Archivi tag: amnesty international

Onorificenza per Ai Weiwei da Amnesty, ma lui non può ritirarla

L’artista e dissidente cinese Ai Weiwei ha ricevuto un’onorificenza da Amnesty International, che ne ha sottolineato il ruolo che ha svolto nella battaglia per il rispetto dei diritti umani in Cina. Il riconoscimento, l’Ambassador of Conscience Award, e’ stato assegnato anche alla musicista americana Joan Baez, che dagli sessanta e’ si batte per i diritti civili nel suo Paese e a livello internazionale. Ai, ringraziando, ha ricordato le responsabilita’ alle quali come artista si sente obbligato, in particolare in un momento nel quale la repressione in Cina sembra aggravarsi. Ai Weiwei, 57 anni, uno degli artisti piu’ popolari del Paese, ha poi rimarcato: “Noi tutti dobbiamo assumerci delle responsabilità”. Ai e’ stato detenuto illegalmente per quasi tre mesi nel 2011. In seguito e’ stato rilasciato senza essere accusato formalmente di alcun reato, ma una delle sue societa’ e’ stata accusata di evasione fiscale. L’ artista era entrato in rotta di collisione con le autorita’ comuniste per aver difeso le vittime del terremoto del Sichuan del 2008, che accusavano costruttori legati ai politici locali di aver usato materiali scandenti per edificare scuole nella regione provocando indirettamente la morte di migliaia di ragazzi. Dal 2011 Ai Weiwei non ha il passaporto e ha affermato di non essere sicuro di potersi recare in maggio a Berlino per ricevere l’onorificenza.

fonte: ANSA

Lascia un commento

Archiviato in Diritti incivili

Maglia nera per le esecuzioni capitali a Cina, Iran e Iraq

La maglia nera delle esecuzioni capitali nel 2013 spetta alla Cina dove – nonostante le autorità mantengano segreti i dati – secondo Amnesty International ogni anno sono messe a morte migliaia di persone. Il rapporto 2013 dell’organizzazione per i diritti umani pone l’Iraq e l’Iran al secondo e al terzo posto, rispettivamente con 369 e 169 esecuzioni. L’Arabia Saudita è al quarto posto con almeno 79 condanne a morte eseguite. Al quinto ci sono gli Stati Uniti con 39. Nel 2013, sono stati 22 i Paesi nei quali sono state eseguite pene capitali, uno in più rispetto al 2012. Iran, Iraq e Arabia Saudita hanno totalizzato l’80 per cento delle esecuzioni del 2013. Indonesia, Kuwait, Nigeria e Vietnam hanno ripristinato l’uso della pena di morte. “L’aumento delle uccisioni cui abbiamo assistito in Iran e Iraq e’ vergognoso. Tuttavia, quegli stati che ancora si aggrappano alla pena di morte sono sul lato sbagliato della storia e di fatto sono sempre piu’ isolati” – ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International. Nonostante i passi indietro del 2013, negli ultimi 20 anni vi e’ stata una decisa diminuzione del numero dei Paesi che hanno usato la pena di morte .

