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Datagate: i sospetti dei servizi americani sulla Cina

Quello dell’intelligence americana è più di un sospetto: che dietro al ‘datagate’ ci sia la mano cinese. E non solo perché Edward Snowden, la talpa che ha svelato il programma americano di spionaggio della rete, si è rifugiato ad Hong Kong. La sensazione degli 007 e di molti altri a Washington è che la vicenda faccia parte di un colpo che le autorità di Pechino hanno voluto assestare proprio mentre si stanno ridisegnando gli equilibri tra Stati Uniti e Cina. Con quest’ultima sempre più nel mirino per la questione dei cyberattacchi alle istituzioni, alle aziende e alla stampa americane. E’ un ex agente della Cia a confermare come all’interno dei servizi segreti statunitensi si guardi ai cinesi per capire ciò che è accaduto nei giorni scorsi: “Ho parlato a Washington con alcune persone vicino all’amministrazione e all’intelligence e ho avuto conferme che stanno cercando di capire se dietro alla vicenda vi sia un caso di spionaggio da parte della Cina”, ha affermato l’ex 007 Bob Baer alla Cnn, sottolineando come il posto scelto da Snowden per la fuga non è casuale. “Hong Kong é controllata dall’intelligence cinese, non è più un’area indipendente dalla Cina. E sembra che Snowden – aggiunge Baer – sia sotto il controllo delle autorità cinesi”. Di sicuro – come scrivono in molti sui media americani e internazionali – la vicenda è destinata a mettere a dura prova le relazioni tra Washington e Pechino, proprio nel momento in cui Barack Obama e Xi Jinping – incontratisi venerdì e sabato in California – stanno tentando di rilanciarle. E’ un test potrebbe essere proprio quelle dell’eventuale domanda di estradizione di Snowden verso gli Stati Uniti. Estradizione chiesta a gran voce da molti membri del Congresso americano, ma su cui Pechino potrebbe mettere il veto. “L’amministrazione deve immediatamente avviare con Hong Kong le procedure per l’estradizione”, ha detto il senatore repubblicano, Pete King, definendo Snowden un “transfuga” che rischia da 15 a 20 anni di detenzione per la rivelazione di informazioni segrete. Di contro, in poche ore oltre 13 mila cittadini americani hanno firmato una petizione alla Casa Bianca per chiedere “il perdono” di Edward Snowden, definito “un eroe nazionale a cui dovrebbe essere immediatamente garantito il perdono assoluto per ogni crimine eventualmente Ma al momento l’amministrazione non si pronuncia, ribadendo solo come il presidente Barack Obama sia interessato a un dibattito per stabilire il maggior equlibrio possibile tra protezione della privacy e sicurezza nazionale. “Non parliamo né della talpa né delle indagini in corso”, ha per il resto tagliato corto il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney. Intanto Lonnie Snowden, il padre della talpa del datagate si é detto preoccupato per la sorte del figlio che, secondo il Washington Post, avrebbe lasciato l’albergo di Hong Kong dopo aver registrato l’intervista con il Guardian in cui si è uscito allo scoperto. E tramite un’intervista all’australiana Abc si è fatto sentire anche Julian Assange, il fondatore di Wikileaks sul quale gli Stati Uniti vorrebbero mettere le mani: “Ero in contatto con Edward Snowden – ha detto dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra dove è rifugiato -: è un esempio per tutti noi”.

fonte: ANSA

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Gli Usa insistono: Chuck Hagel, capo del Pentagono, continua ad accusare cinesi per cyberspionaggio

