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Tanti i leader mondiali iscritti a Sina Weibo

Sono sempre più numerosi i leader mondiali che utilizzano i social network per comunicare e molti di questi hanno scelto di iscriversi anche ai social network cinesi. Dal momento infatti che in Cina Twitter, Facebook e altri sono vietati, esiste una serie di social network made in China molto diffusi tra i giovani e non del paese del dragone. Tra questi, il più diffuso è certamente Weibo, una sorta di Twitter cinese. Secondo la Sina, la società proprietaria di Weibo, come riportato dalla stampa cinese, sarebbero almeno 200 i leader mondiali che hanno deciso di utilizzare il social network cinese di microblog. Tra questi, il presidente israeliano Shimon Peres, il premier britannico David Cameron, il presidente venezuelano Nicolas Maduro e anche il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. Oltre a loro, che comunque utilizzano Weibo senza continuità, facendo passare diverso tempo tra un post e l’altro, ci sono anche organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite (che hanno 587.000 followers) e il Comitato Olimpico Internazionale con 21 milioni di followers.

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Linkedin sbarca in Cina, on line versione in mandarino

Il social network americano LinkedIn, l’unico a non essere oscurato dalla censura cinese, ha lanciato una versione in Mandarino. Gli altri maggiori siti di comunicazione, come Youtube, Facebook e Twitter, sono bloccati dalla cosidetta Grande Muraglia di Fuoco, cioè un complesso sistema di censura della rete gestito da migliaia di esperti e basato sia su parole chiave che su interventi diretti dei censori, che scelgono i siti da bloccare. Jeff Weiner, l’amministratore delegato della compagnia, che è basata a Mount View in California, ha affermato in un a dichiarazione che LinkedIn “sostiene con forza la libertà di espressione”. Weiner ha aggiunto che la compagnia ha considerato a lungo il problema della censura in Cina, consultandosi con esponenti del governo di Pechino, con esperti americani e con gruppi umanitari. LinkedIn ha comunque dovuto accettare dei compromessi per operare in Cina. La versione in cinese, infatti, non permette di creare “gruppi di discussione” che potrebbero essere usati per contrastare il regime a partito unico. LinkedIn è usato sopratutto per contatti di lavoro tra professionisti e ha 277 milioni di membri sparsi in oltre 200 paesi.

fonte: ANSA

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Kerry in Cina denuncia censura, “internet sia libero”

