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Da marzo vietato ai media stranieri pubblicare online in Cina

Altro che apertura: il Ministero dell’Industria e dell’Information Technology ha diffuso nuove regole che, se fossero applicate come scritto, in sostanza, impedirebbero a qualsiasi organo di informazione straniero, editori, società di giochi on line, fornitori di informazioni, e le società di intrattenimento, tutti rigorosamente non cinesi, a cessare le attività a partire dal 10 marzo. Il nuovo regolamento, realizzato in  in collaborazione con la State Administration of Press, Publication, Radio, Film and Television (SARFT), comprende regole molto più severe su ciò e chi può pubblicare on line. Di seguito un lungo articolo esplicativo (in inglese) ripreso da qui. Ne ha parlato anche Repubblica, qui.

In the latest sign that China’s long-touted “opening up” is reversing into a “closing down,” a Chinese ministry has issued new rules that ban any foreign-invested company from publishing anything online in China, effective next month.

 The Ministry of Industry and Information Technology’s new rules (link in Chinese) could, if they were enforced as written, essentially shut down China as a market for foreign news outlets, publishers, gaming companies, information providers, and entertainment companies starting on March 10. Issued in conjunction with the State Administration of Press, Publication, Radio, Film and Television (SARFT), they set strict new guidelines for what can be published online, and how that publisher should conduct business in China.
 “Sino-foreign joint ventures, Sino-foreign cooperative ventures, and foreign business units shall not engage in online publishing services,” the rules state. Any publisher of online content, including “texts, pictures, maps, games, animations, audios, and videos,” will also be required to store their “necessary technical equipment, related servers, and storage devices” in China, the directive says. Any “online publication service units” needs to get prior approval from SARFT if they want to cooperate on a project with any foreign company, joint venture, or individual.
 Foreign media companies including Thomson Reuters, Dow Jones, Bloomberg, the Financial Times, and the New York Times have invested millions of dollars—maybe even hundreds of millions collectively—in building up China-based news organizations in recent years, and publishing news reports in Chinese, for a Chinese audience. Many of these media outlets are currently blocked in China, so top executives have also been involved in months of behind-the-scenes negotiations to try to get the blocks lifted.
 Gaming companies including Sony PlayStation and Microsoft Xbox have been making inroads in China with varying degrees of success, while social media giants like Facebook are clamoring to get in—all drawn by the country’s massive online population, estimated at nearly 700 million people.
But the new rules specify that, aside from approved projects, only 100% Chinese companies will produce any content that goes online, and then only after approval from Chinese authorities and the acquisition of an online publishing license. The Chinese language version of China’s 2015 foreign investment handbook also prohibited foreign investment in “network publishing services,” but the English-language version did not (pdf, pg. 39), and that ban was little-noticed by foreign companies looking to enter China.
 Companies will then be expected to self-censor, and not publish any information at all that falls into several broad categories, including:
  • harming national unity, sovereignty, and territorial integrity
  • disclosing state secrets, endangering national security, or harming national honor and interests
  • inciting ethnic hatred or ethnic discrimination, undermining national unity, or going against ethnic customs and habits
  • spreading rumors, disturbing social order, or undermining social stability
  • insulting or slandering others, infringing upon the legitimate rights of others
  • endangering social morality or national cultural tradition

Quartz contacted the Ministry of Industry and Information Technology from Hong Kong asking for further clarification on how the rules would work, but the ministry said it could only reply to faxed questions that came from a reporter with a mainland press card.

While the new rules sound draconian, how effective they may be at shutting foreign companies out of China’s internet entirely remains questionable, You Yunting, an IP lawyer and partner at Shanghai’s Debund Law Offices, told Quartz. The State Internet Information Office, under “internet czar” Lu Wei, is actually in charge of internet policy in China, he points out, but these rules were put out by the technology ministry and SARFT. “Websites don’t even belong to their management,” he said. Lu has been reaching out to foreign internet giants, including a high-powered meeting in Seattle last September.

Scott Livingston, a Hong Kong-based lawyer specializing in Chinese technology law, disagrees. “SARFT has many duties, but with respect to the internet its main task is to regulate online audio and video content, which includes administering the License for Publication of Audio-Visual Programs Through Information Networks,’” (link in Chinese) he said. MIIT, the regulation’s other drafter, “is the nation’s principal internet regulator and the primary body responsible for licensing and registering Chinese websites.”
Even so, they will be tough to enforce, Ying Chan, the director of the journalism program at the University of Hong Kong, told Quartz. “Using rules of the print age to govern the internet does not work,” she said. “How do you license media in an age when everyone could become a writer and publisher? With these set of regulations, the government is fighting both market forces and technology.”
 Nonetheless, the rules are yet another indicator that under president Xi Jinping, Beijing is moving to consolidate control, reduce foreign influence, and wipe out any dissent in China.