Alla vigilia del faccia a faccia tra il presidente americano Barack Obama e il presidente cinese Xi Jinping in California, il capo del Pentagono, Chuck Hagel, e’ tornato a sferzare la Cina sulla spinosa questione del cyber-spionaggio: lo ha fatto da Singapore, davanti ad una platea di militari cinesi, che sembrano aver reagito con una certa stizza. Gli Stati Uniti tengono gli occhi aperti sulle sfide nel cyber-spazio, ha detto Hagel nel corso dell’annuale conferenza sulla sicurezza nota come ‘Shangri La Dialogue’, aggiungendo esplicitamente che molte delle intrusioni informatiche nei computer della difesa, delle industrie e istituzioni finanziarie americane ”sembrano essere collegate al governo e alle forze armate cinesi”. Ma allo stesso tempo, Hagel ha affermato che gli Usa sono ”determinati a lavorare vigorosamente con la Cina e altri partner per stabilire norme internazionali per un comportamento responsabile nel cyber-spazio”. Il 7 e 8 giugno i presidenti di Stati Uniti e Cina si incontreranno per un vertice informale nel Rancho Mirage, una distesa di 80 ettari dove c’e’ la residenza Sunnylands, nel cuore del deserto del Mojave, che in passato ospito’ anche Nixon e Reagan. La questione del cyber-spionaggio sara’ ovviamente al centro dell’agenda dell’incontro, di certo assieme alla cosiddetta ‘guerra dello yen’ e all’annosa questione dei diritti umani, che coinvolge anche il lavoro minorile e la leale concorrenza commerciale, e alla presenza militare Usa in Asia. E non a caso, a Singapore, Hagel ha anche parlato dell’ impegno del Pentagono in Asia, assicurando che, nonostante i tagli al bilancio del Dipartimento della Difesa, continuera’ a crescere e affermando che ”sarebbe poco saggio e miope concludere…che il nostro riequilibrio (nell’area) non puo’ essere sostenuto”. Dopo di lui ha preso la parola un generale cinese, Yao Yiunzhu, direttore del centro per le relazioni militari Cina-Usa dell’accademia delle scienza militari cinesi, che ironicamente ha detto, rivolto ad Hagel, ”grazie per aver citato cosi’ tanto la Cina”. E allo stesso tempo ha affermato che la Cina ”non e’ convita” da tutte le rassicurazioni di Washington che la sua crescente presenza militare in Asia non ha lo scopo di contenere la potenza cinese. Poche ore dopo, da Pechino un portavoce del ministero degli esteri ha peraltro anche diffuso una nota condannando le affermazioni contenute in un comunicato relativo ai fatti di piazza Tiananmen del 1989 apparso di recente sul sito web del Dipartimento di Stato. Gli Stati Uniti, ha affermato il portavoce, ”dovrebbero smetterla di interferire nelle questioni interne cinesi, per non sabotare le relazioni cino-americane”. Un’altra questione che con ogni probabilita’ sara’ sul tavolo del vertice in California, dove Obama e Xi arriveranno con l’ambiziosa prospettiva di ravvivare quello il G2, la partnership cruciale per i destini del pianeta.

fonte: ANSA

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Monito del Pentagono alla Cina sugli hacker, “ora servono regole”

Basta con la guerra nel cyber spazio: la Cina deve decidersi a fermare i suoi hacker che imperterriti, nonostante le tante proteste, continuano a violare istituzioni e imprese americane. E deve accettare la messa a punto di regole di comportamento chiare e trasparenti. Il monito arriva dal capo del Pentagono, Chuck Hagel, a una settimana dal summit informale tra Barack Obama e Xi Jinping in California. L’amministrazione statunitense mette subito in chiaro che quello dei cyber attacchi dovrà essere uno dei punti cruciali nell’agenda del faccia a faccia tra il presidente americano e quello cinese: una sorta di ‘ritiro’ che si svolgerà in un ranch nel cuore del deserto del Mojave, che in passato ospitò anche Richard Nixon e Ronald Reagan. “I cyber attacchi sono una minaccia reale e molto pericolosa, come gli attacchi reali”, ha ammonito Hagel in viaggio verso l’Asia per una serie di incontri, a partire dalla tappa di Singapore. Per questo – sottolinea il capo del Pentagono – serve un ‘codice di comportamento’ che fermi l’escalation di quella che sta diventando una vera e propria guerra del cyber spazio. Del resto siamo a un passo dalla goccia che potrebbe far traboccare il vaso, con gli hacker che nelle ultime settimane hanno a messo a dura prova proprio i sistemi della Difesa americana, violando alcuni segreti militari relativi alla realizzazione di nuovi armamenti: missili, supercaccia da combattimento, navi da guerra. Una situazione che il Pentagono giudica intollerabile ed estremamente pericolosa. “Gli Stati Uniti sanno da dove provengono la maggior parte di questi attacchi, dobbiamo essere onesti”, ha attaccato Hagel, per il quale le autorità di Pechino non possono più nascondersi dietro un dito. Devono affrontare il problema prima che succeda l’irreparabile. E il confronto, anche confidenziale, tra Obama e Xi è un’occasione da non perdere per fare dei passi in avanti su questa vicenda. Del resto l’attività degli hacker è un qualcosa che colpisce anche l’economia e la finanza ‘made in Usa’, con decine di imprese (anche i principali giornali come il New York Times o il Wall Street Journal) e società di Wall Street i cui sistemi informatici vengono oramai costantemente violati. Insomma, uno spionaggio a tutti i livelli usando le tecnologie informatiche più moderne. Nel mirino dell’amministrazione statunitense, però, non c’é solo la Cina – di certo la più pericolosa sul fronte dei cyber attacchi – ma anche Paesi come l’Iran e la Corea del Nord. E Casa Bianca e Pentagono, seppur in tempi di risparmi, stanno investendo come non mai proprio per rafforzare le misure di sicurezza e rendere sempre più impenetrabili le difese dei propri sistemi informatici. Ma ad essere finanziati anche strumenti pensati per la controffensiva.

