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Reportage di Beniamino Natale dell’Ansa da Dandong, confine con la Corea del Nord

La citta’ nuova di Dandong e’ uno dei miracoli della Cina contemporanea. La sua costruzione e’ cominciata due anni fa e gia’ ci sono i grattacieli-condomini, le villette a schiera unifamiliari, i massicci edifici destinati ai centri commerciali e lo stadio e’ quasi finito. Gran parte del milione di abitanti della citta’, che sorge sulle rive del fiume Yalu, sul confine con la Corea del Nord, si dovrebbero presto trasferire qui. Nei giorni di festa i piu’ ricchi vengono gia’ con i pullman a guardare le villette – e in piu’ ci saranno tutti i manager e gli impiegati delle imprese, che arriveranno da altre parti della Cina e naturalmente dall’ estero… tutto cio’ dovrebbe avvenire quando sara’ operativa la prima zona economica speciale gestita congiuntamente dai cinesi e dai nordcoreani, chiamata Huang Jinping, che si puo’ tradurre approssimativamente come ”Pianura d’ oro”. Qui, sulla costa della provincia del Liaoning, Cina e Corea del Nord sono separate solo dallo Yalu. Per ospitare la ”Pianura d’ oro” e’ stata scelta un’ isola nordcoreana, che sorge a pochi metri dalla sponda cinese. Tra l’ altro sono in stadio avanzato di costruzione due ponti che collegheranno l’ isola e la terraferma. Si tratta di un grande progetto, che proietterebbe Dandong nel gruppo delle citta’ cinesi in rampa di lancio per la prossima fase dello sviluppo, come Chengdu e Chongqing. Peccato che i nordcoreani, invece di impegnarsi nel fare la loro parte per far diventare realta’ il sogno della “Pianura d’ oro” si dedichino agli esperimenti atomici, accompagnati da oscure minacce di attacchi e di distruzioni rivolte ai loro ”nemici imperialisti”, cioe’ Corea del Sud, Giappone e Stati Uniti. L’ accordo per la creazione della Zona economica speciale, che attirerebbe capitali prima di tutto dalla stessa Cina e dalla Corea del Sud, ma sicuramente anche dal resto del mondo, e’ stato firmato all’ inizio del 2010. I cinesi hanno cominciato i lavori dopo pochi mesi e li hanno cominciati a modo loro, cioe’ a un ritmo indiavolato. Erano gia’ a buon punto quando e’ arrivato sulla scena il nuovo leader nordcoreano, il 29enne Kim Jong-un, terzo esponente della dinastia iniziata dopo la Seconda Guerra Mondiale da suo nonno Kim Il-sung, e proseguita dal padre Kim Jong-il, morto alla fine del 2011, a 70 anni. Jong-un, grasso, con un taglio di capelli a meta’ tra il militare e il punk, ha studiato in Svizzera e gli osservatori ritengono che sia orientato, sul lungo periodo, a far seguire al suo Paese la strada cinese di riforme e apertura. Sara’ perche’ – come molti dicono a Dandong – fatica ad imporre la sua autorita’ ai vecchi generali abituati ad essere aggressivi e onnipotenti ma nel 2011 Jong-un comincia a mostrare il volto intransigente e spesso provocatorio della Corea del Nord. Si comincia coi missili e si arriva, nel febbraio scorso, al terzo esperimento atomico (i precedenti erano stati eseguiti da Jong-il nel 2007 e 2009). La Cina e’ tutt’ altro che contenta e all’ Onu vota a favore delle sanzioni economiche contro Pyongyang. I lavori per la costruzione della nuova Dandong e della ”Pianura d’ oro” non si bloccano, ufficialmente, ma procedono a rilento. Il sogno di Dandong svanisce, ed e’ la seconda volta che succede. Gia’ nel 2002, Kim Jong-il aveva accettato di creare insieme alla Cina una zona economica speciale a Sinuiji, che sorge sulla sponda coreana dello Yalu. Ma si era affidato ad un ambiguo personaggio, un faccendiere arricchitosi in modo misterioso chiamato Yang Bin. Yang deve aver pestato qualche piede sbagliato e nel 2003 viene arrestato e condannato a 18 anni di prigione per evasione fiscale e altri reati economici. Tutto rinviato. La speranza riaccesa dall’ accordo del 2010 si e’ spenta davanti alla nuova aggressivita’ di Kim Jong-un. I cantieri della nuova Dandong oggi appaiono semideserti. Dall’ altra parte della rete una decina contadini nordcoreani zappano la terra arida e salutano con la mano.

fonte: Beniamino Natale per ANSA

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Cina e Corea del Nord, un’alleanza a prova di Bomba. Reportage di Beniamino Natale al confine tra i due paesi