 

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Stretta sulle Vpn in Cina, impossibile sfuggire alla Grande Muraglia di fuoco

Impossibile in questi giorni in Cina riuscire a collegarsi ai siti censurati dalle autorità, utilizzando l’escamotage delle Vpn, i servizi che fingono collegamenti dall’estero per aggirare i controlli del grande fratello cinese. Le autorità di Pechino hanno infatti bloccato, in quella che è l’azione più grande in questo senso, quasi tutti i provider di virtual private network, largamente utilizzati non solo dagli stranieri ma anche da milioni di cinesi per raggiungere siti some Facebook, Youtoube, Twitter, Gmail. In questi giorni, le aziende fornitrici del servizio, stanno informando dell’impossibilità di fornire connessioni sicure soprattutto sui sistemi operativi mobili dell’Apple. Secondo forum online, la Grande Muraglia di Fuoco (Great Firewall), come viene chiamato il servizio di controllo internet cinese giocando sulle parole della grande muraglia e dei firewall, è stata migliorata e questo rende la vita impossibile ai gestori di vpn. Già prima era noto alle autorità di Pechino l’uso di questi servizi che, infatti, dovevano essere scaricati attraverso connessioni sicure. E la guerra cibernetica tra i gestori di Vpn e il Great Firewall era sempre stata vinta dai primi. Il blocco sta causando non pochi problemi anche a diverse aziende straniere con uffici in Cina, soprattutto a causa dell’impossibilità di utilizzare i servizi di posta Google.

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Governo cinese emana regolamento sui servizi di instant messaging

Il governo cinese ha diffuso oggi un nuovo regolamento sui servizi di instant messaging, come WeChat e WhatsApp, per creare “un ambiente più pulito nel cyberspazio”. La mossa, però, viene vista da molti come l’ennesimo tentativo di controllo sulle comunicazioni nel paese, così come avviene già per molti servizi e siti internet. I servizi di instant messaging, infatti, negli ultimi tempi sono diventati il mezzo di trasmissione preferito di messaggi anti governativi o di convocazioni a manifestazioni. Con il nuovo regolamento, tutti coloro che usano i servizi devono registrarsi con i loro nomi veri e rispettare le leggi e i regolamenti, “il sistema socialista, gli interessi nazionali, i diritti e gli interessi legittimi dei cittadini, l’ordine pubblico, la moralità sociale ed assicurare l’autenticità delle informazioni condivise”. I fornitori dei servizi sono responsabili per i contenuti e soggetti alla supervisione pubblica.

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Cameron in Cina, Pechino blocca giornalista Bloomberg

E’ arrivato in Cina con la più grande delegazione britannica di sempre per firmare accordi commerciali ma il premier David Cameron si è trovato fin dall’inizio della sua visita ad affrontare la spinosa questione dei diritti umani e della libertà di informazione. Downing Street ha dovuto inviare alle autorità cinesi una protesta formale per l’esclusione di Robert Hutton, giornalista di Bloomberg al seguito del primo ministro, a cui è stata vietata la partecipazione alla conferenza stampa a Pechino fra Cameron e il suo omologo cinese, Li Keqiang. Conferenza stampa per modo di dire. Perchè per venire incontro alle esigenze cinesi, non ci sono state le solite domande dei giornalisti ma solo la lettura delle dichiarazioni dei due capi di governo. Impensabile a Londra. Cameron ha fatto questa concessione ma sul giornalista ‘bloccato’ ci sono stati momenti di tensione. Downing Street ha protestato con le autorità cinesi per la decisione “completamente inappropriata” e senza una motivazione. Il Guardian sottolinea tuttavia che possa trattarsi di una misura presa contro Bloomberg, il cui sito, insieme a quello del New York Times, è stato bloccato l’anno scorso da Pechino dopo la pubblicazione di alcuni articoli che svelavano le presunte ricchezze accumulate dai vertici del regime e dai loro familiari. Le due testate erano state prese di mira anche da hacker cinesi, che avevano cercato di violare le e-mail di alcuni giornalisti. Sono stati i funzionari britannici a Pechino a comunicare ad Hutton, quando questi si trovava sull’autobus subito dopo l’arrivo all’aeroporto nella capitale della delegazione di Cameron, che gli era stata impedita la partecipazione all’evento. La delegazione britannica cerca di sminuire l”incidente’ e punta tutto sui numeri degli accordi commerciali raggiunti – che ammontano già a 4,7 miliardi di sterline nei settori automobilistico e scientifico – e sull’obiettivo di Cameron che aspira a uno storico accordo di libero scambio fra Unione europea e Cina. Ma poi piovono le domande ‘scomode’ dei giornalisti a cui il premier non può non rispondere. “Ho sollevato preoccupazioni sui diritti umani e abbiamo convenuto sul fatto che con questa visita riprenderà il dialogo sui diritti umani fra Gran Bretagna e Cina a partire dal prossimo anno”, ha detto. Alla domanda se la politica britannica in Tibet sia cambiata per venire incontro alle richieste di Pechino, a partire dagli incontri col Dalai Lama, Cameron ha risposto: “La politica britannica resta la stessa””. Rispetto al leader tibetano ha aggiunto: “Ho incontrato il Dalai Lama come leader dell’opposizione, l’ho incontrato come primo ministro. Non ho piani per incontrarlo ancora. Ma sono io a decidere la mia agenda”.

