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Nuova condanna in Cina per Tie Liu, scrittore 80enne

Le autorità cinesi hanno condannato a 2 anni e mezzo ma con la sospensione della pena il famoso scrittore ottuagenario, Huang Zerong, meglio conosciuto come Tie Liu, che ha già trascorso più di 20 anni nei campi di lavoro. Secondo quanto riferiscono fonti di stampa, lo scrittore sarebbe stato condannato per aver condotto un business illegale anche se il vero motivo è il fatto che Liu, da sempre oppositore del regime, ha scritto un articolo molto critico nei confronti del capo dell’ufficio di propaganda e membro del politburo del partito comunista cinese. Lo scrittore è stato anche condannato a pagare una somma di 30.000 yuan (oltre 6.000 euro) e, con la pena sospesa, ora non si sa a cosa sarà destinato. Condannato ad un anno, senza che se ne conoscano i motivi, anche il suo assistente. Il processo non si è svolto a Pechino, residenza dello scrittore-giornalista, ma a Chengdu, città sudoccidentale, e a Tie è stato assegnato un avvocato d’ufficio dal momento che non era presente il suo. Tie Liu ha negato ogni accusa. L’avvocato del famoso scrittore ha anche sottolineato come il suo assistito sia stato detenuto, da settembre scorso, per cinque mesi, senza alcun motivo. Tie fu prelevato dalla sua casa di Pechino dopo aver pubblicato alcuni articoli riguardanti in particolare Liu Yunshan, potente membro del partito e capo della propaganda. Anche sulla sua rivista, “Small Scars from the past” (Piccoli graffi dal passato) che Tie distribuiva gratuitamente (e che gli sarebbe valsa l’accusa di business illegale) erano apparsi articoli “sensibili”, alcuni relativi soprattutto ai soprusi subiti da alcuni dissidenti perseguiti dal regime per la loro militanza politica e le loro campagne. Tie è uno dei più anziani dissidenti che sia mai stato formalmente perseguito e condannato. Il suo è comunque un nome ben noto alle autorità cinesi. La sua storia inizia già negli anni ’50, quando fu etichettato come uomo di destra, quindi contrario al partito e al regime, proprio da Mao Zedong e condannato a 23 anni nei campi di lavoro. Il suo nome venne “ripulito” solo negli anni 80. Le autorità cinesi sono negli ultimi anni divenute sempre meno tolleranti nei confronti di coloro che sono critici nei confronti del partito. I casi di arresto, coercizione, minacce, restrizioni della libertà, sono enormemente aumentati negli ultimi anni. Avvocati, scrittori, attivisti, operatori umanitari sono sempre di più nel mirino della censura. In molti casi non si è arrivati nemmeno al processo e si sono verificati anche casi di sparizioni.

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Basta nomi fasulli o “ironici” sui micrblog in Cina, si stringe la tenaglia su internet

