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Cina: decine di vittime in un attentato nello Xinjiang

Almeno 31 persone sono state uccise e 94 ferite oggi in un attacco terroristico a Urumqi, nella regione cinese dello Xinjiang, teatro da cinque anni di un crescendo di violenze a sfondo etnico. Alle 7.50 locali di mattina due vetture hanno sfondato gli sbarramenti di un mercato frequentato in genere da immigrati cinesi nella regione, patria della minoranza turcofona e musulmana degli uighuri. Delle bombe sono state lanciate tra la folla dagli occupanti delle due auto, una delle quali è poi esplosa. Testimoni hanno riferito di aver visto “fiamme alte quanto un palazzo” e di essere fuggiti terrorizzati. “Ho più di 60 anni e non ho mai avuto tanta paura”, ha raccontato uno di loro ad un giornale cinese. Immagini di cadaveri e di feriti sono state diffuse su internet dalle persone presenti sulla scena. Il governo della Regione Uighura Autonoma dello Xinjiang ha ordinato l’arresto di decine di internauti che avrebbero diffuso “voci false”. Il presidente Xi Jinping, in una dichiarazione, ha promesso di “punire severamente” i colpevoli e ha chiesto alle autorità locali di “risolvere rapidamente il caso, di prestare le dovute cure ai feriti e di esprimere le condoglianze del governo alle famiglie delle vittime”. L’attacco di oggi è l’ultimo episodio di una serie di attentati e di violenze legati alla crisi etnica dello Xinjiang. Gli uighuri, che sono il 40-45% dei venti milioni di abitanti della regione, lamentano di essere lasciati ai margini dello sviluppo, che andrebbe a esclusivo beneficio degli immigrati da altre regioni della Cina. La regione è desertica, montagnosa, e ricca di materie prime. Inoltre, si trova in una posizione strategica ai confini con l’Asia centrale e meridionale. L’escalation di violenze è iniziata l’anno scorso, con un attacco a Turpan nel quale rimasero uccise 24 persone. In ottobre, secondo la versione della polizia cinese, tre uighuri si sono gettati con la loro vettura sulla folla su piazza Tiananmen, a Pechino, uccidendo due turisti. In gennaio, sempre a Pechino, è stato arrestato e accusato di sedizione il professore uighuro Ilham Tohti, sostenitore dell’integrazione tra uighuri e cinesi e voce dell’ala moderata del dissenso uighuro. Il primo marzo, un commando ha ucciso 29 persone a Kunming, nel sud della Cina, dove in seguito quattro terroristi sono stati abbattuti dalla polizia. Ancora a Urumqi, in aprile, tre persone hanno perso la vita nell’ennesimo attacco ad una stazione ferroviaria condotto durante la visita nella regione del presidente Xi. Secondo l’emittente Radio Free Asia (Rfa) almeno cento persone, quasi tutte di etnia uighura, sono state uccise negli ultimi mesi nello Xinjiang in violenze che hanno opposto piccoli gruppi di uighuri alle forze di sicurezza cinesi. Rfa ha sostenuto che nei giorni scorsi almeno quattro persone sono state uccise ad Aksu mentre cercavano di opporsi ad un massiccio intervento della polizia contro le donne velate e gli uomini con le barbe lunghe, vale a dire i segni distintivi dei fedeli musulmani. Pechino accusa degli attentati i gruppi estremisti uighuri come il Movimento Islamico del Turkestan Orientale (Etim) e il Turkestan Islamic Party (Tip), legati all’internazionale islamica del terrore. Gli esuli uighuri, tra cui la presidente dell’Associazione degli Uighuri in America, Rebiya Kadeer, affermano invece che si tratta di azioni di giovani “disperati” per la repressione cinese e per la “sistematica distruzione” della loro identità culturale.

fonte: Beniamino Natale per ANSA

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Bagno di sangue in stazione ferroviaria di Kunming. La Cina accusa gli uighuri