I turisti affollano, come sempre, il ‘Ponte Corto’ di Dandong, una vivace città commerciale di un milione di abitanti nel nordest della Cina, sul confine con la Corea del Nord. “Forse sono un po’ più del solito”, dice una donna che vende souvenir nordcoreani, il volto coperto da un fazzoletto e la testa da un cappellaccio calato sulle orecchie, per proteggersi dalle folate di vento che di tanto in tanto spazzano le coste del fiume Yalu, che separa i due Paesi. Il ponte deve il suo nome ad un bombardamento effettuato dall’ aviazione americana durante la guerra di Corea (1950-53), che lo ha spezzato a metà. Dalla parte cinese, i turisti ridono e si fotografano l’uno con l’altro. Un soldato nordcoreano, le mani in tasca, passeggia sull’altra sponda, a non più di cinquanta metri di distanza, con aria tutt’altro che marziale. Se davvero si sta preparando una guerra, a Dandong non se n’é accorto nessuno. Il giudizio degli abitanti sull’effetto delle sanzioni, che la Cina ha approvato insieme agli altri membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu dopo il test nucleare nordcoreano del 12 febbraio, è unanime: qualche cambiamento di facciata, ma in sostanza “business as usual”, affari come al solito. Dandong è la porta degli scambi tra la Corea del Nord e la Cina del nordest. Commerciati e piccoli imprenditori dei due Paesi, spesso ex militari, portano materie prime in Cina e manufatti dall’altra parte della frontiera. Le regioni settentrionali della Corea del Nord hanno nella relazione con la Cina una fonte insostituibile di beni di consumo e di reddito: secondo un imprenditore locale, sono circa 40mila i lavoratori nordcoreani impiegati nelle fabbriche della zona. “Alcune imprese cinesi hanno aperto delle fabbriche in Corea del Nord – spiega uno di loro – lì si spende un po’ di meno ma i controlli sulla qualità del prodotto sono molto più difficili”. L’afflusso dei lavoratori, secondo notizie apparse sulla stampa cinese e internazionale, sarebbe stato ridotto dopo l’approvazione delle sanzioni, ma i controlli sono impossibili. Le banche hanno congelato i conti intestati a cittadini della Corea del Nord ma non quelli dei loro partner cinesi. “Nella pratica i nostri affari non sono stati toccati”, ha dichiarato un commerciante locale al quotidiano giapponese Asahi Shimbun. Un altro imprenditore afferma che il flusso di camion carichi di merce da una parte all’altra del ‘Ponte dell’Amicizià – costruito dopo la fine della guerra a pochi metri di distanza dal ‘Ponte Corto’ – è diminuito di giorno ma rimane intenso dopo il tramonto. La situazione di Dandong riflette il dilemma della Cina di fronte alle intemperanze del suo turbolento vicino. A Pechino le voci che chiedono di abbandonare la Corea del Nord al suo destino sono sempre più insistenti. Ma le considerazioni geo-strategiche – la possibilità, in futuro, di uno showdown con gli Usa nel Pacifico – e il timore che un crollo del regime di Pyongyang provochi un destabilizzante afflusso di profughi coreani nel nord della Cina – spingono Pechino a mantenere un atteggiamento estremamente prudente verso il piccolo Paese alleato. “E’ vero che nella dirigenza cinese c’é stato un cambiamento fondamentale nel modo di guardare alla Corea del Nord”, sostiene Kim Heung-kyu, professore di Scienze Politiche alla Sungshin Women University di Seul ed esperto della relazioni tra la Cina e le due Coree. “Il precedente presidente, Hu Jintao, considerava la Cina un Paese in via di sviluppo. Il suo successore Xi Jinping ritiene invece che la Cina si debba affermare come la nuova potenza sulla scena internazionale”. “In quest’ottica la Corea del Nord rimane un Paese ‘fratello’, ma un fratello minore, che deve ubbidire a Pechino”. “Ma prima che questo si traduca in cambiamenti visibili della politica cinese verso la Corea del Nord, passeranno degli anni”, assicura il professore.

fonte: Beniamino Natale per Ansa

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La Corea del Nord chiede evacuazione delle ambasciate, 2 missili in rampa

