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Arretra ancora l’economia cinese, crolla borsa Shanghai

Nuova frenata a dicembre per l’industria cinese. L’indice pmi manifatturiero misurato da Caixan è sceso a 48,2, dal 48,6 di novembre, sotto le attese degli analisti, che si aspettavano una crescita a 48,9. Si tratta, ricorda Bloomberg, del quinto mese consecutivo in calo, la serie negativa più lunga dal 2009. Successivamente alla diffusione dell’indice, i listini asiatici hanno accelerato la loro discesa. Un valore dell’indice sotto 50 segnala una contrazione dell’economia. Crollano le borse asiatiche dopo i dati deludenti sulla manifattura cinese e mentre sale la tensione in Medio Oriente a causa dello scontro tra Arabia saudita e Iran. Shenzhen ha chiuso in calo dell’8,22%, Shanghai del 6,86%, entrambe chiuse prima della fine delle contrattazioni, come prevedono le nuove regole. Tokyo ha chiuso in ribasso del del 3,06%, Seul del 2,17%. Hong Kong, sul finale di seduta, cede il 2,5%.

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Cina: la bolla delle borse

Articolo pubblicato su Affari Internazionali

E’ un bagno di umiltà e una svolta verso il reale quella che sta affrontando la Cina di questi giorni. La bolla scoppiata nella borsa cinese, che ha portato a perdere oltre 3,5 miliardi di dollari (valori che superano di 11 volte il Pil greco, di quattro volte il valore delle borse spagnole e di due quelle indiane), più del 30% del suo valore, ha fatto realizzare a molti, semmai ce ne fosse bisogno, che Pechino ha bisogno di una operazione verità sui suoi numeri.

Operazione verità sui numeri
Si è cominciato con la crescita: da un paio di anni, il 10% e passa è diventato un miraggio e la Cina si sta stabilizzando su quello che è un sogno per molti Paesi ma che per i cinesi all’inizio era una iattura, il 7% di crescita. Considerato troppo basso fino a qualche anno fa, ma che ora pare più realistico: questo è attualmente l’obiettivo, che alcuni considerano di difficile ma non impossibile raggiungimento, visto l’andamento dell’economia cinese.

Si è proseguito con la borsa: dal giugno 2014 al 12 giugno scorso, ritenuto il vero “venerdì nero” della borsa cinese, sui mercati azionari del Paese del Dragone si era riusciti a guadagnare il 150%. Davvero tanto, per non fare poi scoppiare una bolla che, in poco meno di un mese, ha bruciato un bel po’ di risparmi. Che la borsa cinese sia volatile e, per certi versi, non affidabile è dimostrato dall’altalena dei risultato dei risultati: giovedì 9 luglio, il primo vero test dopo le misure messe in campo dal governo, c’è stata un’apertura a -4%, poi l’indice di Shanghai in chiusura ha guadagnato il 5,7%.

Il colpevole? La mancanza di realismo
La stessa cifra che aveva registrato come perdita il giorno precedente. Una situazione che ha portato le autorità cinesi ad essere euforiche il 9, dopo avere parlato di “panico” l’8 e ad avere annunciato indagini per cercare i colpevoli di questa situazione. Ma il vero colpevole è la mancanza di realismo, di certezza sui numeri. Come molti analisti hanno osservato, il problema è che in Cina tutto è gigantesco e per di più mancano l’esperienza, le competenze e “la forza intrinseca del sistema per gestire crisi di queste proporzioni”.

Nel Paese i dati economici non sono del tutto chiari: c’è un problema notevole relativo ai debiti delle amministrazioni locali, le province, che hanno contratto mutui con le banche statali per arginare la crisi del 2008 mettendo in campo grandi infrastrutture e per fare girare l’economia. Ad oggi, non si sa se e quando potranno restituire quei soldi.

Neofiti dall’entusiasmo alla disperazione
C’è un problema di verità legato alla presenza di un sistema bancario e finanziario occulto, di proporzioni gigantesche e che pare sia il vero motore economico del Paese, in termini di prestiti e denaro della classe media e delle piccole e medie imprese. Proprio questi ultimi sono tra i più colpiti della bolla finanziaria. In un mercato dove non è peccato arricchirsi e dove, come detto, si è guadagnato il 150% in un anno, buttare in borsa i soldi risparmiati è sembrato l’investimento più giusto.