fonte: ANSA

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Hacker cinesi rubano pianta sede dei servizi segreti australiani

Pirati informatici di base in Cina hanno rubato la planimetria top secret del nuovissimo quartier generale dei servizi segreti australiani Asio a Canberra. Lo rivela il programma Four Corners della Tv nazionale Abc, secondo cui è stato ottenuto accesso al percorso dei cavi di comunicazione, all’ubicazione dei server e ai sistemi di sicurezza, in un attacco orchestrato da un server cinese. Secondo il programma, sono stati violati in operazioni sostenute di hacking anche i dipartimenti della Difesa, degli Esteri e del Premier. Non viene però specificato da dove si sia originato il cyberspionaggio, o se vi siano state ramificazioni diplomatiche. I piani sarebbero stati rubati a un’impresa impegnata nel progetto. “E’ stata un’operazione di spionaggio. I piani piratati sono stati rintracciati in un server in Cina”, ha detto una fonte citata dal programma. Secondo il professor Des Ball del Centro studi strategici e di difesa dell’Università nazionale, il furto dei piani è significativo. “Una volta conosciuti i piani, potranno ricostruire i diagrammi dei cavi, dei collegamenti telefonici e wi-fi, quali stanze saranno usate per conversazioni sensibili, e come nascondere congegni nelle pareti di quelle stanze”. I ministri della Giustizia Mark Dreyfus e degli Esteri Bob Carr si sono rifiutati di confermare o di commentare la notizia. Carr ha tuttavia assicurato che le rivelazioni non danneggeranno la partnership strategica con Pechino.
La Cina ha respinto oggi le accuse della stampa australiana e statunitense, secondo le quali pirati informatici cinesi avrebbero rubato materiale che mette in pericolo la sicurezza dei due Paesi. Giornali australiani hanno affermato che i pirati hanno copiato la mappa del quartiere generale dei servizi segreti di Canberra, mentre il Washington Post ha affermato che hanno rubato disegni di armamenti come portaerei e missili. Il portavoce cinese Hong Lei ha respinto le accuse, affermando in una conferenza stampa che Pechino ”presta grande attenzione e si oppone con decisione alla pirateria informatica in tutte le sue forme”. Hong ha aggiunto di non conoscere ”quali prove citino i media per queste notizie” e ha ricordato che ”e’ estremamente difficile trovare la l’ origine degli attacchi informatici”.

fonte: ANSA

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Hacker cinesi rubano segreti militari al Pentagono

Ci sono i progetti di sviluppo del supercaccia F-35, ma anche quelli dei nuovi missili Patriot, o di nuove unita’ della US Navy, la Marina degli Stati Uniti: i piani di realizzazione di almeno una ventina dei piu’ sofisticati sistemi d’armamento Usa sono stati ”violati” da hacker cinesi. E la cosa, oltre a permettere una notevole accelerazione dell’evoluzione militare cinese, rappresenta un potenziale indebolimento del vantaggio militare Usa in un eventuale futuro conflitto. La denuncia dell’ennesimo caso di cyber-spionaggio su larga scala e’ contenuta in un rapporto riservato elaborato da una commissione di esperti governativi e civili per il Dipartimento della Difesa. Nel rapporto si fa riferimento ad alcuni armamenti che rappresentano la spina dorsale delle difese missilistiche regionali del Pentagono in Asia, Europa e nel Golfo, secondo quanto riferisce oggi il Washington Post. Oltre che sui progetti dei noti missili Patriot, gli hacker hanno messo le mani anche su quelli di un sofisticato sistema per intercettare missili balistici noto come Terminal High Altitude Area Defense (THAAD), e anche su quelli dei missili balistici Aegis per la Marina, dei caccia da combattimento F/A-18, dei velivoli V-22 Osprey, degli elicotteri Black Hawk, delle navi Littoral Combat Ship. Nel rapporto non si fa esplicito riferimento alla Cina, ma diversi alti ufficiali e alti funzionari della Difesa al corrente delle cyber-intrusioni non hanno dubbi sul fatto che si tratti del lavoro di hacker cinesi, riferisce il Post. E le accuse verso la Cina oggi arrivano peraltro anche dall’Australia, dove la stampa locale ha scritto che pirati informatici cinesi hanno copiato la mappa del quartiere generale dei servizi segreti di Canberra. Prontamente, come di rito, e’ arrivata la smentita di Pechino. ”La Cina presta molta attenzione alla cyber-sicurezza e si oppone fermamente ad ogni forma di cyber-attacco”, ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Hong Lei, aggiungendo che ”poiche’ e’ molto difficile individuare l’origine di attacchi da parte di hacker, non si sa quali prove abbiano i media per scrivere cose del genere”. Di certo, il fenomeno rappresenta una notevole fonte di preoccupazione per gli Usa, tanto che la Casa Bianca ha fatto sapere oggi che l’argomento cyber-sicurezza sara’ ben in alto nell’agenda dei colloqui del presidente Barack Obama con il presidente cinese Xi Jinping il mese prossimo in California. Esperti citati dal Post affermano tra l’altro che con le ”intrusioni” la Cina viene a conoscenza dei margini operativi dei militari Usa, ottenendo tecnologia avanzata e risparmiando tempo e miliardi di dollari in ricerca e sviluppo di armamenti, di cui puo’ a sua volta poi dotarsi. In altre parole, per Washington si tratta di una questione di sicurezza nazionale. ”Si sono risparmiati 25 anni di ricerca e sviluppo”, ha affermato un alto ufficiale militare che non vuole essere citato. Secondo James Lewis, del Centro studi strategici e internazionali, ”dieci anni fa si diceva che l’esercito cinese era il piu’ grande museo militare a cielo aperto. Ora non e’ piu’ cosi”’.