La Cina continua a stringere le maglie della censura su internet. L’ultimo provvedimento riguarda i blog, micro blog e le chat room, per i quali viene richiesto, d’ora in avanti, che l’utente si registri con il suo vero nome e prometta per iscritto di evitare qualunque commento o azione che possa sfidare o creare disagio al sistema del partito comunista. Impossibile neanche registrarsi con nomi ritenuti ‘ironici’ (così li definiscono) come Obama o altri nomi di persone famose. La nuova mannaia, che rende sempre più difficoltoso per gli utenti in Cina l’utilizzo degli strumenti che offre la rete, sta notevolmente scoraggiando i ‘naviganti’, tanto che, secondo i dati disponibili e resi noti dal Centro per l’informazione internet cinese, già alla fine dello scorso anno il numero degli utenti di microblog era sceso a 249 milioni, registrando un calo del 7,1% rispetto al 2013. La Cina ha tuttora il maggior numero di utenti di internet al mondo (circa 649 milioni) ma le continue restrizioni imposte dal governo di Pechino stanno orientando il pubblico verso scelte diverse. Dei 649 milioni di utenti totali di internet, infatti, circa 557 accedono alla rete tramite dispositivi mobili. Sempre meno usati proprio i microblog mentre in costante crescita i sistemi di “instant Messaging” dove si è registrato un incremento del 17,8%. A dominare il mercato WeChat, prodotto del gigante della tecnologia cinese Tencent, che permette agli iscritti di scambiarsi foto, commenti, files, parlarsi, fare giochi, insomma una sorta di ‘Facebook cinese’. I più popolari social network stranieri come Twitter, Facebook e siti come Youtube in Cina sono vietati e quindi inaccessibili. Fino a poco tempo fa la censura del grande fratello veniva aggirata usando le Vpn, virtual social network, dei programmi (per lo più a pagamento) che consentono di collegarsi da un indirizzo straniero e quindi di aggirare i filtri che bloccano l’accesso a questi siti. Da alcune settimane però tutti i controlli sono stati intensificati e anche le vpn sono risultate inutili. Persino l’accesso a Google e ad alcuni dei suoi servizi è stato bloccato. La Cina di recente, anche per fronteggiare le numerose critiche sul suo operato in tal senso da parte della comunità internazionale, ha introdotto il concetto di “sovranità su internet” in base al quale, sostanzialmente, ogni paese avrebbe il diritto di controllare i materiali pubblicati on line all’interno dei propri confini. L’amministrazione cinese per il cyberspazio, dal canto suo, ha osservato che le nuove regole che impongono, tra le altre cose, la registrazione degli utenti, hanno il fine di “combattere il caos generato dagli username”. Pechino ha poi specificato che molti utenti usano nick name inappropriati (molto diffusi anche Putin e Obama) promuovendo “la diffusione di una cultura volgare”. Nel maggio scorso Sina Corporation, che gestisce una della maggiori piattaforme internet cinesi, ha dovuto pagare una multa di 815.000 dollari per aver consentito la pubblicazione di “contenuti dannosi e indecenti”.

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Via dai libri di testo delle università cinesi i valori occidentali

Niente valori occidentali nei libri di testo e nelle aule universitarie cinesi: questo è quello che ha chiesto il ministro dell’educazione cinese, Yuan Guiren, ai rettori dei principali atenei cinesi, riuniti in un forum. “Bisogna che le università e i college mantengano l’integrità politica – ha detto il ministro – e non lascino mai che libri di testo che promuovono valori occidentali appaiano nelle nostre aule”. A tal proposito, come sottolineato dall’agenzia Nuova Cina, Yuan ha chiesto alle università di rafforzare la gestione ideologica per tenerla integra, soprattutto nei confronti di libri, materiali didattici e letture. Per il ministro, inoltre, osservazioni che diffamano la direzione del Partito comunista cinese, macchiano il socialismo o violano la Costituzione e le leggi del paese, non devono mai apparire o essere promossi nelle aule, spiegando che agli insegnanti “non deve mai essere permesso di sfogare i propri rancori personali o malcontento, evitando di passare idee negative per i loro studenti”. Non è ancora un editto ma poco ci manca, anche perchè da quando è al potere in Cina, il presidente Xi Jinping ha spinto sempre più per un recupero di valori maoisti-marxisti tradizionali pur nel rispetto dell’economia socialista di stampo cinese che ha fatto fino ad oggi la fortuna economica di questo paese. Lo scorso dicembre, il presidente aveva chiesto per una maggiore guida ideologica nelle università, spingendo di più allo studio del marxismo. Da poco più di due anni, sono state molte le azioni messe in campo dal governo sia a livello centrale che a livello locale. Battaglie ideologiche, soprattutto per arginare idee ritenute pericolose come la democrazia, il multipartitismo e i diritti umani, dei quali la Cina ha una propria concezione. Nell’ambito di queste campagne, diversi sono stati i docenti universitari allontanati o arrestati. Tra questi, ha fatto clamore il caso del professore di economia Ilham Tohti, che a settembre scorso è stato condannato all’ergastolo con l’accusa di separatismo per essersi battuto per i diritti della minoranza uighura durante alcune sue lezioni alla Minzu University di Pechino. Con la stessa accusa, sono stati condannati dai 3 agli 8 anni, sette suoi studenti. Nel 2013 sempre a Pechino fu licenziato dopo 13 anni Xia Yeliang, professore di economia, che aveva firmato il documento democratico Charta 08, lo stesso firmato dal premio Nobel in carcere Liu Xiaobo. Lo stesso anno il professore di legge Zhang Xuezhong, è stato espulso dalla sua università di Shanghai per aver chiesto riforme. Ma il richiamo ad valori marxisti-maoisti più forti è vento anche nei confronti dei giornalisti, obbligati dal 2013 a vere e proprie lezioni di marxismo. E un richiamo allo studio delle idee di Karl Marx e di Mao Zedong, sono arrivate anche alle scuole di Hong Kong, con l’obbligo di seguire lezioni di ‘educazione patriottica nazionale’ cinese.

