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I campi di lavoro, aboliti a novembre, rinascono in altra forma

I campi di rieducazione attraverso il lavoro sono stati ufficialmente aboliti in Cina ormai alcuni mesi fa, ma di fatto nulla è cambiato a parte la denominazione: Centri per il rimprovero. A denunciarlo, avvocati, attivisti politici ma anche la gente comune attraverso il web. Il grido di allarme è partito dalla provincia dell’Henan, nel centro del paese, dove i nuovi centri ”ospitano” ufficialmente persone con problemi di tossicodipendenza, ma in gran parte dissidenti e persone che si sono recate a vario titolo a presentare petizioni al governo di Pechino. Il tam tam di commenti e reazioni è stato cosi’ asfissiante che ieri sera il governo provinciale dell’Henan ha ordinato la chiusura dei centri di rimprovero. In questi centri i detenuti sono sorvegliati a vista, 24 ore al giorno, senza alcuna privacy e vengono sottoposti a una continua rieducazione, una sorta di lavaggio del cervello. Poco o niente di diverso rispetto ai vecchi campi di rieducazione attraverso il lavoro. Come hanno denunciato in molti, a cambiare è stato solo il nome. La sostanza è invariata, in quanto in entrambi i casi si tratta di forme di detenzione extragiudiziale. Anzi, se possibile, hanno commentato molti utenti in rete, questi nuovi centri potrebbero rivelarsi persino peggiori in quanto meno regolamentati dei primi. Nel caso dei campi di rieducazione infatti la legge espressamente prevedeva che una persona potesse essere detenuta fino a un massimo di 4 anni senza essere sottoposta a processo dopodiché o il caso doveva essere passato alla pubblica accusa per instaurare un processo o la persona veniva liberata. Nel caso dei centri di rimprovero, viene da più parti sottolineato, la mancanza di regole precise potrebbe addirittura rendere possibili arbitri maggiori e detenzioni anche illimitate. Familiari di persone che sono state imprigionate in questi centri denunciano poi abusi e condizioni disumane di vita. Il figlio di una donna settantenne, detenuta in un centro di rimprovero per aver fatto una petizione al governo di Pechino, ha raccontato che sua madre è stata trattenuta per circa due settimana in una stanzetta piccola, senza neanche un letto o un bagno. Inoltre, nonostante la donna fosse diabetica e necessitasse di cure, il centro non le ha fornito le medicine necessarie, facendole così anche rischiare la vita. Secondo un rapporto dello scorso dicembre di Amnesty International, i centri di rimprovero non sono la sola nuova forma di detenzione extragiudiziale ad aver rimpiazzato i campi di lavoro. Le cosiddette ”carceri nere”, i centri di riabilitazione per le tossicodipendenze, e i ”centri per il lavaggio del cervello” sono tutte forme extragiudiziali ancora in uso che rendono l’abolizione dei campi di lavoro decisa da Pechino, come hanno osservato molti utenti della rete con commenti sui vari microblog, una operazione di mera facciata, senza alcun effettivo valore sostanziale.

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Da oggi in Cina più figli e niente più campi di rieducazione attraverso il lavoro?

