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Energia nel mirino, banca centrale cinese acquista il 2% di Eni e di Enel

Nelle banche sono già presenti i fondi americani, nell’energia si affacciano ora i cinesi. Dopo che il fondo statunitense BlackRock ha racimolato oltre il 5% di Intesa Sanpaolo, Unicredit e Mps (dove JpMorgan Chase controlla un altro 2,53%), dalle ultime comunicazioni Consob emerge una quota di poco superiore al 2% di Eni ed Enel nel portafoglio della Banca Popolare Cinese, che, a sua volta, controlla circa 1.270 miliardi di dollari di debito americano. Le quote in Eni (che oggi ha avviato la cessione del 7% della portoghese Galp) ed Enel, ai valori di mercato, valgono quasi due miliardi di euro e rendono la Banca Centrale di Pechino di fatto il secondo azionista ‘singolo’ dei due principali gruppi energetici del Paese alle spalle del Ministero dell’Economia. In Enel infatti sono presenti, con quote fra il 2% e il 5% i fondi statunitensi BlackRock e State Street, che li rende di fatto il secondo e terzo azionista ‘reale’ del gruppo. La People’s Bank of China era già presente nel capitale delle due società: a fine 2013 deteneva già circa l’1,8% del gruppo elettrico ed è possibile che abbia deciso di salire sopra il 2% proprio per uscire allo scoperto ufficialmente e confermare l’interesse nel colosso elettrico, come investitore istituzionale a differenza dei fondi, fra cui lo stesso BlackRock, hanno invece limato le proprie partecipazioni nel gruppo guidato da Fulvio Conti. L’ultima mossa, datata 21 marzo scorso, conferma l’interesse del Dragone nel mercato italiano. Gli ex ministri del Tesoro, Giulio Tremonti e Vittorio Grilli, quest’ultimo nelle vesti di vice di Mario Monti, hanno cercato di convincere i vertici del Governo di Pechino ad investire in Italia, sia industrialmente che finanziariamente attraverso l’acquisto di Btp. E pare che inizino ad arrivare i frutti dei loro sforzi. A partire dal vino, dove ormai un anno fa la prima azienda del Chiantigiano è finita in mani cinesi, passando per la moda, con Krizia che è stata venduta al colosso del fashion asiatico Shenzen Marisfrolg a fine febbraio, per finire ad un presunto interessamento nella costruzione del Ponte sullo Stretto, iniziano ad essere diversi i casi di aziende italiane che prendono la via della Cina. Non ultimo, il caso odierno di Only Italia, il network di imprese fondato da Irene Pivetti nel 2011, che è stato acquistato da Balletown, controllata di China Infastructure Group per 10 milioni di euro, con un’operazione che porterà all’apertura di diversi department store in Cina entro il 2017. Ma anche la Cina non è certo indifferente all’Italia. Nel giorno in cui la Commissione Ue chiude l’indagine anti-dumping contro la Cina nel settore delle tlc e in cui la Bundesbank si prepara a giocare il ruolo di hub europeo per il commercio della valuta cinese yuan, il nostro Paese incassa il via libera di Pechino all’export di mortadelle e cotechini, dopo aver già ottenuto la chiusura dell’indagine anti-dumping sul vino importato dall’Europa, e dall’Italia in particolare.

fonte: ANSA

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Riccardo Monti (Ice): +7% export italiano in primi quattro mesi 2013

Nei primi quattro mesi del 2013 le esportazioni italiane in Cina sono cresciute del 7 per cento, mentre le importazioni hanno mostrato una tendenza alla diminuzione. Lo ha affermato il presidente dell’ Istituto per il commercio estero (Ice)* Riccardo Monti, in visita a Pechino, parlando ad un gruppo di giornalisti italiani. ”Ci stiamo muovendo verso la diminuzione del deficit commerciale”, ha aggiunto Monti, sottolineando che la Cina e’ per l’ Italia ”un mercato prioritario” e che l’ attivita’ di promozione del ”made in Italy” e’ necessaria, dato che si tratta di un mercato ”difficile, complicato, competitivo”. Il presidente dell’ Ice sostiene che e’ necessario un ”piano straordinario” per l’ agroalimentare, con l’ obiettivo di raggiungere una ventina di citta’ cinesi della cosidetta ”seconda fascia”, luoghi chiave per lo sviluppo del mercato interno che e’ nei programmi della dirigenza cinese. L’ Italia puo’ giocare un ruolo di primo piano in alcune delle iniziative di lungo periodo intraprese dalle autorita’ cinesi, vale a dire la lotta per la salvezza dell’ ambiente e l’ urbanizzazione di centinaia di milioni di cittadini che ancora vivono in zone rurali, secondo Monti.

fonte: ANSA

*Quella che ieri era l’Ice, dopo essere stata chiusa da Tremonti e riaperta, oggi si chiama Agenzia Ice per la promozione all’estero l’internazionalizzazione delle imprese italiane

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Tappa a Shanghai per associazione parlamentare di amicizia Italia-Corea del Nord

