La Cina apre alle banche private: potranno nascere nel Paese da tre a cinque istituti di credito di proprietà non statale, con la possibilità di partecipazione anche di capitali esteri. Lo ha annunciato la China Banking Regulatory Commission, l’ente che regola il sistema bancario nel paese del dragone. Al momento non ci sono dettagli e, come in quasi tutti gli annunci riformistici di Pechino, mancano anche i tempi di attuazione, ma la riforma potrebbe interessare molti. Si parla comunque di regole stringenti per i tempi, per l’ottenimento delle licenze e per i regolamenti. Attualmente il sistema bancario cinese è caratterizzato da una preponderante presenza statale, con le quattro “grandi sorelle”, le più importanti banche cinesi, che rientrano sotto l’ala del governo di Pechino. Insieme a loro, molte altre a livello locale e nazionale, con la sola China Minsheng Banking Corp, privata fra le prime grandi dieci. Secondo quanto spiega l’agenzia Nuova Cina rispetto all’annuncio dell’ente regolatore delle banche cinesi, le nuove entità saranno da tre a cinque e opereranno come test, nel tentativo di aprire poi in futuro maggiormente il settore bancario sia agli investimenti interni che esterni. Questi potranno contribuire sia a ristrutturare istituzioni bancarie già esistenti che a crearne nuove. E l’enunciato della ristrutturazione fa pensare alla precisa volontà di Pechino da un lato di offrire una nuova prova alla voglia di apertura e cambiamento, dall’altro a regolamentare il sistema, diffusissimo, delle “banche ombra”, tutte le istituzioni, cioè, che in Cina si sostituiscono alle banche ufficiali e alle quali si rivolgono sempre più spesso piccole e medie imprese. Questo perché gli istituti bancari ufficiali devono fare i conti con i debiti contratti dalle pubbliche amministrazioni che hanno raggiunto livelli di guardia. Secondo infatti l’ultimo comunicato diffuso alla fine di dicembre dal National Audit Office, il debito dei governi locali in Cina ha superato l’equivalente di 2.100 miliardi di euro, in aumento del 70% rispetto a tre anni fa. I governi locali stanno utilizzando nuovi prestiti per ripagare più di un quinto del loro debito, che assomma a circa il 58% del Pil, con preoccupazioni circa il ripianamento del debito. Per sostenere la crescita durante la crisi finanziaria, i governi locali hanno chiesto molti e pesanti prestiti, l’80% dei prestiti bancari totali in Cina alla fine del 2010 secondo la China Banking Regulatory Commission. Secondo dati della stessa Cbrc in tutto il 2013 c’è stata una crescita dei prestiti del 14,2%. Con l’apertura delle nuove banche, che avranno vie privilegiate nella Free Trade Zone di Shanghai, gli analisti sperano anche nell’inizio di misure volte a minore presenza statale nell’economia cinese. Al momento però la mancanza di regole non rende appetibile la cosa alle banche straniere, che già in passato avevano registrato annunci simili, che attendono la possibilità della totale operatività con la raccolta bancaria attualmente preclusa.