fonte: ANSA

Lascia un commento

Archiviato in Diritti incivili

Quattro anni di reclusione a dissidente Xu Zhiyong

Chiedeva uguaglianza, moralità nella vita pubblica e trasparenza sulle ricchezze dei funzionari pubblici. Ma Xu Zhiyong, avvocato e attivista di spicco cinese particolarmente impegnato contro la corruzione e fondatore del Movimento dei nuovi cittadini, è stato condannato a 4 anni di reclusione per “disturbo dell’ordine pubblico”. Il verdetto, giunto in un contesto di crescente repressione delle voci dissidenti, ha “profondamente” deluso gli Stati Uniti. “Esortiamo le autorità cinesi – ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Jen Psaki – a rilasciare immediatamente Xu e gli altri prigionieri politici e a garantire loro protezione e libertà”. Già nei giorni scorsi, in occasione dell’arresto di altri militanti, Amnesty International aveva espresso preoccupazione. E già gli Stati Uniti e l’ambasciata Ue in Cina erano intervenuti. Ma Pechino aveva risposto chiedendo di “non interferire negli affari interni della Cina”. Xu, 40 anni, sostenitore della riforma del sistema giudiziario, è il fondatore del Movimento dei nuovi cittadini, una rete di attivisti nel mirino delle autorità. Tra le attività del gruppo alcuni raduni in strada e discussioni pubbliche su argomenti legati alla società civile, dall’uguaglianza alla corruzione delle élite. Durante il suo processo, Xu Zhiyong è rimasto in silenzio non volendo partecipare “a questa messa in scena teatrale”, aveva spiegato il suo legale. L’avvocato di Xu, Zhang Qingfang, ha descritto il processo come “teatro puro”, la cui “conclusione era nota in anticipo”. Per quanto riguarda la reazione del suo cliente, si riassume in poche parole: “alla fine, avete distrutto l’ultima traccia di credibilità e rispetto dello Stato di diritto in Cina”. Human Rights Watch e Amnesty hanno immediatamente condannato il verdetto, e i sostenitori di Xu hanno espresso incredulità riferisce il The Telegraph. “Lui ci ha sempre detto di rispettare la legge e di evitare l’azione radicale”, ha detto Wang Yuping, 58 anni. “Non capisco perché Xu è stato arrestato. Lui stesso non ha infranto la legge e non ci ha insegnato ad infrangerla”. Il processo a Xu si è svolto mercoledì scorso a porte chiuse, fra imponenti misure di sicurezza e il divieto per la stampa estera di entrare in aula. Anche ai diplomatici europei non è stato permesso di assistere al procedimento. Per questo e altro gli avvocati di Xu hanno affermato di considerare il processo “illegale” e Xu ha deciso di rimanere in silenzio per tutta la durata del procedimento.

fonte:ANSA

Lascia un commento

Archiviato in Diritti incivili

Amnesty International: Cina aumenta l’uso delle “prigioni nere”

La Cina sta incrementando l’ uso delle ”prigioni nere” e i centri per la riabilitazione dei drogati per rinchiudere le persone che si trovavano nei campi di rieducazione attraverso il lavoro, che sono stati aboliti. Lo afferma il gruppo umanitario Amnesty International in un documento diffuso oggi. La chiusura dei campi di rieducazione e’ stata decisa in novembre dal comitato centrale comunista. Secondo l’ agenzia Nuova Cina in tutto il Paese esistono 350 di questi campi, nei quali sono detenute 160 mila persone. La rieducazione attraverso il lavoro e’ una misura amministrativa che puo’ essere decisa dalla polizia senza consultare la magistratura. I gruppi umanitari affermano che questa misura viene usata spesso per punire dissidenti e seguaci di religioni non riconosciute dallo Stato cinese. Corinna-Barbara Francis, responsabile della Cina per Amnesty International ha affermato che ”gli abusi e le torture continuano, anche se in un’ altra forma”. ”E’ chiaro che la politica di punire i cittadini per le loro opinioni politiche o le loro credenze religiose non e’ cambiata”, ha aggiunto.

fonte: ANSA

Lascia un commento

Archiviato in Diritti incivili

Eseguita condanna a morte per ex funzionario governativo pedofilo. Aveva stuprato 11 bambine

Le autorita’ cinesi hanno eseguito la condanna a morte per fucilazione di un ex funzionario governativo condannato per aver violentato undici minorenni. Lo scrive l’agenzia Nuova Cina. L’uomo, Li Xiongong, ex vice segretario generale del comitato cittadino del partito comunista di Yongcheng, nella provincia centrale dell’Henan, e’ stato arrestato nel maggio dell’anno scorso per aver violentato le ragazzine dalla seconda meta’ del 2011. Dopo la condanna, l’uomo fece appello ma fu rigettato. La condanna a morte e’ stata approvata dalla Corte suprema del Popolo. La stessa corte suprema il mese scorso ha annunciato un irrigidimento e un inasprimento delle condanne per crimini contro i minorenni, mostrando tolleranza zero contro questi crimini e cercando di proteggere maggiormente i bambini.