Tappa nella capitale economica cinese per l’Associazione parlamentare di amicizia Italia-Corea del Nord, presieduta dall’onorevole Osvaldo Napoli. La delegazione, della quale fanno parte anche i parlamentari Paolo Romani e Antonio Razzi, si e’ fermata a Shanghai prima di raggiungere Pyongyang. ”Siamo stati tra i primi – ha detto Napoli all’ANSA – ad avere relazioni con la Corea del Nord. Puo’ essere una importante occasione per le aziende italiane, visto che e’ tutto ancora da creare. Sul posto gia’ operano due aziende italiane e speriamo che il paese si apra sempre piu’. Noi siamo pronti”. A Shanghai la delegazione ha avuto modo di partecipare al periodico seminario a porte chiuse organizzato dal Consolato Italiano e dall’Ice di Shanghai con gli imprenditori italiani presenti sul territorio. Il console Generale Vincenzo De Luca ha illustrato la situazione delle aziende italiane nel territorio, come il nostro paese sia uno dei punti di riferimento della Cina orientale in termini di investimenti, nonostante il periodo di crisi. A dimostrazione di cio’, l’elevato numero di visti concessi a cinesi dal Consolato, quasi 90.000, numero piu’ alto tra tutti i paesi europei. Trend, quello dell’aumento dei visti, riscontrato anche nelle altre sedi diplomatiche italiane in Cina, grazie alle iniziative messe in campo dall’Ambasciata italiana a Pechino. Le aziende italiane a Shanghai e nelle province limitrofe hanno potuto informare i membri del parlamento italiano della situazione che vivono e di quanto si dovrebbe fare a livello governativo italiano per sostenerle, considerando le difficolta’ che anche un colosso economico come la Cina sta affrontando. ”Incontrare le aziende che vivono il territorio e’ sempre molto importante – ha detto all’ANSA l’ex ministro Paolo Romani – ci da’ la possibilita’ di toccare di persona le esigenze e le difficolta’ che incontrano. La Cina non e’ una minaccia ma una risorsa anche se bisogna lavorare pure a livello governativo per fornire tutti gli aiuti possibili e il sostegno che queste aziende meritano. Non dobbiamo lasciarle sole, dobbiamo mettere in campo azioni per lo sviluppo che ne sostengano le attivita”’.

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Diventano asiatici (cinesi in particolare) Miss Sixty ed Energie

Un altro pezzo della moda italiana passa in mani straniere. Stavolta, dopo i casi Bulgari e Brioni, é la volta di Sixty, il gruppo fondato nel 1987 da Wicky Hassan e Renato Rossi e noto nel mondo del ‘fashion’ soprattutto per i marchi di jeans come Miss Sixty ed Energie. E a comprare è la società d’investimento panasiatica con sedi a Singapore e Shanghai, Crescent HydePark. I termini dell’operazione non sono ancora noti, così come il profilo dei nuovi investitori. Quel che si sa è che Sixty sta risentendo da tempo della crisi: il fatturato è piombato da 500 a 300 milioni nel giro degli ultimi due anni e il debito è salito a circa 300 milioni di euro. Dal bilancio 2010 emerge inoltre che con l’aiuto di Mediobanca il gruppo sta mettendo a punto una manovra volta alla ristrutturazione dell’indebitamento ma che ad oggi non è stata ancora perfezionata con il pool di banche creditrici. La parola passa quindi ai nuovi azionisti asiatici che dovranno studiare e varare un piano di rilancio del gruppo. Fino ad oggi la società, controllata da due holding di diritto estero, ovvero Sixty Sa e Sixty international (titolari di oltre il 94 per cento del capitale) e riconducibili ai fondatori del gruppo, è stata portata avanti grazie anche allo sforzo vecchi dei soci. Appena prima della morte di Hassan, nel dicembre scorso a soli 56 anni, i due avevano appena finito di ricapitalizzare l’azienda teatina con circa 40 milioni di euro. Adesso, quindi, bisognerà vedere le intenzioni di Crescent HydePark. Oltre l’accollo dei debiti è presumibile che il socio made in Singapore proceda con un’iniezione di liquidità per tirar fuori dalle secche il gruppo. Secondo quanto spiegato da alcune fonti, a guidare Sixty resterà l’attuale management capitanato dall’amministratore delegato Piero Bongiovanni. Da ben 25 anni Sixty, che ad oggi conta oltre 1500 dipendenti, è conosciuto per i suoi marchi Miss Sixty, Energie, Killah, Murphy&Nye e RefrigiWear. Sotto la direzione creativa di Hassan il gruppo è cresciuto fino a diventare un simbolo della moda “made in Italy” dedicata ai giovani, ridefinendo la categoria dei prodotti denim e introducendo innovazioni all’avanguardia nel design femminile.

fonte: ANSA

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Marchi made in Italy a caccia di manager cinesi

Grandi marchi del made in Italy in cerca di dipendenti e manager cinesi. E nel mirino ci sono soprattutto i ragazzi originari del Celeste Impero che studiano nelle nostre università (erano 4.600 lo scorso anno accademico). Prima occasione di incontro è stato il First Italy China Career Day, che ha visto oggi partecipare a Milano 30 aziende con nomi del calibro di Lavazza, Pirelli Tyre, Ferragamo, Max Mara, Fendi e 160 giovani laureandi, neo laureati e dottorandi cinesi. A organizzare il seminario, dedicato per buona parte a interviste e colloqui mirati, la Fondazione Italia Cina. “Sono sempre più numerose le aziende italiane e cinesi con sede in Italia che ricercano risorse cinesi nate nel nostro Paese o da molti anni residenti in Italia. Oggi le imprese che già operano con la Cina e che sono motivate a cogliere le opportunità derivanti dall’ingresso in questo mercato hanno compreso l’importanza di affiancare personale cinese altamente qualificato al proprio team di lavoro”, ha commentato Cesare Romiti, presidente della Fondazione Italia Cina.

fonte: Ansa

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