Dopo oltre due anni di carcere è stata rilasciata in Cina – rivela la stampa locale – una dissidente, l’avvocato e attivista per i diritti umani Ni Yulan, invalida sulla sedia a rotelle – secondo quanto denunciato da lei stessa e da organizzazioni per i diritti umani – per essere stata ripetutamente picchiata e torturata dalla polizia. Arrestata per la prima volta nel 2002 per aver incitato gli abitanti di un distretto di Pechino a resistere all’abbattimento delle loro case, in prigione subì la rottura delle ginocchia e dei piedi durante interrogatori, secondo quanto lei stessa racconta in una lettera. Dal 2010 insieme al marito fu costretta a vivere per un periodo in una cosiddetta “prigione nera”, un hotel controllato dalla polizia dopo che la loro casa era stata demolita. Nella sua lettera la donna ha raccontato tutti i soprusi subiti ma anche le esperienze umane viste in carcere e l’amicizia con gli altri prigionieri, alcuni dei quali erano seguaci del gruppo Falun Gong, messo fuorilegge dal governo cinese come “eretico” nel 1999. Dopo aver scontato un anno di carcere Ni venne poi nuovamente arrestata per un altro periodo nel 2008 e successivamente nel 2010 insieme a suo marito venne costretta a vivere in una “prigione nera”. Si tratta luoghi di detenzione extralegali utilizzati di solito dalle autorità per “bloccare” dissidenti, manifestanti e firmatari di petizioni varie, negando loro anche la possibilità di difendersi. Nel 2011 ancora un nuovo arresto e una nuova condanna, a due anni e mezzo di reclusione, per “disturbo all’ordine sociale”. “Sono finalmente libera – ha detto la donna uscita dal carcere – mi sono mancati tanto i miei amici. Ma continueremo a combattere. Non è facile proteggere i diritti della gente”. “Questa donna ha subito di tutto – ha scritto un utente cinese su internet – è stato paralizzata in carcere. La sua casa è stata demolita con la forza. Bisogna ricordare questa donna, che merita il rispetto di tutti i cinesi. In futuro il nome di Ni Yulan sarà nei libri di testo cinesi”. Ni Yulan nel 2011 ha anche vinto un premio conferito dal governo olandese per il suo impegno nel campo dei diritti umani ma non le fu allora concesso di volare in Olanda per prendere il premio.
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Liberata Ni Yulan, ridotta su una sedia a rotelle
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Datagate: i sospetti dei servizi americani sulla Cina
Quello dell’intelligence americana è più di un sospetto: che dietro al ‘datagate’ ci sia la mano cinese. E non solo perché Edward Snowden, la talpa che ha svelato il programma americano di spionaggio della rete, si è rifugiato ad Hong Kong. La sensazione degli 007 e di molti altri a Washington è che la vicenda faccia parte di un colpo che le autorità di Pechino hanno voluto assestare proprio mentre si stanno ridisegnando gli equilibri tra Stati Uniti e Cina. Con quest’ultima sempre più nel mirino per la questione dei cyberattacchi alle istituzioni, alle aziende e alla stampa americane. E’ un ex agente della Cia a confermare come all’interno dei servizi segreti statunitensi si guardi ai cinesi per capire ciò che è accaduto nei giorni scorsi: “Ho parlato a Washington con alcune persone vicino all’amministrazione e all’intelligence e ho avuto conferme che stanno cercando di capire se dietro alla vicenda vi sia un caso di spionaggio da parte della Cina”, ha affermato l’ex 007 Bob Baer alla Cnn, sottolineando come il posto scelto da Snowden per la fuga non è casuale. “Hong Kong é controllata dall’intelligence cinese, non è più un’area indipendente dalla Cina. E sembra che Snowden – aggiunge Baer – sia sotto il controllo delle autorità cinesi”. Di sicuro – come scrivono in molti sui media americani e internazionali – la vicenda è destinata a mettere a dura prova le relazioni tra Washington e Pechino, proprio nel momento in cui Barack Obama e Xi Jinping – incontratisi venerdì e sabato in California – stanno tentando di rilanciarle. E’ un test potrebbe essere proprio quelle dell’eventuale domanda di estradizione di Snowden verso gli Stati Uniti. Estradizione chiesta a gran voce da molti membri del Congresso americano, ma su cui Pechino potrebbe mettere il veto. “L’amministrazione deve immediatamente avviare con Hong Kong le procedure per l’estradizione”, ha detto il senatore repubblicano, Pete King, definendo Snowden un “transfuga” che rischia da 15 a 20 anni di detenzione per la rivelazione di informazioni segrete. Di contro, in poche ore oltre 13 mila cittadini americani hanno firmato una petizione alla Casa Bianca per chiedere “il perdono” di Edward Snowden, definito “un eroe nazionale a cui dovrebbe essere immediatamente garantito il perdono assoluto per ogni crimine eventualmente Ma al momento l’amministrazione non si pronuncia, ribadendo solo come il presidente Barack Obama sia interessato a un dibattito per stabilire il maggior equlibrio possibile tra protezione della privacy e sicurezza nazionale. “Non parliamo né della talpa né delle indagini in corso”, ha per il resto tagliato corto il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney. Intanto Lonnie Snowden, il padre della talpa del datagate si é detto preoccupato per la sorte del figlio che, secondo il Washington Post, avrebbe lasciato l’albergo di Hong Kong dopo aver registrato l’intervista con il Guardian in cui si è uscito allo scoperto. E tramite un’intervista all’australiana Abc si è fatto sentire anche Julian Assange, il fondatore di Wikileaks sul quale gli Stati Uniti vorrebbero mettere le mani: “Ero in contatto con Edward Snowden – ha detto dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra dove è rifugiato -: è un esempio per tutti noi”.
fonte: ANSA
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Gli Usa insistono: Chuck Hagel, capo del Pentagono, continua ad accusare cinesi per cyberspionaggio
Alla vigilia del faccia a faccia tra il presidente americano Barack Obama e il presidente cinese Xi Jinping in California, il capo del Pentagono, Chuck Hagel, e’ tornato a sferzare la Cina sulla spinosa questione del cyber-spionaggio: lo ha fatto da Singapore, davanti ad una platea di militari cinesi, che sembrano aver reagito con una certa stizza. Gli Stati Uniti tengono gli occhi aperti sulle sfide nel cyber-spazio, ha detto Hagel nel corso dell’annuale conferenza sulla sicurezza nota come ‘Shangri La Dialogue’, aggiungendo esplicitamente che molte delle intrusioni informatiche nei computer della difesa, delle industrie e istituzioni finanziarie americane ”sembrano essere collegate al governo e alle forze armate cinesi”. Ma allo stesso tempo, Hagel ha affermato che gli Usa sono ”determinati a lavorare vigorosamente con la Cina e altri partner per stabilire norme internazionali per un comportamento responsabile nel cyber-spazio”. Il 7 e 8 giugno i presidenti di Stati Uniti e Cina si incontreranno per un vertice informale nel Rancho Mirage, una distesa di 80 ettari dove c’e’ la residenza Sunnylands, nel cuore del deserto del Mojave, che in passato ospito’ anche Nixon e Reagan. La questione del cyber-spionaggio sara’ ovviamente al centro dell’agenda dell’incontro, di certo assieme alla cosiddetta ‘guerra dello yen’ e all’annosa questione dei diritti umani, che coinvolge anche il lavoro minorile e la leale concorrenza commerciale, e alla presenza militare Usa in Asia. E non a caso, a Singapore, Hagel ha anche parlato dell’ impegno del Pentagono in Asia, assicurando che, nonostante i tagli al bilancio del Dipartimento della Difesa, continuera’ a crescere e affermando che ”sarebbe poco saggio e miope concludere…che il nostro riequilibrio (nell’area) non puo’ essere sostenuto”. Dopo di lui ha preso la parola un generale cinese, Yao Yiunzhu, direttore del centro per le relazioni militari Cina-Usa dell’accademia delle scienza militari cinesi, che ironicamente ha detto, rivolto ad Hagel, ”grazie per aver citato cosi’ tanto la Cina”. E allo stesso tempo ha affermato che la Cina ”non e’ convita” da tutte le rassicurazioni di Washington che la sua crescente presenza militare in Asia non ha lo scopo di contenere la potenza cinese. Poche ore dopo, da Pechino un portavoce del ministero degli esteri ha peraltro anche diffuso una nota condannando le affermazioni contenute in un comunicato relativo ai fatti di piazza Tiananmen del 1989 apparso di recente sul sito web del Dipartimento di Stato. Gli Stati Uniti, ha affermato il portavoce, ”dovrebbero smetterla di interferire nelle questioni interne cinesi, per non sabotare le relazioni cino-americane”. Un’altra questione che con ogni probabilita’ sara’ sul tavolo del vertice in California, dove Obama e Xi arriveranno con l’ambiziosa prospettiva di ravvivare quello il G2, la partnership cruciale per i destini del pianeta.