In una aperta sfida al governo cinese, il segretario di Stato americano John Kerry ha incontrato oggi nei locali dell’ Ambasciata americana di Pechino alcuni blogger critici verso il regime a partito unico. Nel corso dell’ incontro, che e’ durato 40 minuti, Kerry ha chiesto alla Cina di “sostenere la liberta’ di Internet”. “Chiaramente, noi pensiamo che con una maggiore liberta’ su Internet l’ economia cinese diventera’ piu’ forte”, ha affermato il segretario di Stato, che da ieri e’ in visita in Cina e che e’ stato ricevuto dal presidente cinese Xi Jinping, dal premier Li Keqiang e dal ministro degli esteri Wang Yi. I blogger hanno chiesto a Kerry di sostenere la liberta’ di Internet e di appoggiare gli attivisti per i diritti umani. Uno di loro, Zhang Jialong, che lavora per uno dei giganti cinesi delle comunicazioni, la Tencent, e che gestisce un “microblog” seguito da 110mila persone, ha sostenuto che la situazione in Cina “non e’ affatto migliorata” negli ultimi anni. Zhang ha citato i casi di Xu Zhiyong, l’ avvocato e attivista condannato a quattro anni di prigione in gennaio per aver “radunato una folla per disturbare l’ ordine pubblico”, e di Liu Xiaobo, il professore e premio Nobel per la pace che sta scontando una condanna a 11 anni di reclusione per “sovversione”. Il blogger ha chiesto al segretario di Stato di visitare la moglie del premio Nobel, Liu Xia, tenuta illegalmente agli arresti domiciliari da oltre tre anni, ricevendo una risposta evasiva. Kerry si e’ limitato a dire che gli Usa “sollevano costantemente questi problemi” con i loro interlocutori cinesi e che “continueranno a farlo, ad ogni livello”. Jialong ha anche accusato alcune compagnie americane di “aiutare” i censori che gestiscono la cosiddetta “Grande Muraglia di Fuoco”, cioe’ il sistema di controlli che impedisce l’ accesso ai siti di comunicazione sociale come Twitter, Youtube e Facebook, considerati pericolosi dal governo cinese. In passato la Microsoft e’ stata accusata dal sito di dissidenti GreatFire di aver censurato alcune parole chiave considerate “delicate” da Pechino – come “Dalai Lama”, il leader tibetano in esilio che e’ una spina nel fianco per il governo, e “incidente del 4 giugno”, vale a dire il massacro del 1989 di piazza Tiananmen – su un motore di ricerca in cinese da lei gestito, Bing.com. Inoltre, l’ ufficio di Yahoo! in Cina e’ stato denunciato per aver permesso alle autorita’ di arrestare il giornalista Shi Tao, che aveva diffuso su Internet il testo di un documento del Dipartimento per la propaganda del Partito Comunista Cinese, fornendo i dati necessari ad identificarlo. Arrestato nel 2005, Shi Tao e’ stato condannato a dieci anni di prigione ed e’ stato rilasciato nel settembre del 2013. Kerry ha risposto di non aver mai sentito, in precedenza, accuse di complicita’ con la censura cinese rivolte a compagnie americane. Oltre a Zhang Jialong hanno partecipato all’incontro Wang Keqing, impegnato nella denuncia della corruzione e per la difesa dell’ ambiente, l’ ex-giornalista Ma Xiaolin e Wang Chong, direttore di un canale di blog per conto di uno dei principali portali cinesi. “Ho sottolineato che il rispetto dei diritti umani e il libero scambio di informazioni contribuiscono a rafforzare una societa”’, ha riferito Kerry al termine dei suoi incontri con i dirigenti cinesi.

fonte: Beniamino Natale per ANSA

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A dicembre i primi analisti dell’opinione pubblica

La Cina ha deciso di riconoscere formalmente la figura dell'”analista dell’opinione pubblica”, al fine di dare la possibilità ai politici e agli amministratori di meglio comprendere le esigenze della società. Lo riferisce il China Daily. Gli analisti sono coloro che verificano sui siti e sui social network, oltre che sui media tradizionali, le opinioni degli utenti rispetto ai politici e al governo. Il primo gruppo di certificati sarà emesso, secondo quanto ha fatto sapere il Ministero delle Risorse Umane e della Sicurezza Sociale, verso metà dicembre dopo che gli interessati, che hanno fatto richiesta a settembre, avranno completato un periodo di formazione costituito da otto corsi di vario tipo. I corsi cominceranno il prossimo 14 ottobre e gli interessati dovranno pagare una retta di iscrizione di 7800 yuan (oltre 900 euro). Molti, specie tra i giovani, quelli interessati a questa nuova opportunità. Tra questi Weng Zhihao, un ragazzo di 23 anni, studente universitario di Pechino, laureato in giornalismo, secondo il quale il possesso di questo certificato lo renderà più competitivo nel mercato del lavoro. Steven Dong, vice segretario generale dell’Associazione cinese di pubbliche relazioni, ha dichiarato che il lavoro degli analisti sta diventando sempre più importante in un’epoca di esplosione delle informazioni come quella attuale. “A volte una grande quantità di dati crea più problemi che utilità per le persone – ha detto Dong – si richiede la capacità di evidenziare le informazioni importanti tra la massa di informazioni spazzatura. Inoltre l’analisi dell’opinione pubblica fornisce un nuovo canale per il governo per capire l’umore pubblico rapidamente anche se non magari in maniera sempre perfetta”. Non manca chi è perplesso e teme soprattutto che la censura cinese possa di fatto intervenire a vanificare gli effetti benefici di una iniziativa di questo tipo. ”E’ come un coltello da cucina – ha commentato a questo proposito Yu Guoming , direttore dell’Istituto di Opinione Pubblica presso l’Università del Popolo – si può utilizzare per tagliare il cibo o per ferire. La professione, di per sè stessa, è neutrale”.