Lascia un commento

Archiviato in Diritti incivili

L’isola dei famosi cinese: la Tv di stato mostra ultimi istanti di condannati a morte

Il caustico sorriso di Naw Kham, ammanettato e stretto tra impassibili ufficiali di polizia, ha introdotto la macabra sfilata andata in onda oggi sulla televisione di Stato cinese. La Cctv ha infatti trasmesso in diretta le immagini dell’omicida e boss della droga Naw e di tre suoi collaboratori mentre venivano portati al patibolo. Protagonisti, loro malgrado, di uno spettacolo di due ore che, sebbene interrotto a pochi minuti dalla loro esecuzione, ha provocato un’ondata di reazioni contrastanti, ora di applausi ma soprattutto di sdegno in tutta la Cina. Nelle immagini della Cctv il birmano Naw Kham, il thailandese Hsang Kham, l’apolide Yi La e il laotiano Zha Xika sono stati ripresi mentre venivano prelevati dalle loro celle della prigione di Kunming, città del Sud-Ovest, fatti entrare nelle auto della polizia e portati nella stanza della morte dove hanno poi subito un’iniezione letale. Tutti e quattro avevano mani e piedi ammanettati e su tutti le riprese hanno indugiato a lungo, a partire dal volto di Naw, considerato il capo di una banda che nell’ottobre del 2011 rapì e uccise 13 cinesi sul fiume Mekong, reato per il quale i quattro sono stati condannati a morte. La scelta della Cctv di trasmettere i loro ultimi momenti di vita non è stata casuale, tanto che solo ieri la stessa emittente aveva trasmesso un’intervista in cui Naw mostrava tutta la sua disperazione. “Non dormo da due giorni. Mi manca mia madre ed è davvero doloroso non essere con i miei figli”, aveva detto il bandito, del quale l’agenzia ufficiale Xinhua ha annunciato l’esecuzione pubblicando una sua foto con le mani congiunte sulla fronte. A testimonianza del fatto che quella andata in onda oggi sembra essere una vera e propria operazione mediatica che rimanda alle ‘sfilate della morte’ dell’era di Mao, nelle quali i condannati venivano condotti per le strade cittadine prima di giungere al patibolo. “Non c’é stata alcuna ripresa delle esecuzioni. Abbiamo solo visto la paura e la debolezza dei narcotrafficanti davanti alla morte”, ha commentato su Sina Weibo – il twitter cinese – la Cctv reagendo alla miriade di proteste emerse dalla rete e non solo. Come quella di un noto avvocato per i diritti umani, Liu Xiaoyuan, secondo il quale la decisione della Cctv “ha violato la legge”. O come quella di tantissimi utenti che, in un Paese dove il numero di esecuzioni è un segreto di Stato ma secondo diverse Ong supera le 4mila all’anno, hanno giudicato “crudeli e voyeuristiche” le immagini dei condannati. In tanti però hanno applaudito la scelta vista anche l’eco che ebbe il caso di Naw Kham e dei suoi complici, arrestati in Laos nel maggio scorso e condannati a morte per aver rapito e ucciso 13 turisti cinesi mentre navigano sul fiume Mekong – nel suo tratto thailandese – in una zona soprannominata ‘il Triangolo d’Orò, compresa tra Cina, Thailandia, Laos e Birmania, dove agiscono più o meno liberamente gruppi secessionisti, pirati e trafficanti di droga. Una vera spina nel fianco per Pechino che da tempo ha deciso di usare il pugno di ferro. E le immagini dei 4 condannati, peraltro tutti stranieri e arrestati fuori dai confini cinesi, appaiono proprio come un chiaro monito per i banditi del Mekong.