Bagno di sangue in una stazione ferroviaria della capitale della provincia sud-occidentale cinese dello Yunnan. Secondo le informazioni diffuse dall’agenzia di stampa Nuova Cina e da altri media locali, un gruppo di uomini armati di coltello ha fatto irruzione verso le 21 (ora locale) nella stazione ferroviaria, attaccando passeggeri in attesa di partire o appena arrivati. La stazione di Kunming é molto frequentata e, secondo i primi dati, 27 persone sono state uccise e altre 109 ferite. L’agenzia di stampa cinese non fornisce alcuna spiegazione della tragica vicenda, mentre una televisione locale ha definito la vicenda un “violento attacco terroristico”. Un’altra agenzia di stampa cinese, la Yunnan News, attribuisce la sanguinosa aggressione a una banda di criminali. Ma le informazioni arrivano con il contagocce e, anche se non ufficialmente, Pechino sta censurando le notizie che escono dal Paese. Tra le vittime in ogni caso vi sono anche persone ammazzate da colpi d’arma da fuoco perché le forze di sicurezza, una volta arrivate sul posto, hanno cominciato subito a sparare. Raffiche sono state sentite da numerosi sopravvissuti che hanno raccontato di spari ripetuti e continui, tra la gente che presa dal panico urlando cercava di fuggire e di trovare un riparo. Altro mistero riguarda non solo l’identità ma anche la “tipologia” degli aggressori: secondo media locali alcuni sarebbero stati vestiti di nero, mentre altre fonti li descrivono addirittura in divisa. Alcuni assalitori avrebbero anche risposto con armi da fuoco all’intervento delle forze di sicurezza nella stazione, scatenando una violentissima sparatoria. Da ciò l’alto numero di morti e di feriti. Tra le vittime vi sarebbero anche alcuni aggressori. La zona è stata isolata e molte ambulanze fanno la spola verso gli ospedali. La gente si accalca all’esterno ma viene tenuta a distanza. “Sina Weibo”, l’equivalente cinese di Twitter, e la rete televisiva locale K6 sono riusciti a mettere in circolazione alcuni brevi messaggi che parlano di una zona di sicurezza molto ampia istituita dalla polizia. Fotografie, di cui non é possibile verificare l’autenticità, sono invece state postate su vari siti online e danno un’idea solo parziale del disastro: grandi macchie di sangue per terra, sulle pareti e sui tornelli che separano l’atrio dalle banchine ferroviarie. E poi medici che si affannano intorno ai feriti, piegati su persone stese al suolo, alcune apparentemente ferite. La provincia dello Yunnan non é mai stata teatro di attacchi violenti di questo tipo e nessuno fa per ora ipotesi sulle motivazione all’origine della strage.
La Cina accusa i terroristi uighuri per il massacro avvenuto nella tarda serata di ieri nella stazione di Kunming, nel sudovest della Cina, dove secondo l’ ultimo bilancio, 29 persone sono state uccise e più di cento ferite a colpi di coltello. Gli uighuri sono la minoranza turcofona e musulmana originaria del Xinjiang, la vasta regione del nordovest della Cina ricca di risorse naturali e che segna i confini con l’ Asia meridionale e centrale. L’attacco, di una gravità senza precedenti, è stato condotto da almeno dieci uomini vestiti di nero, che senza preavviso si sono scagliati sulla folla nella stazione ferroviaria di Kunming, una città di oltre sei milioni di abitanti al centro di una popolare zona turistica. Il presidente Xi Jinping ha personalmente chiesto alle forze di sicurezza di “indagare e risolvere il caso” e di sradicare “tutte le forme di terrorismo” dal Paese. Xi ha anche ordinato al capo dei servizi di sicurezza di Pechino, Meng Jianzhu, di seguire personalmente il caso. Gli uighuri, che oggi sono una minoranza nel Xinjiang a causa della massiccia immigrazione da altre regioni della Cina, lamentano di essere lasciati ai margini dello sviluppo economico e di essere considerati cittadini di “serie B” rispetto alla maggioranza dei cinesi “han”. La situazione nella regione è estremamente tesa dal 2009, quando quasi 200 persone persero la vita in scontri tra uighuri e cinesi a Urumqi, la capitale della Regione Autonoma del Xinjiang. Da allora il territorio è isolato e teatro di sporadici episodi di violenza che Pechino attribuisce a secessionisti musulmani legati all’Internazionale islamica del terrore basata in Pakistan e Afghanistan. L’ultimo violento attacco attribuito a terroristi uighuri è quello di Turpan, nel luglio scorso, nel quale 24 persone rimasero uccise. Lo scorso 28 ottobre, una jeep ha investito la folla a piazza Tiananmen, a Pechino, uccidendo cinque persone. Anche questo episodio e’ stato attribuito ai secessionisti del Xinjiang. I gruppi di uighuri in esilio sostengono che Pechino esagera ad arte di ruolo dei terroristi e l’ accusa di praticare una politica di repressione. Dal 2009, sottolineano, centinaia di uighuri sono stati arrestati e imprigionati e decine di condanne a morte sono state eseguite nella regione.