In un solo colpo, la Cina si libera (almeno in parte) di due delle sue leggi più odiate, in patria e all’estero: quella che impone il figlio unico e quella che prevede la rieducazione attraverso i campi di lavoro. La decisione, di cui si parlava da gennaio, poi annunciata a novembre durante i lavori del comitato centrale del partito comunista cinese, è stata formalmente approvata oggi dal Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo. Il Comitato ha deciso di mettere la parola fine ai laojiao, i campi di lavoro istituiti negli anni 50, dove fino ad oggi venivano rinchiuse persone ritenute colpevoli di reati minori (crimini contro il patrimonio, prostituzione, consumo di droga) ma anche oppositori al regime, postulanti, religiosi e fedeli di ogni fede. Chi vi veniva rinchiuso riceveva un modesto salario per il lavoro e non perdeva i diritti politici. Secondo Nuova Cina, che diffonde dati relativi al 2008, sarebbero 350 i campi di rieducazione, nei quali sono rinchiuse 160.000 persone, mentre altre fonti televisive cinesi parlano di 300.000 reclusi. Ma i numeri come sempre sono ballerini: secondo l’ultima edizione (2008) del dossier della Ong americana Laogai Foundation (fondata da Harry Wu che ha trascorso in un laogai dal 1960 al 1979) in Cina ci sarebbero 1422 campi attivi. Il problema è ora capire che fine faranno le persone recluse e i campi. La risoluzione del comitato permanente sottolinea che “tutte le pene legate ai laojiao prima della abolizione del sistema resteranno valide. Dopo l’abolizione, coloro che stanno scontando la pena saranno liberati. Non saranno prolungati i loro termini”. Ma non tutti credono nella totale abolizione del sistema. Su internet e tra chi si batte per i diritti civili in Cina c’e’ scetticismo, soprattutto perchè alcuni laojiao sono stati già tramutati in “prigioni legali” o in “campi di riabilitazione per tossicodipendenti” dove religiosi (soprattutto membri della Falun Gong, come denunciato dalla stessa organizzazione) sono stati trasferiti. Potrebbe essere smorzato anche l’entusiasmo per l’altra riforma: l’allentamento della politica del figlio unico. Rispetto al testo attuale (già soggetto a deroghe), la riforma prevede il permesso del secondo bambino, limitatamente ai centri urbani e per le coppie nelle quali uno dei due coniugi sia figlio unico, mentre oggi tale ‘privilegio’ è riservato alle coppie composte da due figli unici. Prima dell’entrata in vigore di questa nuova disposizione, in Cina potevano avere più figli gli appartenenti a minoranze etniche e residenti di determinate regioni. Il secondo figlio è inoltre permesso a coloro che hanno come primo figlio una femmina o un malato. Alla base della decisione del Comitato, ci sono soprattutto le proteste dei cinesi. La legge del figlio unico e’ una delle più odiate: viene applicata anche con metodi brutali da funzionari locali che, non volendo sfigurare con i loro superiori, ricorrono anche alla forza oltre che a multe salate per evitare nascite in coppie che hanno già figli. Senza poi contare che in mancanza di un sistema previdenziale totale, ci si deve basare sull’unico figlio per assicurarsi la vecchiaia e con gli alti costi della vita in Cina, non tutti riescono ad aiutare i genitori. Ma la necessità di cambiare la legge del 1980, nasce anche dai dati demografici. Per la prima volta in decenni, la forza lavoro di circa 940 milioni, è diminuita l’anno scorso di 3,45 milioni. E secondo le previsioni in questo decennio dovrebbe diminuire di altri 29 milioni. Inoltre, aumenta la popolazione degli anziani: gli over 60 sono il 14,3% e diventeranno un terzo della popolazione nel 2050. Problemi anche per il bilanciamento tra i sessi: su 100 femmine, nel 2012 c’erano 118 maschi. Dopo essere stata tanto invocata, la legge che abolisce il figlio unico – e che dovrebbe entrare in vigore entro il primo trimestre 2014 – potrebbe essere rallentata dalla crisi economica, oltre che da aspetti legislativi ancora tutti da chiarire.

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Aboliti i campi di lavoro in Cina. Qualcosa si muove.

Via i campi di lavoro dall’ordinamento cinese, in nome del rispetto per i diritti umani. Qualche giorno fa, quando la Cina è entrata nel Consiglio dei diritti umani dell’Onu, in molti hanno criticato la scelta del Palazzo di vetro, dal momento che il Paese del dragone non solo non ha mai permesso agli ispettori della stessa organizzazione visite sul suo territorio, ma è colpevole di diverse violazioni. Oggi, a sorpresa, la decisione – presa dal comitato centrale – di abolire la pratica della “rieducazione attraverso il lavoro”, i cosiddetti laojiao (abbreviazione di ‘laodong jiaoyang’). Sarà ridotto anche il numero dei crimini puniti con la pena di morte e vietata la tortura per estorcere confessioni. Un ruolo importante sarà dato agli avvocati, nella “tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini e delle imprese, in linea con la normativa di legge”. Dell’abolizione dei campi di lavoro già si parlava da tempo: un annuncio in tal senso era stato fatto a gennaio e alcune province ne avevano annunciato l’eliminazione. In questi, la polizia può inviare persone fino a 3 anni (con possibilità di estensione di un anno, ufficialmente), senza processo. Negli ultimi mesi diverse volte la pratica era stata criticata anche dalla stampa cinese vicina al partito. In particolare ad agosto una donna era stata condannata a 18 anni per aver protestato chiedendo una pena pesante nei confronti dell’uomo che era stato condannato a sette anni per aver rapito, violentato e indotto alla prostituzione sua figlia di 11 anni. La donna fu liberata dopo una settimana dopo che giornalisti, scrittori, gente comune e accademici si mobilitarono in suo favore. Le critiche al sistema dei laojiao muovono anche dal fatto che la loro pratica è in contraddizione con la costituzione cinese. Secondo Nuova Cina, che diffonde dati relativi al 2008, sarebbero 350 i campi di rieducazione, nei quali sono rinchiuse 160.000 persone, mentre altre fonti televisive cinesi parlano di 300.000 reclusi. Ma i numeri come sempre sono ballerini: secondo l’ultima edizione, 2008, del dossier della Ong americana Laogai Foundation (fondata da Harry Wu che ha trascorso in un laogai dal 1960 al 1979) in Cina ci sarebbero 1422 campi attivi. Il laogai è diverso dal laojiao: nel primo, chiamato prigione dal 1990, ufficialmente cancellato dal 1997 (ma la condanna ai lavori forzati resta), il condannato veniva spedito dopo una sentenza di tribunale per reati maggiori, non veniva pagato e perdeva i diritti politici. Nel secondo, invece, vengono rinchiuse persone ritenute colpevoli di reati minori (reati contro il patrimonio, prostituzione, consumo di droga) ma anche oppositori al regime, postulanti, religiosi e fedeli. Ricevono un modesto salario per il loro lavoro e non perdono i diritti politici. L’annuncio di oggi lascia però il campo a molte speculazioni, soprattutto su cosa succederà a coloro che sono attualmente rinchiusi nei campi o cosa succederà a coloro che saranno ritenuti colpevoli in futuro dei reati che ora portano ai laojiao.

