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Inflazione stabile in Cina a marzo, e per la WB crescita 2016 al 6,7%

L’inflazione in Cina nel mese di marzo è rimasta invariata al 2,3% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, al di sotto delle aspettative di mercato, secondo i dati diffusi stamattina dall’Ufficio Nazionale di Statistica. Analisti avevano previsto che l’indice dei prezzi al consumo (CPI) sarebbe salito al 2,5%, contro il 2,3% nel mese di febbraio. L’indice dei prezzi alla produzione a marzo è sceso 4,3% rispetto all’anno precedente, rispetto alla caduta di febbraio del 4,9%. Il mercato si aspettava una caduta dei prezzi alla produzione al 4,6% su base annua.

Intanto, secondo la Banca Mondiale (come riporta l’AP), la Cina rimane il principale motore della crescita in Asia quest’anno, nonostante il suo rallentamento prolungato, aiutato da espansioni sostenute negli altri paesi asiatici. La banca prevede che lo sviluppo in Asia orientale crescerà a un ritmo ancora robusto del 6,3% quest’anno, in calo dal 6,5% nel 2015. Filippine e Vietnam guideranno la crescita, con le loro economie in espansione di oltre il 6%. L’Indonesia, la più grande economia nel sud-est asiatico, è prevista crescere del 5,1% nel 2016 e del 5,3% nel 2017. Nel 2015, lo sviluppo di Asia orientale pacifica hanno rappresentato quasi i due quinti della crescita globale, più del doppio del contributo combinato di tutte le altre regioni in via di sviluppo. La Cina, la seconda più grande economia del mondo, si sta spostando da una crescita basata su esportazioni e  investimenti, a un maggiore affidamento sulla spesa dei consumatori. Le ultime stime della Banca Mondiale fissano la crescita cinese al 6,7% quest’anno e al 6,5% nel 2017, in calo dal 6,9% del 2015. Il rapporto della Banca Mondiale ha esortato la Cina a continuare le riforme, e di spostare la spesa pubblica dalle infrastrutture verso i servizi pubblici tra cui l’istruzione, la sanità, l’assistenza sociale e la protezione dell’ambiente. I bassi prezzi delle materie prime e una più debole domanda estera continueranno a interessare anche diverse piccole economie, tra cui il Laos, Mongolia e Papua Nuova Guinea. La crescita della Cambogia sarà leggermente al di sotto del 7% nel 2016-2018 a causa di prezzi più deboli per le materie prime agricole, le esportazioni di abbigliamento vincolati, e una moderata crescita nel settore del turismo. La banca mondiale cita anche alcune criticità nell’area: oltre alla possibile frenata dell’export di materie prime già citata, anche rischi legati all’alto debito e alla deflazione in alcune economie importanti.

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Produzione industriale della Cina più bassa dal 2012

La produzione industriale in Cina e’ scesa in gennaio al livello piu’ basso dal 2012 a questa parte. Lo dice una stima ufficiale diffusa da responsabili degli acquisti delle aziende, che fissa la caduta dell’indice a 49,4 dal 49,7 di dicembre, in una scala di 100 punti nella quale le cifre sotto 50 significano una contrazione. E’ l’ennesimo segnale di debolezza per la seconda economia mondiale, che pochi giorni fa aveva fatto gia’ segnare la sua crescita annuale piu’ lenta degli ultimi 25 anni.

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Calano a dicembre, ma meno di novembre, le esportazioni della Cina