La Corea del Nord ha invitato tutte le ambasciate straniere a Pyongyang a prepararsi per l’eventuale evacuazione: l’ultima mossa del regime, unita al rilevamento di due missili a medio raggio già in rampa di lancio (e nascosti) sulla costa orientale, scuote ancora l’Estremo Oriente. Il messaggio veicolato in mattinata alle rappresentanze diplomatiche, incluse Cina (l’alleato più stretto) e Cuba, si basa sulla considerazione che Pyongyang non potrebbe essere in grado di garantire la sicurezza dell’esercizio delle funzioni del personale dopo il 10 aprile in caso di conflitto. Che non sia finita qui, ne sono convinti anche gli Stati Uniti: non sarebbero “sorpresi” se la Corea del Nord effettuasse a breve altri test missilistici, ha detto oggi il portavoce della Casa Bianca Jay Carney. A Cuba, lo stesso ex ‘lider maximo’ Fidel Castro, in una delle sue ‘riflessioni’ pubblicate dal sito internet Cubadebate, si è appellato al senso di responsabilità chiedendo alla Corea del Nord di “evitare una guerra” che non produrrebbe “alcun beneficio” ai due Paesi della penisola coreana e “causerebbe danni a oltre il 70% della popolazione del pianeta”. Le ragioni della scadenza non sono chiare: in settimana Pyongyang, bloccando i nuovi ingressi ai lavoratori sudcoreani alla zona industriale di Kaesong, ha chiesto alle 123 aziende di Seul presenti nel distretto a sviluppo congiunto l’elenco delle persone che avrebbero lasciato l’area proprio entro il 10 aprile. Gli italiani nella capitale nordcoreana “sono meno di 10: siamo in stretto contatto con loro, così come lo siamo stati nei giorni scorsi”, ha assicurato l’ambasciatore italiano a Seul, Sergio Mercuri, con credenziali a Pyongyang, secondo cui “la loro incolumità è garantita”. “Non risulta che le rappresentanze diplomatiche” stiano evacuando, ha aggiunto Mercuri raggiunto telefonicamente, osservando che “ci sono rapporti continui con le altre rappresentanze diplomatiche per seguire gli sviluppi del caso”. L’Italia è presente da oltre 10 anni con la normalizzazione dei rapporti diplomatici promossa nel 2000 dal ministro degli Esteri Lamberto Dini a seguito di una visita a Pyongyang. I connazionali al momento nel Paese comunista sono soprattutto coinvolti nelle attività delle organizzazioni internazionali e dell’Onu, con scopi umanitari. Secondo quanto appreso dall’ANSA, il ‘warning’ di Pyongyang avrebbe una sua logica: nel momento in cui “siamo un bersaglio, dobbiamo mettere in guardia tutti sui rischi connessi”, ha notato una autorevole fonte militare. “Sui rischi di guerra, c’é da ricordare – ha aggiunto – che gli oltre 7 milioni di riservisti non sono stati richiamati”. Il Foreign Office britannico ha definito dal canto suo l’evacuazione come “retorica anti-Usa”, mentre Mosca (che con la Gran Bretagna ha ufficialmente commentato la mossa nordcoreana) è in stretto contatto con la Cina, gli Usa, la Corea del Sud e gli altri membri del sestetto di mediatori sulla richiesta della Corea del Nord di valutare l’evacuazione dello staff delle ambasciate a Pyongyang, ha rilevato il ministro degli Esteri, Serghiei Lavrov, “preoccupato dalla tensione, anche se solo a parole”. Intanto, i missili a medio raggio, caricati su rampe mobili e nascosti sulla costa orientale, sono diventati due. “All’inizio di questa settimana, il Nord ha spostato su un treno due missili Musudan”, ha affermato un alto funzionario militare citato dall’agenzia Yonhap. C’é l’ipotesi di un lancio a sorpresa, ha aggiunto la fonte, confermando quanto detto ieri dal ministro della Difesa, Kim Kwan-jin, sull’incertezza relativa all’iniziativa: test o esercitazione militare. All’inizio della settimana, era emerso che la Corea del Nord aveva spostato sulla costa orientale un Musudan, vettore a media gittata fino a 3-4.000 km, spingendo gli Usa a piazzare sistemi anti-missile sull’isola di Guam. In risposta, la Corea del Sud ha reso operativi i due cacciatorpediniere Aegis, equipaggiati con sistemi radar di rilevazione e contrasto anti-balistici, per seguire più direttamente la situazione sia sul mar del Giappone sia sul mar Giallo.

