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Ex capo della zona di libero scambio di Shanghai indagato per corruzione

Le autorità cinesi hanno posto sotto inchiesta per corruzione l’ex vicedirettore esecutivo (di fatto l’uomo al vertice della struttura) della Free Trade Zone di Shanghai, Dai Haibo. Secondo l’agenzia Nuova Cina, l’uomo avrebbe “seriamente violato la disciplina e le leggi del partito”, una formula usata per le accuse di corruzione, e la notizia è stata diffusa sei mesi dopo la sua rimozione dall’incarico nel primo esempio del genere in Cina di area di libero scambio. Le accuse a Dai Haibo, secondo alcune fonti, verrebbero da denunce presentate alle autorità dall’ex moglie e risalirebbero al periodo nel quale era a capo del distretto Nanhui di Shanghai, dal 2003 al 2009. Nonostante le buone intenzioni governative, l’area di libero scambio di Shanghai non ha riscosso il successo sperato. Il prossimo 28 marzo è prevista una manifestazione governativa per il lancio di nuove iniziative di liberalizzazione per l’area.

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Cacciato papavero del Partito comunista cinese per corruzione, un altro condannato a 19 anni

Cade la testa di un ennesimo alto papavero dell’establishment cinese. Su Rong, ex vice presidente del comitato nazionale conferenza politica consultiva del popolo cinese (Chinese People’s Political Consultative Conference National Committee, Cppcc), il massimo organo consultivo politico cinese, è stato espulso dal Partito comunista cinese con l’accusa di aver preso tangenti. Lo scrive l’Agenzia Nuova Cina. Su è uno dei più alti funzionari del partito comunista cinese a cadere nella rete dell’anticorruzione cinese voluta dal presidente Xi Jinping. Secondo le indagini della commissione per l’ispezione e la disciplina Su, dietro pagamento di tangenti, spostava o promuoveva dirigenti e funzionari, mentre era il capo del partito nella provincia del Jiangxi dal 2007 al 2013. Per lui si aprono ora le porte di una inchiesta penale. Intanto un tribunale di Shanghai ha condannato a 19 anni di carcere l’ex vice direttore della commissione sanitaria e di pianificazione familiare di Shanghai per corruzione. Huang Fengping, secondo la sentenza, avrebbe incassato soldi e oro per quasi 500 mila euro da società farmaceutiche. Al suo arresto a dicembre 2013, fu trovato in possesso di 400 buste contenenti ognuna due lingotti d’oro ognuno di 500 grammi. Alla sua famiglia sono state ricondotte proprietà per oltre 1,5 milioni di euro.

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Via dai libri di testo delle università cinesi i valori occidentali

Niente valori occidentali nei libri di testo e nelle aule universitarie cinesi: questo è quello che ha chiesto il ministro dell’educazione cinese, Yuan Guiren, ai rettori dei principali atenei cinesi, riuniti in un forum. “Bisogna che le università e i college mantengano l’integrità politica – ha detto il ministro – e non lascino mai che libri di testo che promuovono valori occidentali appaiano nelle nostre aule”. A tal proposito, come sottolineato dall’agenzia Nuova Cina, Yuan ha chiesto alle università di rafforzare la gestione ideologica per tenerla integra, soprattutto nei confronti di libri, materiali didattici e letture. Per il ministro, inoltre, osservazioni che diffamano la direzione del Partito comunista cinese, macchiano il socialismo o violano la Costituzione e le leggi del paese, non devono mai apparire o essere promossi nelle aule, spiegando che agli insegnanti “non deve mai essere permesso di sfogare i propri rancori personali o malcontento, evitando di passare idee negative per i loro studenti”. Non è ancora un editto ma poco ci manca, anche perchè da quando è al potere in Cina, il presidente Xi Jinping ha spinto sempre più per un recupero di valori maoisti-marxisti tradizionali pur nel rispetto dell’economia socialista di stampo cinese che ha fatto fino ad oggi la fortuna economica di questo paese. Lo scorso dicembre, il presidente aveva chiesto per una maggiore guida ideologica nelle università, spingendo di più allo studio del marxismo. Da poco più di due anni, sono state molte le azioni messe in campo dal governo sia a livello centrale che a livello locale. Battaglie ideologiche, soprattutto per arginare idee ritenute pericolose come la democrazia, il multipartitismo e i diritti umani, dei quali la Cina ha una propria concezione. Nell’ambito di queste campagne, diversi sono stati i docenti universitari allontanati o arrestati. Tra questi, ha fatto clamore il caso del professore di economia Ilham Tohti, che a settembre scorso è stato condannato all’ergastolo con l’accusa di separatismo per essersi battuto per i diritti della minoranza uighura durante alcune sue lezioni alla Minzu University di Pechino. Con la stessa accusa, sono stati condannati dai 3 agli 8 anni, sette suoi studenti. Nel 2013 sempre a Pechino fu licenziato dopo 13 anni Xia Yeliang, professore di economia, che aveva firmato il documento democratico Charta 08, lo stesso firmato dal premio Nobel in carcere Liu Xiaobo. Lo stesso anno il professore di legge Zhang Xuezhong, è stato espulso dalla sua università di Shanghai per aver chiesto riforme. Ma il richiamo ad valori marxisti-maoisti più forti è vento anche nei confronti dei giornalisti, obbligati dal 2013 a vere e proprie lezioni di marxismo. E un richiamo allo studio delle idee di Karl Marx e di Mao Zedong, sono arrivate anche alle scuole di Hong Kong, con l’obbligo di seguire lezioni di ‘educazione patriottica nazionale’ cinese.