Un piccolo segno positivo per l’economia cinese: i dati commerciali di dicembre segnano un calo ma minore di quello registrato a novembre. E, in questo momento difficile per l’economia del dragone, è una notizia che deve tenere allegri. Secondo i dati doganali diffusi stamattina, le esportazioni cinesi a dicembre sono scesi dell’1,4% rispetto all’anno scorso, un miglioramento rispetto al 6,8% di novembre. Le importazioni cinesi sono diminuite del 7,6%, meno dell’8,7% di novembre. I dati commerciali cinesi riflettono la debolezza della domanda globale e un calo della crescita economica interna, ma gli economisti dicono che la spesa al dettaglio e la produzione potrebbero essere in miglioramento. La crescita economica è scesa al minimo da sei anni al 6,9% nel trimestre finito a settembre. La crescita dell’anno passato si dovrebbe attestare appena sotto o comunque vicinissima al 7% anche se per molti sarà difficile che il paese del dragone possa raggiungere una crescita superiore del 6,5%. La bilancia commerciale della Cina ha evidenziato a dicembre un avanzo di 60,09 miliardi di dollari, in miglioramento rispetto ai 54,10 miliardi del mese precedente e sopra le attese degli analisti che avevano pronosticato un calo a 51,30 miliardi di dollari. Durante l’intero 2015 le esportazioni della Cina sono calate del 2,8%. Si è trattato del primo calo annuo dal 2009. Le importazioni sono scese del 14,1%. Il surplus della bilancia commerciale cinese è cresciuto nel 2015, rispetto all’anno precedente, da $382,5 miliardi al livello record di $594,5 miliardi.

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Cina: la bolla delle borse

Articolo pubblicato su Affari Internazionali

E’ un bagno di umiltà e una svolta verso il reale quella che sta affrontando la Cina di questi giorni. La bolla scoppiata nella borsa cinese, che ha portato a perdere oltre 3,5 miliardi di dollari (valori che superano di 11 volte il Pil greco, di quattro volte il valore delle borse spagnole e di due quelle indiane), più del 30% del suo valore, ha fatto realizzare a molti, semmai ce ne fosse bisogno, che Pechino ha bisogno di una operazione verità sui suoi numeri.

Operazione verità sui numeri
Si è cominciato con la crescita: da un paio di anni, il 10% e passa è diventato un miraggio e la Cina si sta stabilizzando su quello che è un sogno per molti Paesi ma che per i cinesi all’inizio era una iattura, il 7% di crescita. Considerato troppo basso fino a qualche anno fa, ma che ora pare più realistico: questo è attualmente l’obiettivo, che alcuni considerano di difficile ma non impossibile raggiungimento, visto l’andamento dell’economia cinese.

Si è proseguito con la borsa: dal giugno 2014 al 12 giugno scorso, ritenuto il vero “venerdì nero” della borsa cinese, sui mercati azionari del Paese del Dragone si era riusciti a guadagnare il 150%. Davvero tanto, per non fare poi scoppiare una bolla che, in poco meno di un mese, ha bruciato un bel po’ di risparmi. Che la borsa cinese sia volatile e, per certi versi, non affidabile è dimostrato dall’altalena dei risultato dei risultati: giovedì 9 luglio, il primo vero test dopo le misure messe in campo dal governo, c’è stata un’apertura a -4%, poi l’indice di Shanghai in chiusura ha guadagnato il 5,7%.

Il colpevole? La mancanza di realismo
La stessa cifra che aveva registrato come perdita il giorno precedente. Una situazione che ha portato le autorità cinesi ad essere euforiche il 9, dopo avere parlato di “panico” l’8 e ad avere annunciato indagini per cercare i colpevoli di questa situazione. Ma il vero colpevole è la mancanza di realismo, di certezza sui numeri. Come molti analisti hanno osservato, il problema è che in Cina tutto è gigantesco e per di più mancano l’esperienza, le competenze e “la forza intrinseca del sistema per gestire crisi di queste proporzioni”.

Nel Paese i dati economici non sono del tutto chiari: c’è un problema notevole relativo ai debiti delle amministrazioni locali, le province, che hanno contratto mutui con le banche statali per arginare la crisi del 2008 mettendo in campo grandi infrastrutture e per fare girare l’economia. Ad oggi, non si sa se e quando potranno restituire quei soldi.

Neofiti dall’entusiasmo alla disperazione
C’è un problema di verità legato alla presenza di un sistema bancario e finanziario occulto, di proporzioni gigantesche e che pare sia il vero motore economico del Paese, in termini di prestiti e denaro della classe media e delle piccole e medie imprese. Proprio questi ultimi sono tra i più colpiti della bolla finanziaria. In un mercato dove non è peccato arricchirsi e dove, come detto, si è guadagnato il 150% in un anno, buttare in borsa i soldi risparmiati è sembrato l’investimento più giusto.