Antonio Fatiguso per ANSA

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Pyongyang sposta missile su costa orientale

La Corea del Nord continua a puntare al rialzo e, dopo il via libera definitivo all’esercito per un ”attacco nucleare” contro gli Stati Uniti, l’escalation prende forma con il posizionamento di un missile a medio raggio sulla costa orientale in vista di un test imminente o di un addestramento militare. Il ministro della Difesa di Seul, Kim Kwan-jin, ha svelato l’ultima mossa del Nord in un’audizione dinanzi alla commissione Difesa del parlamento, precisando che non sembra finalizzata a colpire il continente americano, smentendo l’ipotesi di un KN-08 capace di coprire i 10.000 chilometri. Senza specificarne la tipologia, il ministro ha osservato che si ritiene sia in grado di coprire una ”distanza considerevole”. Anche se vi e’ ”una piccola possibilita”’ che la retorica del Nord possa sfociare in un conflitto su larga scala, Kim ha messo in guardia da altre provocazioni, tra scontri di confine e attacchi informatici. Poco prima dell’intervento del ministro, un ‘falco’ nei rapporti con il Nord, ex generale ed ex capo di Stato maggiore, i media di Seul avevano diffuso altre stime dei servizi di intelligence secondo cui il missile in questione sarebbe uno della serie Musudan, capace di coprire 3-4000 chilometri, fino a includere nel suo raggio la base americana di Guam, malgrado non sia stato ancora testato. Da confermare l’opzione sul montaggio di una testata, ma fonti citate dall’agenzia Yonhap prevedono che Pyongyang possa effettuare il lancio a meta’ aprile, per i festeggiamenti solenni del compleanno del fondatore dello Stato, Kim Il-sung. Del Musudan si hanno notizie dall’ottobre 2010, quando fu fatto sfilare a Pyongyang in una parata militare. Nel posizionare il missile sulla sua costa orientale, il Nord ha spinto gli Usa a spostare a Guam i sistemi anti-missile THAAD (Terminal High-Altitude Area Defense) e a far alzare l’allerta in Giappone, mentre nelle Filippine e’ in corso lo spiegamento di una decina di aerei da combattimento F/A-18, caccia supersonici che parteciperanno a esercitazioni militari. La Casa Bianca, dopo aver mostrato la sua potenza militare alla Corea del Nord con i bombardieri B-52, i jet B-2 e F-22, ha rivisto i piani decidendo di accantonare per ora l’approccio aggressivo – secondo il Wsj – sulla scia dei timori che questo possa inavvertitamente ”rafforzare la prospettiva di possibili incomprensioni” e, di riflesso, causare errori di valutazione. Secondo la Russia, la decisione nordcoreana di proseguire sui piani nucleari ”ostacola, se non chiude” le chance di ripresa dei negoziati a Sei, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri russo Aleksandr Lukashevich. Mentre la rappresentante per la politica estera europea, Catherine Ashton, ha rimarcato la ”chiara violazione” delle risoluzioni Onu e degli ”impegni presi nel 2007”da Pyongyang, assicurando che ci sara’ ”una risposta sempre più unita della comunità internazionale”. Proprio al sito nucleare di Yongbyon, secondo lo Us-Korea Institute della John Hopkins University, sarebbero ricominciati i lavori al punto che, in base allo studio delle immagini satellitari, il complesso potrebbe ripartire ”nel giro di settimane, piuttosto che di mesi”. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, si e’ detto ”profondamente preoccupato” per l’escalation della situazione in Corea del Nord, mentre il premier britannico David Cameron ha affermato che la vicenda dimostra come ”oggi piu’ che mai abbiamo bisogno di un deterrente nucleare”. A Kaesong, intanto, anche oggi e’ stato bloccato per il secondo giorno di fila l’ingresso di lavoratori, merci e mezzi sudcoreani alla zona industriale a sviluppo congiunto, malgrado le pressanti richieste di Seul per il ritorno alla normalita’. Mentre Pyongyang, attraverso un portavoce del Comitato per la riunificazione pacifica della Corea, ha ventilato l’ipotesi che il ritorno alla normalita’ possa non maturare a breve.

Antonio Fatiguso per ANSA

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Escalation di provocazioni dalla Corea del Nord, pronte armi atomiche