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Inchiesta delle autorità cinesi sui suicidi dei funzionari pubblici

Troppi suicidi nel partito comunista cinese, che ha deciso di correre ai ripari e di vederci chiaro e ha aperto un’indagine. L’annuncio è apparso sul sito della Commissione Centrale per l’ispezione e la Disciplina (Ccdi), l’organo del Pcc preposto alle indagini e alle sanzioni, nel quale si legge che il partito ha sollecitato tutti i suoi quadri a collaborare, fornendo tutte le informazioni possibile per aiutare a fare luce sulle molte “morti innaturali”. In particolare dal dicembre 2012 – da quando cioè il presidente cinese, Xi Jinping, ha dato vita alla campagna anti-corruzione – a oggi. L’operazione di “pulizia”, fortemente voluta dal presidente, oltre al partito ha coinvolto anche l’Esercito di liberazione. Risultato: finora almeno 200.000 funzionari pubblici si sono ritrovati coinvolti in inchieste per vari reati. “Da quando è partita la campagna e, ancora di più, da quando è stata intensificata – ha detto al South China Morning Post Zhang Ming, professore di scienze politiche all’Università del Popolo di Pechino -, c’è stato un sensibile aumento dei casi di suicidio. In molti casi coloro che sono stati coinvolti in indagini o sospettati di reati più o meno gravi, hanno preferito togliersi la vita per chiudere la vicenda e proteggere le loro famiglie dall’agonia di un processo e delle sue conseguenze”. I membri del partito sono dunque ora chiamati a collaborare per individuare questi casi, compilando un formulario molto dettagliato dove devono indicare i nomi di coloro che sono deceduti in questo lasso temporale nel proprio gruppo di lavoro, specificando le mansioni che svolgevano, quanti anni avevano e le cause dichiarate delle morte. Nel formulario appare anche un campo, “Ragioni del suicidio”, che elenca varie possibilità, tra cui il coinvolgimento in attività illecite, il disordine emotivo e psicologico, le pressioni o i problemi sul lavoro o le contese e i dissidi familiari. La decisione delle autorità di far compilare il questionario deriva dal fatto che non esistono dati ufficiali sul fenomeno. A novembre scorso il South China Morning Post riportò il caso di un vice commissario della marina, il viceammiraglio Ma Faxiang, che si ritiene si sia suicidato. Tre mesi prima un altro ufficiale di marina morì cadendo da un palazzo in circostanze definite “sospette”. Questo mese l’ex vice segretario del partito della città di Nanchino ha tentato il suicidio gettandosi dalla finestra del palazzo del suo ufficio dopo essere stato avvicinato da alcuni funzionari dell’ufficio di ispezione e disciplina. Secondo dati della rivista Honest Outlook, sarebbero almeno 40 i funzionari che si sono suicidati lo scorso anno, molti di più di qualsiasi altro anno negli ultimi trent’anni. Per alcuni analisti la ragione di molti suicidi sta nel fatto che quando un funzionario viene messo sotto inchiesta per corruzione nella maggior parte dei casi viene coinvolta tutta la sua famiglia. Ci sono stati anche casi in cui i figli degli indagati sono stati cacciati da scuole prestigiose. Suicidandosi gli indagati trovano un modo per chiudere la vicenda e proteggere la famiglia consentendole anche di continuare a godere delle sostanze accumulate, illecitamente o meno.