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Almeno 2 milioni di freelance monitorano rete per conto autorità

Almeno due milioni di persone in Cina vengono impiegate dal governo di Pechino per monitorare l’opinione pubblica sui social media. Lo scrive il Beijing News. Secondo l’articolo, molti di questi analisti sarebbero free lance incaricati di identificare coloro che esprimono accuse contro il governo. Gli analisti tengono poi informati i vertici locali via sms o report quotidiani. Questi analisi sono in campo da oltre sei anni, ma della loro esistenza si è parlato ufficialmente solo all’inizio del mese, in un convegno organizzato da un gruppo del Quotidiano del Popolo. Molti di questi utilizzano uno speciale software per cercare i nomi dei leader sui principali motori di ricerca e social network. Oltre a loro, le autorità impiegano anche persone che scrivono post favorevoli alle autorità per bilanciare quelli negativi.

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Smentito stop censura web in zona libero scambio di Shanghai

Le autorità cinesi hanno smentito il via libera all’accesso, nell’area di libero scambio di Shanghai, ai siti bloccati dalla censura, come Facebook, Youtube, Twitter e il sito del New York Times. Qualche giorno fa un giornale di Hong Kong aveva diffuso la notizia che le autorità cinesi avrebbero permesso la libera navigazione sui siti bloccati in tutta la Cina, nella nuova Shanghai Free Trade Zone che aprirà il prossimo 29 settembre. Questo, secondo il giornale dell’ex colonia britannica, per permettere ai numerosi imprenditori e investitori cinesi che dovrebbero affollare l’area di quasi 30 chilometri quadrati, di sentirsi come a casa propria. Ma oggi, la smentita delle autorità è arrivata dalle colonne del portale dell’agenzia Nuova Cina.

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Internet senza censura in zona libero scambio di Shanghai

Navigazione su internet senza censura nella Free Trade Zone che il governo centrale e quello di Shanghai stanno per realizzare in una zona della capitale economica cinese. E’ quello che scrive oggi il South China Morning Post, secondo il quale nella nuova zona creata per favorire economia e scambi con l’estero, si potrà navigare senza problemi sui siti normalmente censurati in Cina come Facebook, Youtube e Twitter. Non c’è niente di ufficiale, ma secondo il quotidiano di Hong Kong, la decisione sarebbe nata per due ragioni: da un lato quella di favorire l’ingresso nella area di libero scambio anche di operatori stranieri di telecomunicazioni e la seconda per agevolare la vita e il lavoro dei molti stranieri che si spera affollino la zona. Non ci sono per ora molti dettagli sull’iniziativa. Si sa solo che l’area dovrebbe essere inaugurata il prossimo 29 settembre (anche se non si esclude un rinvio). E’ un progetto fortemente voluto dal premier Li Keqiang e dovrebbe fare concorrenza a Hong Kong. La Free Trade Zone di Pudong, l’area nuova di Shanghai con i grattacieli dove sorge anche il maggiore aeroporto (e dove sorgerà nel 2015 una Disneyland), dovrebbe diventare banco di prova anche per lo Yuan, per gli investimenti stranieri, per liberalizzare il sistema cinese.

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Datagate: i sospetti dei servizi americani sulla Cina