fonte: ANSA
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Monito del Pentagono alla Cina sugli hacker, “ora servono regole”
Basta con la guerra nel cyber spazio: la Cina deve decidersi a fermare i suoi hacker che imperterriti, nonostante le tante proteste, continuano a violare istituzioni e imprese americane. E deve accettare la messa a punto di regole di comportamento chiare e trasparenti. Il monito arriva dal capo del Pentagono, Chuck Hagel, a una settimana dal summit informale tra Barack Obama e Xi Jinping in California. L’amministrazione statunitense mette subito in chiaro che quello dei cyber attacchi dovrà essere uno dei punti cruciali nell’agenda del faccia a faccia tra il presidente americano e quello cinese: una sorta di ‘ritiro’ che si svolgerà in un ranch nel cuore del deserto del Mojave, che in passato ospitò anche Richard Nixon e Ronald Reagan. “I cyber attacchi sono una minaccia reale e molto pericolosa, come gli attacchi reali”, ha ammonito Hagel in viaggio verso l’Asia per una serie di incontri, a partire dalla tappa di Singapore. Per questo – sottolinea il capo del Pentagono – serve un ‘codice di comportamento’ che fermi l’escalation di quella che sta diventando una vera e propria guerra del cyber spazio. Del resto siamo a un passo dalla goccia che potrebbe far traboccare il vaso, con gli hacker che nelle ultime settimane hanno a messo a dura prova proprio i sistemi della Difesa americana, violando alcuni segreti militari relativi alla realizzazione di nuovi armamenti: missili, supercaccia da combattimento, navi da guerra. Una situazione che il Pentagono giudica intollerabile ed estremamente pericolosa. “Gli Stati Uniti sanno da dove provengono la maggior parte di questi attacchi, dobbiamo essere onesti”, ha attaccato Hagel, per il quale le autorità di Pechino non possono più nascondersi dietro un dito. Devono affrontare il problema prima che succeda l’irreparabile. E il confronto, anche confidenziale, tra Obama e Xi è un’occasione da non perdere per fare dei passi in avanti su questa vicenda. Del resto l’attività degli hacker è un qualcosa che colpisce anche l’economia e la finanza ‘made in Usa’, con decine di imprese (anche i principali giornali come il New York Times o il Wall Street Journal) e società di Wall Street i cui sistemi informatici vengono oramai costantemente violati. Insomma, uno spionaggio a tutti i livelli usando le tecnologie informatiche più moderne. Nel mirino dell’amministrazione statunitense, però, non c’é solo la Cina – di certo la più pericolosa sul fronte dei cyber attacchi – ma anche Paesi come l’Iran e la Corea del Nord. E Casa Bianca e Pentagono, seppur in tempi di risparmi, stanno investendo come non mai proprio per rafforzare le misure di sicurezza e rendere sempre più impenetrabili le difese dei propri sistemi informatici. Ma ad essere finanziati anche strumenti pensati per la controffensiva.