Se poi si considerano i prezzi degli immobili sempre più alti (altra bolla in Cina) e l’intervento continuo del governo quasi a sostenere la borsa, si capisce il motivo per il quale i piccoli risparmiatori cinesi, milioni di persone, abbiano anche preso soldi a prestito per investire in borsa. Neofiti che ora si stanno mangiando le mani e che si lamentano sui social network delle perdite.

Il governo corre a drastici ripari
Ma il governo è corso ai ripari, come solo un esecutivo di regime può, mettendo in campo misure drastiche: blocco delle vendite per i prossimi sei mesi agli investitori che detengono più del 5% delle azioni di una compagnia; conferma da parte della banca centrale, la People’s Bank of China, di continuare a fornire ampia liquidità alle istituzioni che concedono prestiti a chi vuole investire in Borsa; blocco delle Ipo; taglio dei tassi di interesse e interventi sulle riserve obbligatorie delle banche; compagnie statali obbligate a comprare azioni; aumento della quantità di azioni che le compagnie di assicurazioni possono acquistare; costituzione, da parte dei 21 broker principali del Paese, di un fondo da 120 miliardi di yuan per stabilizzare il mercato, che si è impegnato a non vendere azioni fino a quando l’indice di Shanghai sarà inferiore a quota 4.500.

Tutte misure che hanno avuto l’effetto di iniettare, oltre a soldi, fiducia soprattutto nei piccoli risparmiatori. Ma aumenta la volatilità e, soprattutto, il dubbio che il problema sia strutturale e che possa riverberarsi sull’economia reale. Anche se la borsa cinese ha un valore pari al 40% del Pil (in molti altri paesi si supera il 100%) è, come detto, considerato un bene rifugio da tanti. La corsa del governo cinese a far cambiare faccia al Paese del Dragone, facendolo diventare da “fabbrica del mondo” a “negozio del mondo”, tentando di aumentare i consumi interni, sta mietendo vittime. E’ in campo soprattutto la credibilità si un sistema che, come detto, pare si basi su travi -alcune delle quali- d’argilla.
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Rallenta la produzione industriale in Cina nei primi due mesi del 2015

Cala nei primi due mesi dell’anno la produzione industriale cinese. Secondo i dati diffusi stamane dlal’Istituto Nazionale di Statistica (Nbs) di Pechino, a gennaio e febbraio scorsi è stata registrata una crescita del 6,8%, in ribasso dell’1,1% rispetto alla crescita di dicembre. A febbraio la produzione è cresciuta dello 0,45% rispetto a gennaio. Nello specifico, il manifatturiero è cresciuto nei primi due mesi del 2015 del 7,5%, il minerario del 4,2%, mentre l’elettrico, gas e acqua del 4%. Grazie anche agli acquisti in occasione del capodanno lunare, le vendite al dettaglio in Cina sono cresciute del 10,7% anno su anno a 4,8 miliardi di yuan (779 miliardi di dollari) nei primi due mesi del 2015, sempre secondo i dati dell’Nbs.

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Inflazione Cina scende a gennaio sotto l’1%

E’ scesa sotto l’1% l’inflazione cinese a gennaio. I dati diffusi oggi dal governo mostrano che i prezzi al consumo sono saliti dello 0,8%, in calo rispetto all’1,5% di dicembre. I prezzi del cibo sono aumentati del 1,1%. E’ il dato più basso da novembre 2009. Normalmente a gennaio, in previsione del capodanno cinese, i dati economici della Cina sono sempre diversi dal trend annuale. Il dato basso dell’inflazione deriva soprattutto da un minore aumento dei prezzi del cibo, dovuti al tempo più clemente avuto negli ultimi mesi.

