I campi di rieducazione attraverso il lavoro sono stati ufficialmente aboliti in Cina ormai alcuni mesi fa, ma di fatto nulla è cambiato a parte la denominazione: Centri per il rimprovero. A denunciarlo, avvocati, attivisti politici ma anche la gente comune attraverso il web. Il grido di allarme è partito dalla provincia dell’Henan, nel centro del paese, dove i nuovi centri ”ospitano” ufficialmente persone con problemi di tossicodipendenza, ma in gran parte dissidenti e persone che si sono recate a vario titolo a presentare petizioni al governo di Pechino. Il tam tam di commenti e reazioni è stato cosi’ asfissiante che ieri sera il governo provinciale dell’Henan ha ordinato la chiusura dei centri di rimprovero. In questi centri i detenuti sono sorvegliati a vista, 24 ore al giorno, senza alcuna privacy e vengono sottoposti a una continua rieducazione, una sorta di lavaggio del cervello. Poco o niente di diverso rispetto ai vecchi campi di rieducazione attraverso il lavoro. Come hanno denunciato in molti, a cambiare è stato solo il nome. La sostanza è invariata, in quanto in entrambi i casi si tratta di forme di detenzione extragiudiziale. Anzi, se possibile, hanno commentato molti utenti in rete, questi nuovi centri potrebbero rivelarsi persino peggiori in quanto meno regolamentati dei primi. Nel caso dei campi di rieducazione infatti la legge espressamente prevedeva che una persona potesse essere detenuta fino a un massimo di 4 anni senza essere sottoposta a processo dopodiché o il caso doveva essere passato alla pubblica accusa per instaurare un processo o la persona veniva liberata. Nel caso dei centri di rimprovero, viene da più parti sottolineato, la mancanza di regole precise potrebbe addirittura rendere possibili arbitri maggiori e detenzioni anche illimitate. Familiari di persone che sono state imprigionate in questi centri denunciano poi abusi e condizioni disumane di vita. Il figlio di una donna settantenne, detenuta in un centro di rimprovero per aver fatto una petizione al governo di Pechino, ha raccontato che sua madre è stata trattenuta per circa due settimana in una stanzetta piccola, senza neanche un letto o un bagno. Inoltre, nonostante la donna fosse diabetica e necessitasse di cure, il centro non le ha fornito le medicine necessarie, facendole così anche rischiare la vita. Secondo un rapporto dello scorso dicembre di Amnesty International, i centri di rimprovero non sono la sola nuova forma di detenzione extragiudiziale ad aver rimpiazzato i campi di lavoro. Le cosiddette ”carceri nere”, i centri di riabilitazione per le tossicodipendenze, e i ”centri per il lavaggio del cervello” sono tutte forme extragiudiziali ancora in uso che rendono l’abolizione dei campi di lavoro decisa da Pechino, come hanno osservato molti utenti della rete con commenti sui vari microblog, una operazione di mera facciata, senza alcun effettivo valore sostanziale.
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Da oggi in Cina più figli e niente più campi di rieducazione attraverso il lavoro?
In un solo colpo, la Cina si libera (almeno in parte) di due delle sue leggi più odiate, in patria e all’estero: quella che impone il figlio unico e quella che prevede la rieducazione attraverso i campi di lavoro. La decisione, di cui si parlava da gennaio, poi annunciata a novembre durante i lavori del comitato centrale del partito comunista cinese, è stata formalmente approvata oggi dal Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo. Il Comitato ha deciso di mettere la parola fine ai laojiao, i campi di lavoro istituiti negli anni 50, dove fino ad oggi venivano rinchiuse persone ritenute colpevoli di reati minori (crimini contro il patrimonio, prostituzione, consumo di droga) ma anche oppositori al regime, postulanti, religiosi e fedeli di ogni fede. Chi vi veniva rinchiuso riceveva un modesto salario per il lavoro e non perdeva i diritti politici. Secondo Nuova Cina, che diffonde dati relativi al 2008, sarebbero 350 i campi di rieducazione, nei quali sono rinchiuse 160.000 persone, mentre altre fonti televisive cinesi parlano di 300.000 reclusi. Ma i numeri come sempre sono ballerini: secondo l’ultima edizione (2008) del dossier della Ong americana Laogai Foundation (fondata da Harry Wu che ha trascorso in un laogai dal 1960 al 1979) in Cina ci sarebbero 1422 campi attivi. Il problema è ora capire che fine faranno le persone recluse e i campi. La risoluzione del comitato permanente sottolinea che “tutte le pene legate ai laojiao prima della abolizione del sistema resteranno valide. Dopo l’abolizione, coloro che stanno scontando la pena saranno liberati. Non saranno prolungati i loro termini”. Ma non tutti credono nella totale abolizione del sistema. Su internet e tra chi si batte per i diritti civili in Cina c’e’ scetticismo, soprattutto perchè alcuni laojiao sono stati già tramutati in “prigioni legali” o in “campi di riabilitazione per tossicodipendenti” dove religiosi (soprattutto membri della Falun Gong, come denunciato dalla stessa organizzazione) sono stati trasferiti. Potrebbe essere smorzato anche l’entusiasmo per