fonte: ANSA

Lascia un commento

Archiviato in Diritti incivili

Petizione per evitare pena di morte a donna vittima di abusi

Oltre cento tra avvocati e docenti universitari hanno sottoscritto una petizione inviata alla Suprema Corte cinese affinché ritiri la sentenza di morte nei confronti di una donna che ha ucciso il marito perché questi la sottoponeva a ripetute violenze domestiche. La motivazione della richiesta, secondo quanto scrive la stampa cinese, risiede nel fatto che condannando alla pena capitale una vittima di abusi domestici mostra che queste vittime non sono protette dalla società e dalla legge. Li Yan, della contea di Zizhong nella provincia meridionale del Sichuan, è stata condannata a morte per aver ucciso con una pistola suo marito, dal quale subiva ripetute violenze, il 3 novembre del 2010. Nel dibattimento, che ha portato alla condanna lo scorso agosto, è emerso che l’uomo la picchiava ripetutamente, anche la stessa sera nella quale è stato ucciso, e non le permetteva di comunicare all’esterno. L’uomo le tagliò anche un dito e usava spegnere le sigarette sul corpo della donna, oltre a lasciarla per ore al freddo sul balcone con abiti leggeri. La donna avrebbe anche provato invano a divorziare. In suo favore, si è schierata anche Amnesty International. La sentenza, confermata a metà gennaio, dovrebbe essere eseguita nelle prossime settimane.

Lascia un commento

Archiviato in Diritti incivili

Più esecuzioni al mondo, ma mancano i dati delle migliaia in Cina

Diminuisce il numero dei Paesi che ricorrono alla pena di morte (oltre un terzo rispetto a un decennio fa), ma aumentano le esecuzioni soprattutto in Medio Oriente. E la maglia nera va all’Iran con il record di 360 esecuzioni. La meta’ del bilancio mondiale. E’ quanto si legge nel rapporto annuale di Amnesty International, secondo il quale nel 2011 solo il 10% dei Paesi dove e’ ancora in vigore la pena capitale, 20 su 198, hanno eseguito condanne a morte, mentre il numero delle esecuzioni e’ aumentato per attestarsi a 676. ”L’aumento e’ dovuto in gran parte a un significativo incremento delle esecuzioni in Iran, Iraq e in Arabia Saudita”, si legge nel rapporto. L’Iran da solo rappresenta oltre la meta’ del bilancio mondiale: almeno 360 persone sono state giustiziate nella repubblica islamica (108 in piu’ rispetto al 2010), tre quarti per crimini legati alla droga. L’Arabia Saudita ha eseguito almeno 82 condanne, l’Iraq 68 e 41 lo Yemen. L’aumento in Iran e Arabia Saudita giustifica, da solo, la differenza di 149 esecuzioni a livello mondiale rispetto ai dati del 2010. Questi dati, tuttavia, non includono le migliaia di esecuzioni che Amnesty International ritiene abbiano avuto luogo in Cina, dove queste informazioni non sono rese pubbliche. Per quanto riguarda l’Iran, Amnesty ha ricevuto informazioni affidabili secondo le quali vi e’ stato un gran numero di esecuzioni non confermate o persino segrete, che raddoppierebbe il dato di quelle ufficialmente riconosciute. Almeno tre persone giustiziate in Iran avevano meno di 18 anni quando hanno commesso i fatti per i quali sono stati condannati a morte. Sempre nella Repubblica islamica, i giustiziati erano stati riconosciuti colpevoli di adulterio, sodomia, apostasia. Altri sono stati accusati di blasfemia in Pakistan, di stregoneria in Arabia Saudita, di traffico di resti umani nella Repubblica Democratica del Congo. I metodi di esecuzione hanno compreso la decapitazione, l’impiccagione, l’iniezione letale e la fucilazione. Nel 2011 sono state messe a morte almeno 676 persone mentre erano almeno 18.750, alla fine dell’anno, i prigionieri in attesa dell’esecuzione. Il rapporto sottolinea che migliaia di persone sono state messe a morte in Cina, piu’ che nel resto del mondo, ma i dati sono un segreto di stato. Amnesty International ha cessato di fornire dati basati su fonti pubbliche cinesi, poiche’ e’ probabile che sottostimino enormemente il numero effettivo delle esecuzioni. L’Ong ha invitato Pechino a rendere pubblici i dati sulle condanne a morte ed esecuzioni. Con 43 esecuzioni (tre in meno rispetto al 2010), gli Stati Uniti sono stati l’unico Paese del G8 (che comprende anche il Giappone, Canada, Germania, Francia, Italia, Regno Unito e Russia) ad applicare la pena capitale. ”La vasta maggioranza dei Paesi ha deciso di non usare piu’ la pena di morte. Il nostro messaggio ai leader di quella isolata minoranza di Paesi che continua a ricorrervi e’ chiaro: non siete al passo col resto del mondo su questo argomento ed e’ tempo che prendiate iniziative per porre fine alla piu’ crudele, disumana e degradante delle punizioni”, ha detto Salil Shetty, Segretario generale di Amnesty International.

