Dopo settimane di proteste, decine di migliaia di manifestanti, 158 ore di sciopero della fame da parte di una decina di studenti e insegnanti, e con un’elezione dietro l’angolo, il governo di Hong Kong ha deciso di posticipare l’introduzione nel curriculum scolastico di un corso di “Educazione morale e nazionale”, volto a far sì che i giovani di quest’ex-Colonia britannica “amassero di più la madrepatria”. Il corso, chiamato anche di “educazione patriottica”, avrebbe dovuto essere facoltativo da quest’anno e obbligatorio dal 2015. Ma il suo contenuto è stato giudicato di natura particolarmente problematica da molti osservatori, intellettuali, educatori e politici di Hong Kong, dato che contiene poche notizie riguardanti la storia della Cina, ma affermazioni come “i sistemi a partito unico sono migliori di quelli multipartitici, in quanto più stabili ed altruisti”, come si legge in uno dei testi proposti. Hong Kong è una giurisdizione multipartitica, con un sistema politico semi-democratico tutt’ora radicalmente diverso da quello della Cina continentale, sotto la cui sovranità la città è ritornata nel 1997. Per molti cittadini di Hong Kong – gran parte dei quali figli di persone scappate dalla Cina continentale proprio per sfuggire ad alcuni dei suoi più violenti movimenti politici delle ultime decadi – questo tipo di insegnamento era inaccettabile: secondo gli ultimi sondaggi, infatti, più del 69% del corpo studentesco ed insegnante era contrario all’introduzione del corso di “educazione nazionale” nella sua forma presente. La notte scorsa, dopo che circa 130 mila persone vestite di nero (in segno di “lutto per la fine della libertà accademica”) hanno circondato la sede del governo locale, il capo dell’esecutivo di Hong Kong, Leung Chung-ying, nominato il 1 luglio scorso, ha indetto una conferenza stampa nel corso della quale ha dichiarato che il governo non imporrà più l’introduzione della problematica materia, e che tale scelta sarà “facoltativa”. Leung ha aggiunto di aver “sentito e capito le critiche dei cittadini”, e di non volere che “la recente controversia affetti negativamente l’operatività delle scuole, né vogliamo che l’armonia dell’ambiente educativo ne sia compromessa”. La decisione di imporre il corso di educazione nazionale ha suscitato un raro momento di alta politicizzazione in questo territorio noto in particolare come polo finanziario e del commercio: artisti, scrittori, cantanti e attori si erano uniti numerosi alle proteste, e un numero crescente di presidi e direttori di istituti educativi, nonché insegnanti e studenti, si erano schierati contro la proposta in modo molto pubblico. Domani, Hong Kong andrà alle urne, per eleggere metà dei 70 seggi del Consiglio Legislativo per suffragio universale: i partiti considerati pro-Pechino, come l’Alleanza democratica per il miglioramento di Hong kong (DAB), parzialmente al governo, avrebbero, secondo i sondaggi, risentito in modo importante del loro appoggio per il corso di educazione nazionale. La loro maggioranza finale resta però quasi garantita dal fatto che 35 dei seggi parlamentari non sono eletti per suffragio universale, ma selezionati da “grandi elettori” corporativi.
fonte: ANSA