fonte: ANSA

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Ordigno esplode dinanzi all’ufficio provinciale del partito

Una persona è rimasta ferita in seguito allo scoppio di un ordigno esploso dinanzi all’ufficio provinciale del partito comunista di Taiyuan, capoluogo della provincia dello Shanxi. Lo scrive l’agenzia Nuova Cina. L’esplosione è avvenuta stamattina intorno alle 7.40 ora locale. Secondo le informazioni disponibili, le esplosioni, almeno sette, sarebbero state dovute a piccoli ordigni di fabbricazione artigianale, poste a Taiyuan nei pressi dell’ufficio provinciale del partito comunista cinese della provincia dello Shanxi, nella Cina settentrionale, non lontano da Pechino. Di queste esplosioni, una sarebbe stata più forte. Alcuni pezzi di alluminio sono stati trovati sul luogo dell’esplosione, ritrovamento che fa ritenere agli investigatori che si tratti di ordigni fatti in casa. Lunedì 28 ottobre a piazza Tiananmen, a Pechino, un’automobile con tre persone a bordo ha sfondato le barriere di sicurezza e si è schiantata, prendendo fuoco, sotto il ritratto del fondatore della Repubblica Popolare Mao Zedong, tra la folla: il guidatore ed i due passeggeri della vettura sono morti sul colpo, mentre due turisti, una donna filippina e un cinese, sono deceduti in ospedale. La polizia di Pechino ha indicato in cinque appartenenti alla minoranza uighura i colpevoli dell’attentato, definito terrorista.

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Sei anni a uomo che fece esplodere bomba nell’aeroporto di Pechino

E’ stato condannato a sei anni di carcere Ji Zhongxing, l’uomo sulla sedia a rotelle che lo scorso mese di luglio fece esplodere un ordigno nell’aeroporto internazionale di Pechino. Lo riferisce l’agenzia Nuova Cina. Ji, 33 anni, originario della provincia orientale dello Shandong, il 20 luglio fece scoppiare una bomba nel terminal 3 dello scalo della capitale cinese, a causa della quale lo stesso Ji rimase gravemente ferito. Un poliziotto riportò ferite più lievi. L’uomo e’ paralizzato dal 2005, da quando, secondo quanto ha raccontato, subì gravi serie lesioni da agenti di sicurezza che lo avrebbero percosso ripetutamente nella città di Dongguan, nel sud della Cina. In base alla legge cinese, chiunque causa una esplosione o comunque mette in pericolo la pubblica sicurezza deve essere condannato a una pena carceraria dai tre ai dieci anni di carcere.

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Autobus in fiamme, incendio causato da suicida

La polizia di Xiamen, la città sud orientale della Cina nella quale ieri 47 persone sono morte nell’incendio di un autobus di linea, ha confermato che l’uomo identificato come sospettato è morto suicida nell’incendio da lui provocato. Chen Shuizong, 59 anni di Xiamen, era stato identificato dalle telecamere a circuito chiuso. Pantaloni scuro e camicia bianca, l’uomo è stato ripreso mentre saliva sull’autobus con una borsa in mano. Non è ancora chiaro quello sia successo sull’autobus, ma Chen si presume che abbia usato della benzina, di cui sono state trovate tracce sul mezzo che invece andava a gasolio, per suicidarsi e così provocato l’incendio. Secondo gli investigatori, che sono risaliti a Chen anche grazie ad una analisi del Dna, l’uomo ha agito “per sfogare rancori personali”. A casa sua, infatti, sarebbero stati trovati dei messaggi nei quali si dichiarava infelice e pessimista circa la sua vita, pianificando l’incendio per rancori personali.

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Autobus in fiamme a Xiamen, almeno 42 morti

Almeno 42 persone sono morte e altre 33 sono rimaste ferite nell’incendio di un autobus a Xiamen, nel sud-est della Cina. Lo riferisce l’agenzia ufficiale Xinhua. Secondo le autorità locali l’incendio è scoppiato a Xiamen, nella provincia del Fujian, mentre l’autobus stava viaggiando e si trovava a 500 metri dalla fermata degli autobus di Jinshan, in una zona residenziale della città. Le autorità hanno aperto un’inchiesta. L’incidente si è verificato nel tardo pomeriggio, intorno alle 18:30 locali, nell’ora di punta, quando gli autobus in città sono affollati di pendolari. Le immagini pubblicate dai siti d’informazione cinesi mostrano il veicolo ridotto ad una carcassa carbonizzata. Questo è il più grave incidente stradale, da molti anni a questa parte, in Cina, dove le strade sono particolarmente pericolose a causa della non conformità a leggi e norme sulla sicurezza.