fonte: ANSA

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Pechino a Usa, collaboriamo su attacchi informatici

La Cina ha fatto appello agli Stati Uniti per uno scambio di comunicazioni sulla sicurezza cibernetica. Lo ha detto il portavoce del ministero degli Esteri cinese Hong Lei. Nonostante dagli Usa continuino ad arrivare accuse di attacchi informatici da parte di strutture militari e civili civili, smentite da Pechino, la Cina chiede maggiore cooperazione. Per Hong la sicurezza informatica e’ una questione globale che interessa tutti, Stati Uniti, Cina e altri paesi. La Cina, secondo Hong Lei, pur essendone vittima, non ha mai accusato gli Usa della cosa come hanno fatti invece gli americani, non offrendo pero’ prove concrete ai cinesi. ”Ci piacerebbe sederci con gli Usa – ha detto Hong Lei -, discutere della questione e avviare un canale di comunicazione anche sulla formulazione dei regolamenti internazionali per salvaguardare congiuntamente la pace, la sicurezza, l’apertura e la cooperazione nel cyberspazio”.

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Nyt: ripresi attacchi hacker a compagnie Usa da cyber esercito in Cina

L’Unita’ 61398, la divisione dell’Esercito cinese dedita alla guerra elettronica, ha ripreso gli attacchi hacker alle aziende statunitensi. Lo scrive il New York Times sulla base di un rapporto della Mandiant, compagnia che si occupa della sicurezza informatica. Gli attacchi erano stati interrotti tre mesi fa, dopo le veementi denunce di Washington. Il quartiere generale dell’Unita’ 61398, la leggendaria armata cibernetica cinese, si trova in un palazzo di 12 piani a Shanghai.

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Il pentagono accusa, con cyberattacchi la Cina vuole mappa rete