Quello dell’intelligence americana è più di un sospetto: che dietro al ‘datagate’ ci sia la mano cinese. E non solo perché Edward Snowden, la talpa che ha svelato il programma americano di spionaggio della rete, si è rifugiato ad Hong Kong. La sensazione degli 007 e di molti altri a Washington è che la vicenda faccia parte di un colpo che le autorità di Pechino hanno voluto assestare proprio mentre si stanno ridisegnando gli equilibri tra Stati Uniti e Cina. Con quest’ultima sempre più nel mirino per la questione dei cyberattacchi alle istituzioni, alle aziende e alla stampa americane. E’ un ex agente della Cia a confermare come all’interno dei servizi segreti statunitensi si guardi ai cinesi per capire ciò che è accaduto nei giorni scorsi: “Ho parlato a Washington con alcune persone vicino all’amministrazione e all’intelligence e ho avuto conferme che stanno cercando di capire se dietro alla vicenda vi sia un caso di spionaggio da parte della Cina”, ha affermato l’ex 007 Bob Baer alla Cnn, sottolineando come il posto scelto da Snowden per la fuga non è casuale. “Hong Kong é controllata dall’intelligence cinese, non è più un’area indipendente dalla Cina. E sembra che Snowden – aggiunge Baer – sia sotto il controllo delle autorità cinesi”. Di sicuro – come scrivono in molti sui media americani e internazionali – la vicenda è destinata a mettere a dura prova le relazioni tra Washington e Pechino, proprio nel momento in cui Barack Obama e Xi Jinping – incontratisi venerdì e sabato in California – stanno tentando di rilanciarle. E’ un test potrebbe essere proprio quelle dell’eventuale domanda di estradizione di Snowden verso gli Stati Uniti. Estradizione chiesta a gran voce da molti membri del Congresso americano, ma su cui Pechino potrebbe mettere il veto. “L’amministrazione deve immediatamente avviare con Hong Kong le procedure per l’estradizione”, ha detto il senatore repubblicano, Pete King, definendo Snowden un “transfuga” che rischia da 15 a 20 anni di detenzione per la rivelazione di informazioni segrete. Di contro, in poche ore oltre 13 mila cittadini americani hanno firmato una petizione alla Casa Bianca per chiedere “il perdono” di Edward Snowden, definito “un eroe nazionale a cui dovrebbe essere immediatamente garantito il perdono assoluto per ogni crimine eventualmente Ma al momento l’amministrazione non si pronuncia, ribadendo solo come il presidente Barack Obama sia interessato a un dibattito per stabilire il maggior equlibrio possibile tra protezione della privacy e sicurezza nazionale. “Non parliamo né della talpa né delle indagini in corso”, ha per il resto tagliato corto il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney. Intanto Lonnie Snowden, il padre della talpa del datagate si é detto preoccupato per la sorte del figlio che, secondo il Washington Post, avrebbe lasciato l’albergo di Hong Kong dopo aver registrato l’intervista con il Guardian in cui si è uscito allo scoperto. E tramite un’intervista all’australiana Abc si è fatto sentire anche Julian Assange, il fondatore di Wikileaks sul quale gli Stati Uniti vorrebbero mettere le mani: “Ero in contatto con Edward Snowden – ha detto dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra dove è rifugiato -: è un esempio per tutti noi”.

fonte: ANSA

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Gli Usa insistono: Chuck Hagel, capo del Pentagono, continua ad accusare cinesi per cyberspionaggio

Alla vigilia del faccia a faccia tra il presidente americano Barack Obama e il presidente cinese Xi Jinping in California, il capo del Pentagono, Chuck Hagel, e’ tornato a sferzare la Cina sulla spinosa questione del cyber-spionaggio: lo ha fatto da Singapore, davanti ad una platea di militari cinesi, che sembrano aver reagito con una certa stizza. Gli Stati Uniti tengono gli occhi aperti sulle sfide nel cyber-spazio, ha detto Hagel nel corso dell’annuale conferenza sulla sicurezza nota come ‘Shangri La Dialogue’, aggiungendo esplicitamente che molte delle intrusioni informatiche nei computer della difesa, delle industrie e istituzioni finanziarie americane ”sembrano essere collegate al governo e alle forze armate cinesi”. Ma allo stesso tempo, Hagel ha affermato che gli Usa sono ”determinati a lavorare vigorosamente con la Cina e altri partner per stabilire norme internazionali per un comportamento responsabile nel cyber-spazio”. Il 7 e 8 giugno i presidenti di Stati Uniti e Cina si incontreranno per un vertice informale nel Rancho Mirage, una distesa di 80 ettari dove c’e’ la residenza Sunnylands, nel cuore del deserto del Mojave, che in passato ospito’ anche Nixon e Reagan. La questione del cyber-spionaggio sara’ ovviamente al centro dell’agenda dell’incontro, di certo assieme alla cosiddetta ‘guerra dello yen’ e all’annosa questione dei diritti umani, che coinvolge anche il lavoro minorile e la leale concorrenza commerciale, e alla presenza militare Usa in Asia. E non a caso, a Singapore, Hagel ha anche parlato dell’ impegno del Pentagono in Asia, assicurando che, nonostante i tagli al bilancio del Dipartimento della Difesa, continuera’ a crescere e affermando che ”sarebbe poco saggio e miope concludere…che il nostro riequilibrio (nell’area) non puo’ essere sostenuto”. Dopo di lui ha preso la parola un generale cinese, Yao Yiunzhu, direttore del centro per le relazioni militari Cina-Usa dell’accademia delle scienza militari cinesi, che ironicamente ha detto, rivolto ad Hagel, ”grazie per aver citato cosi’ tanto la Cina”. E allo stesso tempo ha affermato che la Cina ”non e’ convita” da tutte le rassicurazioni di Washington che la sua crescente presenza militare in Asia non ha lo scopo di contenere la potenza cinese. Poche ore dopo, da Pechino un portavoce del ministero degli esteri ha peraltro anche diffuso una nota condannando le affermazioni contenute in un comunicato relativo ai fatti di piazza Tiananmen del 1989 apparso di recente sul sito web del Dipartimento di Stato. Gli Stati Uniti, ha affermato il portavoce, ”dovrebbero smetterla di interferire nelle questioni interne cinesi, per non sabotare le relazioni cino-americane”. Un’altra questione che con ogni probabilita’ sara’ sul tavolo del vertice in California, dove Obama e Xi arriveranno con l’ambiziosa prospettiva di ravvivare quello il G2, la partnership cruciale per i destini del pianeta.