Pericolosa escalation di provocazioni dalla Corea del Nord: in serata l’esercito di Pyongyang, citato dall’agenzia nordcoreana Kcna, ha dichiarato di aver ricevuto il ”via libera definitivo” per un attacco nucleare contro le basi Usa. Dall’altro lato del Pacifico, Casa Bianca e Pentagono, che hanno nel frattempo inviato un sistema di difesa antimissile a Guam, nel Pacifico, al largo delle Filippine, secondo la stessa Kcna, sono stati informati direttamente da Pyongyang che un attacco nucleare nordcoreano ”e’ possibile” e che le minacce americane saranno ”distrutte” anche con mezzi nucleari, che sono state ”esaminate e ratificate”. ”Nessuno puo’ dire se una guerra esplodera’ o no in Corea e se esplodera’ oggi o domani”, dice ancora la Kcna. Questo l’epilogo di una giornata turbolenta all’altezza del 38/mo parallelo, in cui sono stati evocati venti di guerra sempre piu’ forti. Una giornata cominciata con un’altra provocazione di Pyongyang: la chiusura ai lavoratori del Sud del distretto industriale ”a sviluppo congiunto” di Kaesong. Un gesto riportato dai media di Seul con stupore, perche’ mai finora il piu’ riuscito esempio della cooperazione tra i due Paesi. Non a caso, con l’impennata della tensione, che arriva dopo giorni di minacce crescenti nordcoreani all’indirizzo di Seul e Washington che non hanno risparmiato il tabu’ nucleare, il ministro della Difesa di Seul, Kim Kwan-jin, ha assicurato l’esame di tutte le opzioni possibili, anche di quella militare nel caso di scenario peggiore, qualora la sicurezza dei propri lavoratori nell’ enclave nordcoreano dovesse risultare a rischio. E in serata, dopo che il segretario alla Difesa Usa Chuck Hagel aveva affermato che le minacce nucleari di Pyongyang costituiscono un ”pericolo grave e reale” ma prima del sinistro ultimatum atomico di Pyongyang, il Pentagono ha comunicato che nelle ”prossime settimane” sara’ inviato e dispiegato a titolo ”precauzionale” a Guam (una delle principali basi americane nel Pacifico) un avanzato sistema di difesa missilistico, denominato THAAD (Terminal High-Altitude Area Defense). Dure anche le critiche da Cina e Russia. Pechino ha espresso ”seria preoccupazione” e condannato tutte le ”azioni e le parole provocatorie” che minacciano ”la pace e la stabilita’ nella penisola coreana e nella regione”. Mosca ha definito ”esplosiva” la situazione. E la Francia ha chiesto una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu. I margini d’azione della Cina, tra la necessita’ di frenare l’imprevedibile alleato e di evitare il collasso del regime del ‘giovane generale’ Kim Jong-un, sembrano sempre piu’ sotto pressione. Lo scontro intercoreano ha abbattuto ”la barriera psicologica che nessuno pensava potesse essere superata”, ha detto all’ANSA un’autorevole fonte vicina alle complicate vicende della penisola, parlando di ”oggettiva criticita”’. Finora, il distretto di Kaesong non era stato tirato in ballo nello scontro in modo tanto violento anche perche’, hanno detto altre fonti, ”tutti gli avvertimenti possibili” del Nord, incluse minacce di guerra nucleare e rafforzamento delle armi atomiche, si sono pressoche’ esauriti: i prossimi eventuali passi potrebbero essere provocazioni ”di tipo piu’ pratico”. Prima del blocco dei visti, a Kaesong risultavano esserci 861 sudcoreani: questa mattina, nei piani originari, 484 lavoratori e 371 veicoli di Seul avrebbero dovuto raggiungere il distretto. A fine giornata, ha riportato l’agenzia Yonhap, solo 33 hanno avuto il permesso di partire facendo scendere a quota 822 il numero complessivo di lavoratori nel complesso. Il calo drastico dei rientri, rispetto ai 466 ipotizzati, e’ legato alle esigenze delle 123 aziende attive di garantire operativita’. Tuttavia, il problema della loro sicurezza e’ il primo nella scala delle priorita’ del governo di Seul, perche’ il timore mal dissimulato e’ che, con un altro colpo di mano o un’ipotesi di incidente, possano trasformarsi in possibili ostaggi.

Antonio Fatiguso per l’ANSA

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La Corea del Nord alza il tiro e riavvia reattore nucleare