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Stop alla detenzione di chi segnala soprusi in Cina. Sarà vero?

In Cina spesso che si reca presso uffici pubblici per denunciare o lamentare soprusi, ingiustizie o corruzione corre il rischio di essere arrestato, spedito in campi di lavoro senza accuse formali o di subire pressioni o violenze per essere dissuasi. Ora il partito comunista cinese ha deciso di voltare pagina. Secondo quanto dichiarato da Zhang Shaolong, membro della Commissione centrale per la disciplina del partito, le autorita’ non sono autorizzate a detenere coloro che a qualsiasi livello e in qualsiasi ufficio pubblico chiedano audizione e presentino lamentele, petizioni, denunce o semplici segnalazioni. Zhang ha anzi affermato che le segnalazioni dovrebbero essere sempre ben accolte dagli uffici governativi, specie da quelli che sono deputati alla lotta contro la corruzione, in quanto e’ spesso proprio da questo tipo di denunce che si riescono a scovare i corrotti. Tra tutti i casi che lo scorso anno sono stati oggetto di indagine, circa il 41,8% sono stati individuati grazie a rapporti e segnalazioni della gente online, ma anche attraverso lettere e telefonate. Nell’ottobre 2009 la commissione per la disciplina di partito inauguro’ un sito internet, 12388.gov.cn, proprio con l’intento di raccogliere indicazioni e informazioni dalla gente. Zhang ha poi anche ammesso che alcuni funzionari statali hanno talvolta cercato di dissuadere la gente dal firmare petizioni o rivelare fatti per loro ”scomodi”. Ma ha aggiunto che tale comportamento deve essere fermamente condannato e combattuto. Un articolo del Giornale del Popolo ha rivelato che diversi denuncianti sono stati arrestati negli ultimi due mesi dal governo della contea di Hai’an, nella provincia del Jiangsu, per aver cercato di contattare i membri dell’ufficio anticorruzione. Una donna che aveva provato a entrare nell’ufficio il 28 marzo scorso venne bloccata e portata via e costretta a salire con la forza su un’autovettura. La detenzione, spesso illegale, di coloro che promuovono o firmano petizioni o lamentele e’ divenuta negli ultimi anni molto diffusa nel Paese. E si e’ arrivati perfino a casi, rivela il professor Wang Yukai, dell’Accademia cinese per l’Amministrazione, di bande di criminali che hanno offerto i loro ”servigi” ai funzionari per individuare ed eventualmente ”fermare” con metodi ”non ortodossi” coloro che denunciano. Ma negli ultimi tempi qualcosa ha iniziato a muoversi. Lo scorso mese di febbraio dieci addetti pubblici sono stati condannati per aver trattenuto in arresto senza motivo quattro persone che si erano recate a Pechino dalla provincia dell’Henan solo per presentare una lamentela.