fonte: ANSA
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Hacker cinesi rubano pianta sede dei servizi segreti australiani
Pirati informatici di base in Cina hanno rubato la planimetria top secret del nuovissimo quartier generale dei servizi segreti australiani Asio a Canberra. Lo rivela il programma Four Corners della Tv nazionale Abc, secondo cui è stato ottenuto accesso al percorso dei cavi di comunicazione, all’ubicazione dei server e ai sistemi di sicurezza, in un attacco orchestrato da un server cinese. Secondo il programma, sono stati violati in operazioni sostenute di hacking anche i dipartimenti della Difesa, degli Esteri e del Premier. Non viene però specificato da dove si sia originato il cyberspionaggio, o se vi siano state ramificazioni diplomatiche. I piani sarebbero stati rubati a un’impresa impegnata nel progetto. “E’ stata un’operazione di spionaggio. I piani piratati sono stati rintracciati in un server in Cina”, ha detto una fonte citata dal programma. Secondo il professor Des Ball del Centro studi strategici e di difesa dell’Università nazionale, il furto dei piani è significativo. “Una volta conosciuti i piani, potranno ricostruire i diagrammi dei cavi, dei collegamenti telefonici e wi-fi, quali stanze saranno usate per conversazioni sensibili, e come nascondere congegni nelle pareti di quelle stanze”. I ministri della Giustizia Mark Dreyfus e degli Esteri Bob Carr si sono rifiutati di confermare o di commentare la notizia. Carr ha tuttavia assicurato che le rivelazioni non danneggeranno la partnership strategica con Pechino.
La Cina ha respinto oggi le accuse della stampa australiana e statunitense, secondo le quali pirati informatici cinesi avrebbero rubato materiale che mette in pericolo la sicurezza dei due Paesi. Giornali australiani hanno affermato che i pirati hanno copiato la mappa del quartiere generale dei servizi segreti di Canberra, mentre il Washington Post ha affermato che hanno rubato disegni di armamenti come portaerei e missili. Il portavoce cinese Hong Lei ha respinto le accuse, affermando in una conferenza stampa che Pechino ”presta grande attenzione e si oppone con decisione alla pirateria informatica in tutte le sue forme”. Hong ha aggiunto di non conoscere ”quali prove citino i media per queste notizie” e ha ricordato che ”e’ estremamente difficile trovare la l’ origine degli attacchi informatici”.
fonte: ANSA
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Hacker cinesi rubano segreti militari al Pentagono
Ci sono i progetti di sviluppo del supercaccia F-35, ma anche quelli dei nuovi missili Patriot, o di nuove unita’ della US Navy, la Marina degli Stati Uniti: i piani di realizzazione di almeno una ventina dei piu’ sofisticati sistemi d’armamento Usa sono stati ”violati” da hacker cinesi. E la cosa, oltre a permettere una notevole accelerazione dell’evoluzione militare cinese, rappresenta un potenziale indebolimento del vantaggio militare Usa in un eventuale futuro conflitto. La denuncia dell’ennesimo caso di cyber-spionaggio su larga scala e’ contenuta in un rapporto riservato elaborato da una commissione di esperti governativi e civili per il Dipartimento della Difesa. Nel rapporto si fa riferimento ad alcuni armamenti che rappresentano la spina dorsale delle difese missilistiche regionali del Pentagono in Asia, Europa e nel Golfo, secondo quanto riferisce oggi il Washington Post. Oltre che sui progetti dei noti missili Patriot, gli hacker hanno messo le mani anche su quelli di un sofisticato sistema per intercettare missili balistici noto come Terminal High Altitude Area Defense (THAAD), e anche su quelli dei missili balistici Aegis per la Marina, dei caccia da combattimento F/A-18, dei velivoli V-22 Osprey, degli elicotteri Black Hawk, delle