La Corea del Nord alza ancora il tiro e annuncia il riavvio della centrale nucleare di Yongbyon, fermata nel 2007 dopo un faticoso negoziato maturato al tavolo a Sei. Una decisione per nulla gradita dalla Cina, il piu’ stretto alleato di Pyongyang, che, invitando ”tutte le parti in causa” a ”esercitare la calma e la moderazione”, non ha nascosto il fastidio per l’evoluzione della crisi e ha mobilitato le truppe al confine. Condannano anche gli Stati Uniti. ”Ci difenderemo e difenderemo la Corea del Sud. Abbiamo le capacita’ per farlo” avverte il segretario di Stato John Kerry, annunciando una sua visita a Seul la settimana prossima. ”Non accetteremo – precisa – che la Corea del Nord sia uno stato nucleare”. Incalza anche la Casa Bianca: ”E’ una violazione degli obblighi internazionali”. Ma – sottolinea – fra l’annuncio e il riavvio effettivo del reattore nucleare ”la strada e’ lunga”. La centrale fu chiusa nell’ambito dei negoziati a Sei (di cui fanno parte le due Coree, Cina, Usa, Russia e Giappone), lanciati nel 2003 per ”invitare” Pyongyang ad abbandonare le sue ambizioni atomiche in cambio di aiuti. ”Chiediamo la ripresa di dialogo e consultazioni quanto prima in modo da cercare insieme modi per risolvere adeguatamente il problema”, ha commentato il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Hong Lei. La Cina ha allertato le truppe sul confine con la Corea del Nord, temendo che lo sgretolamento del regime porti al massiccio afflusso di profughi sul suo territorio: secondo fonti Usa, negli ultimi giorni si sono avuti forti movimenti di soldati. L’insofferenza di Pechino e’ in crescita, cosi’ come si sono moltiplicati i segnali per riportare l’imprevedibile vicino alla ”ragionevolezza” dopo il terzo test nucleare del 12 febbraio. Non solo il voto favorevole della Cina alla stretta delle sanzioni in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ma anche lo stop all’export a febbraio di 30-50.000 tonnellate di greggio e, da ultimo, il blocco – secondo la tv sudcoreana Ytn – dei visti di lavoro ai cittadini nordcoreani. Lo stop prolungato potrebbe costare molto a Pyongyang, dato che ogni lavoratore (30.000 circa quelli ora impegnati negli impianti al confine) percepisce 2-300 dollari al mese, riscossi direttamente dallo Stato. Il rilancio di Yongbyon, a circa 90 chilometri a nord di Pyognyang, permettera’ al Nord l’estrazione di plutonio dalle barre di combustibile esaurito, aumentando lo stock che, secondo le ultime valutazioni fatte dall’ex segretario di Stato Usa Hillary Clinton, e’ sufficiente allo stato per fabbricare dai sei agli otto ordigni. Alla centrale, ha riferito l’agenzia ufficiale Kcna citando un portavoce del Dipartimento generale per l’energia atomica, ”saranno adottate tutte le misure per riavviare il reattore e per ristrutturare gli impianti associati”. Per altro verso, la scelta e’ ”coerente” con i propositi di ”rafforzare l’arsenale atomico in termini di qualita’ e quantita”’ ed e’ funzionale a risolvere la ”grave” carenza d’energia elettrica, malgrado gli ingenti lavori dopo che la torre di raffreddamento nel complesso di fabbricazione sovietica fu demolita nel 2008 con l’esplosivo, nel rispetto dell’accordo raggiunto nel negoziato a Sei. Secondo la Russia, la priorita’ nella Penisola coreana e’ di ”evitare uno scenario militare”, mentre il segretario generale dell’Onu, il sudcoreano Ban Ki-moon, ha parlato di crisi politico-diplomatica ”andata troppo oltre”: e’ necessario tornare al negoziato. Dure critiche alla riapertura di Yongbyon sono state espresse da Corea del Sud e Giappone ”per la violazione dei colloqui a Sei e delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu”. Sul fronte Usa, la Marina ha spostato il cacciatorpediniere antimissili Fitzgerald, dotato di standard Aegis, intorno alla penisola coreana, dopo i superbombardieri B-52, i caccia F-22 e gli ipertecnologici B-2, coinvolti a vario titolo nelle manovre militari congiunte tra Washington e Seul. ”Il loro schieramento pensiamo abbia ridotto le chance di errori e provocazioni”, ha detto Jay Carney, portavoce della Casa Bianca. Oltre il 38/mo parallelo, nonostante la retorica, ”non ci sono segnali rilevanti di movimenti militari”, ha assicurato in serata il ministero della Difesa di Seul.

Antonio Fatiguro epr l’ANSA

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Salta dirigente del Pcc, propose sul Financial Times di abbandonare Kim Jong-Un

Deng Yuwen, vicedirettore di Study Time, quotidiano della Scuola centrale del Partito comunista cinese (Pcc), è stato rimosso dall’incarico per aver scritto la scorsa settimana un articolo sul Financial Times, in cui sosteneva che per Pechino i tempi fossero maturi “per abbandonare” la Corea del Nord e per lavorare, invece, alla riunificazione della penisola. Lo ha confermato lo stesso Deng intervistato dal quotidiano sudcoreano Chosun Ilbo, raggiunto telefonicamente: “Sono stato sollevato dalla mia posizione a causa di quell’articolo e sospeso a tempo indeterminato. Anche se ancora retribuito dalla società, non so quando mi sarà assegnato un altro incarico”. Deng ha aggiunto che il ministero degli Esteri cinese è rimasto “molto indispettito” per l’articolo, al punto da aver chiamato la Scuola centrale del Pcc per lamentarsi. Nell’articolo del 27 marzo per l’Ft, Deng scriveva in particolare che il “terzo test nucleare della Corea del Nord è un buon momento per la Cina di rivedere l’alleanza di lunga data con la dinastia Kim. Per diversi motivi, Pechino dovrebbe rinunciare a Pyongyang e premere per la riunificazione della penisola coreana”.