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Giornalista conferma accuse su torture in campi di lavoro

In un’ intervista al China Women’s Newspaper, il giornale della Federazione delle donne cinesi, il giornalista che ha denunciato la pratica sistematica della tortura in un campo di lavoro femminile ha confermato le sue accuse. Il servizio del reporter, che si chiama Yuan Ling, è stato pubblicato dal giornale online Lens, ed è scomparso da Internet dopo poche ore. Nell’ articolo veniva citato il diario che una detenuta è riuscita a portare fuori dal campo di lavoro (laojiao in cinese) di Masanjiao, nella provincia nordorientale del Liaoning. Nel diario la donna descrive con un agghiacciante realismo le torture alle quali le detenute vengono sottoposte dai secondini. Le rivelazioni di Lens hanno avuto una forte eco su Internet e hanno rilanciato il dibattito sui “laojiao”, gli istituti di “rieducazione attraverso il lavoro” dei quali il premier Li Keqiang ha promesso l’ abolizione. Una condanna fino a quattro anni di detenzione in un laojiao può essere decisa in via amministrativa dalle autorità di polizia, senza che sia necessario un processo. Attualmente si calcola che 190mila persone, in gran parte piccoli criminali e prostitute, si trovino nei laojiao. Le autorità del Liaoning hanno aperto un’ inchiesta sulla vicenda, secondo i media cinesi.

fonte: ANSA

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Donne torturate con elettricità in campi lavoro

Torturate, malnutrite, costrette a turni di lavoro massacranti, private di qualsiasi diritto. Questo il drammatico ritratto delle prigioniere dei campi di lavoro – i famigerati ‘laojiao’ – nella provincia settentrionale cinese del Liaoning, reso noto dal reportage di ‘Lens’, una rivista cinese, basato sui racconti di attivisti, ex funzionari dei campi ed ex prigionieri. Si parla in particolare del campo femminile di Masanjia, vicino Shenyang, che ospita la maggior parte delle prigioniere del Liaoning e che e’ solo uno degli oltre 300 campi di lavoro cinesi, dove la polizia puo’ rinchiudere anche senza processo le persone per un periodo fino a 4 anni. Dai racconti raccolti da ‘Lens’ emerge un quadro di orrore, dove le prigioniere vengono torturate con scariche elettriche che in alcuni casi portano al danneggiamento dei nervi e a danni permanenti. La legge sui campi di lavoro prevede che le scariche elettriche possano essere utilizzate dagli agenti sui prigionieri solo in caso di rivolta o grave insubordinazione. Ma spesso non e’ cosi’. Il ricorso a questo tipo di tortura e’ infatti – a quanto sembra – piuttosto comune e frequente. Altre prigioniere hanno invece raccontato di essere state ammanettate, anche per piu’ di una settimana, a barre di ferro o cancelli. Alcune hanno dichiarato di essere state ammanettate con entrambe le mani sopra la testa senza essere in grado di toccare il suolo con i piedi. E poi turni massacranti di lavoro, anche di 12-14 ore senza interruzione (a fronte delle sei ore previste) e senza essere mai retribuite. Peng Daiming, ex amministratore del campo, ha rivelato che c’erano oltre 5.000 prigionieri, e che grazie al loro lavoro si otteneva un reddito di oltre 100 milioni di yuan all’anno (oltre 10 milioni di euro). Non solo poi i prigionieri non vengono retribuiti, vengono anche malnutriti e non curati se malati. Alcune ex prigioniere hanno riferito che il pasto giornaliero consisteva solo in una manciata di riso, spesso neanche ben cotto, e qualche verdura. Una piccola porzione di carne veniva loro data solo alla domenica. Il rapporto, raro sguardo all’interno di quello che realmente accade in un campo di lavoro cinese, e’ stato rimosso da tutti i portali di news del web cinese, solo poche ore dopo che era stato pubblicato e diffuso. Negli ultimi mesi, con il cambio della guardia ai vertici del partito e dello Stato, si e’ molto parlato della possibile chiusura dei ‘gulag’ cinesi. Di recente e’ stato proprio il neo premier Li Keqiang, nella sua prima conferenza stampa da capo del governo cinese, a confermare esplicitamente che Pechino ”sta lavorando” in questo senso e che i ‘laojiao’ potrebbero essere aboliti entro la fine dell’anno, consegnando i loro orrori alla storia.