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Fate la carità a Xi Jinping: il presidente cinese guadagna 1600 euro al mese

Il presidente cinese Xi Jinping, ha uno stipendio annuale di 19.200 euro l’anno, secondo quanto riferito dalla stampa cinese. Xi è arrivato a questa cifra dopo aver ricevuto un aumento del 62% del suo salario mensile. Prima infatti, lui e gli altri sei che hanno in mano le redini della potenza cinese, guadagnavano 7.020 yuan al mese, circa 986 euro, mentre ora con l’aumento ne guadagnano 11.385 (1600 euro).
Lo stipendio di Xi lo porta molto sotto, tra gli altri, al presidente americano Barack Obama che guadagna 400.000 dollari l’anno più 170.000 per spese e viaggi. Il primo ministro di Singapore, invece, Lee Hsien Loong, guadagna 1,4 milioni di euro l’anno, dopo un taglio nel 2012.
L’aumento dello stipendio del presidente cinese è stato deciso insieme a quello di tutti i funzionari e dipendenti statali, per ridurre il pericolo di corruzione. Non si conoscono però gli altri patrimoni né del presidente Xi né degli altri alti funzionari, che è affare interno del partito comunista cinese.

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Tagli fino al 50% per i manager pubblici cinesi

Il presidente cinese Xi Jinping ha approvato una riforma che prevede il taglio di fino al 50% degli stipendi dei funzionari che lavorano come manager delle imprese statali, definendone anche meglio compiti e competenze necessarie. Lo scrive la stampa di Pechino. Secondo la riforma, che avrà due momenti, i manager soprattutto del settore bancario e finanziario vedranno i loro salari tagliati fino alla metà e poi ci sarà un graduale cambiamento nelle loro responsabilità, aumentandole fino a piazzarli nei centri decisionali. Le responsabilità delle gestioni quotidiane, sarà a cura di manager internazionali. L’idea è che al vertice delle aziende statali e nel loro board ci siano cinesi che seguano le direttive governative, mentre gli stranieri possano si lavorarci, ma occuparsi di gestione ordinaria quotidiana. Molti di questi manager interessati dai tagli, hanno anche lo status o sono allo stesso livello di vice ministro o ministro ma sono molto più pagati dei politici, di cui però hanno i privilegi.

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Indagato l’ex ras della sicurezza nazionale cinese Zhou Yongkang

L’ ex-capo dei servizi di sicurezza cinesi Zhou Yongkang e’ indagato per corruzione. Lo afferma Nuova Cina secondo la quale Zhou, ex-potentissimo “zar” del mastodontico apparato di sicurezza cinese, e’ sotto indagine per “serie violazioni della disciplina” di partito, un’ espressione che nel linguaggio della politica cinese indica una prossima accusa di corruzione. L’indagine, aggiunge l’agenzia, e’ stata condotta dalla Commissione centrale per le ispezioni di disciplina, che e’ diretta da Wang Qishan, un alleato del presidente Xi Jiping. Lanciando piu’ di un anno fa la sua implacabile campagna contro la corruzione, Xi aveva affermato che avrebbe colpito non solo i “moscerini” ma anche le “tigri”, cioe’ i funzionari di alto livello. Nei mesi scorsi, almeno 200 persone ritenute vicine a Zhou Yongkang sono cadute sotto la mannaia della Commissione per la disciplina. Zhou e’ stato dal 2007 al 2012 membro del Comitato permanente dell’ufficio politico (Cpup), la massima espressione del potere politico in Cina, ed era considerato un “intoccabile”. L’ex-capo della sicurezza aveva sostenuto l’ ascesa verso i massimi livelli del potere di Bo Xilai, l’ ambizioso uomo politico caduto in disgrazia e condannato all’ ergastolo per corruzione e abuso di potere.

fonte: ANSA

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Pechino contro Accademia delle scienze sociali, “deviazionisti”

L’Accademia delle scienze di Pechino (Cass), il piu’ prestigioso istituto di ricerca della Cina, e’ “infiltrato da forze straniere” e sta perdendo smalto sul fronte della purezza ideologica. Lo ha denunciato Zhang Yingwei, un alto funzionario del Partito Comunista Cinese, con un ‘anatema’ che ha sorpreso molti osservatori. Zhang, ex-professore di marxismo-leninismo e attualmente membro della task-force contro la corruzione istituita dal regime, ha pronunciato una vera requisitoria contro la Cass, accusata di coltivare “collusioni illegali” e di non prestare sufficiente attenzione su “temi politici delicati”. L’ Accademia e’ in effetti un organo del Consiglio di Stato (il governo) e i suoi vertici vengono nominati dai massimi dirigenti del Partito Comunista. Secondo Zhang, i “problemi ideologici” dell’ istituto consistono nella presunta strumentalizzazione della ricerca accademica ad “altri fini”; nell’uso di Internet per “promuovere teorie che fanno comodo alle potenze straniere”; nel consentire che “influenze estere” abbiano un peso anche quando si analizzano “questioni sensibili”; nell’intrecciare ‘relazioni pericolose’ con persone legate ad altri Paesi. Di fatto la Cass collabora con studiosi e istituti di ricerca di altri paesi. Ma per settori della nomenklatura di Pechino questo appare evidentemente di per sé motivo di sospetto. Zhang oggi lavora presso la Commissione centrale per le ispezioni disciplinari, l’organo a cui il presidente Xi Jinping ha dato mandato di combattere la corruzione dilagante tra i funzionari governativi. La battaglia contro i corrotti – che secondo le voci critiche ha finora colpito in effetti solo avversari politici della nuova leadership cinese – e’ una dei pilastri ideologici dell’azione di Xi, che ha rovesciato la politica dei suoi predecessori Jiang Zemin e Hu Jintao, concentrando più potere nelle sue mani. E secondo il professor Johnny Lau di Hong Kong, un esperto di politica cinese, l’ attacco alla Cass indica che il partito mira a estendere questa linea accentratrice: animato dal “grande timore” che l’esposizione dei suoi militanti alle idee ‘occidentali’ possa diffondere un ‘contagio’ incontrollato dei concetti di democrazia e rispetto dei diritti umani.