l’altra riforma: l’allentamento della politica del figlio unico. Rispetto al testo attuale (già soggetto a deroghe), la riforma prevede il permesso del secondo bambino, limitatamente ai centri urbani e per le coppie nelle quali uno dei due coniugi sia figlio unico, mentre oggi tale ‘privilegio’ è riservato alle coppie composte da due figli unici. Prima dell’entrata in vigore di questa nuova disposizione, in Cina potevano avere più figli gli appartenenti a minoranze etniche e residenti di determinate regioni. Il secondo figlio è inoltre permesso a coloro che hanno come primo figlio una femmina o un malato. Alla base della decisione del Comitato, ci sono soprattutto le proteste dei cinesi. La legge del figlio unico e’ una delle più odiate: viene applicata anche con metodi brutali da funzionari locali che, non volendo sfigurare con i loro superiori, ricorrono anche alla forza oltre che a multe salate per evitare nascite in coppie che hanno già figli. Senza poi contare che in mancanza di un sistema previdenziale totale, ci si deve basare sull’unico figlio per assicurarsi la vecchiaia e con gli alti costi della vita in Cina, non tutti riescono ad aiutare i genitori. Ma la necessità di cambiare la legge del 1980, nasce anche dai dati demografici. Per la prima volta in decenni, la forza lavoro di circa 940 milioni, è diminuita l’anno scorso di 3,45 milioni. E secondo le previsioni in questo decennio dovrebbe diminuire di altri 29 milioni. Inoltre, aumenta la popolazione degli anziani: gli over 60 sono il 14,3% e diventeranno un terzo della popolazione nel 2050. Problemi anche per il bilanciamento tra i sessi: su 100 femmine, nel 2012 c’erano 118 maschi. Dopo essere stata tanto invocata, la legge che abolisce il figlio unico – e che dovrebbe entrare in vigore entro il primo trimestre 2014 – potrebbe essere rallentata dalla crisi economica, oltre che da aspetti legislativi ancora tutti da chiarire.
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Aboliti i campi di lavoro in Cina. Qualcosa si muove.
Via i campi di lavoro dall’ordinamento cinese, in nome del rispetto per i diritti umani. Qualche giorno fa, quando la Cina è entrata nel Consiglio dei diritti umani dell’Onu, in molti hanno criticato la scelta del Palazzo di vetro, dal momento che il Paese del dragone non solo non ha mai permesso agli ispettori della stessa organizzazione visite sul suo territorio, ma è colpevole di diverse violazioni. Oggi, a sorpresa, la decisione – presa dal comitato centrale – di abolire la pratica della “rieducazione attraverso il lavoro”, i cosiddetti laojiao (abbreviazione di ‘laodong jiaoyang’). Sarà ridotto anche il numero dei crimini puniti con la pena di morte e vietata la tortura per estorcere confessioni. Un ruolo importante sarà dato agli avvocati, nella “tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini e delle imprese, in linea con la normativa di legge”. Dell’abolizione dei campi di lavoro già si parlava da tempo: un annuncio in tal senso era stato fatto a gennaio e alcune province ne avevano annunciato l’eliminazione. In questi, la polizia può inviare persone fino a 3 anni (con possibilità di estensione di un anno, ufficialmente), senza processo. Negli ultimi mesi diverse volte la pratica era stata criticata anche dalla stampa cinese vicina al partito. In particolare ad agosto una donna era stata condannata a 18 anni per aver protestato chiedendo una pena pesante nei confronti dell’uomo che era stato condannato a sette anni per aver rapito, violentato e indotto alla prostituzione sua figlia di 11 anni. La donna fu liberata dopo una settimana dopo che giornalisti, scrittori, gente comune e accademici si mobilitarono in suo favore. Le critiche al sistema dei laojiao muovono anche dal fatto che la loro pratica è in contraddizione con la costituzione cinese. Secondo Nuova Cina, che diffonde dati relativi al 2008, sarebbero 350 i campi di rieducazione, nei quali sono rinchiuse 160.000 persone, mentre altre fonti televisive cinesi parlano di 300.000 reclusi. Ma i numeri come sempre sono ballerini: secondo l’ultima edizione, 2008, del dossier della Ong americana Laogai Foundation (fondata da Harry Wu che ha trascorso in un laogai dal 1960 al 1979) in Cina ci sarebbero 1422 campi attivi. Il laogai è diverso dal laojiao: nel primo, chiamato prigione dal 1990, ufficialmente cancellato dal 1997 (ma la condanna ai lavori forzati resta), il condannato veniva spedito dopo una sentenza di tribunale per reati maggiori, non veniva pagato e perdeva i diritti politici. Nel secondo, invece, vengono rinchiuse persone ritenute colpevoli di reati minori (reati contro il patrimonio, prostituzione, consumo di droga) ma anche oppositori al regime, postulanti, religiosi e fedeli. Ricevono un modesto salario per il loro lavoro e non perdono i diritti politici. L’annuncio di oggi lascia però il campo a molte speculazioni, soprattutto su cosa succederà a coloro che sono attualmente rinchiusi nei campi o cosa succederà a coloro che saranno ritenuti colpevoli in futuro dei reati che ora portano ai laojiao.
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