fonte: ANSA

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Monito del Pentagono alla Cina sugli hacker, “ora servono regole”

Basta con la guerra nel cyber spazio: la Cina deve decidersi a fermare i suoi hacker che imperterriti, nonostante le tante proteste, continuano a violare istituzioni e imprese americane. E deve accettare la messa a punto di regole di comportamento chiare e trasparenti. Il monito arriva dal capo del Pentagono, Chuck Hagel, a una settimana dal summit informale tra Barack Obama e Xi Jinping in California. L’amministrazione statunitense mette subito in chiaro che quello dei cyber attacchi dovrà essere uno dei punti cruciali nell’agenda del faccia a faccia tra il presidente americano e quello cinese: una sorta di ‘ritiro’ che si svolgerà in un ranch nel cuore del deserto del Mojave, che in passato ospitò anche Richard Nixon e Ronald Reagan. “I cyber attacchi sono una minaccia reale e molto pericolosa, come gli attacchi reali”, ha ammonito Hagel in viaggio verso l’Asia per una serie di incontri, a partire dalla tappa di Singapore. Per questo – sottolinea il capo del Pentagono – serve un ‘codice di comportamento’ che fermi l’escalation di quella che sta diventando una vera e propria guerra del cyber spazio. Del resto siamo a un passo dalla goccia che potrebbe far traboccare il vaso, con gli hacker che nelle ultime settimane hanno a messo a dura prova proprio i sistemi della Difesa americana, violando alcuni segreti militari relativi alla realizzazione di nuovi armamenti: missili, supercaccia da combattimento, navi da guerra. Una situazione che il Pentagono giudica intollerabile ed estremamente pericolosa. “Gli Stati Uniti sanno da dove provengono la maggior parte di questi attacchi, dobbiamo essere onesti”, ha attaccato Hagel, per il quale le autorità di Pechino non possono più nascondersi dietro un dito. Devono affrontare il problema prima che succeda l’irreparabile. E il confronto, anche confidenziale, tra Obama e Xi è un’occasione da non perdere per fare dei passi in avanti su questa vicenda. Del resto l’attività degli hacker è un qualcosa che colpisce anche l’economia e la finanza ‘made in Usa’, con decine di imprese (anche i principali giornali come il New York Times o il Wall Street Journal) e società di Wall Street i cui sistemi informatici vengono oramai costantemente violati. Insomma, uno spionaggio a tutti i livelli usando le tecnologie informatiche più moderne. Nel mirino dell’amministrazione statunitense, però, non c’é solo la Cina – di certo la più pericolosa sul fronte dei cyber attacchi – ma anche Paesi come l’Iran e la Corea del Nord. E Casa Bianca e Pentagono, seppur in tempi di risparmi, stanno investendo come non mai proprio per rafforzare le misure di sicurezza e rendere sempre più impenetrabili le difese dei propri sistemi informatici. Ma ad essere finanziati anche strumenti pensati per la controffensiva.

fonte: ANSA

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