fonte: Alessandro Carlini per ANSA

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Rimossi da Apple Store programmi anti censura

Apple priva gli utenti cinesi della possibilità di aggirare gratuitamente la censura che impedisce di accedere ad alcuni siti. Come denunciano alcune Ong, il colosso di Cupertino ha deciso di rimuovere la possibilità di installare sui propri dispositivi l’applicazione OpenDoor, un software gratuito che permette – collegandosi con un ip straniero – di aggirare la censura del grande fratello cinese. “Praticamente l’unico strumento gratuito per navigare su internet, è ormai andato – ha affermato deluso Kevin Wang, uno studente cinese della scuola superiore -. Per diverso tempo ho usato OpenDoor per navigare sul web in forma anonima e rimanere in contatto con amici americani su Facebook. Avevo raccomandato l’applicazione a quasi tutti i miei amici che vogliono superare la censura e l’ingiusto controllo su internet”. OpenDoor è un vpn (virtual private network)molto usato nei paesi dove ci sono restrizioni su internet, come la Cina ma anche l’Iran. Secondo dati forniti dagli sviluppatori di questo software, OpenDoor è stato scaricato in Cina circa 800.000 volte. Molte sono le vpn che possono essere utilizzate ma la maggior parte sono a pagamento. “Apple è determinata ad avere una quota della grande torta che è il mercato cinese di internet – ha scritto un altro utente – e sa che senza una rigorosa auto-censura, non può entrare nel mercato cinese”. OpenDoor non è la prima applicazione ad essere rimossa dalla Apple in Cina. Precedentemente era stata rimossa un’applicazione di un’emittente tv con sede negli Stati Uniti fondata dal gruppo Falun Gong, il gruppo condannato come “eretico” dal partito comunista. Cancellata anche un’applicazione che consentiva agli utenti di accedere a libri e scritti vietati in Cina.

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Rilasciato studente di 16 anni, arrestato per un tweet

E’ considerata una piccola ma importante vittoria dagli attivisti cinesi il rilascio, avvenuto ieri mattina, di Yang Hui, un ragazzo di 16 anni che era stato arrestato la scorsa settimana nella provincia nord occidentale del Gansu, con l’accusa di aver “creato problemi”. Ma per la stampa di partito, “dipingere il ragazzo come un eroe per sfogare il malcontento contro severe normative è irresponsabile”, come scrive oggi il Global Times. Il giovane era stato arrestato dopo aver pubblicato online un post in cui sollevava dubbi circa l’operato della polizia locale che indagava sulla morte del proprietario di un locale notturno. Il post era stato ritwittato centinaia di volte, cosa che lo ha assoggettato alla nuova legge secondo la quale oltre i 500 retweet di un post “sgradevole” aprono le porte del carcere fino a tre anni. La foto del ragazzo libero, con le dita a “V” in segno di vittoria e con addosso una maglietta con la scritta ”Make the change” (sii artefice del cambiamento), sta facendo il giro della rete. Dopo il suo arresto due attivisti e avvocati, You Feizhu e Wang Shihua, si erano recati nel Gansu per perorare la sua liberazione con le autorità. Altri 40 avvocati hanno firmato una petizione in suo favore e alla fine la polizia ha ceduto, liberando il ragazzo. ”Se gli internauti cinesi si uniscono, chi li può fermare?” ha scritto online Zhou Ze un noto avvocato e attivista di Pechino. Ma non tutti sono così entusiasti e ottimisti. Nonostante le tante campagne, sono ancora centinaia gli attivisti e dissidenti in carcere o agli arresti domiciliari e il caso di Yang è visto da molti solo come una goccia nel mare. Un articolo del Global Times, organo del Partito Comunista, sottolinea come il giovane sia stato rimesso in libertà solo per la sua giovane età, non come riconoscimento di un errore.