navi Littoral Combat Ship. Nel rapporto non si fa esplicito riferimento alla Cina, ma diversi alti ufficiali e alti funzionari della Difesa al corrente delle cyber-intrusioni non hanno dubbi sul fatto che si tratti del lavoro di hacker cinesi, riferisce il Post. E le accuse verso la Cina oggi arrivano peraltro anche dall’Australia, dove la stampa locale ha scritto che pirati informatici cinesi hanno copiato la mappa del quartiere generale dei servizi segreti di Canberra. Prontamente, come di rito, e’ arrivata la smentita di Pechino. ”La Cina presta molta attenzione alla cyber-sicurezza e si oppone fermamente ad ogni forma di cyber-attacco”, ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Hong Lei, aggiungendo che ”poiche’ e’ molto difficile individuare l’origine di attacchi da parte di hacker, non si sa quali prove abbiano i media per scrivere cose del genere”. Di certo, il fenomeno rappresenta una notevole fonte di preoccupazione per gli Usa, tanto che la Casa Bianca ha fatto sapere oggi che l’argomento cyber-sicurezza sara’ ben in alto nell’agenda dei colloqui del presidente Barack Obama con il presidente cinese Xi Jinping il mese prossimo in California. Esperti citati dal Post affermano tra l’altro che con le ”intrusioni” la Cina viene a conoscenza dei margini operativi dei militari Usa, ottenendo tecnologia avanzata e risparmiando tempo e miliardi di dollari in ricerca e sviluppo di armamenti, di cui puo’ a sua volta poi dotarsi. In altre parole, per Washington si tratta di una questione di sicurezza nazionale. ”Si sono risparmiati 25 anni di ricerca e sviluppo”, ha affermato un alto ufficiale militare che non vuole essere citato. Secondo James Lewis, del Centro studi strategici e internazionali, ”dieci anni fa si diceva che l’esercito cinese era il piu’ grande museo militare a cielo aperto. Ora non e’ piu’ cosi”’.
fonte: ANSA
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Nyt: ripresi attacchi hacker a compagnie Usa da cyber esercito in Cina
L’Unita’ 61398, la divisione dell’Esercito cinese dedita alla guerra elettronica, ha ripreso gli attacchi hacker alle aziende statunitensi. Lo scrive il New York Times sulla base di un rapporto della Mandiant, compagnia che si occupa della sicurezza informatica. Gli attacchi erano stati interrotti tre mesi fa, dopo le veementi denunce di Washington. Il quartiere generale dell’Unita’ 61398, la leggendaria armata cibernetica cinese, si trova in un palazzo di 12 piani a Shanghai.
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Dissidente in carcere denuncia, sono allo stremo
Il dissidente cinese Zhu Yufu, che si trova in carcere a scontare sette anni con l’accusa di ‘sovversione contro i poteri di stato’, ha denunciato alla sua famiglia, in occasione della visita mensile accordata loro, di essere ormai allo stremo, in pessime condizioni di salute. Lo riferiscono fonti di organizzazioni non governative che si battono per la tutela dei diritti umani in Cina. L’uomo ha in particolare detto di essere svenuto diverse volte e di soffrire di pressione alta, capogiri e nausee frequenti. Ma, secondo le autorita’, egli mente al solo scopo di riuscire ad ottenere gli arresti domiciliari o sconti di pena. Tanto che, per punirlo ulteriormente, e’ stato deciso di non permettergli piu’ di telefonare alla sua famiglia ne’ di ricevere visite. I suoi pasti saranno ancor piu’ frugali. Zhu Yufu era stato condannato a sette anni all’inizio del 2012 per aver pubblicamente e su internet, in piu’ occasioni, incitato la gente, con messaggi e poesie, a scendere in piazza per lottare per una maggiore democrazia nel paese. Gia’ in precedenza, nel 1999, fu incarcerato per l’appartenenza al Partito democratico cinese. Rilasciato nel 2006 venne riarrestato nel 2007.