fonte: ANSA

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COREA NORD: ENTRATI IN ‘STATO DI GUERRA’ CON IL SUD (update)

La Corea del Nord ha annunciato di essere entrata in uno ”stato di guerra” con il Sud e che ogni questione tra i due paesi sarà trattata su questa base.
”D’ora in poi le relazioni intercoreane sono di guerra e tutti i problemi tra le due Coree saranno trattati secondo un protocollo adatto alla guerra”, si legge in una dichiarazione ‘speciale’ congiunta dall’alta retorica, peraltro non nuova, di ”partito, ministeri e altre istituzioni” rilanciata dall’agenzia ufficiale Kcna. ”Situazioni nella penisola coreana, che non sono ne’ di pace e ne’ di guerra, sono giunte alla fine”, si legge ancora nel dispaccio, in cui si menziona la riunione d’emergenza convocata appena giovedi’ dal leader nordcoreano Kim Jong-un per approvare i piani che hanno per obiettivo mettere nel mirino target negli Usa e in Corea del Sud, dopo l’utilizzo dei super bombardieri B-2 nelle esercitazioni congiunte di Washington e Seul destinate a concludersi a fine aprile. La ”decisione importante” di Kim e’ un ultimatum alle ”forze ostili e una decisione definitiva per la giustizia”. Pur in attesa dell’ordine di attacco del ‘giovane generale’ e leader supremo, e’ innegabile ”una rappresaglia senza pieta’ in caso di atti di provocazione” da parte degli Stati Uniti o della Corea del Sud. Tra le due Coree, separate all’altezza del 38/mo parallelo, c’e’ ancora formalmente uno stato di guerra visto che per porre fine al sanguinoso conflitto del 1950-53 fu siglato un armistizio e non un trattato di pace formale, ‘annullato’ pochi giorni fa da Pyongyang insieme a tutti i patti di non aggressione con il Sud in risposta al ciclo di manovre militari speciali (denominate ‘Key Resolve’), tenute da Usa e Corea del Sud dall’11 al 21 marzo.

fonte: ANSA

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Missili nord coreani puntati su Usa