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Stretta sulle Vpn in Cina, impossibile sfuggire alla Grande Muraglia di fuoco

Impossibile in questi giorni in Cina riuscire a collegarsi ai siti censurati dalle autorità, utilizzando l’escamotage delle Vpn, i servizi che fingono collegamenti dall’estero per aggirare i controlli del grande fratello cinese. Le autorità di Pechino hanno infatti bloccato, in quella che è l’azione più grande in questo senso, quasi tutti i provider di virtual private network, largamente utilizzati non solo dagli stranieri ma anche da milioni di cinesi per raggiungere siti some Facebook, Youtoube, Twitter, Gmail. In questi giorni, le aziende fornitrici del servizio, stanno informando dell’impossibilità di fornire connessioni sicure soprattutto sui sistemi operativi mobili dell’Apple. Secondo forum online, la Grande Muraglia di Fuoco (Great Firewall), come viene chiamato il servizio di controllo internet cinese giocando sulle parole della grande muraglia e dei firewall, è stata migliorata e questo rende la vita impossibile ai gestori di vpn. Già prima era noto alle autorità di Pechino l’uso di questi servizi che, infatti, dovevano essere scaricati attraverso connessioni sicure. E la guerra cibernetica tra i gestori di Vpn e il Great Firewall era sempre stata vinta dai primi. Il blocco sta causando non pochi problemi anche a diverse aziende straniere con uffici in Cina, soprattutto a causa dell’impossibilità di utilizzare i servizi di posta Google.

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In vigore in Cina nuovi controlli su prodotti con tecnologie straniere

E’ entrata in vigore oggi in Cina la nuova regolamentazione secondo cui nessun prodotto tecnologico straniero può essere venduto nel Paese senza essere stato preventivamente passato al vaglio dalla Cyberspace Administration, il massimo organo per il controllo di internet: la Apple è la prima azienda straniera ad accettare che Pechino esegua i nuovi controlli sui suoi prodotti prima dell’immissione nel mercato cinese. Altre aziende, come Google o Facebook, non hanno ancora risposto alla richiesta cinese. La decisione di Pechino è nata soprattutto dopo le rivelazioni Edward Snowden, il tecnico che lavorava per una società dell’Nsa americana, il quale ha indicato tra l’altro che Washington controllava alcuni computer in un’università cinese. Il governo cinese ha inoltre deciso di limitare sempre di più, fino a bandirli entro il 2020, i prodotti tecnologici stranieri negli uffici pubblici legati ai settori militare e bancario, per sostituiti da prodotti locali considerati più sicuri.