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Bombe a palazzi governativi, attentatore lascia testamento su web, esplosioni per demolizione forzata

Ci sarebbe una vendetta per una demolizione forzata dietro il triplice attentato di ieri in Cina, stando al testamento elettronico lasciato sul blog dall’attentatore. La città di Fuzhou, nella parte orientale della Cina, è ancora scossa per i tre attentati quasi simultanei di ieri che hanno provocato la morte di tre persone e il ferimento di altre dieci, ed emergono nuovi inquietanti dettagli sull’uomo ritenuto esserne il responsabile. Le esplosioni ha avuto luogo una dopo l’altra dalle 09:18 alle 9:45, la prima al parcheggio della procura, la seconda all’interno di un edificio amministrativo e la terza nei pressi di un ufficio dell’amministrazione statale per alimentazione e farmaci. L’attentatore è una delle tre vittime. Identificato come il cinquantaduenne disoccupato nativo di Fuzhou, Qian Mingqi, risulta essere stato, secondo l’immagine fornita da internet e dai numerosi messaggi da lui lasciati nel suo microblog, un uomo in estrema difficoltà, che ha dedicato l’ultima parte della sua esistenza a cercare di portare avanti una battaglia personale per ottenere un risarcimento per la perdita della sua proprietà che, a suo dire, sarebbe stata demolita illegalmente dalle autorità, arrecandogli un ingente danno economico. “Sono sano, sono mentalmente normale – ha scritto di recente in un suo messaggio lasciato in rete – e fino ad oggi non ho mai commesso reati ma la mia casa è stata demolita illegalmente e con la forza, causandomi enormi perdite. Dieci anni perduti cercando inutilmente di ottenere giustizia. Mi hanno costretto a seguire una strada che non avrei voluto seguire”. Dalle sue parole emerge l’immagine di un uomo che si è convinto che se non adotterà misure drastiche per se stesso e per altri come lui, la sua storia non avrebbe mai visto la luce del giorno. E così, Qian ha iniziato a covare il suo piano per eseguire una protesta nel modo più drammatico e plateale possibile. In un recente intervento del 25 maggio messo in rete dopo la mezzanotte, ha parlato di “news esplosive” che stavano per accadere presto. In un altro post, Qian ha detto “anche se vado in cielo, ho intenzione di portare un po’ dei miei nemici con me!”. Dopo gli attentati di ieri e la sua morte, oltre 25.000 persone hanno visitato il suo profilo sul sito sina.com. Numerosi i messaggi di condoglianze. Alcuni cittadini della rete lo hanno chiamato “eroe del popolo”, “brava persona” e “vero uomo che si è sacrificato per gli altri”. Molti tuttavia temono che il caso di Qian possa generare fenomeni di emulazione. Ieri un ex poliziotto ha mandato in rete un messaggio ai suoi avvocati nel quale si era avuta la sensazione di ravvisare le sue ultime parole. Poche ore dopo il poliziotto si è rifatto vivo dicendo che il caso di Qian Mingqi gli aveva quasi fatto perdere la ragione, e che sua moglie e sua figlia lo avevano trovato in riva al lago, fermandolo giusto in tempo prima che egli si togliesse la vita.

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Panico per voci di attacchi con gas in metro Pechino

La polizia di Pechino ha respinto le voci di un attacco tramite gas velenosi nelle metropolitane della capitale, esortando la gente alla calma dopo la diffusione di false notizie su Internet. Lo riferisce il China Daily. Secondo le voci che si erano propagate, e che avevano scatenato il panico fra i viaggiatori, alcuni uomini avrebbero preso di mira giovani donne sulle linee 4 e 10 della metropolitana di Pechino attaccandole con del gas velenoso che fuoriusciva dai loro cellulari. Un internauta cinese, tra gli altri, sul suo microblog ha scritto di aver notato un uomo strano ad una delle stazioni della linea 10 che si era avvicinato ad una ragazza e le aveva spruzzato, tenendo in mano il suo cellulare, una strana sostanza gassosa aggiungendo che dopo la ragazza si era sentita strana e confusa. La polizia ha comunque minimizzato la situazione sottolineando che per essere drogati con il gas occorre una dose di grandi dimensioni di sostanze tossiche. Inoltre, hanno fatto sapere dalla polizia di Pechino, tutte le stazioni della metropolitana sono sotto stretta osservazione tramite monitor collocati ovunque. Anche gli esperti sanitari hanno confermato che l’avvelenamento da gas può avvenire solo con una forte dose e con un’inalazione prolungata.