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Sedicenne arrestato per post ritwittato su internet

Uno studente di 16 anni della provincia del Gansu e’ stato arrestato dalla polizia per aver pubblicato sul suo microblog un commento, che poi e’ stato ripreso 500 volte da altri utenti, in cui criticava la condotta delle autorita’ locali a seguito della morte di un uomo. Lo riferisce il South China Morning Post. Secondo le accuse, il ragazzo avrebbe falsamente accusato i poliziotti di aver aggredito i familiari di un uomo trovato morto per strada la settimana scorsa nella contea di Zhangjiachuan. Yang, questo il nome dello studente, ha scritto anche in uno dei suoi commenti che il vice capo del tribunale di Zhangjiachuan e’ proprietario di un karaoke che si trova proprio vicino a dove e’ stato rinvenuto il cadavere, circostanza che invece e’ stata totalmente smentita dal portavoce della polizia locale. Dopo l’arresto del giovane, tutti i commenti sul microblog sono stati eliminati. Solo pochi giorni fa la suprema corte cinese ha emesso un documento nel quale si afferma che la diffusione di notizie false su internet e’ da considerarsi un reato penale in Cina. La Corte ha aggiunto che, quando un post che diffonde notizie non vere viene commentato o inoltrato piu’ di 500 volte, il suo autore rischia il carcere fino a tre anni.

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Nuove regole censura online, scoppia polemica in rete

Non si placano le polemiche in rete il giorno dopo la pubblicazione, da parte delle autorità cinesi, delle nuove linee guida sul controllo delle informazioni online. Ad essere criticate, soprattutto le misure coercitive, che portano anche fino all’arresto per tre anni se un tweet o un messaggio ritenuto diffamatorio, viene inoltrato in rete per almeno 500 volte o visto da più di 500 persone. “Così una persona – ha scritto un utente in un commento ripreso anche dalla stampa di Hong Kong – non viene punito per quello che fa ma per quello che altri fanno con il suo post. Benvenuti nel medioevo”. L’accusa, per chi ha scritto il messaggio, è diffamazione secondo la nuova interpretazione giuridica, che ritiene attività criminali quelli che le autorità chiamano “irresponsabili voci online” e che debbano essere considerati casi gravi. Nel documento, ad essere presi in considerazione, anche i messaggi che hanno a che fare con false informazioni che portino a proteste, anche religiose o etniche, che abbiano anche effetti internazionali. In più post di commento, si lamenta che la libertà di espressione con questo regolamento viene ancora di più intaccata, con una serie di maggiori controlli in quei pochi canali dove ancora si riusciva a far circolare le idee diverse da quelle ufficiali.

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Si a Facebook e Twitter in Cina, ma solo da hotel di lusso

Piccoli segnali di apertura in Cina: le autorità hanno deciso di allentare i controlli sull’uso di Facebook, Twitter e altri social network normalmente inaccessibili. Secondo quanto riferiscono alcune fonti locali, solo in alcuni posti frequentati perlopiù dagli stranieri, come alcuni alberghi a cinque stelle, è ora possibile accedere a questi siti un tempo bloccati dalla censura. Un turista ha riferito al South China Morning Post di aver potuto accedere senza problemi con il suo computer portatile sia a Facebook che a Twitter stando seduto nella hall del St Regis Hotel di Pechino, un lussuoso 5 stelle della capitale. “Ma non è solo al St Regis – ha aggiunto il turista – alcuni amici che risiedono in altri hotel mi hanno riferito la stessa cosa”. Stessa cosa pare sia stata notata in alcuni noti alberghi di Shanghai e persino in un resort di una città della provincia meridionale del Guangdong, Dongguan, frequentata in prevalenza da uomini di affari. Siti come Facebook, Twitter ma anche Youtube sono bloccati in Cina dalla censura che teme possano rappresentare un pericoloso veicolo di informazioni. Molte persone, tuttavia, specie gli stranieri, aggirano il divieto usando delle vpn (virtual private network), ovvero dei software che creando un collegamento con un indirizzo virtuale fuori dalla Cina consentono di bypassare la censura.

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In Cina la rete internet tra l epiù lente e costose al mondo

La Cina è il paese con più utenti di internet al mondo, ma questo è proprio uno dei casi in cui quantità non significa qualità. Secondo una ricerca resa nota dalla stampa locale, la Cina è infatti uno dei Paesi che ha una bassa velocità di navigazione, classificandosi 98/ma su 200 Paesi analizzati. Nel secondo trimestre del 2013 la velocità media di connessione in Cina si è attestata su 1,5 megabytes al secondo, laddove la media mondiale è di 2,6 e molti Paesi dell’area asiatica sono ben al di sopra. Basti pensare che la Corea del sud naviga ad una velocità media di 15.7 megabytes al secondo, il Giappone di 10.9 e Hong Kong di 9.3 al secondo. Internet in Cina dunque lento, ma anche molto costoso. In paesi come gli Stati Uniti e la stessa Hong Kong navigare costa molto meno oltre ad essere molto più veloce. Piccola consolazione, c’è chi sta peggio. In fondo alla classifica, dopo la Cina, paesi come la Libia, il Kazakhistan e l’Iran.

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