I venti di guerra soffiano con più forza sulla penisola di Corea, con Pyongyang che ha messo in stand-by i propri missili puntati sulle basi Usa e Washington che ha inviato nell’area i bombardieri strategici B-2, gli aerei più costosi e letali di sempre. E da alcune foto scattate nella ‘war room’ del leader nordcoreano Kim Jong-un, dotato di computer Mac della americanissima Apple, emergono dettagli (difficile dire se diffusi volutamente) sul ‘Piano delle forze strategiche per colpire gli Stati Uniti’, con tanto di elenco di armi e mezzi in possesso delle truppe del regime comunista. Di sicuro c’é che Pyongyang ha rafforzato le attività alle basi missilistiche di medio-lungo raggio, a stretto giro dall’ordine di allerta firmato dal ‘giovane generale’. La terza generazione al potere della famiglia Kim ha disposto che le unità balistiche abbiano come target le basi americane continentali, quelle del sud del Pacifico e in Corea del Sud, in risposta all’invio, deciso da Washington per la prima volta in assoluto, dei super bombardieri B-2, dotati di armi atomiche, alle manovre militari con Seul che si chiuderanno a fine aprile. “Siamo pronti alla resa dei conti”, hanno ripetuto in modo ossessivo e per l’intera giornata i media nordcoreani, dando un ampio resoconto delle manifestazioni di centinaia di migliaia di soldati e civili che, nel Paese e a Pyongyang, hanno espresso “sostegno alla leadership contro l’imperialismo”. “Siamo ancora alle fasi di ‘guerra verbale e psicologica’ – ha detto all’ANSA un’autorevole fonte diplomatica straniera e familiare al dossier nordcoreano -, ma è innegabile che, con Seul più insofferente, anche una provocazione oltre i limiti potrebbe causare pesanti problemi”. La Cina ha ribadito la richiesta di “sforzi comuni per riportare la distensione”: Pechino, tradizionale alleato del Nord, ha mostrato piena insofferenza votando le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu contro il Nord in risposta al test nucleare del 12 febbraio. In tempi normali, difficilmente i B-2 avrebbero volato sulla penisola coreana. Le mosse militari unilaterali possono portare la situazione “fuori controllo”, è stato l’allarme lanciato dal ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, che ha invitato a “non gonfiare i muscoli” e a “non usare la situazione come pretesto per risolvere con mezzi militari obiettivi geopolitici”. Ribadendo che la “bellicosa retorica della Corea del Nord aumenta solo l’isolamento del Paese”, il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnst, ha rilevato l’impegno Usa a “proteggere gli alleati nella regione”, nel coordinamento con Cina e Russia. Secondo fonti militari di Seul, “movimenti di veicoli e truppe” sono stati registrati al sito balistico nel nordovest di Tongchang-ri, lo stesso da dove lo scorso 12 dicembre è stato lanciato con successo il razzo/satellite a lunga gittata, rilanciando le ipotesi di un ulteriore test in arrivo. Usa e Corea del Sud stanno tenendo “una stretta” vigilanza sui movimenti nelle basi del Nord, secondo l’agenzia Yonhap, vista lo stato delle truppe “in assetto da combattimento”. Non è chiaro se si sia trattato di un’azione studiata dalla propaganda oppure di un clamoroso errore: fatto sta che le foto di Kim Jong-un, con il Mac sulla scrivania e impegnato in una riunione d’emergenza con quattro ufficiali dello stato maggiore, contengono indicazioni sugli armamenti. Le immagini, rilanciate dall’agenzia Kcna e dalla tv pubblica Kctv, sono state diffuse sulla decisione di puntare i missili contro obiettivi Usa. Alle sue spalle, in quello che ha le caratteristiche di un ‘gabinetto di guerra’, c’é lo schema cartaceo su cui campeggia la dicitura ‘Piano delle forze strategiche per colpire gli Stati Uniti’. La lista, sulla destra, mostra che la Corea del Nord dispone nel complesso di 40 sottomarini, 13 navi da sbarco, sei dragamine, 27 navi ausiliarie e 1.852 aerei, mentre altri numeri e tipologie di mezzi sono del tutto coperti dagli ufficiali. Il libro bianco 2012 del ministero della Difesa sudcoreano ha stimato numeri in parte differenti, come nel caso degli aerei da combattimento (820) e delle navi da sbarco (260). Altre foto diffuse martedì sulle esercitazioni navali sono finite del mirino per il sospetto di ritocco con ‘photoshop’: lo sbarco in grande stile immortalato ha “almeno due, forse tre degli otto Hovercraft ‘incollati’ sulla scena”, ha scritto il magazine americano Atlantic. Anche le immagini delle manovre trasmesse in tv potrebbero essere solo di repertorio. L’ipotesi più credibile è che la Corea del Nord sia a corto di carburante: Pechino, secondo i dati delle dogane cinesi, non ha infatti consegnato a febbraio le circa 30-50.000 tonnellate mensili di carburante. Per diversi osservatori è un motivo a Pyongyang per un ritorno “a una più mite condotta”.

fonte: Antonio Fatiguso per l’Ansa

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Kim Jong-un titolare di conti miliardari in Cina secondo inchieste giornalistiche

Il leader nord coreano Kim Jong-Un avrebbe dozzine di conti bancari a Shanghai e in diverse altre parti della Cina, per un totale di diversi miliardi di dollari. Lo riferisce la stampa di Taiwan che riporta una notizia del giornale di Seul, Chosun Ilbo. Secondo quanto scrive il China Times, a scoprirlo sarebbe stata una indagine congiunta di Corea del Sud e Stati Uniti iniziata gia’ diversi anni fa. E su questi conti, starebbero arrivando pressioni alla Cina. ”Abbiamo individuato i nomi degli intestatari dei conti e i numeri di conto, alcuni dei quali a nome dell’ex leader coreano Kim Jong-il” ha fatto sapere una fonte governativa sud coreana. I conti sono stati esclusi dalle sanzioni finanziarie relative alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 2098 approvata il 7 marzo scorso. Infatti anche se Pechino ha promesso di cooperare con gli Stati Uniti e con la Corea del Sud nell’arginare la Corea del Nord dopo il suo terzo test nucleare, il governo cinese ha rifiutato di appoggiare l’inclusione dei conti nelle sanzioni previste dalle Nazioni Unite. ”Pechino resta riluttante – scrive il Chousun Ilbo – nel toccare il vero tallone di Achille della Corea del Nord”. La Corea del Sud ritiene che il congelamento dei conti che Kim Jong-Un ha in Cina avrebbe un impatto molto maggiore di quello dei 50 conti di suo padre presso la Banca Delta Asia di Macao. Nel 2005 gli Stati Uniti infatti congelarono 25 milioni di dollari che Kim Jong-il aveva su conti bancari nell’ex possedimento portoghese. La Nord Corea rispose contro queste misure nel 2006 con il lancio di un missile di lungo raggio e il suo primo test nucleare.

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