La sfida di Hong Kong alla congiura del silenzio imposta dal regime cinese ha il volto di decina di migliaia di persone: 180.000 manifestanti silenziosi, secondo gli organizzatori, si sono raccolti oggi per commemorare le vittime del massacro di piazza Tiananmen – avvenuto 25 anni fa, nella notte tra il 3 e il 4 giugno del 1989 – nelle stesse ore in cui Pechino ignorava invece l’anniversario, stretta nella morsa di centomila uomini dei servizi di sicurezza e di 800mila vigili attivisti del Partito comunista. Lo spettacolo a Victoria Park, il giardino sull’isola di Hong Kong dove si è svolta la veglia, è stato impressionante. Buona parte dei manifestanti erano giovani, forse neppure nati ai tempi del bagno di sangue. E ognuno di loro brandiva una candela o una fiaccola. I promotori hanno sottolineato la partecipazione di un gran numero di persone venute dalla Repubblica Popolare Cinese. Un uomo sui 60 anni, per esempio, non ha esitato a rivolgersi ai giornalisti per dire di chiamarsi Chen e di essere arrivato dalla vicina città cinese di Shenzhen: perché a Hong Kong, ha denunciato, c’é spazio in “una società libera, nella quale si può parlare”, al contrario di quanto accade nella Cina popolare. Il 25/mo anniversario del strage di Tiananmen – in cui furono uccise centinaia, forse migliaia di persone che chiedevano l’introduzione di un sistema democratico – è coinciso del resto con un momento di forte tensione tra i democratici di Hong Kong e il governo di Pechino: accusato di non voler mantenere la promessa di garantire elezioni libere nell’ ex colonia britannica, oggi Regione Amministrativa Speciale della Cina. Una manifestazione più modesta, ma anch’essa significativa, per ricordare le vittime di Tiananmen si è svolta intanto a Taipei, la capitale di Taiwan, l’isola rivendicata dalla Cina ma di fatto indipendente dal 1949. In una dichiarazione, il presidente Ma Ying-jeou, che ha promosso la distensione con Pechino, si è augurato che i successori di Deng possano evitare “il ripetersi di una tragedia” come quella del 1989. Dall’esilio, anche il Dalai Lama – la guida spirituale e politica dei tibetani, considerato un pericoloso nemico da Pechino – ha diffuso un messaggio nel quale afferma di aver pregato per coloro che “sono morti per la libertà, la democrazia e i diritti umani”. Nella capitale cinese, comunque, il massiccio schieramento delle forze di sicurezza e un deciso attacco della censura a internet hanno impedito che l’anniversario venisse rievocato in alcun modo. Gruppi di poliziotti in tenuta anti-sommossa hanno presidiato le principali arterie della capitale. I controlli sono stati particolarmente severi sulla stessa piazza Tiananmen, dove i turisti sono stati costretti a lunghe code e alcuni giornalisti stranieri, dopo essere stati identificati, sono stati invitati ad allontanarsi. Nel web, da giorni reso di difficile accesso da improvvisi rallentamenti, il motore di ricerca americano Google veniva nel frattempo bloccato dalla Grande Muraglia di Fuoco dei censori cinesi. Nelle scorse settimane, secondo fonti del dissenso, circa duecento persone erano già state arrestate preventivamente per impedire ogni possibile iniziativa in ricordo del massacro. Il governo, per bocca del portavoce Hong Lei, ha d’altro canto respinto tutte le critiche: lo sviluppo economico degli ultimi decenni dimostra, a suo dire, che nel 1989 furono fatte “le scelte giuste”.
fonte: ANSA