei giochi elettronici, ponendo fine ad un divieto di 14 anni in Cina e che apre le porte ai giganti giapponesi e americani del settore. Anche in questo caso, le società dovranno essere registrate nella Ftz di Shanghai e potranno vendere giochi e console in tutta la Cina, previa ispezione e approvazione delle autorità di Pechino. I dettagli dell’iniziativa, secondo un comunicato, saranno diffusi successivamente. Lanciata alla fine dello scorso settembre, la Free Trade Zone di Shanghai copre un’area di quasi 30 chilometri quadrati a Pudong e che comprende anche l’aeroporto internazionale omonimo e le aree di Waigaoqiao e Yangshan (già zone economiche speciali). Nelle intenzioni del governo cinese, la Ftz rappresenta un progetto pilota nel quale sperimentare riforme poi da estendere a tutto il paese. Al momento l’iniziativa non ha riscosso i favori di molte società straniere, che rappresentano meno del 3% di quelle registrate nella Ftz, soprattutto a causa di regole e tempi non definiti per le riforme annunciate, ma le sempre maggiori aperture di settori tabù in Cina, lascia presupporre l’aumento di questa percentuale.

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La Cina annuncia da tre a cinque nuove banche private, anche con capitale straniero

La Cina apre alle banche private: potranno nascere nel Paese da tre a cinque istituti di credito di proprietà non statale, con la possibilità di partecipazione anche di capitali esteri. Lo ha annunciato la China Banking Regulatory Commission, l’ente che regola il sistema bancario nel paese del dragone. Al momento non ci sono dettagli e, come in quasi tutti gli annunci riformistici di Pechino, mancano anche i tempi di attuazione, ma la riforma potrebbe interessare molti. Si parla comunque di regole stringenti per i tempi, per l’ottenimento delle licenze e per i regolamenti. Attualmente il sistema bancario cinese è caratterizzato da una preponderante presenza statale, con le quattro “grandi sorelle”, le più importanti banche cinesi, che rientrano sotto l’ala del governo di Pechino. Insieme a loro, molte altre a livello locale e nazionale, con la sola China Minsheng Banking Corp, privata fra le prime grandi dieci. Secondo quanto spiega l’agenzia Nuova Cina rispetto all’annuncio dell’ente regolatore delle banche cinesi, le nuove entità saranno da tre a cinque e opereranno come test, nel tentativo di aprire poi in futuro maggiormente il settore bancario sia agli investimenti interni che esterni. Questi potranno contribuire sia a ristrutturare istituzioni bancarie già esistenti che a crearne nuove. E l’enunciato della ristrutturazione fa pensare alla precisa volontà di Pechino da un lato di offrire una nuova prova alla voglia di apertura e cambiamento, dall’altro a regolamentare il sistema, diffusissimo, delle “banche ombra”, tutte le istituzioni, cioè, che in Cina si sostituiscono alle banche ufficiali e alle quali si rivolgono sempre più spesso piccole e medie imprese. Questo perché gli istituti bancari ufficiali devono fare i conti con i debiti contratti dalle pubbliche amministrazioni che hanno raggiunto livelli di guardia. Secondo infatti l’ultimo comunicato diffuso alla fine di dicembre dal National Audit Office, il debito dei governi locali in Cina ha superato l’equivalente di 2.100 miliardi di euro, in aumento del 70% rispetto a tre anni fa. I governi locali stanno utilizzando nuovi prestiti per ripagare più di un quinto del loro debito, che assomma a circa il 58% del Pil, con preoccupazioni circa il ripianamento del debito. Per sostenere la crescita durante la crisi finanziaria, i governi locali hanno chiesto molti e pesanti prestiti, l’80% dei prestiti bancari totali in Cina alla fine del 2010 secondo la China Banking Regulatory Commission. Secondo dati della stessa Cbrc in tutto il 2013 c’è stata una crescita dei prestiti del 14,2%. Con l’apertura delle nuove banche, che avranno vie privilegiate nella Free Trade Zone di Shanghai, gli analisti sperano anche nell’inizio di misure volte a minore presenza statale nell’economia cinese. Al momento però la mancanza di regole non rende appetibile la cosa alle banche straniere, che già in passato avevano registrato annunci simili, che attendono la possibilità della totale operatività con la raccolta bancaria attualmente preclusa.

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