La “marea gialla” di Nassau

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Gli swimming pigs, una delle attrazioni più note delle Bahamas (isola di Exuma)

Non si allarmino gli amanti delle spiagge bianche, delle barriere coralline, delle immersioni e del mare cristallino: l’ondata a cui faccio riferimento nel titolo di questo contributo non denuncia l’inquinamento del mare di Bahamas, ma racconta di una lenta marea che sta sommergendo le isole caraibiche, quella che i locali chiamano “l’invasione delle formiche”. Gli insetti in questione sono i cinesi.

Chi in questi ultimi anni ha avuto la fortuna di visitare le isole che accolsero il 12 ottobre del 1492 per la prima volta nel nuovo mondo un europeo, avrà notato come, tra l’insegna di una banca e quella di un bar, siano aumentate quelle dei negozi dei cinesi. Che, sull’isola di New Providence, dove si trova la capitale Nassau, si occupano di tutto: dai ristoranti ai negozi di souvenir, dai centri massaggi (alcuni anche di indubbie finalità), alle banche.

Chiunque passeggi per il lungomare di Nassau, dinanzi ai grandi alberghi, troverà diversi gruppi di cinesi intenti a sfruttare i collegamenti internet aperti delle varie strutture per parlare via Wechat con famiglie, amici e parenti in Cina, avanti di dodici ore di fuso rispetto a Nassau. Non sono turisti, non sono imprenditori: sono operai, soprattutto edili, circostanza da tenere in mente.

Una “invasione” normale, potrebbe pensare chiunque, se non fosse per un particolare: la Cina non solo è lontanissima dall’arcipelago bahamense e i due paesi non sono collegati da nessun volo diretto (ci vuole più di un giorno per arrivarci). Da considerare poi che i cinesi non amano per niente il mare.

A chi, come dicevo, ha avuto la fortuna di visitare le Bahamas, soprattutto Nassau, non sarà sfuggito che a parte il mare e le spiagge bianche, non c’è null’altro da vedere. E allora, facendo fondo agli stereotipi più comuni, cerchiamo di capire perché i cinesi stanno “invadendo” Bahamas.

Una invasione che è addirittura tra i primissimi argomenti nella campagna elettorale che il prossimo dieci maggio probabilmente vedrà il Progressive Liberal Party e il suo leader Perry Christie, primo ministro delle isole dal 2012 (dopo esserlo stato anche dal 2002 al 2007), uscire sconfitto. E’ stato proprio Christie, successore e braccio destro del capo del governo bahamense Lynden Pindling, a operare, qualcuno dice anche in segreto, accordi con la Cina su diversi fronti.

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Il complesso del Baha Mar a Nassau

I cinesi non amano mare e spiagge e che ci fanno alla Bahamas? Innanzitutto bisogna tenere in considerazione la posizione geografica delle isole, quanto di più vicino agli Usa senza condividere terre emerse. Un chiaro interesse strategico di Pechino che, non a caso, ha donato oltre 1,2 milioni di dollari al governo bahamense per approvvigionarsi di tecnologia militare. Soldi che vanno ad aggiungersi a quelli che ChinaAid, la cooperazione allo sviluppo cinese, uno dei mezzi più sfruttati da Pechino per imporre il suo soft power e la sua influenza (ampiamente usata ad esempio in quella che viene definita la “nuova colonizzazione” dell’Africa da parte della Cina), ha usato a Bahamas per costruire lo stadio nazionale, la palestra che ospita il campionato di basket e diverse altre infrastrutture. Soldi che non ha messo solo ufficialmente il governo cinese direttamente, ma anche attraverso le aziende che, ricordiamo, in quella parte di mondo sono sempre sotto lo stretto controllo governativo, anche quando vengono definite “private”.

Diverse aziende cinese, infatti, sono impegnate nella costruzione di resort. Il più importante progetto è quello multimiliardario di Baha Mar, il più grande resort dei Caraibi, il cui megaprogetto ha subito diversi stop. Doveva aprire nel 2015 e invece la soft opening è avvenuta solo due settimane fa. Dietro, c’è il gruppo cinese che fa capo alla famiglia Cheng, già proprietaria della catena di alberghi di lusso Rosewood e di altri progetti che hanno a che fare con il gioco d’azzardo, soprattutto a Macao. Già perché questo è un altro dettaglio di non poco conto: a Bahamas, frotte di americani si spingono nei grandi resort a giocare ai casino, preferendo, negli ultimi tempi, questi resort a quelli di Atlantic City o di Las Vegas. Circostanza che ha fatto denunciare a più di un giornalista bahamense, i pericoli delle infiltrazioni mafiose in questa attività storicamente legata (anche in Cina) al riciclaggio di denaro.

Non solo: negli accordi che Christie ha fatto con i cinesi concedendo loro terreni e licenze in cambio di aiuti economici, c’è una clausola che ha fatto infuriare i bahamensi. Il paese è alle prese con un tasso di disoccupazione storico per quelle latitudini, supera il 15%, e deve fare i conti con una ondata migratoria clandestina da parte soprattutto di Haiti. Eppure non tutti i disoccupati locali hanno tratto beneficio dalla costruzione del colosso, perché negli accordi c’era scritto che la maggior parte della manovalanza doveva arrivare direttamente da Pechino. I dintorni del grande resort sono diventati quindi accampamenti di prefabbricati dove le “formiche” cinesi hanno vissuto e continuano a vivere.

Ma l’interesse cinese non si ferma alla terra bahamense. Il primo ministro ha annunciato, alla fine dell’anno scorso, il raggiungimento di un accordo con la Cina con il quale, in cambio di oltre due miliardi di dollari, i pescherecci cinesi avrebbero potuto sfruttare la pescosità del mare bahamense. Ufficialmente per pescare snapper rossi, aragoste, conchiglie, paguri e cernie, ma i locali, soprattutto gli ambientalisti americani, temono anche per delfini, tonni, wahoo e altre specie di cui la pesca è vietata o regolamentata. Nell’accordo, che porterebbe i cinesi a dominare anche il mercato americano del pesce (per cui si sono opposte le lobbies a stelle e strisce), anche lo sfruttamento di alcuni paradisi naturali come le isole intorno ad Abaco.

L’offshore bahamense che interessa i cinesi è però non solo quello relativo alle spiagge (shores appunto, come nello slang americano), ma anche quello finanziario/bancario. A Bahamas con un investimento minimo di 500 mila euro si può ottenere la residenza di un paese che tassa i beni al 4% e che rispetta il segreto bancario, come molti paesi caraibici paradisi fiscali oltre che marini. Dopotutto, nei Panama Papers e in inchieste simili degli ultimi anni, è numeroso il contingente di singoli e aziende di Pechino che ha spostato fondi neri in questi paradisi.

Sicuri che ai cinesi non piaccia il mare?

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