La moglie di Li Xin, un giornalista cinese scomparso mentre cercava asilo all’estero, ha detto all’AP di aver parlato con il marito che gli ha detto di essere tornato volontariamente in Cina per le indagini. Ma la donna crede sia stato costretto a tornare indietro dalle autorità. He Fangmei ha parlato con suo marito Li Xin oggi, quando è stata chiamata in una stazione di polizia per ricevere la chiamata. Il ritorno di Li in Cina sarebbe l’ultimo esempio delle azioni di Pechino oltre i confini del paese nei confronti di coloro che sono ricercate dalle autorità. Negli ultimi tempi si sono diffusi in rete alcuni documenti che dimostrano come la Cina abbia deciso di perseguire anche oltre confine coloro che sono scappati dal paese perchè perseguitati. Li era fuggito dalla Cina nel mese di ottobre e in una intervista all’AP dall’India aveva riferito di aver lasciato la Cina perchè era stato costretto a diventare un informatore. In seguito aveva cercato rifugio in Thailandia prima di far perdere sue notizie a gennaio.
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Giornalista scappato dalla Cina riappare dopo 22 giorni
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Cina critica Usa sui diritti umani per i fatti di Ferguson
Un’associazione cinese ha chiesto ufficialmente agli Usa di rivedere i sui “doppi standard sui diritti umani” dopo l’uccisione del giovane nero Michael Brown da parte di un poliziotto a Ferguson nel Missouri. La Società cinese per i Diritti Umani, la più grande associazione del genere nel paese, ha diffuso un comunicato rilanciato dall’agenzia Nuova Cina nel quale afferma di “sperare che l’uccisione del ragazzo spinga gli Stati Uniti a riflettere sull’abitudine a puntare il dito contro il rispetto dei diritti umani negli altri paesi”. Per l’associazione, “il deteriorarsi della discriminazione razziale e dell’ingiustizia sociale negli Usa é una seria violazione dei diritti umani”. Secondo il comunicato, l’abuso di potere da parte della polizia americana è inoltre un fatto negativo e preoccupante. La Cina è sempre al centro del libro bianco sui diritti umani che ogni anno gli Usa pubblicano, accusando il paese del dragone di diverse violazioni a partire dalla situazione del Tibet e dello Xinjiang, oltre che del mancato rispetto di varie libertà fondamentali e dell’arresto di dissidenti.
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Rilasciato dopo tre anni l’avvocato dissidente Gao Zhisheng
E’ uscito dal carcere dopo tre anni, ma non è ancora completamente libero, l’avvocato dissidente Gao Zhisheng, il cui arresto aveva scatenato le proteste di governi stranieri e organizzazioni che si battono per i diritti civili. L’avvocato era stato condannato nel 2006 a tre anni di carcere per “istigazione alla sovversione del potere dello Stato” (il reato del quale vengono in genere accusati i dissidenti e i critici del sistema a partito unico), ma la sua pena era stata sospesa per cinque anni durante i quali ha subito arresti e torture. Gao, 50 anni, cristiano, era stato uno dei primi avvocati ad impegnarsi per i diritti umani difendendo condannati a morte, dissidenti e attivisti dei gruppi religiosi perseguitati dallo Stato cinese, come gli aderenti alla setta del Falun Gong. In quegli anni, Gao era rimasto sotto uno stretto controllo di polizia, come succede abitualmente ai dissidenti, anche dopo che hanno scontato la loro pena. Nell’aprile del 2010 si sono perse le sue tracce fino a gennaio del 2011 quando è stata pubblicata una sua denuncia. Alla fine di dicembre del 2011 si è saputo che l’attivista era stato catturato dalla polizia e solo successivamente le autorità hanno informato che era stato incarcerato. La moglie e la figlia sono scappate negli Usa e in molti ora temono che Gao sia sorvegliato. Nessuno è ancora riuscito ad avvicinarlo, se non suo fratello, che ha anche fatto capire che l’uomo ha subito torture in carcere ed è ancora sotto controllo della polizia. La notizia del rilascio di Gao è stata data da Hu Jia, altro noto attivista, attraverso twitter.