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Avvocati picchiati e arrestati dalla polizia, cercavano di visitare prigione segreta
Sette avvocati sono stati picchiati e arrestati ieri dalle autorità del Sichuan, nel sud della Cina, mentre tentavano di visitare la più grande “prigione segreta” della provincia. Lo riferiscono fonti di organizzazioni non governative che si battono per i diritti umani. I sette avvocati cercavano di entrare a Ziyang, nella provincia del Sichuan, nella Ziyang Legal Education Center, quando sono stati circondati da poliziotti che li hanno barbaramente picchiati. Due di loro, Tang Tianhao e Jiang Tianyong sono stati feriti pesantemente: il primo ha avuto colpi in testa che gli hanno fatto perdere molto sangue, il secondo è stato ferito alla gamba destra da pietre lanciate dai poliziotti. I sette sono stati arrestati, così come quattro altri avvocati andati in loro soccorso alla stazione della polizia. Tre sono stati rilasciati alle due del mattino, 8 sono ancora in carcere. Fra questi ultimi, anche Tang Jitian, avvocato per i diritti umani che fu arrestato e torturato durante la rivoluzione dei gelsomini di due anni fa. Secondo le informazioni di Human Rights in China, nello Ziyang Legal Education Center ci sarebbero oltre 260 persone. Alcuni dei detenuti sono in cella da 5-6 anni senza formali condanne, qualcuno sarebbe anche morto per le torture subite.
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Il pentagono accusa, con cyberattacchi la Cina vuole mappa rete
Nuovo botta e risposta tra Stati Uniti e Cina sul cyber-spionaggio: in un rapporto annuale, il Pentagono accusa esplicitamente i militari e il governo cinesi di attacchi sistematici a computer dell’amministrazione e di aziende della difesa americane, con lo scopo apparente di ”realizzare un quadro della rete di difese, della logistica e delle relative capacita’ militari Usa, che potrebbe essere sfruttato durante una crisi”. Ma Pechino non ci sta’, e senza mezzi termini bolla le accuse come ”irresponsabili”. E una delle cose che preoccupa di piu’, si sottolinea nel rapporto di oltre 100 pagine, e’ il fatto che ”le capacita’ necessarie per questo tipo di intrusioni, sono le stesse necessarie per condurre attacchi a reti informatiche”. Non si tratta di accuse nuove. Tuttavia e’ particolarmente significativa la forma diretta con cui vengono rivolte alle autorita’ cinesi, come nota il New York Times. Secondo il giornale, stime recenti indicano che circa il 90% del cyber-spionaggio negli Stati Uniti ha origine in Cina. A livello ufficiale a uscire per la prima volta allo scoperto e’ stato nel marzo scorso il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Tom Donilon, quando ha affermato che ”sempre piu’ aziende americane esprimono serie preoccupazioni per sofisticati e mirati furti di informazioni riservate e tecnologie attraverso intrusioni informatiche in arrivo dalla Cina a un livello senza precedenti”. Gia’ a febbraio un’azienda americana di sicurezza informatica aveva diffuso un dossier in cui si dimostrerebbe, attraverso numerosi dati, che oltre 100 attacchi ad aziende in tutto il mondo, e in particolare negli Usa, sono partiti da una sede dell’esercito cine a Shanghai. Sempre a marzo, anche lo stesso presidente Barack Obama ha detto esplicitamente che c’e’ anche lo Stato cinese dietro i cyber-attacchi alle imprese e istituzioni americane. In piu’ occasioni, Pechino si e’ detta ”pronta, sulla base della fiducia e del rispetto reciproci, a condurre un dialogo costruttivo” per affrontare un problema in cui Cina e Stati Uniti sono in realta’ dalla stessa parte, quella delle vittime. Questa volta i toni sono ben piu’ accesi. Le nuove accuse, ha detto il colonnello Wang Xinjun, un ricercatore dell’esercito cinese citato dall’agenzia Xinhua, ”sono irresponsabili e nocive per la reciproca fiducia tra le parti”. Anche la portavoce del ministero degli esteri, Hu Chunying, ha usato argomenti simili, affermando che la Cina contrasta ogni tipo di attacco informatico, ma anche ”tutte le accuse prive di fondamento”, che potrebbero creare problemi nel campo della cooperazione.
fonte: ANSA
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