fonte: ANSA

Lascia un commento

Archiviato in Diritti incivili

Diminuite le esecuzioni capitali in Cina, ma sono sempre 4000 l’anno

Diminuite, in Cina, di circa il 50% le esecuzioni capitali dal 2007 ad oggi. Il dato e’ stato reso noto dai vertici della Fondazione, con sede in America, Dui Hua, che si occupa di tutela dei diritti umani. Secondo i dati forniti, attualmente sono circa 4000 all’anno le condanne a morte eseguite in Cina, un numero ancora elevato ma molto piu’ basso rispetto al passato. Secondo gli analisti, la diminuzione sarebbe collegata alla nuova normativa, che risale appunto al 2007, che impone che ogni condanna a morte emessa da tribunali di grado inferiore deve essere rivista dalla Corte Suprema. Anche se Pechino ha introdotto una serie di iniziative per limitare l’applicazione della pena di morte, secondo Amnesty International, nel paese sono comunque eseguite piu’ condanne a morte che in tutto il resto del mondo.
”La Cina ha fatto enormi progressi nel ridurre il numero delle esecuzioni – ha commentato John Kamm, direttore esecutivo di Dui Hua, ma il numero e’ ancora troppo alto e troppo lentamente in declino”. Attualmente la Cina prevede la pena di morte per 55 reati (nello scorso febbraio il governo l’ha rimossa per 13 reati). Fino al 1997 era prevista anche per il furto.
Secondo molti avvocati e attivisti per i diritti umani molte persone condannate a morte subiscono torture e vengono costrette spesso a confessare anche reati non commessi durante gli interrogatori, e non hanno la possibilita’ di difendersi in giudizio adeguatamente. Solo martedi’ le autorita’ della provincia sudoccidentale di Kunming hanno eseguito la condanna a morte per due uomini e una donna, condannati per il loro coinvolgimento in un traffico di droga, prostituzione, estorsione e diffusione di denaro falso.

Lascia un commento

Archiviato in Diritti incivili

Eseguite tre condanne a morte in Cina

Il capo di un’ organizzazione mafiosa e due dei suoi luogotenenti sono stati messi a morte oggi a Kunming, nel sud della Cina, secondo l’agenzia Nuova Cina. Le condanne a morte, emesse nel 2009, sono state eseguite dopo essere state approvate dalla Corte Suprema di Pechino, come prevede la legge. Si tratta di Jiang Jiatian, 58 anni, che, secondo l’agenzia, si è “arricchito negli anni novanta” con il traffico di droga riciclando poi i proventi in case da té, Internet café e alberghi, della sua amante Yang Jufen e di Xie Mingxiang. Le autorita” di Kunming, guidate dal segretario del Partito comunista della metropoli e astro nascente della politica cinese Bo Xilai, hanno lanciato nel 2009 una campagna contro le potenti organizzazioni locali che ha portato a centinaia di condanne a pene detentive. Prima dei tre uccisi oggi, era stato messo a morte l’ anno scorso Wen Qiang, ex-direttore della polizia giudiziaria della metropoli. La Cina è il paese che esegue il maggior numero di condanne a morte del mondo. Il loro numero è segreto ma sono migliaia ogni anno secondo le organizzazioni umanitarie internazionali.

Lascia un commento

Archiviato in Diritti incivili