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La Cina respinge le acuse di Usa e Onu su Tiananmen
La Cina ha respinto il comunicato del governo americano e le dichiarazioni dell’alto commissario dell’Onu per i diritti umani sulle commemorazioni della strage di Tiananmen, avvenuta 25 anni fa. Per il governo cinese, il comunicato americano “mostra una totale ignoranza dei fatti relativi all’incidente del 4 giugno, perchè accusa senza motivi il governo cinese, interferendo in affari interni del paese e violando le norme basilari che regolano le relazioni internazionali”. Ieri, in occasione del 25mo anniversario della strage, l’ufficio stampa della Casa Bianca aveva diffuso una nota non solo per condannare gli arresti degli ultimi tempi, ma per onorare la memoria di quanti morirono il 4 giugno del 1989, deplorando “l’uso della violenza per zittire le proteste pacifiche intorno a Tiananmen”. La richiesta di liberazione dei dissidenti arrestati alla vigilia dell’anniversario, era arrivata qualche giorno fa anche da Navi Pillay, l’alto commissario Onu per i diritti umani. Il portavoce del governo cinese ha annunciato che Pechino ha presentato una solenne protesta nei confronti del governo americano, opponendosi anche al comunicato della Pillay che giudica “irrispettoso della sovranità cinese”.
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Arrestati dissidenti alla vigilia della visita di Michelle Obama
Le autorità della provincia sud occidentale del Sichuan hanno arrestato un gruppo di attivisti locali poco prima dell’arrivo a Chengdu, la capitale della provincia, di Michelle Obama, per paura che potessero cercare di incontrare la first lady americana per esporle le loro lamentele contro il governo cinese. Lo riferisce il sito di Radio Free Asia. Il gruppo Tianwang, che nella provincia del Sichuan si occupa di tutela dei diritti umani, ha fatto sapere che i poliziotti hanno picchiato e portato via diverse persone. L’episodio è avvenuto ieri proprio mentre Michelle Obama, accompagnata da sua madre e dalle sue figlie, arrivava in città per la parte finale della sua visita in Cina. Una delle persone picchiate, secondo quanto riferiscono i responsabili di Tianwang, avrebbe anche perso conoscenza. Gli arrestati sono soprattutto persone che hanno perso le loro terre o le loro case a causa di provvedimenti di esproprio o a causa di demolizioni forzate. Secondo il fondatore di Tianwang, Huang Qi, “i cinesi non riescono a ottenere soluzioni ai loro problemi, per cui cercano di avvicinare i leader stranieri per difendere i loro diritti”. Durante la sua visita in Cina, terminata oggi, la first lady Usa, pur non parlando esplicitamente della censura cinese, ha difeso la libertà di informazione e su Internet. “E’ importante che le idee possano circolare liberamente su internet e attraverso i media – ha detto Michelle Obama parlando all’Università di Pechino -. Perchè in questo modo scopriamo la verità, cosa sta realmente accadendo nelle nostre comunità, nel nostro Paese e nel nostro mondo”.
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Propaganda cinese a media: non usate Mandela per parlare di diritti civili o Dalai Lama
L’ufficio per la propaganda del governo cinese ha emesso una serie di ordinanze con le quali invita i media statali a non utilizzare la notizia dei funerali di Nelson Mandela per parlare di diritti umani o di altri argomenti considerati sensibili come il Dalai Lama. “Tutti i media – si legge in un’ordinanza – devono essere molto prudenti nel selezionare i materiali e riportare le notizie in maniera appropriata”. Anche il vice presidente cinese Li Yuanchao è volato in Sud Africa per l’omaggio a i Mandela. Ma per Pechino, “tutti i post su Weibo (il twitter cinese) o nei blog che approfitteranno della notizia della morte di Nelson Mandela per attaccare il sistema cinese dovranno essere cancellati immediatamente”. Tra i diktat anche quello di non collegare Mandela con il Dalai Lama o non parlare di Taiwan (alleato diplomatico del Sud Africa fino al 1998). Altro tema da non toccare quello relativo alla vita privata di Madiba che ha avuto tre mogli E intanto il Global Times, in un editoriale, invita a non accostare Mandela a Liu Xiaobo, entrambi premi Nobel per la Pace: per il quotidiano il premio a un prigioniero equivale a deridere il sistema giudiziario cinese. Liu Xiaobo, infatti, si legge nell’articolo del giornale cinese “e’ stato sottoposto a una rigida procedura legale, che funziona e rende sicura una società di 1,3 miliardi di persone. E che non farà eccezione solo per Liu solo a causa delle pressioni dell’occidente. Solo la legge cinese ha l’ultima parola per dire se una persona ha violato la legge o meno”.