Se poi si considerano i prezzi degli immobili sempre più alti (altra bolla in Cina) e l’intervento continuo del governo quasi a sostenere la borsa, si capisce il motivo per il quale i piccoli risparmiatori cinesi, milioni di persone, abbiano anche preso soldi a prestito per investire in borsa. Neofiti che ora si stanno mangiando le mani e che si lamentano sui social network delle perdite.

Il governo corre a drastici ripari
Ma il governo è corso ai ripari, come solo un esecutivo di regime può, mettendo in campo misure drastiche: blocco delle vendite per i prossimi sei mesi agli investitori che detengono più del 5% delle azioni di una compagnia; conferma da parte della banca centrale, la People’s Bank of China, di continuare a fornire ampia liquidità alle istituzioni che concedono prestiti a chi vuole investire in Borsa; blocco delle Ipo; taglio dei tassi di interesse e interventi sulle riserve obbligatorie delle banche; compagnie statali obbligate a comprare azioni; aumento della quantità di azioni che le compagnie di assicurazioni possono acquistare; costituzione, da parte dei 21 broker principali del Paese, di un fondo da 120 miliardi di yuan per stabilizzare il mercato, che si è impegnato a non vendere azioni fino a quando l’indice di Shanghai sarà inferiore a quota 4.500.

Tutte misure che hanno avuto l’effetto di iniettare, oltre a soldi, fiducia soprattutto nei piccoli risparmiatori. Ma aumenta la volatilità e, soprattutto, il dubbio che il problema sia strutturale e che possa riverberarsi sull’economia reale. Anche se la borsa cinese ha un valore pari al 40% del Pil (in molti altri paesi si supera il 100%) è, come detto, considerato un bene rifugio da tanti. La corsa del governo cinese a far cambiare faccia al Paese del Dragone, facendolo diventare da “fabbrica del mondo” a “negozio del mondo”, tentando di aumentare i consumi interni, sta mietendo vittime. E’ in campo soprattutto la credibilità si un sistema che, come detto, pare si basi su travi -alcune delle quali- d’argilla.
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Paura bolla borse, Cina vara fondo da 19 mld, ferma ipo. Misure per arginare crollo, in 3 settimane bruciati 2.800 mld

La Cina vara nuove misure nel tentativo di arginare la ‘rotta’ delle borse di Shanghai e Shenzhen, reduci da un crollo che in tre settimane ha spazzato via 2.800 miliardi di dollari di capitalizzazione e fatto perdere agli indici circa il 30% del loro valore. I 21 principali broker del Paese, riuniti nella Securities Association of China, hanno annunciato la costituzione di un fondo da 120 miliardi di yuan (circa 19,3 miliardi di dollari) per acquistare Etf sulle blue-chip. Il fondo, appoggiato dal governo, inizierà ad operare già lunedì nel tentativo di stabilizzare il mercato. Gli operatori si sono anche impegnati a non vendere azioni in loro possesso fino a quando l’indice di Shanghai, sceso a 3.686 punti, non tornerà a quota 4.500. E anche 25 gestori hanno assicurato che manterranno per almeno un anno i loro fondi azionari. Il governo di Pechino ha poi imposto il congelamento di tutte le nuove quotazioni – ne erano in programma 28 – per non disperdere risorse presenti sul mercato su nuovi titoli. Il più lungo rally borsistico della storia della Cina – con Shanghai e Shenzhen che hanno guadagnato in un anno il 150% e il 190% – sta dunque trasformandosi in una Caporetto che rischia di travolgere gli oltre 90 milioni di cinesi – impiegati, operai e contadini, molti dei quali digiuni di finanza – che si sono buttati sul mercato azionario attirati dalla più capitalistica delle aspirazioni: fare soldi facili con la speculazione borsistica. Una prospettiva peraltro alimentata dalle politiche di sostegno del governo cinese alla corsa del mercato azionario. Solo nell’ultima settimana la Banca centrale cinese ha tagliato per la quarta volta da novembre i tassi, mentre le autorità cinesi hanno ridotto le commissioni di trading e allentato le regole per operare a debito (ci si potrà finanziare dai broker anche dando in garanzia la casa) così da non dover liquidare le posizioni quando il valore delle azioni diventa insufficiente per ripagare i prestiti. Inoltre la Consob cinese (Csrc) ha avviato un’indagine per verificare che il mercato non sia stato manipolato, mettendo nel mirino i ribassisti. E così 19 conti sono stati inibiti dallo short-selling sugli indici per un mese. Per ora questi tentativi non sono riusciti ad arrestare la più violenta emorragia di vendite dal 1992, esplosa dopo che le valutazioni azionarie hanno raggiunto livelli superiori a quelli della ‘bolla’ del 2007. E tra gli analisti ci sono dubbi sulla capacità del nuovo fondo di incidere su un mercato che scambia ogni giorno un controvalore di 2.000 miliardi di yuan. “Per ora l’atteggiamento si sta orientando verso il panico ed è estremamente difficile calmare un orso rabbioso” è il commento di Bernard Aw, strategist a Ig Asia. Che la situazione stia prendendo una brutta piega lo dimostra anche l’apertura del Financial Times, dedicata oggi non alla Grecia ma alla Cina. Gli investitori globali, riferisce il quotidiano, temono infatti che il crollo di Shanghai e Shenzhen possa destabilizzare l’economia del colosso asiatico, accentuandone la fase di rallentamento.