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Da tre mesi detentuta giornalista cinese di Die Zeit

Una giornalista cinese che lavora come assistente del corrispondente a Pechino del settimanale tedesco Die Zeit, è in carcere da tre mesi con l’accusa di disturbo dell’ordine pubblico, spesso usata dalle autorità contro gli attivisti e i dissidenti. Zhang Miao lo scorso due ottobre era appena tornata da Hong Kong dove aveva documentato per la testata tedesca le proteste anti cinesi, quando è stata arrestata da quattro uomini. Anche la corrispondente della rivista tedesca, Angela Kockritz, è stata chiamata e interrogata dalle autorità, con la minaccia dell’arresto e in quanto la collega cinese l’avrebbe accusata. Anche da qui, la decisione per la Kockritz di lasciare la Cina. Per non inficiare il lavoro diplomatico con il quale si stava cercando la liberazione di Zhang, fino ad ora la Kockritz aveva deciso di non rivelare la notizia. Ma dopo tre mesi di detenzione, dopo che la collega cinese ha potuto incontrare solo a dicembre un avvocato, è stato deciso di far conoscere la storia. Le autorità cinesi hanno risposto sull’arresto che l’atto è stato compiuto in quanto la giornalista cinese non aveva i permessi adatti. E’ vietato a cinesi lavorare per giornali stranieri. I corrispondenti possono avere degli assistenti che comunque vengono istruiti dalle autorità sul lavoro. Secondo i dati diffusi da Freedom House, sotto Xi Jinping la pressione sui giornalisti soprattutto stranieri, è aumentata.

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Le autorità cinesi condannano l’attentato di Parigi, ma i giornali riflettono sulla libertà di stampa occidentale

Se le autorità cinesi hanno fermamente condannato l’attacco terroristico alla redazione del Charlie Hebdo, la stampa ufficiale, pur condannando l’episodio, ha chiesto una maggiore comprensionedei fatti. Secondo un editoriale del Global Times, giornale vicino alle posizioni del partito comunista cinese, “dal punto di vista d’Oriente, quello che Charlie Hebdo ha pubblicato non è completamente difendibile ed è comprensibile che alcuni musulmani si sentono male per le vignette nella rivista”. L’editoriale non firmato però sottolinea che questo “non può essere usata per giustificare un attacco che è andato oltre i confini civili di tutte le società”. Il quotidiano lamenta che l’ondata di sostegno internazionale ai fatti di Parigi non si è verificata quando la Cina ha subito attacchi terroristici, come Pechino ha definito gli scontri avuti tra le forze di polizia e la minoranza uighura. Per il giornale, infatti, “La lotta al terrorismo ha bisogno di un alto livello di solidarietà tra la comunità internazionale. Il mondo è sempre unificato nella sua risposta agli attacchi terroristici che si sono verificati in Occidente, ma quando è il turno dell’Occidente di reagire a questi attacchi in paesi come la Cina e la Russia, spesso giri di parole.”. Il sostegno dato ai giornalisti di Charlie, è per l’editoriale l’occasione per criticare la visione occidentale della libertà di stampa. “Notiamo che molti leader occidentali e media di tendenza – è scritto nell’articolo – hanno evidenziato il loro sostegno per la libertà di stampa nel commentare l’incidente. Questo rimane una questione aperta. La libertà di stampa si trova all’interno dei sistemi politici e sociali dell’Occidente ed è un valore fondamentale. Ma in questi tempi globalizzati, quando le loro azioni contraddicono con i valori fondamentali di altre società, l’Occidente dovrebbe avere la consapevolezza di facilitare i conflitti, invece di accentuando in conformità con i propri valori in un modo a somma zero.”. Per il Global Times, “poichè l’Occidente detiene predominio assoluto in giudizio globale, le società non occidentali possono a malapena far ascoltare nel mondo il loro disaccordo. L’Occidente deve controllare coscientemente il suo uso di “soft power”. Anche se l’Occidente pensa che sia giusto sostenere la libertà di stampa – contiua l’editoriale – vale ancora la pena rispettare i sentimenti degli altri. Se l’Occidente pensa della globalizzazione come ampliamento assoluto e la vittoria di certi valori, allora è in cerca di guai senza fine.”. Il Global Times chiude poi l’editoriale con l’invito all’Occidente ad essere “più mite nell’esprimere scontri culturali e prendere in considerazione i sentimenti di molti altri” cosa che “sarebbe molto gratificante e rispettabile”.

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