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Chiede più diritti, professore cacciato da università
Un professore universitario è stato licenziato per aver scritto un libro nel quale criticava il sistema politico cinese, chiedendo maggiori diritti civili. Zhang Xuezhong è professore alla facoltà di legge nella East China University di Shanghai era stato allontanato dalla cattedra in agosto, ma tenuto in servizio. Ora il rettore lo ha informato del fatto che, non avendo ammesso i suoi errori, il suo contratto sarà terminato alla fine di dicembre. Gli errori di cui sarebbe colpevole, sono legati in particolare ad un libro, ‘Il nuovo senso comune’, pubblicato online e nel quale mette in dubbio la legittimità del governo del partito comunista. In altri articoli, il professore ha chiesto maggiori diritti nel Paese e più riforme, mentre a maggio scrisse una lettera al ministro dell’Educazione chiedendo la fine delle lezioni e dei test sul marxismo nelle università.
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Parla lo ‘schiavo’ che denunciò il campo di rieducazione cinese
Parla lo ‘schiavo’ che da un gulag nel nord della Cina lancio’ un Sos al mondo: un attivista di Falun Gong ha fatto outing con il New York Times autodenunciandosi come il detenuto-operaio che, grazie a un biglietto inserito in una confezione di decorazioni di Halloween finita da K-Mart in Oregon, mise in piazza le drammatiche condizioni di Masanija, a Shenyang nella Cina nord orientale, uno dei campi per la rieducazione attraverso il lavoro su cui si fonda il sistema cinese. ”Migliaia di persone che sono qui perseguitate dal governo del Partito comunista cinese vi ringrazieranno e vi ricorderanno per sempre”, si leggeva nel bigliettino scritto in un inglese zoppicante scivolato da una confezioni di lapidi di polistirolo acquistate in un K-mart dell’Oregon e in cui l’anonimo operaio denunciava giornate di lavoro di 15 ore sette giorni alla settimana sotto l’occhio sadico delle guardie di custodia. La letterina all’epoca fece il giro del mondo ma il suo autore era rimasto ignoto fino a oggi, quando il New York Times, parlando con un attivista di Falun Gong a Pechino, ne ha raccolto la confessione: ”Sono io l’autore del messaggio”. 47 anni, ex detenuto a Masajia, l’uomo e’ stato identificato semplicemente come Zhang per timore di rappresaglie. Al quotidiano americano ha detto di aver scritto una ventina di accorati SOS nell’arco di due anni affidandoli a prodotti le cui confezioni in inglese rendevano probabile una destinazione in Occidente. ”Per molto tempo mi sono immaginato il momento in cui sarebbero stati scoperte”, ha detto Zhang delle lettere: ”Poi mi sono convinto che non sarebbe mai successo e me ne sono dimenticato”. Circa meta’ della popolazione di Masajia, scrive il New York Times, e’ composta di attivisti di Falun Gong, una pratica spirituale messa al bando in Cina, o di membri di chiese, con l’altra meta’ un misto di prostitute e spacciatori. Il gulag si prefigge di rieducare i detenuti attraverso il lavoro, ma ex detenuti hanno parlato di drammatici maltrattamenti al limite della tortura: prigionieri legati per le gambe alle sponde di letti che poi venivano divaricati lentamente o lasciati per giorni a giacere nei loro escrementi. La vicenda del bigliettino aveva attirato l’anno scorso l’attenzione delle organizzazioni per i diritti umani: la donna che, scartando la confezione di lapidi acquistata l’anno prima, lo aveva scoperto, si era rivolta a Human Rights Watch come scritto dall’anonimo mittente.
fonte: ANSA
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