fonte Ansa

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Crolla la borsa di Shanghai dopo misure anti bolla dalla Consob cinese

Crollano le borse cinesi dopo che l’authority di vigilanza ha adottato alcune misure volte a raffreddare la corsa dei listini, sul cui andamento si addensano i timori di una bolla speculativa. Shanghai cede il 7,71% mentre Shenzhen il 3,41%. La Consob cinese ha irrogato sanzioni ad alcuni broker che non hanno rispettato le regole sui prestiti ai clienti per l’acquisto a debito di azioni. Per Shanghai quello di oggi è il crollo più pesante dal 2008. A picco i titoli dei broker Citic Securities, Haitong Securities e Guotai Junan Securities, dopo che l’autorità di vigilanza sui mercati finanziari ha riscontrato ritardi nel rientro dei clienti a cui avevano prestato denaro per fare trading e li ha sanzionati sospendendo per tre mesi la possibilità di aumentare i finanziamenti. Citic ha annunciato di aver alzato da 300 mila a 500 mila yuan la somma da depositare per poter aprire conti che permettono di fare trading a debito. Altri nove broker sono stati sanzionati per una serie di comportamenti scorretti, come l’aver prestato denaro a investitori non qualificati mentre la Commissione di regolazione bancaria cinese ha vietato alle banche di prestare denaro alle aziende per investire in azioni, bond, future e derivati. Secondo Hao Hong, strategist alla Bocon International Holding, citato da Bloomberg, la Consob cinese sarebbe preoccupata per un rally borsistico in parte stato sostenuto proprio dalla possibilità di operare a leva (attraverso il sistema dei conti basati sul cosiddetto ‘margin financing’). Tra l’altro Citic e Haingtong avevano recentemente annunciato l’intenzione di raccogliere nuovi capitali da prestare ai propri clienti. I prestiti finalizzati al trading sono balzati dai 400 miliardi di yuan di fine giugno 2014 agli 1.080 miliardi dello scorso 13 gennaio (circa 174 miliardi di dollari). Nell’ultimo anno la borsa di Shanghai è balzata del 67% tra volumi record mentre sempre più investitori, grandi e piccoli, si sono buttati sul mercato. “I regolatori sono preoccupati che le azioni abbiano corso troppo velocemente” mentre “vogliono una crescita misurata del mercato azionario”, ha detto Hao. “La Cina sta cercando di mettere le briglie ad un mercato azionario troppo rialzista” ha affermato Pauline Dan, responsabile del mercato cinese alla Pictet Asset management di Hong Kong.

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Riapre mercato ipo in Cina

Riapre il mercato cinese delle initial public offering dopo un anno di stop . Le autorità di regolamentazione introducono nuove regole per la quotazione in Borsa, promettendo di dare maggiore spazio alle forze di mercato e di ridurre il ruolo del governo. La prima ipo è attesa in gennaio: in fila per quotarsi ci sono 760 società ma solo 50 sarebbero pronte per lo sbarco in Borsa in gennaio. La revisione delle regole per le ipo è un test per l’impegno delle autorità cinesi a consentire al mercato di giocare un ruolo decisivo nell’economia come promesso. La China Securities Regulatory Commission annuncia anche l’avvio di un esperimento per consentire alle aziende di emettere azioni privilegiate.