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In contrazione a gennaio indice manifatturiero Cina

Rallenta l’attività manifatturiera in Cina a gennaio, con il dato che segna il punto più basso dall’ottobre 2012. Il manufacturing purchasing managers’ index (Pmi)per l’attività manifatturiera, è sceso per la prima volta da 28 mesi sotto i 50, facendo registrare a gennaio 49,8, sotto di 0,3 rispetto a dicembre, secondo i dati diffusi oggi dall’istituto nazionale di Statistica di Pechino e dalla federazione di logistica e acquisti. Un dato superiore al 50 indica espansione, mentre al di sotto indica contrazione. In contrazione anche lo stesso indice ma relativo ai servizi, anche se si mantiene nella zona di crescita. Il Pmi del settore dei serivizi ha infatti registrato a gennaio un dato di 53,7 contro il 54,1 di dicembre. A gennaio normalmente questi indici sono bassi per l’approssimarsi del capodanno cinese che blocca tutte le attività.

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Inflazione cinese sotto il target a dicembre, crollano prezzi alla produzione

Sale l’inflazione cinese a dicembre secondo i dati pubblicati stamattina dall’ufficio centrale nazionale di statistica di Pechino, ma resta sotto il target. Per il mese scorso gli analisti hanno registrato un indice dei prezzi al consumo (consumer price index, Cpi) in aumento dell’1,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. A novembre l’aumento era stato dell’1,4%. Secondo i dati diffusi stamattina, nel 2014 il Cpi è salito del 2% rispetto al 2013, sotto il tetto del 3,5% fissato dalle autorità. L’aumento l’anno scorso è anche al di sotto del 2,6% registrato nel 2013. L’aumento dell’inflazione a dicembre è il più basso dal novembre 2009, facendo registrate un +0,3% rispetto al mese precedente, invertendo il trend cominciato a settembre. L’aumento dell’inflazione p dovuto principalmente all’aumento dei prezzi del cibo. I dati annuali potrebbero spingere le autorità cinesi ad adottare misure come il taglio dei tassi di interesse o simili, per rilanciare la crescita che nel terzo trimestre del 2014 ha fatto registrare un dato del 7,3%, il più basso da cinque anni. Crolla invece, al 34mo mese consecutivo, l’indice dei prezzi alla produzione. Il dato diffuso stamattina parla di un declino del 3,3% a dicembre rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, il più alto da settembre 2012 e maggiore del 2,7% di calo dello scorso novembre.

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In Cina a luglio frena aumento produzione industriale, +9%

In leggera discesa rispetto al mese precedente, il dato della produzione industriale cinese a luglio. Secondo i dati diffusi dall’istituto nazionale di statistica, la produzione a luglio è aumentata del 9% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso, in ribasso rispetto all’aumento del 9,2% di giugno scorso, ma in rialzo rispetto all’8,8% di espansione registrata nel periodo gennaio-giugno. Nello specifico, il manifatturiero è aumentato del 10%, 6,2% per le miniere, mentre la crescita di elettricità, riscaldamento, gas e acqua è stata registrata all’1,9%.

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Aumenta a luglio l’inflazione cinese, +2,3%

Cresce l’inflazione cinese a luglio, del 2,3% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso, allo stesso tasso di giugno. Lo riferisce oggi l’ufficio nazionale di statistica di Pechino. Nelle aree urbane l’inflazione è salita del 2,4% mentre l’incremento nelle aree rurali è stato del 2,1%. I prezzi del cibo, che rappresentano un terzo del paniere col quale si calcola l’inflazione, sono cresciuti del 3,6%, rispetto alla crescita del 3,7%. Il target governativo è di tenere l’inflazione dei prezzi al consumo intorno al 3,5% quest’anno. Scende invece a luglio l’indice dei prezzi alla produzione, dello 0,9%, rappresentando il 29mo calo mensile consecutivo, anche se in riduzione da quattro mesi consecutivi, mostrando che nei mesi scorsi la situazione di mercato per i prodotti industriali sta migliorando. Nei primi sette mesi dell’anno, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, l’indice Ppi (producer price index) è sceso dell’1,6%. (ANSA).

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