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Tre bombe per vendetta contro palazzi governativi

E’ una delle due vittime delle esplosioni l’attentatore che stamattina ha fatto esplodere tre ordigni nei pressi di tre palazzi governativi in Cina. Lo riferisce l’agenzia Nuova Cina. Qian Mingqi, un cinquantaduenne disoccupato, secondo le prime informazioni sarebbe stato il responsabile delle tre bombe piazzate in tre auto nei pressi del palazzo che ospita l’ufficio del procuratore, nei pressi di quello del governo del distretto di Linchuan e nel palazzo dell’amministrazione distrettuale del cibo e dei farmaci a Fuzhou, nella provincia orientale cinese dello Jiangxi. Il corpo di Qian è stato trovato dinanzi all’ufficio del procuratore, mentre una seconda vittima e morta in ospedale a seguito delle ferite riportate. Dalle prime informazioni sembra che Qian abbia agito per vendetta contro una decisione del tribunale che non condivideva.

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Arrestato monaco per omicidio prete e suora

La polizia cinese ha annunciato di aver arrestato a Hohhot un monaco cattolico in connessione con l’omicidio di un prete e una suora della chiesa cattolica clandestina, lo scorso 6 luglio. Lo scrive l’agenzia Nuova Cina. Il monaco, Zhang Wenping, di 43 anni, e’ stato arrestato nella citta’ della Mongolia interna giovedi’ sera e avrebbe confessato di essere lui l’autore del duplice omicidio, secondo quanto ha detto all’agenzia di stampa un portavoce dell’ufficio di pubblica sicurezza di Wuhai, la citta’ dove e’ avvenuto il duplice omicidio. La polizia ha annunciato che le indagini non sono ancora concluse. Mercoledi’ scorso i corpi di padre Zhang Shulai, 55 anni, che presentava sette ferite da coltello, e di suor Wei Yanhui, 32 anni, con una sola coltellata al petto, furono trovati nell’ospizio di Wuhai, nella Mongolia interna, dove i due risiedevano e lavoravano. Suor Wei, nativa della Mongolia Interna, era la direttrice dell’ospizio, che ospita circa 60 persone e aveva preso i voti nel 2001. La sua stanza era al piano superiore. Padre Zhang, originario della provincia dell’Hebei, nella Cina settentrionale, era stato ordinato sacerdote nel 1985 e da venti anni risiedeva nella Mongolia Interna. La sua stanza era al pianterrenno dell’edificio. Nella Mongolia interna c’e’ una forte presenza di cattolici, in larga parte aderenti alla cosiddetta Chiesa cattolica ”clandestina”.

Aggiornamento: Per la stampa cinese on line e l’agenzia Asianews l’uomo arrestato perché responsabile del duplice omicidio di un prete e di una suora nella Mongolia interna, sarebbe un ex seminarista e non un monaco. Secondo le informazioni, l’arrestato è Zhang Wenping, bloccato ieri dalla polizia a Hohhot. Anche se i media statali cinesi hanno detto che le cause dell’omicidio non sono ancora chiare e che le indagini sono ancora in corso, secondo la versione fornita da alcuni siti, l’uomo avrebbe ucciso i due per rancore. Wenping, che ha confessato alla polizia il duplice omicidio avvenuto lo scorso 6 luglio, secondo voci all’interno della comunità cattolica intorno all’ospizio di Wuhai dove si è consumato l’omicidio, lavorava nell’ospizio, ma per alcune irregolarità, era stato licenziato da padre Zhang, vicario generale della diocesi di Nigxia, ucciso con sette coltellate. Wenping aveva minacciato in alcune occasioni di uccidere il padre Zhang, ritrovato morto insieme a suor Maria Wei, che gestiva l’ospizio. Secondo Asianews, in tutta la diocesi di Ningxia e in altre zone della Cina vi sono funzioni di preghiera per le due vittime. I funerali dei due religiosi saranno celebrati insieme il prossimo 11 luglio alle 7 di mattina nella chiesa vicina all’ospizio.

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