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Cina punta ad aumento del limite degli investimenti stranieri in borsa

La Cina punta ad aumentare, di almeno 10 volte, il limite autorizzato degli investimenti esteri su azioni, obbligazioni e depositi bancari nazionali, attualmente fissato a 80 miliardi di dollari. Lo ha detto oggi al Financial Forum di Hong Kong, Guo Shuqing, presidente della China Securities Regulatory Commission, la commissione di regolamentazione dei mercati finanziari del paese. Guo ha anche detto che la Cina continuerà l’internazionalizzazione dello yuan e l’incoraggiamento ai cinesi ad investire all’estero, chiedendo di innalzare il livello di qualità degli intermediari necessari. Lo scorso anno Pechino ha assegnato quasi 16 milioni di dollari di quote a investitori stranieri, equivalente al totale concesso negli ultimi sei anni. Gli operatori esteri al momento riescono a investire sui mercati cinesi grazie al programma Qfii (investitori istituzionali stranieri qualificati) e al piano Rqfii (rmb investitori istituzionali stranieri qualificati), istituito quest’ultimo nel 2011 con una quota iniziale di 20 miliardi di yuan (oltre 2 miliardi di euro) e cresciuto a 70 miliardi di yuan lo scorso anno. Attualmente il limite fissato degli investimenti stranieri in Borsa è di 80 miliardi di dollari, saliti ad aprile dai precedenti 30. Guo ha anche annunciato la creazione di un nuovo organismo per contribuire a diversificare i suoi 3.310 miliardi di dollari americani nelle riserve ufficiali. Dopo l’annuncio di oggi di Guo Shuqing, la borsa di Shanghai ha guadagnato in chiusura il 3,7%.

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In Cina la più grande ipo della storia

Missione compiuta per l’Agricultural Bank of China. Al suo sbarco in Borsa la banca cinese ha annunciato di aver ufficialmente completato una raccolta di 22,1 miliardi di dollari sulle piazze di Hong Kong e Shanghai mettendo a segno la maggiore Ipo (Initial Public Offering) della storia. Il precedente record apparteneva ad un altro istituto del gigante asiatico: alla Industrial & Commercial Bank of China, che nel 2006 raccolse 21,9 miliardi di dollari al suo debutto sui mercati. AgBank, com’e’ universalmente conosciuta, e’ riuscita nell’impresa di conquistare il titolo di maggiore Ipo della storia dopo aver esercitato interamente l’opzione di over allotment per la porzione di Shanghai della sua Ipo. Sono state 3,34 miliardi di azioni vendute al prezzo originario dell’Ipo di 2,68 yuan per azione a permettere il balzo in avanti e il record. In una prima vendita riservata agli investitori istituzionali ed effettuata simultaneamente ad Hong Kong e Shanghai il 6 luglio scorso, la banca aveva gia’ incassato 19,2 miliardi di dollari. Venerdi’ le azioni dell’AgBank sono salite da 0,37 yuan a 2,69 yuan, mentre oggi l’aumento e’ stato dello 0,74%. AgBank, che ha avviato gli scambi a Shanghai il 15 luglio e il 16 ad Hong Kong, e’ l’ultimo dei quattro grandi istituti bancari cinesi a quotarsi in Borsa. Le altre, la Bank of China, la China Construction Bank e la Commercial Bank of China, vi erano entrate quattro anni fa. Gli investitori sperano che con la quotazione di AgBank la Borsa di Shanghai si risollevi dopo aver perso il 25% del proprio valore dall’inizio dell’anno. La banca ha una rete di 24.000 sportelli ed e’ il principale erogatore di prestiti alle aree rurali. Infatti, a differenza delle altri grandi banche della Cina, AgBank ha l’esplicito mandato del governo di aiutare e sostenere le prospettive economiche delle aree piu’ povere e rurali del paese. Secondo alcuni analisti, questo compito pone AgBank in una posizione difficile, ossia quella di conciliare le sue diverse identita’. ”E’ il tema di maggiore tensione dopo lo sbarco in Borsa. Qualsiasi problema ci sara’ nelle aree rurali, il governo vorra’ utilizzare AgBank per far fluire credito”, sottolineano gli analisti. Tuttavia per alcuni investitori questo non rappresenta un problema. AgBank ha una ”buona rete di sportelli nelle campagne e tutti sappiamo che il prossimo motore di crescita dell’economia cinese sara’ l’urbanizzazione”.

fonte: Ansa

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