Nuovo botta e risposta tra Stati Uniti e Cina sul cyber-spionaggio: in un rapporto annuale, il Pentagono accusa esplicitamente i militari e il governo cinesi di attacchi sistematici a computer dell’amministrazione e di aziende della difesa americane, con lo scopo apparente di ”realizzare un quadro della rete di difese, della logistica e delle relative capacita’ militari Usa, che potrebbe essere sfruttato durante una crisi”. Ma Pechino non ci sta’, e senza mezzi termini bolla le accuse come ”irresponsabili”. E una delle cose che preoccupa di piu’, si sottolinea nel rapporto di oltre 100 pagine, e’ il fatto che ”le capacita’ necessarie per questo tipo di intrusioni, sono le stesse necessarie per condurre attacchi a reti informatiche”. Non si tratta di accuse nuove. Tuttavia e’ particolarmente significativa la forma diretta con cui vengono rivolte alle autorita’ cinesi, come nota il New York Times. Secondo il giornale, stime recenti indicano che circa il 90% del cyber-spionaggio negli Stati Uniti ha origine in Cina. A livello ufficiale a uscire per la prima volta allo scoperto e’ stato nel marzo scorso il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Tom Donilon, quando ha affermato che ”sempre piu’ aziende americane esprimono serie preoccupazioni per sofisticati e mirati furti di informazioni riservate e tecnologie attraverso intrusioni informatiche in arrivo dalla Cina a un livello senza precedenti”. Gia’ a febbraio un’azienda americana di sicurezza informatica aveva diffuso un dossier in cui si dimostrerebbe, attraverso numerosi dati, che oltre 100 attacchi ad aziende in tutto il mondo, e in particolare negli Usa, sono partiti da una sede dell’esercito cine a Shanghai. Sempre a marzo, anche lo stesso presidente Barack Obama ha detto esplicitamente che c’e’ anche lo Stato cinese dietro i cyber-attacchi alle imprese e istituzioni americane. In piu’ occasioni, Pechino si e’ detta ”pronta, sulla base della fiducia e del rispetto reciproci, a condurre un dialogo costruttivo” per affrontare un problema in cui Cina e Stati Uniti sono in realta’ dalla stessa parte, quella delle vittime. Questa volta i toni sono ben piu’ accesi. Le nuove accuse, ha detto il colonnello Wang Xinjun, un ricercatore dell’esercito cinese citato dall’agenzia Xinhua, ”sono irresponsabili e nocive per la reciproca fiducia tra le parti”. Anche la portavoce del ministero degli esteri, Hu Chunying, ha usato argomenti simili, affermando che la Cina contrasta ogni tipo di attacco informatico, ma anche ”tutte le accuse prive di fondamento”, che potrebbero creare problemi nel campo della cooperazione.

fonte: ANSA

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Per Verizon, la Cina è il regno dello spionaggio informatico, con il 96% degli attacchi

E’ la Cina la patria dello spionaggio informatico, soprattutto riconducibile ad organizzazioni governative, mentre gli hacker di Romania e Usa sono più dediti al ‘semplice’ furto a scopo di arricchimento. Lo afferma il Data Breach Investigations Report 2013 di Verizon. Secondo il documento il 30% dei furti di dati confermati presi in considerazione proveniva dal paese asiatico, il 28% dalla Romania e un altro 18% dagli Usa. Se però si guardano solo i furti di dati operati da organizzazioni governative la ‘quota’ cinese balza a un sorprendente 96%: “Personaggi affiliati al governo cinese sono i principali attori del 2012 – scrive il rapporto – il loro sforzo di carpire dati relativi alla proprietà intellettuale ormai costituisce un quinto di tutti gli attacchi riusciti. Questo può voler dire che altri attori riescono ad agire nell’ombra, ma anche che la Cina, nei fatti, è anche la principale fonte di spionaggio informatico al mondo in questo momento”. Il rapporto è stato preparato con altre 19 organizzazioni nel mondo impegnate nella sicurezza informatica, e ha censito 47mila incidenti lo scorso anno. Di questi 621 hanno portato al furto di dati. Tra questi 190 hanno coinvolto i dispositivi bancomat, mentre 120 sono stati portati a termine utilizzando contemporaneamente diverse tecniche, dall’hacking al malware al phishing. Proprio quest’ultima tecnica, avvertono gli esperti, sta diventando sempre più raffinata, e dalle mail che chiedono di rivelare dati sensibili si è passati ormai ad agire direttamente sui social network. Poco più di metà degli attacchi (il 52%) è portato però attraverso l’hacking, sfruttando soprattutto password poco sicure o ‘falle’ nella configurazione dei programmi.

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Aziende Usa contro Cina, responsabile di cyber attacchi

La aziende americane puntano il dito contro la Cina, ritenuta la responsabile degli attacchi hacker degli ultimi mesi. Più di un quarto delle società statunitensi afferma che segreti industriali sono stati rubati o compromessi dai cyber attacchi sulle loro attività in Cina. E’ quanto emerge – riporta il Financial Times – da un sondaggio condotto dall’American Chamber of Commerce in Cina. Il 26% delle aziende interpellate ritiene di essere stata vittima di cyber attacchi e il 95% delle aziende ritiene che la situazione difficilmente migliorerà. “Oltre il 40% delle aziende ritiene che il rischio di violazione dei dati sia in aumento. Questo pone sostanziali ostacoli per le attività in Cina, sopratutto se si considera il fatto che le violazioni vanno ad aggiungersi ai timori sulla protezione della proprietà intellettuale e ai necessari trasferimenti di tecnologie” afferma l’American Chamber of Commerce in China. I timori sulla sicurezza dei dati sono citati anche come il motivo per cui solo un 10% delle aziende americane considererebbe la tecnologia cloud in Cina. Quasi la metà delle società afferma che furti di proprietà intellettuale hanno causato danni materiali alle loro attività in Cina o a livello globale, in forte aumento rispetto al 2012.

fonte: ANSA

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