fonte: ANSA

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Censurato sito maoista, diffondeva dottrine marxiste-leniniste

Niente propaganda marxista in Cina – paese sulla carta tuttora ‘comunista’ – senza controllo preliminare della censura. E’ in base a questo principio che le autorità di Pechino hanno imposto la chiusura d’un sito internet maoista per non meglio precisati ”problemi ideologici”. Lo riferisce radio Free Asia, secondo la quale ‘The East is Red’ (L’Oriente è Rosso), sito che mirava perlopiù a diffondere idee marxiste e leniniste secondo l’interpretazione di Mao, è stato fermato questa settimana su ordine dell’Amministrazione per le Comunicazioni del governo. Stando al parere di Chen Yonggmiao, un analista politico, la chiusura ‘per motivi ideologici’ del sito suggerisce in effetti come il Partito comunista al potere resti determinato a reprimere tutte le forme di dibattito ideologico, da qualunque parte provenga. Inclusi dagli ambienti che, in opposizione al vento che cambia, propugnano un ‘eccesso di ortodossia’. ”Le regole del gioco imposte dal partito – ha notato Chen – sono che a nessuna organizzazione e’ consentito di giocare un ruolo al di fuori del sistema di governo”. ”La sinistra maoista – ha commentato un utente online – spesso non è soddisfatta dello stato di cose a causa della corruzione e quindi si mostra in disaccordo con la linea del partito. Questo fa sì che debba essere eliminata”. La censura cinese non cessa del resto di stringere le sue maglie, cercando in ogni modo di sopprimere ogni possibile fattore di dissenso esplicito. Un atteggiamento che sta diventando ancor più evidente in questo periodo, approssimandosi il 25/mo anniversario della strage di piazza Tiananmen. La chiusura del sito ‘The East is Red’ non è d’altra parte l’unica azione del regime contro i ‘maoisti’ duri e puri nel paese. Recentemente a un professore dell’università di Nankai, nostalgico del Grande Timoniere, è stato impedito di tenere le sue conferenze, che sono state tutte cancellate. A un altro docente maoista è stato invece imposto di smettere di avere contatti con i media stranieri. Nel gennaio scorso un gruppo di cultori della memoria di Mao ha scritto inoltre una lettera aperta ai nuovi leader cinesi, per protestare contro la chiusura di vari siti internet bloccati sin dall’aprile 2012. Siti che solo in parte, e sotto discreta quanto ferrea sorveglianza, sono stati poi riaperti.

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“Principini” cinesi chiedono liberazione del premio Nobel Liu Xiaobo

Un gruppo di “principi rossi”, cioe’ discendenti dei “grandi rivoluzionari” che hanno portato al potere il Partito Comunista Cinese, avrebbero chiesto in una lettera al presidente Xi Jinping di liberare il dissidente e premio Nobel per la pace Liu Xiaobo, che sta scontando una condanna a 11 anni di prigione per “sovversione”. La notizia, trapelata sulla stampa internazionale, non ha avuto conferme sicure. Secondo le fonti i “principi” apparterrebbero alla seconda e terza generazione dell’ aristocrazia rossa cinese e alcuni di loro sarebbero “vicini” al presidente Xi. Dalla sua salita al potere, un anno e mezzo fa, Xi Jinping ha usato il pugno di ferro verso tutte le manifestazioni di dissenso. Nelle ultime settimane, anche a causa dell’ avvicinarsi del 25/mo anniversario del massacro di piazza Tiananmen, decine di dissidenti tra cui la giornalista Gao Yu e l’ avvocato Pu Zhiqiang sono finiti in prigione. Liu Xiaobo, 58 anni, partecipo’ al movimento per la democrazia del 1989. Nel 2009 e’ stato arrestato e successivamente condannato per aver stilato e promosso il documento Charta08 che chiede la fine del regime a partito unico e l’ instaurazione in Cina di un sistema democratico.

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