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Rilasciata madre condannata ai campi dei lavoro

E’ stata rilasciata stamattina dalle autorita’ della provincia centrale cinese dell’Hunan, la donna che era stata condannata a 18 mesi nei campi di lavoro per aver creato ”disordine pubblico” chiedendo giustizia per la figlia che era stata rapita e costretta a prostituirsi quando aveva 11 anni. Lo riferisce l’agenzia Nuova Cina. La donna, Tang Hui, era stata condannata per aver fatto picchetti, bloccato strade, urlato contro funzionari pubblici lamentando che la polizia avrebbe alterato le prove per ridurre le pene contro gli aguzzini di sua figlia. Dopo che il caso aveva suscitato anche molte polemiche nella rete, con la gente che chiedeva compassione per la povera madre, la corte ha deciso di lasciarla andare anche in considerazione del fatto che la figlia di Tang, che ora ha 17 anni, e’ ancora minorenne e necessita dell’assistenza e delle cure della madre. La ragazzina, infatti, dopo aver subito violenze ripetute durante il periodo del rapimento, ha anche contratto una malattia venerea che l’ha resa sterile e non ha mai superato psicologicamente l’accaduto. Lo scorso 5 giugno due dei suoi aguzzini sono stati condannati a morte e altri tre a pene detentive severe, fino all’ergastolo.

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Aperta inchiesta su madre destianata a campi di lavoro per denunce su abusi a figlia

Le autorita’ della provincia centrale cinese dell’Hunan hanno aperto un’inchiesta sul caso di Tang Hui, la donna condannata lo scorso 2 agosto a scontare una pena di 18 mesi in un campo di lavoro per ”aver creato disturbo all’ordine pubblico”. La donna e’ accusata di aver urlato, bloccato funzionari pubblici, effettuato picchetti, per sollevare l’opinione pubblica sul caso della figlia che sei anni fa, quando aveva solo 11 anni, era stata rapita e costretta a prostituirsi per diverso tempo fino a quando sua madre non l’aveva ritrovata e salvata. La ragazza da allora e’ sotto shock e, a causa di una malattia venerea contratta nel periodo della sua prigionia, e’ diventata sterile. ”Stiamo investigando sul caso – ha fatto sapere Liu Xianhua, capo del reparto investigativo della commissione affari legislativi e politici del partito comunista dell’Hunan – se saranno individuati degli errori i responsabili saranno puniti”. Il caso di Tang ha suscitato in Cina molte polemiche e specie nella rete molte persone hanno espresso il loro disappunto sul fatto che la donna, dopo aver subito una grande tragedia insieme alla figlia, sia stata punita e condannata. Nel giugno di quest’anno due degli aguzzini della figlia di Tang sono stati condannati e morte e altri quattro a pene carcerarie dure anche fino all’ergastolo. Su Sina Weibo, il twitter cinese, sono stati postati oltre 700.000 commenti sull’argomento. Quasi tutti a favore della donna, i cui legali ieri hanno presentato una petizione chiedendone la liberazione. ”Anche se la donna ha avuto comportamenti esagerati – ha scritto un ragazzo in rete – le autorita’ dovrebbero comprendere il dolore e la pena di una madre che ha patito un dramma del genere”.

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Denuncia stupro della figlia undicenne, viene spedita un anno nei campi di lavoro

Tang Hui, una donna di Yongzhou, nella provincia dello Hunan, e’ stata condannata a un anno e mezzo di rieducazione nei campi di lavoro dopo aver per anni lottato con ogni mezzo contro l’inerzia delle autorita’ per ottenere giustizia per sua figlia, rapita e stuprata a 11 anni. Tutto comincio’ sei anni fa quando la ragazza, che all’epoca aveva appunto 11 anni, fu rapita e costretta a prostituirsi per tre mesi, durante i quali venne ripetutamente violentata e contrasse anche una malattia venerea, che l’ha poi fatta diventare sterile. La madre fece di tutto per salvarla e per assicurare i suoi aguzzini alla giustizia. Minaccio’ anche di gettarsi da un edificio per spingere le autorita’ a prendere consapevolezza del caso. Due dei responsabili sono alla fine stati condannati a morte e altri cinque hanno avuto, lo scorso mese di giugno, pene carcerarie lunghe, fino all’ergastolo. Ma sei anni di lotta sono ora costati alla donna una condanna ai campi di lavoro. Due giorni fa, infatti, la polizia di Yongzhou ha portato Tang alla sbarra per aver in questi anni ‘gravemente disturbato l’ordine pubblico con comportamenti plateali e urla’: tutto per apostrofato funzionari pubblici e organizzato picchetti stradali allo scopo di sollecitare le indagini. Il caso ha suscitato in rete commenti e polemiche.

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